Il cimitero delle vongole

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'autunno 2024.

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Yakamoz
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Il cimitero delle vongole

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**Il cimitero delle vongole**

Quella sera, la luna, bianca e rotonda come una mozzarella di bufala, splendeva sopra un palazzo. Io camminavo per strada. Se c'era la luna, doveva essere per forza notte, anche se non ricordo l'ora né la stagione. Ma, anche senza controllare il calendario o avere un orologio, basta osservare il tempo. Se fa freddo o caldo, e notare quanti mao mao (1) ti ballonzolano attorno, per intuire, più o meno, che ora è e in quale stagione ci troviamo. Forse era mezza stagione; altrimenti me ne ricorderei, magari a causa del troppo caldo o freddo di quella sera. Perché per vizio ci si lamenta sempre del tempo. Tanto per dire qualcosa quando non si ha proprio nulla da dire. La gente, io fra loro purtroppo, non è mai contenta del tempo che fa. Se c'è troppo sole, ci si lamenta per il caldo. Se piove, si rimpiange il sole che c'era prima. Se è buio, ci si lamenta del cielo che non vuole decidersi.

Insomma, per farla breve, dopo esserci ritrovati in quattro, come i gatti, dentro un bar, ci siamo diretti a Capaccio Paestum, e non a piedi, ma in macchina. Da noi si usa dire: "Capaccio, vai buono e torni paccio!" (2) La nostra meta quella sera era il ristorante 'La Pergola', un locale noto per la sua buona cucina a base di pesce. Del resto, il cibo è fatto per essere gustato, e il nome 'Per… gola' richiama (a livello subliminale) l'idea di un piacere culinario che in effetti si porta 'per gola', come in un vero e proprio gioco di parole.
Eravamo io, Giacomo, un geometra che supervisiona i cantieri, la sua guagliona, laureata in lettere (A, B, C, D, E, F, G… e via discorrendo) ma molto timida (skurnosa, (3) si dice da me), che diventava rossa come un peperone appena una minima emozione la toccava. Molto educata e composta, essendo skurnosa, e anche abbastanza accunciatella (4), con i suoi occhi celesti, ricciolini biondi e il viso tondo come certe "pupate" (5) che si trovano sempre accomodate sulla poltroncina bella, o al centro del letto, di certe persone di una certa età. C'era poi Raffaela, con una elle (L), un dettaglio a cui essa tiene molto e si 'vota' (6) come una bestia feroce se qualcuno per caso sbaglia a pronunciare il suo nome, e che da questo momento in poi, per farla contenta, chiamerò Raffy.
Raffy, come carattere, è proprio l'opposto della guagliona di Giacomo, che si chiama Michela; nome che ho indovinato solo a fine serata, poiché, essendo skurnosa, parlava sempre a mezza voce, simile ai miagolii dei gatti. E guai a chi dice che la reincarnazione non esiste! Perché Michela è un gatto, anzi, una gatta. Se miagola quando parla, non può essere che una gatta. E lo era in una vita precedente. Sicuro al 100%. E magari, a causa di un difetto di reincarnazione, marca ancora senza accorgersene parte del suo essere felina. Raffy, come dicevo prima, invece è un peperino: non troppo alta, ma parecchio bellella. Premetto che io sono abbastanza alto, quindi, anche se lei indossa tacchi da dodici, la vedo sempre più piccola di quanto non sia in realtà. Essa dice di essere 'sociologa' e che è fidanzata con un commercialista, mai visto lui e né lei e lui assieme, un tipo davvero dritto che vanta vari Master e titoli tali e quali, ottenuti chissà dove. Per farvi capire come è Raffy, una volta, prendendola da parte, le chiesi: "Ma tu quanti anni tieni?" "Trenta!", esclamò subito. "Ah! Ma te li porti bene! Io pensavo che ne tenevi 21/22, massimo 23", feci io. E lei, con un sorriso sotto i baffi, rispose: "Eh, sapessi…", lasciando la frase in sospeso mentre fuggiva via. Ma se non me lo dici, come faccio io a saperlo? Penso che si sia capito che ho una certa simpatia per Raffy, anche se tra noi due non c'è mai stato nulla. Forse a causa di quegli occhi neri e maliziosi da zingara, di quella sua pelle olivastra che spicca anche in inverno quando non si va al mare, e di quei lunghi capelli bruni che le cadono lungo le spalle. E per non parlare delle sue forme… Diciamo, per descriverla al meglio, che ha un'aria da colombiana, venezuelana o portoricana; insomma, di quelle donne di terre lontane e un poco esotiche. E anche se è bassa, ma non fatica (7) al circo Togni, questo non conta poi tanto, perché ala fine resta comunque una bella pucchiacchella (8).

Dopo un'oretta di cammino in auto, abbiamo parcheggiato, siamo entrati, e ci siamo accampati in questa "Pergola", nota, appunto, per i suoi piatti a base di pesce fresco (ma forse più freddo che fresco e pescato direttamente nel congelatore), e loro tre hanno ordinato, stranamente, una pizza. Roba da pazzi! Specialità del posto "piatti di pesce" e ordinano pizze? Poi si sono rivolti a me: "E tu che ti pigli?" Stavo per rispondere: "Pe' me 'na bella pizza co' pesce n'coppe!", ma poi, per non sembrare più fesso di quel che sono, ho optato per una bella spaghettata con vongole! E allora così ho detto al cameriere che stava segnando tutto prima di allontanarsi.
Intanto, tra una chiacchiera e l'altra, accompagnati dai miagolii di Michela mentre Giacomo supervisionava parlando solo di pallone, come fa nei cantieri, abbiamo aspettato l'arrivo delle nostre portate. Le pizze, da copione, sono arrivate per prime; ma non mi dilungo a descrivere quali erano "dato che erano le loro pizze" mentre io pensavo più agli spaghetti miei. A un certo punto, finalmente, sono arrivati pure loro. Belli fumanti, odorosi, cosparsi di prezzemolo e stracarichi di vongole veraci (pescate la mattina stessa, assicurano). Ho iniziato ad avvolgerli e riavvolgerli con i denti della forchetta, e poi, guardando dentro a una vongola: vuota! In un'altra, stesso destino! E anche in un'altra ancora: nulla di nulla! Man mano le ho scartate tutte, accantonandole in un piattino a lato. Arrivato a dieci o dodici vongole (sempre di quelle veraci), mi so' reso conto che in realtà più che vongole erano solo conchiglie, come quelle che da bambino, andando al mare con mamma, usavo per fare braccialetti da regalarle. Di molluschi però nemmeno l'ombra! Nada de nada! Zero assoluto! Zero in condotta! Zero elevato a zero!
La Raffy, che stava seduta di fronte a me, mi ha fatto una smorfia come a dire: "Lascia perdere…", ma in realtà era contenta che mi prendevano in giro (gastronomicamente parlando). Stizzito da questa cosa, ho chiamato il primo cameriere che ho visto passare: un guaglione tutto nervoso, chiaramente sopraffatto dalle richieste che gli arrivavano da ogni parte, tanto che non sapeva neppure più a quale santo votarsi. Quando finalmente si è avvicinato, in napoletano schietto gli ho detto: "Senti, o' fra', ma io ho ordinato 'e spaghetti e vongole, mica 'e spaghetti cu' 'e chiocciole che paran 'o cimitero d''e vongole! Almeno qualche vongola intera e integra, giusto come guarnizione, potevate mettercela, no?" In quel momento, Raffy è scoppiata a ridere a crepapelle, invece Miky e Giacomo erano più seri, coprendosi la bocca con una mano, e con la sua scarpa a punta mi ha dato pure un calcetto da sotto il tavolo, prendendomi proprio alla caviglia. Che dolore! Oltre a digiunare, dovevo anche essere mazziato? Povero me!
Il cameriere, che in apparenza sembrava un po' "stunato" (9), ha compreso subito tutto al volo e, con tono di voce serio e preoccupato, non sapendo che dire e come giustificare la mancanza dei predetti molluschi, voleva farmi parlare col cuoco, il caposala, il padrone o il gestore, insomma con chi comandava il posto. Così, dopo un po', è arrivato il capo di tutta la baracca, molto gentile e premuroso, sia nel suo atteggiarsi che nel modo di esprimersi. Quando gli ho raccontato la storia delle vongole fujute (10), lui, sempre con un tono cortese, mi ha risposto: "Caro, a volte, nelle composizioni dei piatti, capita che ci siano portate più fortunate e altre meno fortunate. Nulla avviene per nostra volontà! È stato un semplice incidente… Se vuole, posso far rifare il piatto". La sua risposta mi ha un po' spiazzato, e per orgoglio ho replicato: "Se è stato un caso, non è un problema. Pago lo stesso!" A quel punto, lui si è messo le mani sul petto e ha alzato le mani, come se volesse scusarsi.

La serata è poi proseguita fino al caffè finale, amaro e fetente peggio di loro. Siamo allora usciti (io di solito, se sto in gruppo, anche di tre persone, ho il vizio di uscire sempre per ultimo); esce prima la gatta Miky, poi Giacomo, e la Raffy mi precede. Come gesto di cortesia, tanto per essere gentile, l'ho invitata col braccio teso a uscire. Ma proprio mentre lei mi passava vicinissimo di lato con il suo corpo che di traverso si affusolava, con io messo di sguincio per farla passare oltre la soglia della porta, non so che mi è preso (sarà stata la crisi d'astinenza da vongole): la mano che tenevo alta si è abbassata fino a toccarle il sedere con un bel pizzico. Raffy si è voltata e, in risposta onomatopeica, mi ha fatto: "Weh!?", con tanto di occhi da zingara sbarrati e "!" e "?" stampati dentro. E io le aggia detto: "Pensavo che questa potesse essere la risposta a quel "sapessi…" che mi dicesti quella volta". Ma mi sa che mi ero sbagliato, perché appena ho finito di dire "…quella volta", mi è arrivato un pacchero (10), e non quelli che si mangiano, non tanto forte; però talmente veloce che non l'ho visto manco partire. Proprio vero! Fai un conto e poi te ne esce sempre un altro: le cose non sono mai come in realtà te le aspetti!

Devo ammettere però che di tanto in tanto mi ritrovo a riflettere su quella sera di mezza stagione di qualche anno fa. E ancora oggi non riesco a capire se la gentilezza e la premura, espresse con tanto garbo da quel signore, "capo della baracca", fossero sincere o se si trattasse semplicemente di 'na pigliata 'per culo' più che "per gola". In ogni caso, nel conto finale non c'era il piatto de "Il cimitero delle vongole", ma solo delle pizze, tanto per essere onesti e precisi.

Ma nj' ce fosse vulute dicere o' padron de "La Pergola" e a tutt e' cumpagnielli suoije, invec' e' ij m'brusann' a' gent:

"Sono qui per dire al mondo intero che la modernità deve finire: Jat zappà o juorn, jat a fauicià, jat a ffa 'e grandin; mo' è tiemp r' fav, mttit 'e fasul. Siamo in crisi: e' vulit ije a zappà, o no? Teng sett ott tuommn inda vaddt; teng pur o' trattor uttant cavall. Mo 'aggia pur fa o'second taglij r' fien. E nun v' mettit tatuagg e… scicquaglije, ca si jer' v' figlij a Ciggrndd' rov, v' aprjv o' cul a' uov!", (Cit. Ma non so di chi, e non è esattamente napoletano, sembra più un dialetto che si parla tra Cilento e Lucania)

My personal translation:

"Sono qui per dire al mondo intero che la modernità deve finire (perché dobbiamo tornare alla semplicità di una volta): andate a zappare la terra! Andate a falciare! Andate raccogliere spighe di granturco! Adesso è tempo di seminare fave; piantate i fagioli! Siamo in crisi: volete andare a zappare, o no? Ho sette o otto tomoli (misura agraria del sud Italia) di terra nella valle, ho anche un trattore da ottanta cavalli. Adesso devo fare il secondo taglio di fieno. E voi, invece di farvi tatuaggi e mettere orecchini (nel senso di piercing) e altre sciocchezze, dovreste pensare a trovare un lavoro serio, perché se foste stati figli a "Ciggrndd' rov" (un personaggio del posto che metteva i figli in tenera età a lavorare la terra) vi apriva il culo allo stesso modo di come si fa con un uovo!"

---

**Note a margine:**

1. **mao mao**: gentaglia chiassosa e pacchiana.
2. **"paccio"**: gioco di parole sul termine 'pazzo'.
3. **"Skurnosa"**: timida.
4. **"accunciatella"**: carina perché si prende cura del proprio aspetto.
5. **"pupate"**: bambole di buona fattura.
6. **"vota"**: voltare, ma anche nel senso di rivolgersi.
7. **"fatica"**: lavoro.
8. **"pucchiacchella"**: in italiano sta per "figa", cioè bella.
9. **"stunato"**: persona confusa o disorientata.
10. **"pacchero"**: schiaffo, ma anche tipo di pasta fatto in casa di consistenza molto pesante.
Ultima modifica di Yakamoz il 25/09/2024, 5:45, modificato 17 volte in totale.
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Re: Il cimitero delle vongole

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Solita premessa: mi chiamo Antonio Giordano. Se mi dovete nominare in qualche commento, sarei lieto se mi chiamaste Antonio, grazie.

Il testo "Il cimitero delle vongole", in origine era scritto in napoletano/salernitano molto stretto, da sembrare quasi turco: si tratta quindi di una riscrittura per renderlo comprensibile a chi non parla il mio dialetto, ma che conserva un certo "intercalare" e costruzione tipica (idiomatica) della mia lingua "Madre". Non di prosa sublime ma schietta e verace!

"Ultima modifica di Yakamoz il 23/09/2024, 18:24; modificato 10 volte in totale. Perché le elisioni me li riporta poi come accenti, ma anche perché scrivere, come nell’ultima parte in napoletano, è difficile, non essendoci un modo “standard” per poterlo fare."
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Anto', e nun fa' accussi'!
Jo te posso capi' e me fa pure ridere, pero'... 'na cosa è assì rido jo, ca saccio 'e che vva 'o fatto, e 'n ata cosa è assì ride chi 'o fatto nunn'o sape, perché chillo nun ride 'e chello ca nce fa ridere a nnuje!
'A mano s'è truvata a cade' e nun saje comme... Vabbuo', Raffy t'ha chiarito ('azz, e si te ll'ha chiarito: te ll'ha chianetto! :D )
Tutt'o blocco: tiene arraggione, ma 'e tiempe nuostre so' cchiste e, a ddicere 'a verità, so ssempre state chiste. Ogge se credono tutte "influenzer", ca ce vulesse 'nu vaccino: va... ccino, va(ta)ccino... ca se putesseno accidere tutte quante, ca nun servono! :D
Una nota su "tommolo": La parola che conoscevo io come unità di misura agraria, in quel di Acerra ('o paese 'e Pullecenella Cetruilo), era "muojo" (moggio). Da altri usi conoscevo il "tombolo", ma lo conoscevo come sinonimo di "uncinetto", sebbene c'è un parallelo OVVIAMENTE preso MOOOLTO per i capelli: mi pare di ricordare che un'ipotesi sui disegni della piana di Nazca (quindi una vastissima estensione di terra in Sudamerica) è che siano serviti come telaio. Per filare cosa, non riesco a immaginarlo.
A presto!
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Marino Maiorino ha scritto: 23/09/2024, 23:09 Anto', e nun fa' accussi'!
Jo te posso capi' e me fa pure ridere, pero'… 'na cosa è assì rido jo, ca saccio 'e che vva 'o fatto, e 'n ata cosa è assì ride chi 'o fatto nunn'o sape, perché chillo nun ride 'e chello ca nce fa ridere a nnuje!
'A mano s'è truvata a cadè e nun saje comme… Vabbuo', Raffy t'ha chiarito ('azz, e si te ll'ha chiarito: te ll'ha chianetto! :D)
Tutt'o blocco: tiene arraggione, ma 'e tiempe nuostre so' cchiste e, a ddicere 'a verità, so ssempre state chiste. Ogge se credono tutte "influenzer", ca ce vulesse 'nu vaccino: va… ccino, va(ta)ccino… ca se putesseno accidere tutte quante, ca nun servono! :D
Una nota su "tommolo": La parola che conoscevo io come unità di misura agraria, in quel di Acerra ('o paese 'e Pullecenella Cetruilo), era "muojo" (moggio). Da altri usi conoscevo il "tombolo", ma lo conoscevo come sinonimo di "uncinetto", sebbene c'è un parallelo OVVIAMENTE preso MOOOLTO per i capelli: mi pare di ricordare che un'ipotesi sui disegni della piana di Nazca (quindi una vastissima estensione di terra in Sudamerica) è che siano serviti come telaio. Per filare cosa, non riesco a immaginarlo.
A presto!
È "tomolo" e non "tommolo" la scrittura corretta. Ho sbagliato io a scrivere. Mea culpa! D'altronde è fatto tutto a mano, come i centrini, il racconto, e può capitare di sbagliare. Su Wiki riporta questo:

"Il tòmolo (anche tùmmulo, tùmminu o tomolata) è un'antica unità di misura della superficie agraria, utilizzata in alcune province italiane. Dove viene chiamato tomolata, il termine tomolo indica allora una misura di capacità, pari a 50, 5 litri, ossia il volume del grano necessario per seminare una tomolata di terra[1]."

Riporta pure questo:

"Nella provincia di Caserta, l'unità locale di misura della superficie usata in agraria è il moggio, che è utilizzato come sinonimo di tomolo."

In tomolo, l'accento cade sulla prima "o"; la seconda "o" ha un suono velare (muto o quasi muto) e quindi, a orecchio, sembra che ci siano 2 "m": e in effetti, nella pronuncia, ci sono le 2 "m".

Sulla Tregatti, invece, riporta questo:

"tómolo s. m. [dall'arabo thumn, propr. «un ottavo»]. – 1. Antica unità di misura di capacità per aridi in uso nell'Italia meridionale prima dell'adozione del sistema metrico decimale. Valeva a Napoli 55, 54 l e in Sicilia 27, 5 l circa. 2. Unità di misura della superficie agraria in uso, con valore vario, in molti luoghi dell'Italia centro-meridionale. V. anche tumolo2."

Arabo "thumn" 1/8 (di cosa? Non lo dice) e quindi i disegni della piana di Nazca non dovrebbero c'entrare molto. Poi la civiltà araba, come inizio di fusione di popoli semitici, inizia dal VII d.C. e i graffiti sono antecedenti. Arabi/peruviani? Assai improbabile! Dunque, solo coincidenze, perché la parola ci rassomiglia, con il "tombolo", che è una tecnica di ricamo che nasce nel centro/sud Italia per fare frange, centrini e altro. In Campania, ad Amalfi, da monache Benedettine che stavano sempre chiuse, essendo di Clausura, e passavano il tempo con le loro manine sante a fare questi lavoretti manuali. Ma, giocando con la fantasia, si potrebbe pure pensare e credere che gli arabi, stufi del caldo che fa nella loro penisola a scarpone, siano andati in Perù, sulle Ande, a prendere un po' di fresco e a fare disegnini chilometrici sulla superficie terrestre e poi, al ritorno, magari passando per Gibilterra, si siano fermati in qualche convento della costiera amalfitana per ristorarsi e abbiano insegnato alle monache a fare disegni più piccolini coi centrini. Anche se gli arabi e i loro "amati" (insomma!) cugini ebrei sono "Aniconisti", non usano immagini per decorare: ma immagini molto stilizzate di figure umane e animali, nell'arte e nella religione, mi sembra che da qualche parte li ho visti. Di solito sotto forma di scrittura, per quanto riguarda gli arabi. Poi il sistema di scrittura dell'arabo è il più bello che esista in assoluto al mondo: non scrivono, ricamano. I loro cugini, invece, sono attualmente molto bravi a "tirare su macerie". Tipo arte morta coi morti veri dentro, giusto per essere coerenti. Se è arte morta, il morto deve essere vero: altrimenti che arte morta è? Ma tutte le guerre sono così. Basta guardare le foto di Berlino a fine II Guerra Mondiale: rasa al suolo. Divago, su cose molto tristi, scusa.

"Il cimitero delle vongole" è un raccontino leggero, umoristico, di fatti veri, che ha la pretesa di fondere 2 lingue: italiano e napoletano. Perché c'è una regola non scritta che dice: quando sei poco ispirato, prendi un fatto tuo, di vita reale, e trasformalo in qualcosa di scritto, e ne uscirà fuori qualcosa. Mi ha stupito il 5 (vale meno). Però il napoletano è una lingua vera e, se uno riesce, pure in un racconto fessacchiotto, a tracciarla per far vedere che "c'è", che "esiste", alla fine pure ha fatto una cosa, nel suo piccolo, buona/importante.

Ho letto pure il tuo "La simulazione" e quello di Athosg, "La Madonnina verde": diversi ma entrambi belli. Ma voglio aspettare un po' prima di commentarli.

Tante belle cose e un caro saluto, Marino

Antonio

P.S. Ma la mano mia, anche se abbassata, era ferma. È stata lei che si è buttata verso la mano. Trattasi perciò di mano morta passiva e non attiva. Non potevo prevedere che lei in quel momento si sarebbe spostata col posteriori proprio verso la mano. (Ehe!)
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Re: Il cimitero delle vongole

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Io vedevo fantascientificamente possibile l'unione col Perú (a proposito: una delle cucine migliori AL MONDO! Da provare assolutamente il ceviche con leche de tigre /sevice con lece de tigre/) mediante qualche indio portato dalle nostre parti: ai tempi dei Borbone ne vennero diversi.
As esempio, il detto "tene 'a povere 'ncoppa 'e rrecchie" discende dall'osservazione che gli alti dignitari Inca, come tradizione, per essere distinti dal loro popolo, portavano polvere d'oro sui lobi delle orecchie. Ma siccome da un alto dignitario ci si aspettava che servisse lo Stato senza "distrazioni" o interessi personali di sorta, ivi inclusi quelli carnali (vedi le nostre cronache recenti...), quella degli Inca era una corte di eunuchi.
Da lì (pare) discenderebbe il modo di dire.
Il problema col napoletano è il problema dell'italiano e della sua costruzione in gran parte a tavolino come strumento propagandistico nazionalista: il napoletano (come tutte le lingue in Italia) ha vita e vitalità; l'italiano è spesso una grammatica slegata dalla realtà. Basti pensare a quale lingua viene usata pe bestemmiare: a ciascuno la sua! Perché la lingua è prima di tutto uno strumento di comunicazione tra anime, e poi tra menti.
D'altronde, la prima edizione dei promessi sposi era in Lumbard, e ci volle il bello e il buono per convincere Manzoni a tradurlo...
Sul tomolo, sono contento che tu abbia trovato il nome corretto, perché ho così potuto approfondire anch'io, e ho trovato... CAVOLO! È antichissimo e diffusissimo! (https://en.wiktionary.org/wiki/%D8%AB%D ... %86#Arabic): greco, aramaico, swahili...
Non ce ne liberiamo: gira e rigira siamo sempre gli stessi da che mondo è mondo (e infatti continuiamo ad azzuffarci in modi primitivi).
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Re: Il cimitero delle vongole

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Yakamoz ha scritto: 23/09/2024, 16:06 Solita premessa: mi chiamo Antonio Giordano. Se mi dovete nominare in qualche commento, sarei lieto se mi chiamaste Antonio, grazie.
Scusa sai, non per polemizzare, ma se volevi essere chiamato col tuo vero nome, potevi anche iscriverti con quello.
Se vuoi te lo cambio amministrativamente, ma non chiedere a tutti noi di ricordarcelo.
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Re: Il cimitero delle vongole

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Massimo Baglione ha scritto: 25/09/2024, 9:57 Scusa sai, non per polemizzare, ma se volevi essere chiamato col tuo vero nome, potevi anche iscriverti con quello.
Se vuoi te lo cambio amministrativamente, ma non chiedere a tutti noi di ricordarcelo.
Ciao Max,

ho l'abitudine, quando necessario, di fare il primo commento al mio racconto. E avendo prima un altro nick, A. Giordano, temevo di non essere riconosciuto. Questo in principio era il motivo: un po' come Jekyll e mister Hipe (Jekyll e Mr. Hyde) nel racconto di Andr60. Ma, in effetti, hai ragione. Perché è un po' illogico continuare a presentarsi con un "nome" e poi dire che si è "altro". Yakamoz significa "il riflesso della luna sull'acqua" e come nome potrebbe sembrare più adatto a un nativo americano, nonostante la sua origine turca. Ora, cambiare di nuovo e ritornare a "Antonio Giordano" sarebbe come un tradimento, un andare contro il "destino". Poi mi sono affezionato a Yakamoz, tanto che a volte dico tra me: "Yakamoz, jamm a' scrive!" E non esserlo più mi dispiacerebbe.
Esiste poi una curiosa coincidenza, non voluta/cercata, con il mio cognome: Giordano, che deriva dall'ebraico Yaraden, in aramaico Yurdenah, e significa "due correnti/rami d'acqua che scorrono", ed evoca anch'esso un movimento, un flusso continuo. L'analogia evidente è che entrambi i nomi evocano l'acqua: in uno scorre, nell'altro è toccata da un riflesso.
Prometto che da ora in avanti eviterò di precisare come mi chiamo, perché se il destino, il caso o la sorte hanno deciso per Yakamoz, lasciamo che sia così.

Tante belle cose, Max

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Re: Il cimitero delle vongole

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Yakamoz ha scritto: 25/09/2024, 12:21Ora, cambiare di nuovo e ritornare a "Antonio Giordano" sarebbe come un tradimento, un andare contro il "destino".
A dire il vero, è cambiando nome che sei andato contro il tuo originario destino :-)
(Ammesso che si possa/voglia davvero credere, a un destino preconfigurato...)
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Re: Il cimitero delle vongole

Messaggio da leggere da Yakamoz »

Massimo Baglione ha scritto: 25/09/2024, 15:19 A dire il vero, è cambiando nome che sei andato contro il tuo originario destino :-)
(Ammesso che si possa/voglia davvero credere, a un destino preconfigurato… )
Posso permettermi un po' di ironia? Un nickname che mi si addice perfettamente sarebbe "Grande capo Palla pesante". Questo perché quando scrivo, anche nei commenti, tendo a divagare. Non lo faccio di proposito, ma solo perché mi piace spiegare le cose, persino su argomenti che non conosco a fondo. Perché credo che con un po' di "intelligenza" (ma non basta solo quella) si possano colmare e compensare, pure apprendendo, molte lacune, e poi voglio sempre cercare di farmi comprendere al meglio. Si usa il termine "logorroico" per chi parla troppo, ma "chiacchierone" suona decisamente meglio. Mi sento un po' come quei piccoli pappagalli australiani che quando sono soli sembrano timidi e non proferiscono neppure un suono, nemmeno se li fai mettere sotto il torchio del Maresciallo dei Carabinieri in persona. Quasi come se temessero di finire rosolati in padella: 4 salti in padella con un filo di olio extravergine, rosmarino, pepe verde, paprika dolce o piccante e un cucchiaio di aceto o vino bianco, giusto per smorzare il sapore selvatico, e sale quanto basta. Tranquillo! Non mangio pappagallini. Non sono ancora al livello del gatto Silvestro. "I thought I saw a little parrot!" Tuttavia, se li metti insieme a coppie, cominciano a fischiare e trillare e schiamazzare con una vivacità che ricorda la Sinfonia n. 4 di Beethoven o La cavalcata delle Valchirie di Wagner. E arrivi al punto di sentirti quasi obbligato: a) lanciare la gabbia con tutti i pappagalletti dentro fuori dalla finestra, b) strozzarli, sempre che loro non ti trancino col loro becco prima un dito, oppure c) optare per la soluzione più umana: regalarli a qualche bambino con la pazienza di sopportarli, a patto che i genitori siano d'accordo, o magari siano un po' sordi. Ho perso il filo del mio discorso. Ma prima di svanire completamente, voglio dirti ciò che penso sulla domanda che mi hai posto: il concetto di "Nomen omen" è affascinante ed è qualcosa che a volte mi piace credere, ma al contempo è anche preoccupante, pretestuoso, classista e pieno di pregiudizi. È come affermare, in un'accezione molto più ampia di cosa è un nome, che tutti i napoletani, solo perché si chiamano napoletani, siano imbroglioni e scansafatiche; che i siciliani siano tutti mafiosi, i genovesi tirchi, gli immigrati delinquenti, i musulmani fanatici, i russi cattivi e gli ucraini buoni; che gli angloamericani siano tutti belli, ricchi, perfetti e democratici, e gli svizzeri precisi, solo perché si definiscono svizzeri… (ho fatto esempi un po' forzati giusto per far capire il concetto, potrei benissimo fornire esempi sicuramente più controversi). Tutto in virtù del fatto che ogni persona va valutata per il suo reale valore e le proprie qualità e azioni, piuttosto che essere etichettata (in positivo o in negativo) a priori in attribuzioni che spesso non riflettono la sua vera essenza – cioè chi è realmente. Non credo quindi che i nomi definiscano il destino. Il destino siamo noi stessi, anche senza un nome, una patria o una lingua, e tutto ciò che crea un senso di appartenenza o identità: queste cose esistono comunque, indipendentemente da noi, e le "possediamo per caso" solo perché sono esistite prima di noi e ci vengono consegnate dalla storia. Esiste, appunto, forse la "casualità" più banale; nascere "per caso" in un contesto socio-economico e culturale favorevole è sicuramente un vantaggio, e vale naturalmente anche il contrario. Ma il destino "nobile", di certo, non esiste! Nulla è predeterminato! Siamo noi che giorno dopo giorno scriviamo la nostra storia sui fogli della vita; ed è per questo che il vero nome di una persona, per dire chi realmente è stato, dovrebbe essere dato solo dopo che ha vissuto, non prima.

Un caro saluto, Max

Antonio
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Complimenti, su un piatto di vongole vuote ci hai costruito una storia filosofica! Al fondo credo che era proprio un cimitero di vongole quel ristorante ma il proprietario, una volta che gliel'hai fatto notare, lo ha stornato dal conto. In Lombardia diciamo: sa la và la g'ha i gamp (se va ha le gambe, se il cliente non dice nulla passa tutto).
Invece il termine mao mao mi ha ricordato mio padre che chiamava mau mau gli emigranti dal sud. Niente di offensivo tant'è che io ho trascorso i miei primi sette anni al sud per il lavoro di mio padre e i suoi ricordi erano bellissimi.
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Re: Il cimitero delle vongole

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Yakamoz ha scritto: ieri, 12:13... ed è per questo che il vero nome di una persona, per dire chi realmente è stato, dovrebbe essere dato solo dopo che ha vissuto, non prima.
Forse, ma non ne sono tanto certo.
Credo che il tuo ragionamento mi piaccia di più per un eventuale soprannome, che dopo la dipartita ci ricordi chi è stato Pinco Pallino. Un soprannome da scolpire su una lapide, incidere sulla piastrina di una collana o tattuare sul braccio:
Pinco "er muratore cor baffo" Pallino.
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