Il metronomo
Inviato: 14/01/2021, 17:40
Il firmamento, meraviglia tra le meraviglie. Piccole luci, guidate dal caos, seguendo precise leggi fisiche e matematiche, il paradosso dei paradossi.
Niente é più bello di un cielo stellato, d’estate, in campagna, abbracciati dal buio e dal silenzio interrotto solo dal concerto dei grilli, sfregatori di zampette nascosti tra gli steli d’erba.
Rob amava quei suoni, Rob amava la campagna, Rob amava la natura, Rob era soddisfatto della sua vita. Mai al mondo avrebbe immaginato, in fanciullezza, di ritrovarsi trentenne, con l’argento tra i capelli, ad assaporare il gusto aromatizzato sotto il calore del fuoco di una pianta esotica avvolta nella sua stessa foglia, sorseggiando un liquido ambrato frutto della distillazione di un cereale.
Per Rob, da giovane, contadino era sinonimo di ignoranza, adesso, al solo pensiero delle sue vecchie idee si concede un sorriso. La campagna gli diede molto e in egual misura, Rob, ha restituito. La bonifica delle terre, l’utilizzo delle più innovative, moderne e sofisticate tecniche gli hanno permesso di riqualificare un’ampia area abbandonata da anni, ormai priva d’acqua, arida.
In soli dieci anni, nella stessa area, il colore predominante fu il verde. Rob usava il cervello, ma non più di tanto, le idee non sempre erano buone, tuttavia riuscivano, e la terra sembrava mandare un chiaro segnale a quel ragazzo che tutto aveva abbandonato per dedicarsi innanzitutto a se stesso e poi alla natura, madre progenitrice di ogni essere vivente.
Quella sera, mentre osservava il firmamento, seduto beatamente sul dondolo posto nella veranda in legno, Rob fu attratto da un suono non convenzionale. Abitava lì da un decennio ormai, aveva dimenticato quel suono; si alzava con il canto del gallo e andava a letto poco dopo il tramonto. Non aveva bisogno di altro. Nonostante tutto, quella sera, quel ticchettio lo portò indietro nel tempo: tic tac, tic tac, tic tac.
Rob si alzò, poggiò il sigaro sul posacenere, diede un sorso alla bevanda alcolica, arricciò le labbra tenendo i denti stretti e aguzzò l’udito.
Il ticchettio non sembrava venire da dentro, piuttosto dai campi che abbracciavano la casa. L’uomo scese i gradini e iniziò a camminare lento. Sbagliò direzione, il rumore si allontanava, tornò sui suoi passi e si diresse verso i campi di grano. A ogni passo il rumore si faceva più forte. I piedi, ciceroni di Rob, lo spingevano, come attratti da un magnetismo, tra le alte spighe. Il buio stimolava il cervello, che aumentava gli impulsi elettrici tra le sinapsi; la risultante era l’aumento di adrenalina in corpo. Qualcosa si formò al centro del petto. Non era ansia, tanto meno paura. Rob non riusciva a spiegarsi quel sentimento.
Tic tac, tic tac, tic tac.
TIC TAC, TIC TAC, TIC TAC.
Mancava poco, era vicinissimo. Rob fece un giro su se stesso. Piegò gli steli del grano, ogni stelo una freccia al cuore.
TIC TAC.
Un passo.
«Ahia!» urlò qualcuno.
Il ticchettio si fermò per un attimo. Rob abbassò gli occhi e spalancò la bocca.
«Be’?» chiese un bambino dai riccioli d’oro, o almeno il chiarore della luna li mostrava tali.
«E tu chi sei? Che ci fai nel mio campo? Ti sei perso?»
«Quante domande, Rob. Non chiedere mai qualcosa se non sei sicuro di voler conoscere la risposta.»
«Come conosci il mio nome?»
«Io conosco molte cose.»
«Chi sei?»
«Chi potrei essere secondo te, Rob?»
«Non ne ho idea, altrimenti non starei qui a chiedertelo.»
«Prova a indovinare.»
«Senti ragazzino, non ho tempo da perdere, fuori dal mio campo.»
«Dunque per te sono un ragazzino, è già qualcosa. Chi dice che questo sia il tuo podere? La terra è una, gli uomini molti, tutti hanno diritto di usufruire dei suoi frutti e delle sue bellezze.»
«No, questa terra è mia, ho pile di carte che possono dimostrarlo e non sono certo qui per farmi fare una lezione da un bambino.»
«Chi ha deciso che un bambino debba essere per forza un allievo e non possa ergersi allo stadio di maestro? Tanta ristrettezza alberga nel tuo animo, Rob.»
«Smettila di chiamarmi per nome, modera i toni.»
«I miei toni sono più che mansueti, l’ignoto genera in te paura, poi la trasforma in rabbia, che scaturisce in aggressione.»
«Non sto e non voglio aggredire nessuno. Sei pregato, gentilmente, di uscire dalla mia terra.»
Il bambino non rispose. Teneva in mano una spiga, la muoveva ritmicamente da destra verso sinistra e viceversa. A ogni movimento del polso corrispondeva un ticchettio. Il piccolo sorrise. Rob s’inquietò, fece un passo indietro, inciampò e cadde a terra. Il piccolo riccioluto lo fissava dritto negli occhi, lo sguardo era intervallato dalla spiga che dondolava davanti il suo volto.
Rob entrò in uno stato di trance, vide il buio, poi una piccola luce bianca. In pochi secondi fu invaso da aria calda, chiuse gli occhi, li riaprì e intorno a sé infiniti ghirigori danzavano esibendosi nel più bello degli spettacoli. Imperterriti e imperituri, davano forma alle galassie e alle stelle. Rob era seduto sulla luna. Un’enorme pietra si dirigeva verso un pianeta blu e verde. L’uomo tentò di afferrarla, inutile. Una striscia rossa, un’esplosione, il verde diminuì, il blu ebbe il sopravvento.
Il pianeta ruotava e ruotava, immensi giri. Intanto mutava, lento ma vero. Rob non riusciva a chiudere la bocca. Vide nuovamente la spiga dondolare davanti il naso. Tornò in sé, in mezzo al campo, insieme al bambino.
«Tu sei il metronomo, quello che batte il tempo, quello che ha visto tutto fin dall’inizio.»
«Esatto. Esisto da prima di te e continuerò ad esistere quando tu tornerai ad essere un atomo disperso nell’immensità dell’infinito. Non ho forse io diritto di rivendicare questa terra come mia?»
«Ma tu non ne hai bisogno.»
«Nemmeno tu, Rob. L’uomo ha bisogno di certezze e quale certezza più bella di essere parte di un qualcosa di eterno, unico, incommensurabile?»
«Nessuna. Ma se non l’avessi visto con i miei occhi…»
«Questo privilegio è riservato a pochi. Godine, sfruttalo, sii la migliore versione di te stesso. Elimina l’Io dalla tua mente. Anni addietro ti sei ricongiunto con la natura, lodevole iniziativa, adesso è giunto il momento di ricongiungerti con i tuoi simili.»
Rob guardò dritto negli occhi il bimbo dai riccioli d’oro per alcuni secondi, poi si accorse che era svanito e che stava guardando nel buio. Si alzò, tornò al suo dondolo, si versò dell’altro liquido ambrato, riaccese il sigaro e si perse a osservare il firmamento, consapevole che il giorno seguente sarebbe stato un nuovo inizio. Aveva tutto chiaro, sapeva già cosa fare.
Niente é più bello di un cielo stellato, d’estate, in campagna, abbracciati dal buio e dal silenzio interrotto solo dal concerto dei grilli, sfregatori di zampette nascosti tra gli steli d’erba.
Rob amava quei suoni, Rob amava la campagna, Rob amava la natura, Rob era soddisfatto della sua vita. Mai al mondo avrebbe immaginato, in fanciullezza, di ritrovarsi trentenne, con l’argento tra i capelli, ad assaporare il gusto aromatizzato sotto il calore del fuoco di una pianta esotica avvolta nella sua stessa foglia, sorseggiando un liquido ambrato frutto della distillazione di un cereale.
Per Rob, da giovane, contadino era sinonimo di ignoranza, adesso, al solo pensiero delle sue vecchie idee si concede un sorriso. La campagna gli diede molto e in egual misura, Rob, ha restituito. La bonifica delle terre, l’utilizzo delle più innovative, moderne e sofisticate tecniche gli hanno permesso di riqualificare un’ampia area abbandonata da anni, ormai priva d’acqua, arida.
In soli dieci anni, nella stessa area, il colore predominante fu il verde. Rob usava il cervello, ma non più di tanto, le idee non sempre erano buone, tuttavia riuscivano, e la terra sembrava mandare un chiaro segnale a quel ragazzo che tutto aveva abbandonato per dedicarsi innanzitutto a se stesso e poi alla natura, madre progenitrice di ogni essere vivente.
Quella sera, mentre osservava il firmamento, seduto beatamente sul dondolo posto nella veranda in legno, Rob fu attratto da un suono non convenzionale. Abitava lì da un decennio ormai, aveva dimenticato quel suono; si alzava con il canto del gallo e andava a letto poco dopo il tramonto. Non aveva bisogno di altro. Nonostante tutto, quella sera, quel ticchettio lo portò indietro nel tempo: tic tac, tic tac, tic tac.
Rob si alzò, poggiò il sigaro sul posacenere, diede un sorso alla bevanda alcolica, arricciò le labbra tenendo i denti stretti e aguzzò l’udito.
Il ticchettio non sembrava venire da dentro, piuttosto dai campi che abbracciavano la casa. L’uomo scese i gradini e iniziò a camminare lento. Sbagliò direzione, il rumore si allontanava, tornò sui suoi passi e si diresse verso i campi di grano. A ogni passo il rumore si faceva più forte. I piedi, ciceroni di Rob, lo spingevano, come attratti da un magnetismo, tra le alte spighe. Il buio stimolava il cervello, che aumentava gli impulsi elettrici tra le sinapsi; la risultante era l’aumento di adrenalina in corpo. Qualcosa si formò al centro del petto. Non era ansia, tanto meno paura. Rob non riusciva a spiegarsi quel sentimento.
Tic tac, tic tac, tic tac.
TIC TAC, TIC TAC, TIC TAC.
Mancava poco, era vicinissimo. Rob fece un giro su se stesso. Piegò gli steli del grano, ogni stelo una freccia al cuore.
TIC TAC.
Un passo.
«Ahia!» urlò qualcuno.
Il ticchettio si fermò per un attimo. Rob abbassò gli occhi e spalancò la bocca.
«Be’?» chiese un bambino dai riccioli d’oro, o almeno il chiarore della luna li mostrava tali.
«E tu chi sei? Che ci fai nel mio campo? Ti sei perso?»
«Quante domande, Rob. Non chiedere mai qualcosa se non sei sicuro di voler conoscere la risposta.»
«Come conosci il mio nome?»
«Io conosco molte cose.»
«Chi sei?»
«Chi potrei essere secondo te, Rob?»
«Non ne ho idea, altrimenti non starei qui a chiedertelo.»
«Prova a indovinare.»
«Senti ragazzino, non ho tempo da perdere, fuori dal mio campo.»
«Dunque per te sono un ragazzino, è già qualcosa. Chi dice che questo sia il tuo podere? La terra è una, gli uomini molti, tutti hanno diritto di usufruire dei suoi frutti e delle sue bellezze.»
«No, questa terra è mia, ho pile di carte che possono dimostrarlo e non sono certo qui per farmi fare una lezione da un bambino.»
«Chi ha deciso che un bambino debba essere per forza un allievo e non possa ergersi allo stadio di maestro? Tanta ristrettezza alberga nel tuo animo, Rob.»
«Smettila di chiamarmi per nome, modera i toni.»
«I miei toni sono più che mansueti, l’ignoto genera in te paura, poi la trasforma in rabbia, che scaturisce in aggressione.»
«Non sto e non voglio aggredire nessuno. Sei pregato, gentilmente, di uscire dalla mia terra.»
Il bambino non rispose. Teneva in mano una spiga, la muoveva ritmicamente da destra verso sinistra e viceversa. A ogni movimento del polso corrispondeva un ticchettio. Il piccolo sorrise. Rob s’inquietò, fece un passo indietro, inciampò e cadde a terra. Il piccolo riccioluto lo fissava dritto negli occhi, lo sguardo era intervallato dalla spiga che dondolava davanti il suo volto.
Rob entrò in uno stato di trance, vide il buio, poi una piccola luce bianca. In pochi secondi fu invaso da aria calda, chiuse gli occhi, li riaprì e intorno a sé infiniti ghirigori danzavano esibendosi nel più bello degli spettacoli. Imperterriti e imperituri, davano forma alle galassie e alle stelle. Rob era seduto sulla luna. Un’enorme pietra si dirigeva verso un pianeta blu e verde. L’uomo tentò di afferrarla, inutile. Una striscia rossa, un’esplosione, il verde diminuì, il blu ebbe il sopravvento.
Il pianeta ruotava e ruotava, immensi giri. Intanto mutava, lento ma vero. Rob non riusciva a chiudere la bocca. Vide nuovamente la spiga dondolare davanti il naso. Tornò in sé, in mezzo al campo, insieme al bambino.
«Tu sei il metronomo, quello che batte il tempo, quello che ha visto tutto fin dall’inizio.»
«Esatto. Esisto da prima di te e continuerò ad esistere quando tu tornerai ad essere un atomo disperso nell’immensità dell’infinito. Non ho forse io diritto di rivendicare questa terra come mia?»
«Ma tu non ne hai bisogno.»
«Nemmeno tu, Rob. L’uomo ha bisogno di certezze e quale certezza più bella di essere parte di un qualcosa di eterno, unico, incommensurabile?»
«Nessuna. Ma se non l’avessi visto con i miei occhi…»
«Questo privilegio è riservato a pochi. Godine, sfruttalo, sii la migliore versione di te stesso. Elimina l’Io dalla tua mente. Anni addietro ti sei ricongiunto con la natura, lodevole iniziativa, adesso è giunto il momento di ricongiungerti con i tuoi simili.»
Rob guardò dritto negli occhi il bimbo dai riccioli d’oro per alcuni secondi, poi si accorse che era svanito e che stava guardando nel buio. Si alzò, tornò al suo dondolo, si versò dell’altro liquido ambrato, riaccese il sigaro e si perse a osservare il firmamento, consapevole che il giorno seguente sarebbe stato un nuovo inizio. Aveva tutto chiaro, sapeva già cosa fare.