Invio il mio racconto corretto (grazie per i suggerimenti)
Avevo mandato un'immagine della luna, ma ora non ricordo come ho fatto a infilarla nel file
Comunque non era un gran che, se trovate qualcosa di meglio va bene tutto
Ciao
Caccia notturna
La guardò ancheggiare tra i tavoli del ristorante. Non passava certo inosservata, con quell’andatura quasi danzante sui tacchi altissimi, il top ricamato dal quale emergevano le spalle abbronzate, i pantaloni di pelle dorata dipinti sulle gambe nervose. Un insieme un po’ vistoso, ma tanto sexy.
– Ecco, il nostro tavolo è questo.
Come sempre si era fatto riservare il tavolo migliore, affacciato sul lago. Il cielo purtroppo era coperto, una cappa di nubi incombeva dal pomeriggio, rendendo soffocante quella serata di fine estate, ma le luci della sponda opposta si specchiavano sull’acqua scura.
– Forse non devo essere qui con te.
Irina non padroneggiava ancora perfettamente la lingua, del resto era in Italia solo da un paio d’anni.
– Ma va là, te l’ho detto, è il mio compleanno, non vuoi che lo passi da solo, no? Se Alberto non fosse stato via avrei invitato anche lui, siamo amici dalle elementari!
Mariano compiva spesso gli anni, era una buona scusa per invitare le donne che gli interessavano. “L’amica del mio amico è mia amica” pensava, mentre le versava lo champagne.
– Dato che stasera è la mia festa, berremo champagne dall’inizio alla fine, fa male mescolare i vini, sai?
Se quel coglione di Alberto non si sapeva tenere una donna così, affari suoi, non ne aveva colpa, lui.
– Veramente ti volevo parlare di problema... – gli occhi dorati della ragazza si fissarono su di lui, cauti.
– Ora pensiamo a mangiare, dei problemi parliamo poi, promesso. Ti piace questo filetto al pepe verde? Io lo trovo favoloso.
Le piaceva di sicuro: i piccoli denti bianchissimi laceravano la carne con voluttà, la lingua saettava a leccare le labbra generose. Mariano avvertì il desiderio salire dal basso ventre. Si asciugò la fronte col tovagliolo; la sua ex moglie diceva che era roba da cafoni, ma lui se ne fregava, era Mariano Forni, lui, mica un pirla qualunque, e se era arrivato dove era arrivato non era certo per la sua conoscenza del galateo: se voleva una cosa la prendeva, la usava come gli pareva, e all’inferno le convenzioni della gente senza palle.
L’afa stava aumentando. Le pale sul tetto della terrazza ristorante muovevano appena l’aria. Irina allontanò dalla fronte i capelli umidi. Una goccia di sudore si insinuò nel solco tra i seni.
Mariano sapeva che non si era vestita così per sedurlo, si abbigliava sempre in modo provocante; per quello il locale di Alberto aveva tanto successo, sempre pieno di gente, uomini soprattutto. Irina rideva e scherzava con tutti, ma non si concedeva a nessuno. Quella sera però la vedeva impressionata dal lusso dell’ambiente, dall’eleganza delle donne sedute ai tavoli vicini (che le lanciavano occhiate velenose). Altro che quel pidocchioso Bar Garden di Alberto: quello era il locale più esclusivo del lago.
– Ti ho vista ieri al Garden, nella pausa pranzo.
– Ah, sì? – di nuovo gli occhi dorati si fissarono nei suoi.
– Tu sembravi un torero e quel porco di Gianni il toro: eri bravissima a schivare le sue mani senza rovesciare neanche un bicchiere, e lui tutte le volte che passavi lui ci provava a toccarti.
– Si siede apposta vicino a porta di cucina, Alberto tante volte sgrida, dice tu spostati, Irina deve passare. – La tensione si era sciolta, la ragazza rideva, rovesciando la testa all’indietro, rivelando ancora di più il seno prepotente. Una risata sgraziata, quasi un latrato, di una poco abituata a ridere di gusto. Mariano era soddisfatto: lo champagne stava facendo il suo dovere.
La spider aggrediva agilmente i tornanti, arrampicandosi sulla collina. Sotto di loro il lago velato dalla pioggia battente rimpiccioliva ad ogni curva. A Mariano era un po’ dispiaciuto rovinare l’effetto della sua bella macchina sportiva alzando la capote, ma non si poteva fare altrimenti.
Un debito di gioco, Alberto non aveva perso il vizio. Quelli cui doveva i soldi volevano contanti, e subito. Gente brutta, pericolosa, aveva spiegato la ragazza.
– Se mi collego col pc di casa posso fare un bonifico anche subito, stasera. Alberto me li renderà con comodo – aveva proposto lui. Irina l’aveva ringraziato con entusiasmo: ci sta, aveva tradotto lui.
Il cancello automatico si spalancò compiacente; la pioggia era cessata, la notte ora era fresca, frizzante. Mariano aprì il portone della villetta e accese la luce.
Un grande divano di pelle bianca troneggiava nella sala, di fronte alla vetrata che guardava il lago. Il temporale era finito, la pioggia non si sentiva più.
Nella sala erano appesi scudi africani, una pelle di zebra, varie foto che ritraevano Mariano sorridente accanto alle prede uccise.
– Ah, quelle! – disse l’uomo con falsa modestia, seguendo lo sguardo della ragazza – Una volta facevo dei safari. Era divertente, ma ora preferisco un altro tipo di sport.
Irina lo fissò senza espressione. Bella ragazza, ma tonta, decise lui. La lasciò allungata sul divano e andò al computer nello studio.
Pochi minuti dopo tornò sventolando trionfante un foglio A4.
La donna aveva spento la luce centrale, era un’ombra scura sul divano candido, illuminato dalla luna. Ci sta, si ripeté lui per l’ennesima volta.
– Ecco fatto, problema risolto! – disse, tendendo il foglio a Irina – Che si dice? che si dice allo zio Mariano? – incalzò ridendo, sollevando il foglio fuori dalla portata della ragazza. Curioso come le brillassero gli occhi, forse era l’effetto dello champagne.
– Me lo merito un bacetto, no? – disse lui, lasciandosi cadere accanto a lei e circondandole la vita col braccio sinistro, mentre col destro teneva il foglio lontano.
Irina lo abbracciò forte, nascondendo il viso sulla sua spalla.
– Brava, così si fa!
Che combinava ora, piangeva? cos’erano quei tremiti? cavolo, e se gli avesse vomitato addosso? Forse aveva bevuto troppo... ma cos’aveva sulle spalle? una pelliccia? d’estate? cosa stava succedendo?
Un dolore improvviso, rovente, artigli conficcati nella schiena. Lottò per liberarsi, urlando terrorizzato, mentre un liquido caldo gli colava sul dorso, ma la stretta era troppo forte. Qualcosa gli azzannò la gola. Una lingua lappava avida il sangue che ruscellava sul petto. L’ultima cosa che vide, mentre la vita usciva pulsando dalla giugulare recisa, fu la luna piena e brillante che lo guardava beffarda in un cielo senza stelle.