Columbine School
Inviato: 28/06/2020, 1:41
Martha era il suo nome e insegnamento il suo cognome. Occhi azzurri, magnetici, che catturavano i ragazzi ancora prima delle parole. Nessuno insegnava la storia come lei. La cattedra era il suo palcoscenico. Amava i suoi ragazzi. Tutti. Quelli tranquilli e quelli vivaci.
Il professor Tom Howard piaceva più al preside che ai ragazzi. Era un uomo che gli anni e la noia avevano ingrigito. Curvo e piccolo, doveva allungarsi per scrivere nella parte superiore della lavagna. Ma aveva occhi di falco. Forse ne aveva un paio anche sulla nuca visto che non gli scappava nulla. Nessuno ridacchiava o bisbigliava alle sue spalle. Conoscevano bene l’istinto da cacciatore del professor Howard.
“Signori, l’andazzo deve cambiare. Questa è la Columbine School. Qui le famiglie pagano una retta di ventimila dollari all’anno e si aspettano che i ragazzi raggiungano il diploma senza intoppi” il preside aprì così la riunione.
Aveva una faccia magra e severa, occhialini appoggiati sulla gobba del naso e labbra sottili che cerchiavano una piccola bocca dalla quale nessuno aveva mai sentito uscire parole fuori posto. Una figura austera, perfettamente in linea con la sobrietà dei corridori e delle stanze della famosa scuola che dirigeva da vent’anni. Vent’anni di ordine e certezze, amava dire.
“ Io trovo che non ci sia nulla di strano. Abbiamo solo qualche ragazzo un po’ più vivace degli altri” disse Martha
“Professoressa, per permettere di sfogare la vivacità abbiamo messo a disposizione splendidi campi e palestre” disse il preside
“La vivacità non è solo una manifestazione fisica, un’energia da sfogare” ribatté la donna.
“Martha, il signor preside affida a noi il compito di gestire al meglio gli alunni” disse il professor Howard.
“ Infatti, Tom, quello che facciamo, o meglio, che dovremmo fare, è proprio gestire questa sana vivacità e tradurla in motivazione e creatività” disse la professoressa.
“Martha, noi dobbiamo semplicemente seguire il programma di studi, rispettando i protocolli e la tempistica.” Il professore prediletto del preside fece scivolare fuori dalla sua bocca queste parole con quel tono monocorde che usava per spiegare sia il romanticismo che la beat generation.
Il preside si alzò lentamente dalla sedia e rimise i fogli nella cartellina. Era il suo modo per porre fine alla riunione. “Io vi chiedo solo di dispensare sapere e disciplina” aggiunse col sorriso benevolo del padre che spiega al giovane figlio come bisogna fare.
Le gambe della Brown andavano veloci verso casa. Nonostante la riunione, dove, come sempre, erano stati criticati i ragazzi, era di ottimo umore. La aspettava un piacevole weekend: spiaggia e cena con le sue amiche scatenate.
Il fine settimana del professor Brown forniva la sicurezza di non presentare imprevisti. Una passeggiata, e un sabato sera davanti alla televisione. Tom adorava rispondere alle domande del “ Il Quiz del sabato”.
Ma, a dire la verità, qualcosa di strano l’aveva visto mentre camminava nel parco: il preside che parlava in mezzo a un gruppetto di ragazzi. Facce che non aveva mai visto a scuola. Strano, pensò mentre tornava veloce verso casa, con la spesa necessaria per fare arrivare il Lunedì.
Martha iniziò la nuova settimana con un’abbronzatura dorata che faceva risaltare il suo radioso sorriso. Tom entrò nell’istituto con la solita aria. Su di lui il sole, la nebbia, la pioggia avevano lo stesso effetto. Nullo.
La professoressa stava facendo vivere ai ragazzi l’attacco alla base navale di Pearl Harbor quando sentì il primo colpo. Il rumore secco dello sparo corse per il corridoio ed entrò nella VB. Le palpebre della Brown si allargarono a dismisura, quasi a voler far uscire il bulbo oculare. Le bocche degli alunni si aprirono, ma non uscì una sola parola. Si aprirono in tanti cerchi muti.
Tre ragazzi salirono veloci le scale. Giù in basso il corpo dell’addetto alla sicurezza se ne stava a terra come un sacco che spurga liquido rosso. Le pallottole andavano contro i muri, le fotografie, le statue della prestigiosa scuola, risparmiando il quadro preferito del preside: “Abitudine, consuetudine e tradizione sono più forti della verità”.
Quando le armi entrarono in classe indugiarono un attimo. Le bocche fameliche dei fucili guardavano i volti terrorizzati dei ragazzi, ma quella che sembrava essere un’incertezza venne subito spazzata via dai colpi delle mitragliette. Stramazza al suolo la professoressa, cadono alcuni studenti, altri vivranno, risparmiati dal commando o dal caso.
Non parlano, si intendono con gesti rapidi e impercettibili. Guidati dalla follia, o da una strategia malata. Quando entrarono nella V A, Howard spiegava Hemingway. Per i ragazzi era più potente di due pastiglie di Roipnol.
Sembravano indecisi, come se stessero cercando qualcuno. Gli alunni e il professore sono in piedi, immobili, in silenzio. Aspettano che si risolva questo interminabile momento di impasse. E la soluzione arriva, veloce e impietosa. Proiettili che si infilano nelle prime carni che trovano sul loro percorso. Il professore sembra protetto da uno scudo invisibile e assiste alla mattanza in prima fila, da una posizione privilegiata. E i giovani cadono: Jim, vivace ma con grandi potenzialità; Ross, ribelle, forse troppo; Mike, quante volte hanno detto ai suoi genitori che forse questa non era la scuola adatta.
Il commando incrocia il preside in corridoio. Lo fissano con i fucili in mano. E’ calmo, sulla faccia la stessa non espressione di sempre. Il professor Brown, sporco di sangue non suo, lo guarda dalla soglia della porta della sua classe. Non capisce se sia pietrificato dalla paura o dal peso del fallimento che rappresenta questa mattanza nella sua scuola. La scena irreale venne interrotta dall’arrivo delle sirene.
I giovani vennero condannati a trent’anni di carcere e al preside non fu contestata alcuna inadempienza. Malgrado lo scandalo conserva il suo posto, e incredibilmente, l’anno successivo, nonostante l’aumento delle rette per finanziare il nuovo imponente servizio di sicurezza, le iscrizioni sono addirittura in aumento.
I racconti della professoressa Brown, che riposa in una tomba sempre ornata di fiori colorati e allegri, sono sostituiti dalle lezioni del severo ed esperto professor James.
“Mi avevano parlato di una scuola un po’ in declino, con ragazzi un po’ troppo vivaci” disse James, alla sua prima riunione d’istituto
“E’ cambiato tutto dopo la strage. Ci ho pensato tante volte.” Disse Howard. “Intendiamoci, è stato terribile. Però, non pensate male, è come se il destino avesse eliminato i problemi. Sono caduti, pace all’anima loro, i ragazzi più vivaci, quelli più problematici. La professoressa Brown era brava e simpatica… però sembrava che non si fosse accorta di avere lasciato la sua vecchia scuola di provincia. Comunque dobbiamo andare avanti. E adesso lo stiamo facendo bene. Non ho mai visto classi così silenziose e studiose”
“Si, in effetti adesso non vola una mosca” disse il preside con la bocca che si allarga in un sorriso alla quale non era più abituata.
Il professor Tom Howard piaceva più al preside che ai ragazzi. Era un uomo che gli anni e la noia avevano ingrigito. Curvo e piccolo, doveva allungarsi per scrivere nella parte superiore della lavagna. Ma aveva occhi di falco. Forse ne aveva un paio anche sulla nuca visto che non gli scappava nulla. Nessuno ridacchiava o bisbigliava alle sue spalle. Conoscevano bene l’istinto da cacciatore del professor Howard.
“Signori, l’andazzo deve cambiare. Questa è la Columbine School. Qui le famiglie pagano una retta di ventimila dollari all’anno e si aspettano che i ragazzi raggiungano il diploma senza intoppi” il preside aprì così la riunione.
Aveva una faccia magra e severa, occhialini appoggiati sulla gobba del naso e labbra sottili che cerchiavano una piccola bocca dalla quale nessuno aveva mai sentito uscire parole fuori posto. Una figura austera, perfettamente in linea con la sobrietà dei corridori e delle stanze della famosa scuola che dirigeva da vent’anni. Vent’anni di ordine e certezze, amava dire.
“ Io trovo che non ci sia nulla di strano. Abbiamo solo qualche ragazzo un po’ più vivace degli altri” disse Martha
“Professoressa, per permettere di sfogare la vivacità abbiamo messo a disposizione splendidi campi e palestre” disse il preside
“La vivacità non è solo una manifestazione fisica, un’energia da sfogare” ribatté la donna.
“Martha, il signor preside affida a noi il compito di gestire al meglio gli alunni” disse il professor Howard.
“ Infatti, Tom, quello che facciamo, o meglio, che dovremmo fare, è proprio gestire questa sana vivacità e tradurla in motivazione e creatività” disse la professoressa.
“Martha, noi dobbiamo semplicemente seguire il programma di studi, rispettando i protocolli e la tempistica.” Il professore prediletto del preside fece scivolare fuori dalla sua bocca queste parole con quel tono monocorde che usava per spiegare sia il romanticismo che la beat generation.
Il preside si alzò lentamente dalla sedia e rimise i fogli nella cartellina. Era il suo modo per porre fine alla riunione. “Io vi chiedo solo di dispensare sapere e disciplina” aggiunse col sorriso benevolo del padre che spiega al giovane figlio come bisogna fare.
Le gambe della Brown andavano veloci verso casa. Nonostante la riunione, dove, come sempre, erano stati criticati i ragazzi, era di ottimo umore. La aspettava un piacevole weekend: spiaggia e cena con le sue amiche scatenate.
Il fine settimana del professor Brown forniva la sicurezza di non presentare imprevisti. Una passeggiata, e un sabato sera davanti alla televisione. Tom adorava rispondere alle domande del “ Il Quiz del sabato”.
Ma, a dire la verità, qualcosa di strano l’aveva visto mentre camminava nel parco: il preside che parlava in mezzo a un gruppetto di ragazzi. Facce che non aveva mai visto a scuola. Strano, pensò mentre tornava veloce verso casa, con la spesa necessaria per fare arrivare il Lunedì.
Martha iniziò la nuova settimana con un’abbronzatura dorata che faceva risaltare il suo radioso sorriso. Tom entrò nell’istituto con la solita aria. Su di lui il sole, la nebbia, la pioggia avevano lo stesso effetto. Nullo.
La professoressa stava facendo vivere ai ragazzi l’attacco alla base navale di Pearl Harbor quando sentì il primo colpo. Il rumore secco dello sparo corse per il corridoio ed entrò nella VB. Le palpebre della Brown si allargarono a dismisura, quasi a voler far uscire il bulbo oculare. Le bocche degli alunni si aprirono, ma non uscì una sola parola. Si aprirono in tanti cerchi muti.
Tre ragazzi salirono veloci le scale. Giù in basso il corpo dell’addetto alla sicurezza se ne stava a terra come un sacco che spurga liquido rosso. Le pallottole andavano contro i muri, le fotografie, le statue della prestigiosa scuola, risparmiando il quadro preferito del preside: “Abitudine, consuetudine e tradizione sono più forti della verità”.
Quando le armi entrarono in classe indugiarono un attimo. Le bocche fameliche dei fucili guardavano i volti terrorizzati dei ragazzi, ma quella che sembrava essere un’incertezza venne subito spazzata via dai colpi delle mitragliette. Stramazza al suolo la professoressa, cadono alcuni studenti, altri vivranno, risparmiati dal commando o dal caso.
Non parlano, si intendono con gesti rapidi e impercettibili. Guidati dalla follia, o da una strategia malata. Quando entrarono nella V A, Howard spiegava Hemingway. Per i ragazzi era più potente di due pastiglie di Roipnol.
Sembravano indecisi, come se stessero cercando qualcuno. Gli alunni e il professore sono in piedi, immobili, in silenzio. Aspettano che si risolva questo interminabile momento di impasse. E la soluzione arriva, veloce e impietosa. Proiettili che si infilano nelle prime carni che trovano sul loro percorso. Il professore sembra protetto da uno scudo invisibile e assiste alla mattanza in prima fila, da una posizione privilegiata. E i giovani cadono: Jim, vivace ma con grandi potenzialità; Ross, ribelle, forse troppo; Mike, quante volte hanno detto ai suoi genitori che forse questa non era la scuola adatta.
Il commando incrocia il preside in corridoio. Lo fissano con i fucili in mano. E’ calmo, sulla faccia la stessa non espressione di sempre. Il professor Brown, sporco di sangue non suo, lo guarda dalla soglia della porta della sua classe. Non capisce se sia pietrificato dalla paura o dal peso del fallimento che rappresenta questa mattanza nella sua scuola. La scena irreale venne interrotta dall’arrivo delle sirene.
I giovani vennero condannati a trent’anni di carcere e al preside non fu contestata alcuna inadempienza. Malgrado lo scandalo conserva il suo posto, e incredibilmente, l’anno successivo, nonostante l’aumento delle rette per finanziare il nuovo imponente servizio di sicurezza, le iscrizioni sono addirittura in aumento.
I racconti della professoressa Brown, che riposa in una tomba sempre ornata di fiori colorati e allegri, sono sostituiti dalle lezioni del severo ed esperto professor James.
“Mi avevano parlato di una scuola un po’ in declino, con ragazzi un po’ troppo vivaci” disse James, alla sua prima riunione d’istituto
“E’ cambiato tutto dopo la strage. Ci ho pensato tante volte.” Disse Howard. “Intendiamoci, è stato terribile. Però, non pensate male, è come se il destino avesse eliminato i problemi. Sono caduti, pace all’anima loro, i ragazzi più vivaci, quelli più problematici. La professoressa Brown era brava e simpatica… però sembrava che non si fosse accorta di avere lasciato la sua vecchia scuola di provincia. Comunque dobbiamo andare avanti. E adesso lo stiamo facendo bene. Non ho mai visto classi così silenziose e studiose”
“Si, in effetti adesso non vola una mosca” disse il preside con la bocca che si allarga in un sorriso alla quale non era più abituata.