Un bar, una sera d'autunno

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'estate 2023.

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Giuseppe Ferraresi
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Un bar, una sera d'autunno

Messaggio da leggere da Giuseppe Ferraresi »

Un bar, una sera d’autunno.



Luciano avvertì una sorta di brivido osservando il buio incombere al di fuori della vetrata del bar, illuminato fiocamente da luci scialbe. Quelle luci non creavano un’intimità, al contrario facevano pensare ad un distacco della corrente per una bolletta obliata con discreta disinvoltura dal gestore.
Quasi per caso, si accorse di aver appoggiato con forza le mani sulla superfice del bancone zincato, al quale era aggrappato, abbarbicato su seggiolino-trespolo. Notò che le nocche erano sbiancate.
Sussultò per la tensione piombatagli addosso quasi per un agguato. E trasalì maggiormente quando le sue sinapsi vennero sfiorate dall’idea che la scena a cui assisteva in quel momento, gli ricordasse qualcosa di già visto. Un dejà -vu che però rimaneva ovattato, non riusciva a metterlo a fuoco, si perdeva in una sorta di nebbia interiore.
Lanciò un’altra occhiata riluttante alla vetrata e a quel che c’era al di là della vetrata, poi spostò lo sguardo su Lisa. Lei aveva ordinato un Martini Dry e proprio in quel momento ne stava bevendo un sorso.
Intercettata la sua occhiata, Lisa sollevò un sopracciglio interrogativo. – Non prendi niente? – gli chiese.
Riscuotendosi, quasi che la vocina di un Grillo Parlante interiore gli intimasse di riscuotersi, Luciano con un gesto tentò di attirare l’attenzione del cameriere. Questo sembrava assorto nei suoi pensieri, e fissava a sua volta il buio incalzante come fosse un invasore, qualcosa degno del fantascientifico bianco e nero di un episodio anni ’50 de “Ai Confini della Realtà”. Luciano ripeté il gesto, inutilmente. Allora lo chiamò a voce. Dovette chiamarlo due volte, prima che quello si accorgesse di lui.
Sbattendo le palpebre, come fosse costretto a risvegliarsi da una fantasticheria, lanciò un’occhiata particolare al cliente. Luciano si convinse che l’altro lo avesse guardato storto.
– Una birra. Non importa la marca. Basta che sia in bottiglia.
– L’abbiamo anche alla spina – rispose il cameriere, un po' pignolo.
– No, grazie: la preferisco in bottiglia – ribatté Luciano.
Di nuovo il cameriere gli scagliò quell’occhiata particolare. Poi prese una birra, la aprì, la depose davanti al cliente. Tutta l’operazione venne eseguita con una certa malagrazia che veniva quasi naturale a quel tipo. Non gli aveva dato nemmeno il bicchiere, ma Luciano preferì non insistere. Bevve un sorso a canna. La birra era calda.
– Sai di Gino? – gli domandò Lisa, a bruciapelo, in modo quasi brutale.
Lui annuì. – Ho saputo. Come è successo?
Lisa allargò le braccia. – Come succedono queste cose: c’è sempre un punto di partenza.
Luciano strizzò gli occhi. – Un punto di partenza? – la sua voce era suonata stranamente flebile. Di colpo lui si guardò attorno: oltre a loro lì dentro c’era un altro avventore, posizionato all’altra estremità del bancone, che era circolare, con il cameriere in mezzo. Anche alle spalle del tizio, c’era una vetrata, forse ancora più grande. E anche da lì si poteva vedere solo il buio, fuori. L’avventore solitario sedeva ad un identico sgabello-trespolo, la testa china, incassata nelle spalle.
Lui scosse la testa. Poi, a Lisa: – Già, certo che c’è un punto di partenza… Poi uno inizia a pensare, a elaborare, i pensieri diventano tarli, e… e non si sa mai dove si va a finire.
– Oh no: si sa bene dove si va a finire – precisò funerea.
– E… e nel caso di Gino? Quale è stato il suo punto di partenza?
– Le feste delle Medie – disse l’amica, sicura di sé.
Questa sicurezza così manifesta, fece inarcare un sopracciglio a Luciano. – Le feste delle Medie?
Lisa annuì. – Lo so, lo so: pensavi a qualcosa di più recente… un evento, un fallimento non così a ritroso nel tempo. Ma lo hai detto tu stesso: uno pensa, argomenta, e il pensiero diventa un tarlo che ti scava dentro… – bevve un sorso del suo Martini. – Te le ricordi le feste delle Medie?
– Si – confermò lui. – Ma… ma proprio per come erano fatte quelle feste, non mi sembra, non riesco a capire dove sia il trauma…
– Le feste delle Medie, – Lisa lo fissò con attenzione. – Le feste delle Medie, già: dopo non è stato mai più possibile ritrovare quella freschezza, quell’innocenza. Era la prima volta. Ogni cosa era alla sua prima volta. Per questo sembrava più nitida, vivida, frizzante per la novità; e per questo è diventata struggente nel ricordo… Ogni cosa ti colpiva diritto al cuore. Ti entrava sotto la pelle. Era come tuffarsi dove è più profondo e l’acqua è più fredda. Era la prima volta che ti tuffavi, e quelle sensazioni sono rimaste incise in te. Dopo, non è stato più lo stesso: ogni cosa aveva un diverso sapore, come se mancasse qualcosa.
– “Come se mancasse qualcosa”… – ripeté Luciano, incupito.
– Già: mancava la freschezza. Come poteva esserci se non era più la prima volta? Se quel brivido di un tuffo dove l’acqua è più blu e più fredda ormai era alle tue spalle?
– Fammi capire: tutto sarebbe partito da quello? Dal non essere stato più in grado di ritrovare quel brivido della prima volta? – Luciano aveva alzato la voce. E per un attimo fugace, quel tizio con la testa incassata tra le spalle, aveva perso la sua immobilità. Oh, nulla di così eccezionale: non si era voltato per fissare con tanto d’occhi Luciano, questo no; ma in quell’attimo aveva sussultato, smuovendo le spalle ingobbite in una fissità scenica. Inoltre anche se non l’aveva visto, Luciano era sicuro che persino il cameriere avesse tralasciato per un attimo l’assorta contemplazione del panorama al di là della vetrata.
Lisa lo fissò quasi con rabbia. – L’attesa… – disse.
– L’attesa? – di nuovo Luciano si sentì spiazzato.
Lei annuì. – L’attesa di qualcosa che non viene: il tuo momento migliore. Tu attendi il momento in cui tutto sarà perfetto, ma questo non viene. Lo attendi e lo attendi, ma dopo anni di attesa ti senti come un naufrago che si chiede se il suo messaggio nella bottiglia sia andato perduto tra le onde… Come fai a supporre che il tuo momento migliore è già passato alle tue spalle, e non ne verranno degli altri? Qualcuno dovrebbe dirtelo, no?
Nella foga del suo discorso, anche Lisa aveva alzato la voce. E ancora una volta l’avventore seduto da solo, era trasalito leggermente, in un guizzo di vivacità. E accidenti, perché Luciano non aveva tenuto d’occhio il cameriere per vedere cosa faceva?
– Sai, ci vorrebbe il libretto delle istruzioni – disse Lisa, con una semplicità inquietante.
Lui alzò un sopracciglio. – “Il libretto delle istruzioni?
Lei fece segno di si. – Il libretto delle istruzioni che ti spieghi come funziona la vita. Ma questo libretto delle istruzioni non c’è, o se pure ci fosse, sarebbe scritto in una lingua incomprensibile, magari in ideogrammi, quindi inutile. Così rimani impreparato: non sai che il tuo tempo migliore ormai lo hai alle spalle, e lo aspetti. Aspetti per tutta una vita, chiedendoti perché non arriva. Gino ha aspettato. Finché non si è stancato di aspettare, o ha capito che non c’era niente più da aspettare…
Luciano annuì. Aveva compreso. Da subito temeva di aver compreso, ma una parte di sé avvertiva il bisogno della conferma, la prova del nove che non lascia scampo.
Bevve un altro sorso di quella birra. Gli sembrò bollente. Si accorse di come tutto fosse ripiombato in un’immobilità morbosa. D’un tratto gli balzò alle sinapsi e forse anche oltre, dove avesse già visto quella scena. Ed era vero! Quella sensazione d’oscura familiarità, era giustificata, altroché! La scena sembrava identica a “Nighthawks”, i nottambuli: un quadro di Hopper.
Si sforzò di ricordare: un bar di notte, un uomo e una donna abbarbicati sui sediolini, il tizio di fronte, il barista che guardava fori dalla vetrata… Tutto coincideva. Ma se loro erano nel bar, chi guardava dalla strada verso l’interno? E se loro erano nel quadro, chi li osservava al di là della tela?
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Alberto Marcolli
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commento Un bar, una sera d'autunno

Messaggio da leggere da Alberto Marcolli »

Refuso - Lei fece segno di si. -- Lei fece segno di sì.
Regola “d” eufonica - ad un – a un

“avvertì una sorta di brivido” – io preferisco - avvertì un brivido –

“bolletta obliata con discreta disinvoltura dal gestore.” Preferisco - bolletta obliata dal gestore. – mi spiego: lasciamo al lettore immaginarsi un perché l’abbia ignorata, è più coinvolgente, a mio parere.

“si accorse di aver appoggiato con forza le mani sulla superfice del bancone zincato, al quale era aggrappato, abbarbicato su seggiolino-trespolo. Notò che le nocche erano sbiancate. Sussultò per la tensione piombatagli addosso quasi per un agguato. E trasalì maggiormente quando…” – preferisco spiegare meno – proposta personale - Luciano, abbarbicato sul seggiolino-trespolo, con le mani appoggiate con forza sul bancone zincato, notò che le nocche erano sbiancate e sussultò per la tensione piombatagli addosso quasi per un agguato. Trasalì maggiormente quando…

“Un dejà -vu che però rimaneva ovattato, non riusciva a metterlo a fuoco, si perdeva in una sorta di nebbia interiore.” – proposta - Un déjà-vu ovattato, che non riusciva a mettere a fuoco e si perdeva in una sorta di nebbia interiore.

Mi fermo qui, non vorrei abusare della pazienza dell’autore.

Commento finale
Trovo che ci sia troppo “infodump” ovvero “spiegare ogni cosa, chiarire qualsiasi dubbio… risultato? Si toglie fascino e attrazione allo scenario del racconto, che in questo testo è tutto o quasi. Suggerisco all’autore di rivedere il lavoro alla luce di questa regola di scrittura.
Anche in questo caso mi riservo di votare in seguito
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Marino Maiorino
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Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Ritengo che Alberto abbia centrato la maggior parte dei punti meno gradevoli di quest'interessante "quadretto".
Ma se è vero che si osserva una tendenza all'infodump, è vero anche che paradossalmente si lasciano aperti molti interrogativi.
Personalmente cerco di risolvere queste tendenze (chi non le ha?) durante la rilettura, e chiudere i capi sciolti. Perché? Perché il lettore fa caso a cose che per lo scrittore sono del tutto marginali, e lasciare capi sciolti è più deludente per il lettore che divertente (giocare con l'attenzione del lettore lo è) per il lettore.
Un'altra tendenza che ho osservato è la tendenza a termini fuori ambientazione. Si "oblia" una bolletta? A parte che al giorno d'oggi c'è il prelievo in conto, ma parliamo di bollette o di reami fantastici?
Infine, la punteggiatura: l'uso di troppe virgole spezza i periodi dove non dovrebbero esserci pause.
Ripeto il mio giudizio, quadretto interessante nell'epilogo. Anche qui osservo però una cosa: il quadro è noto e i personaggi affrontano le radici della crisi esistenziale di un loro conoscente. Ma... le medie? Davvero? Come diceva il buon Troisi: "Ma perché, uno a 13 anni già può...?"
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Concordo sul fatto che a 13-14 anni sia un po' presto per pensieri del genere, più frequenti invece più tardi, ovvero durante le feste delle superiori. O forse io non ero così precoce :(
Il cambiamento di prospettiva rende il racconto interessante, appunto da episodio "Ai confini della realtà". Ma forse riguarda tutti noi: siamo sotto al microscopio, e qualcuno ci sta guardando in questo momento...
Roberto Di Lauro
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Messaggio da leggere da Roberto Di Lauro »

Per l'ambientazione, i personaggi nel locale, i dialoghi che rimandano ad un passato, dove tutto avrebbe avuto inizio, a cominciare dall'affermazione del proprio io nella società, tutto sommato mi è piaciuto.
Voto 4.
Anto58
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Messaggio da leggere da Anto58 »

Mi è piaciuto queto racconto, surreale ma fin troppo vero. Il linguaggio rimanda ai pensieri, alle interiorizzazioni, allo scavare dentro di sè senza mai trovare risposte. L'inizio è tensivo, ci si aspetta che qualcosa accada in quel bar.
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Fausto Scatoli
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Messaggio da leggere da Fausto Scatoli »

mi spiace ma riesco ad apprezzarlo più di tanto, questo racconto.
ci sono molte cose che mi restano oscure e altre che non comprendo.
di sicur è una mia mancanza, non lo metto in dubbio, però a 13 anni mi pare strano cominciare ad aspettare che arrivi "il momento".
Lisa mi pare un po' troppo saccente, quasi fosse una maestra di vita. anche questo non lo trovo concepibile.
in ogni caso si lascia leggere.
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Selene Barblan
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Messaggio da leggere da Selene Barblan »

Mi è piaciuto: il titolo, un po’ malinconico, poetico; i dialoghi, le considerazioni sull’attesa del momento “giusto”.

Ho cercato il quadro di Hopper e, nonostante la scena sia ben descritta, mi aspettavo un ambiente più scuro, meno pulito di come è invece quello ritratto. Forse varrebbe la pena aggiungere qualche dettaglio sulla fisicità dei personaggi. A dipendenza di cosa vuole trasmettere l’autore.

Mi piace meno il fatto che non vedo un nesso tra il quadro e la scena finale con il resto del racconto, che mi convince meno. Penso ci siano delle cose da rivedere a livello formale e anche a livello stilistico, ad esempio “D’un tratto gli balzò alle sinapsi e forse anche oltre”.

Globalmente si fa leggere e sarebbe un buon racconto con qualche sistemata. Voto 3
Namio Intile
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Non è male. Sei partito dalla tela di Hopper e ci hai ricamato dentro e fuori, con i personaggi che, dal di dentro, commentano una cosa qualunque di fuori. Peccato per quella citazione de Ai confini della realtà, che trasporta il narrato da un piano onirico o surreale a uno irreale, falso. Con un sforzo in più potrebbe essere un capolavoro.
Complimenti, a rileggerti
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