WOODY... FUGA DALLA REALTà
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Woody Grantortino, il protagonista del romanzo di Alfonso La Licata, è l'erede di una tradizione letteraria lunga tutto il Novecento: è la versione in minore dell'Uomo senza qualità di Musil, è l'inetto della narrativa sveviana, è un omino catapultato nella vita e condannato ad un anonimato imbarazzante. Nessuno si accorge di lui nonostante il suo aspetto sia quantomeno originale, il risultato di "una concrezione anatomica" in cui sono assemblati una testa piccolina e un tronco corto con collo, braccia e gambe di una lunghezza spropositata. Nell'ufficio in cui lavora come modesto impiegato di infima categoria, nessuno lo nota quasi fosse un accessorio della fotocopiatrice al cui uso è adibito. Neppure il portiere del suo stabile risponde al saluto. L'aggettivo chiave che lo connota è "banale".
Allora, per far fronte alla quotidianità mediocre cui è condannato e che pure accetta come giusta e naturale, Woody oppone il sogno: quello in celluloide dei film, e quello notturno e ricorrente che lo vede protagonista eroico e avventuroso di esotiche gesta. Lì, nel sogno e nella fantasticheria, lui è James Bond, è Indiana Jones, è un "duro". Tutto ciò forse come logica conseguenza del nome "Woody", scelto dalla madre, grande estimatrice di Woody Allen, che lo ha predestinato a coltivare una passione sfrenata per il cinema.
Questa è la vita di Woody Grantortino, per lo meno fino al fatidico 27 luglio, giorno di paga, in cui esce di casa e sorprendentemente il portiere sembra accorgersi di lui e gli restituisce il saluto. Altrettanto sorprendentemente, il cagnaccio tozzo che lui ha battezzato George perché gli ricorda il padre Giorgio, anzi sospetta ne sia la reincarnazione, ebbene il cagnaccio che lo ha sempre scortato ogni domenica verso la Chiesa dove si celebra la Messa, due giorni prima lo aveva abbandonato lasciandogli solo l'immagine del suo posteriore che si allontanava dondolando.
Premonizioni? Indizi?
In effetti il 27 luglio, giorno di paga, si rivelerà davvero speciale.
Diretto in banca per riscuotere lo stipendio, Woody viene coinvolto in una rapina e il fatto di diventare in breve un protagonista della vita anche se nel ruolo scomodo di ostaggio dei banditi, lo sorprende a tal punto che sulle prime crede di trovarsi sul set di un film e non nella realtà. Da questo momento in poi, l'omino insignificante scopre di essere intelligente e astuto, capace di gestire un doppio gioco in piena regola aiutando i rapinatori nella loro fuga per aiutare, in realtà, se stesso e la donna poliziotto presa in ostaggio come lui.
Da dove trae tutta questa presenza di spirito? Dal cinema, ovviamente! E la sua fuga nella realtà, come recita il sottotitolo del romanzo, lo trascina in un vortice in cui il tempo accelera la sua corsa, in cui le scorribande in auto, l'avventura dello spassoso funerale di una stramba setta religiosa, l'accerchiamento dei pazzi di una Casa di Cura, il contatto pelle a pelle con la bella poliziotta, tutto è velocità, ritmo, movimento: in una parola, cinema.
L'autore riesce con grande efficacia in questa impresa: i nomi di Humphrey Bogart, John Wayne, Clint Eastwood e tanti altri che costellano i pensieri di Woody e le pagine del romanzo forniscono al lettore la chiave per comprendere a fondo la contaminazione tra immaginazione e realtà.
Alfonso La Licata è abilissimo nel tratteggio dei personaggi, nella raffigurazione dei loro stupori, dei loro goffi tentativi di governare la vita.
Il suo irrefrenabile gusto ironico non esente da punte di sarcasmo si avvicina più all'umorismo che alla comicità e non a caso la terra di La Licata, la Sicilia, è la stessa che ha dato i natali a Pirandello: c'è il gusto della derisione, è vero, ma ci sono anche la condivisione, il sentimento del contrario, la simpatia per tutti: dal cagnaccio dal deretano imponente ai banditi balordi, dalla poliziotta avvenente ai poveri pazzi seminudi, dai barbuti officianti di una cremazione grottesca a tutto il resto del mondo, con le sue meschinità, la sua pochezza, la sua mediocrità che talvolta esplode in inaspettati lampi di genio.
Così accade a Woody, così accade al bandito, quello più inconcludente che salva il resto della banda recitando brani shakesperiani.
Così è la vita: a volte proprio come al cinema.
E come al cinema anche nella vita di Woody, alla fine dell'avventura, c'è una commovente promessa di felicità.
E' un romanzo in corsa, questo "Woody" una corsa che l'autore regola scandendo le fasi dell'intreccio con capitoli dai titoli memorabili (Dreaming, Metempsicosi...) e con vere e proprie pietre miliari come quel "tiglio ombroso ed imponente", espressione apparentemente gratuita ma che ricorre tre volte e segna gli stacchi dell'azione.
Apparente semplicità. Perché, lo sappiamo, nulla è come appare.