In Paradiso si gioca tutto il tempo
Inviato: 07/07/2021, 18:00
al Beato Ermanno di Reichenau
XIV Secolo, Europa centrale. Il Monastero delle anime bambine del Purgatorio ha già una Regola propria ma è ancora sotto la giurisdizione dell'Ordine Cistercense.
Fiat misericordia tua, Domine, super nos,
quemadmodum speravimus in te.
In te, Domine, speravi:
non confundar in aeternum
Le ultime note del Te Deum risuonavano ancora nel piccolo coro del Monastero, ma già gli occhietti più giovani e impertinenti si erano puntati su di lui.
Alcuni non lo avevano nemmeno conosciuto, avevano soltanto sentito parlare del ragazzo storpio che il Priore aveva mandato a Parigi per studiare teologia. Altri si ricordavano di lui, ma stentavano a riconoscerlo, tanto si era fatta più matura e intelligente la sua espressione, più profonda la sua voce.
Il Priore aveva espressamente voluto che la preghiera si concludesse con il Te Deum in ringraziamento per il suo ritorno e per gli ottimi risultati che aveva conseguito: questo aveva fatto borbottare di perplessità più di uno dei monaci e bisbigliare eccitati parecchi ragazzini. Non riuscendo a convincere i novizi, come loro solito, per ottenere spiegazioni si erano gettati su ricostruzioni fantasiose dell'identità del nuovo venuto che cambiava di bocca in bocca, con sommo divertimento di chi la storia la conosceva ma preferiva aggiungere dettagli inverosimili, spesso con poca carità.
Non stupisce dunque che Philipp, questo era il nome del ragazzo, avesse catalizzato l'attenzione di tutti ora che nell'assemblea si era fatto silenzio. Non amava tuttavia quel genere di situazioni e preferì fare finta di niente. Con prudente lentezza si inginocchiò in un angolo appoggiandosi sulla gamba buona e rimase lì a pregare finché la maggior parte degli studenti e dei monaci non tornò alle opportune mansioni. Il vecchio Priore rideva sotto i baffi nel sentire i mormorii delusi di chi avrebbe voluto assistere a qualcosa di curioso o sensazionale ma, pian piano che la stanza si svuotava, nel suo cuore cresceva l'attesa di poter finalmente sentire cos'aveva da raccontare quel suo ragazzo che si era fatto tanto grande negli ultimi anni.
Qualcuno, però, sembrava più impaziente di lui.
Philipp se lo trovò davanti, con gli occhietti verdi puntati addosso. Il faccino pallido e spigoloso sembrava sul punto di essere inghiottito dalla tunica bianca fuori misura in cui era avvolto. Lo guardava con somma serietà, alzando leggermente il mento: anche inginocchiato il ragazzo era più alto di lui. Il nome del bimbo era Johann.
«Tu sei quello che ha studiato, vero?»
«Io...» tentennò, sorpreso dal tono deciso del bimbo «Sono quello che è tornato oggi, sì...»
«Quindi sai tutto?»
«Non proprio... Ho appena iniziato ad imparare» arrossì il monaco «Ma se vuoi chiedermi qualcosa... Forse posso aiutarti.»
«Sai com'è il Paradiso?» domandò quindi il fanciullo, sgranando gli occhi eccitati.
«Il Paradiso...» mormorò con lieve imbarazzo, aggrappandosi al muro per tirarsi in piedi «È bello, no? È la vita eterna dei beati... Non ci sarà più la morte né la fatica, né qualsiasi cosa brutta.»
«Questo lo so già» piagnucolò Johann, lasciando trasparire una certa frustrazione «Io ti ho chiesto com'è!»
«Com'è...?» ripeté lentamente Philipp «Visione intuitiva et etiam faciali...»
«Cosa?»
«Scusami, cercavo di ricordare» disse, piegandosi timidamente sul bastone «Il Santo Padre Benedetto dodicesimo, che poi era anche un monaco del nostro Ordine... Pochi anni fa ha scritto sulla Visione Beatifica... Ecco, il Paradiso è la Visione Beatifica, la visione intuitiva di Dio, faccia a faccia con Gesù...»
Si sentì punto dalla delusione vedendo il bimbo arricciare il naso e abbassare il capo. Voleva davvero essergli d'aiuto, ma non ci riusciva.
«Fratello, forse non so dirti quello che vuoi...» si scusò.
«Tu non sai niente del Paradiso» concluse Johann, con una punta di rabbia.
«Il fratello Philipp sa sicuramente molte cose sul Paradiso, soltanto non sa ancora come spiegarle ad un bambino» intervenne la voce calda e profonda del Priore, che nel frattempo si era avvicinato «Fratello Johann, non è bene disturbare qualcuno mentre prega, nemmeno per fare domande così importanti.»
«Perdonatemi, reverendo padre» la vocina si fece piccola piccola «Non si alzava mai e... Se faccio tardi il Maestro mi fa saltare il pasto.»
«Vedi Johann» disse sornione il Priore, spettinandogli i capelli e sorridendo a Philipp «in Paradiso non potrai temere il digiuno, perché lì saremo tutti sazi ad ogni ora, senza rischiare il mal di pancia per giunta.»
Johann non commentò, si limitò ad alzare la testa verso il vecchio monaco.
«Com'è il Paradiso? La risposta di Philipp è la più sicura, fratellino, ha fatto bene a dirti delle parole con cui sapeva di non poter sbagliare. Ma il Paradiso è di più, no? Lo sai bene.»
Il bimbo annuì.
«Non c'è niente di più della Visione Beatifica» lo corresse però Philipp «Vedere Dio, conoscerlo, amarlo... È già tutto, reverendo padre...»
«Hai proprio ragione, fratello Philipp» consolò il suo timore con un largo sorriso «Quello è tutto e non c'è niente al di fuori di esso. Ma in esso ci sono molte cose che non sei capace di dire.»
«Ad esempio?» domandò timidamente Philipp.
«Io so, Johann» continuò il Priore, abbassandosi all'altezza del bambino «Che in Paradiso si gioca tutto il tempo. Gesù bambino è il capo gioco e nessuno fa mai il prepotente. Il gioco non viene mai a noia e non ci si può far male, e non c'è nemmeno bisogno di far finta! Tutto ciò che si dice nel gioco, è per davvero.»
Il volto di Johann si illuminò, ma non all'improvviso. Lentamente i suoi occhi diedero corpo alle parole che aveva sentito, e più grandi erano le cose che immaginava, più largo si faceva il suo sorriso.
«E si può giocare insieme, reverendo padre?» domandò ancora, con lo sguardo fisso sugli affreschi del soffitto «Si può giocare con quelli che sono già in Cielo?»
«Certamente! Si starà sempre tutti insieme, senza darsi mai fastidio.»
Il Priore aveva scorto però nel volto di Philipp un'ombra scura, non gli sembrava avesse gradito la risposta, perciò chiese a Johann di andare con gli altri e sostenne il ragazzo perché raggiungesse uno dei seggi del coro, e lì sedette di fianco a lui.
«Reverendo Padre, io non voglio andare in Paradiso per giocare.» mormorò, perplesso.
«Sei già troppo grande per giocare, fratello?»
«La Regola... Gli insegnamenti dei padri... Ci insegnano tutti a non ricercare le distrazioni o il nostro piacere. Sarebbe assurdo che in Paradiso ci si distraesse dal Signore con il gioco, o che ci fosse una gioia che non sia Lui. Perché dice queste cose ai bambini?»
«Se lo dico è perché lo credo» rispose l'anziano, senza apparire turbato dall'obiezione «E poi c'è una bambina che mi aspetta là ormai da tanto tempo, e ci siamo promessi che giocheremo insieme. Nostro Signore non vorrà certo privarmi della possibilità di mantenere una promessa.»
«Padre, forse è meglio che me ne torni a pregare» disse Philipp, facendo per alzarsi. Evitava il suo sguardo.
«Non scappare fratello, consideralo un'opera di carità. Ascoltare le farneticazioni di un povero vecchio può essere un merito, e non implica condividere i suoi errori.»
Philipp rimase a sedere:
«Spiegatemi allora» sbuffò «Come può il Signore volere che giochiamo, anziché pregare e dedicarci tutti a Lui.»
«Si può giocare dedicandosi a Lui. Mentre studiavi, non lo facevi forse per il Signore?»
«Certo, ma lo facevo per poterlo servire meglio, non perché mi piacesse studiare.»
«Questo mi consola, figliolo, ma non lo facevi anche per conoscerlo? Non c'è forse in te il desiderio di vederlo già ora e di poterci parlare faccia a faccia?»
«Sì, ma so che tutta la teologia del mondo non potrà darmi questo.»
«Ma se la studi con umiltà può avvicinarti un po', può aprire la strada alla Grazia.»
«Certo.»
«E quindi hai giocato con quei libri. Io ti ho mandato a giocare sui libri e tu hai fatto il bravo bambino.»
«Come?» chiese ancora, perplesso «Ho studiato, non ho giocato.»
«Non lo sai perché i bambini giocano, fratellino? Non lo fanno certo per distrarsi, come chi gioca ai dadi nelle taverne mentre si stordisce con l'alcool. Ora che sei qui, e avrai molti bambini intorno a te, vorrei che tu li guardassi ed iniziassi a capirli. A capire cosa fanno nei loro giochi.»
«Non potete dirmelo?»
Il Priore si lascio sfuggire una tenue risata.
«I loro giochi sono annunci, fratello Philipp. Anticipano la realizzazione di ciò che in loro c'è già in potenza, per questo giocano a fare i grandi, giocano a combattere il male e i cattivi, giocano a costruire le case, giocano a... Conoscere Dio. Come fai tu con i libri.»
«Ma io sono già grande, quindi non ho più...»
«Conosci già Dio? In maniera perfetta?»
Philipp abbassò la testa.
«Tu non conosci Dio, fratello, e nemmeno io lo conosco. Non abbiamo ancora la visione beatifica di cui parlavi, eppure... Egli lascia che parliamo di lui, come se lo conoscessimo. Ti chiederà persino di insegnare a nome suo, insegnare cose che in fondo non sai! E dimmi se questo non è un gioco, un dolce gioco che annuncia il momento in cui lo vedremo faccia a faccia, e potremo parlare di lui senza timore di sbagliare, senza paura di parlare di un'ombra.»
Philipp rimase colpito da quella visione. Si sentì all'improvviso molto piccolo e sciocco, e riconobbe nelle parole del vecchio una sapienza che lo umiliava. Stette in silenzio per un po', poi si accorse che qualcosa ancora non lo convinceva:
«Ma se il gioco è un annuncio di cose che saranno, come potete dire che in Paradiso si gioca ancora? In Paradiso avremo finito di crescere.»
«È vero, ma questo non toglierà valore al nostro gioco. Semplicemente, in Cielo ogni cosa viene portata a compimento, e così ogni gioco cessa di essere finzione. Tu giochi nell'incertezza, parlando di Dio, allora giocherai nella certezza, e quello che dirai sarà vero, e ogni giorno dirai cose nuove, e saranno tutte vere. I bambini oggi giocano dicendo: "Facciamo che io ero..." e tutti continueranno a farlo là. Ma ciò che diremo sarà vero, perché saremo pienamente realizzati, tutto sarà compiuto. E non ci sarà più l'amarezza di accorgersi che in fondo siamo ancora piccoli e acerbi.»
Nessun maestro della scuola gli aveva mai parlato in questi termini. Philipp rimase accanto al suo superiore con la testa bassa, cercando di mettere in ordine le cose di cui aveva sentito parlare, non ancora del tutto convinto. Il Priore lo lasciò fare per un po', poi gli tirò leggermente una manica.
«Bentornato, fratello. Sono contento che quel bimbo ci abbia dato l'occasione di parlare proprio di questo, c'è una cosa che devo darti da tanto tempo...»
Mentre prendeva il bastone per alzarsi, Philipp scoprì nelle sue braccia un tremolio insolito. C'era qualcosa nella voce del superiore o nel suo sguardo che gli aveva messo in corpo una strana eccitazione, e così lo seguì senza dire una parola, impaziente quasi di raggiungere la sua cella. Si fermò davanti alla porta, così come voleva la Regola del Monastero, e nell'accorgersi il Priore si voltò e gli sorrise. La piccola cella era molto povera e spoglia, molto diversa da quelle di Parigi. C'erano solo un pagliericcio, una finestra, un crocifisso, davanti a questo un inginocchiatoio. Sul ripiano superiore dell'inginocchiatoio dei piccoli oggetti che da lontano si faceva fatica a distinguere. Il Priore ne prese uno e tornò da lui.
«Questo era tuo, vero?» domandò teneramente, tendendogli un rozzo pupazzo di legno. Si vedeva che era stato fatto da un bambino, le proporzioni erano strane e mancava di simmetria, tuttavia aveva un certo fascino che rivelava il talento acerbo dell'artista, specialmente nei dettagli del volto e nei due occhietti così insolitamente espressivi: sembravano guardare il mondo esterno con rimprovero. Il giocattolo aveva un grosso difetto: una gamba spezzata. E qualche graffio che rivelava un trattamento non molto attento da parte del proprietario.
«Io...» Philipp si scoprì mancare il fiato «Come hai... Come avete fatto a trovarlo?»
«L'ho trovato e basta, devi averlo perso poco prima di partire.»
«Non l'avevo perso.» ammise il ragazzo, con una punta di tristezza.
«Immagino che qualche tuo compagno lo abbia rotto mentre ci giocava, e che per rabbia tu lo abbia gettato via. Io però credo che sia ancora molto bello.»
«Nessuno me l'ha rotto.» Philipp tirò su con il naso «Non sono stato capace di farlo bene, ho fatto la gamba troppo sottile e si è rotta. L'avevo gettato via per non vederlo più.»
«Ma io l'ho trovato e mi è stato di grande consolazione. Grazie per averlo fatto.»
Philipp continuò a fissare per un po' quel giocattolo poco più grande della sua mano, e ad accarezzarlo dolcemente, specialmente dove i graffi erano più profondi.
«Quando lo hai pensato, quando hai iniziato a farlo, era così che lo immaginavi? Questo pupazzo corrispondeva alla tua idea?»
«Per niente...» sospirò il monachello «Di certo di gambe ne aveva due e... E doveva essere più bello anche tutto il resto.»
«Ma se tu fossi ancora un bambino... Ti basterebbe dire: "facciamo che questo era un grande cavaliere" o un papà, o un monaco, o pure il Papa. E per tutto il gioco lo sarebbe stato, perfetto o no che fosse venuto.»
«Immagino di sì.»
«Ma ciò non toglie che quello sarebbe sempre rimasto un pezzo di legno senza vita. Una finzione, "Hanno bocca e non parlano"...»
«Già. Non varrebbe nulla comunque.»
«Non è così, Philipp. In questo oggetto hai nascosto un desiderio grande e buono: tu volevi fare qualcosa di bello. E l'hai fatto, anche se ancora non è compiuto. Ecco, in Paradiso il tuo gioco sarà compiuto, e questo pupazzo sarà esattamente come doveva essere.» il Priore vide brillare gli occhi del ragazzo mentre si alzavano verso di lui «Non sarà come l'avevi immaginato tu, perché sarà ancora migliore. E racconterai al Signore tante cose su di lui: "facciamo che questo era un grande cavaliere!" E lo sarà davvero. Non per finta, non nella fantasia. Davvero. Ogni parola del tuo gioco sarà compiuta. Io non credo che il Signore vorrà distruggere per sempre ciò che hai fatto con amore e bellezza, quindi non potrà che portarlo a compimento.»
Philipp si appoggiò allo stipite della porta e si lasciò trascinare giù dal proprio peso, finendo seduto a terra. Lo sguardo assorto sul pupazzo.
«Quello che dite è molto strano, padre, ma sento che ha qualche senso. Anche se non penso che se questo pupazzo diventasse... Vivo? Sì, sarebbe bello se avesse una vita e potesse vedermi. Ma allora mi odierebbe, perché l'ho fatto male e perché l'ho gettato via. Non l'ho fatto con amore, perché Nostro Signore dovrebbe conservarlo?»
«Il Signore lascia che la zizzania cresca insieme al grano, ma in Cielo porterà solo il grano. Non devi avere paura dei segni lasciati dai tuoi errori, quelli davvero evaporeranno come la finzione del gioco.»
«Non avevo mai pensato che i giochi dei bambini potessero essere importanti.» Philipp continuava freneticamente a massaggiare il giocattolo, ormai con le lacrime agli occhi «Voi c'eravate, sapete qual era il gioco che volevo fare sempre.»
«Sì, lo so.» rispose serio il Priore.
«Ma Dio non potrà portarlo a compimento.» singhiozzò Philipp, mentre il volto si bagnava di lacrime.
«Dopo quello che mi hanno fatto...» andò avanti, piagnucolando con rabbia «Per come mi hanno trattato... Mi hanno gettato via!» gridò, scagliando a terra il pupazzo. Si tirò sulla testa il cappuccio. Voleva sparire. Cercò di parlare piano, sperando segretamente che il superiore non sentisse. In realtà ne uscì un ruggito. «Non li vedrò in Paradiso, e non mi tratteranno come un figlio!»
Quelle parole velenose lo disgustarono, se ne pentì subito e sperò di potersele rimangiare. Man mano che la rabbia lasciava il suo volto, veniva sostituita da un'altrettanto paonazza vergogna. Si protese a terra, riprese il giocattolo e se lo strinse al petto.
«Non sei tu che lo decidi!» la vocina acuta ma malferma di Johann lo raggiunse dall'angolo del corridoio. Spuntò fuori e subito diventò tutto rosso.
Si guardarono sorpresi per qualche istante, il bimbo e i due monaci, e senza dire una parola Johann corse verso Philipp e gli si gettò al collo, stringendolo forte e facendogli cadere il cappuccio. Philipp, che ancora manteneva le abitudini e gli usi dell'altro monastero, guardò perplesso il superiore, che con un cenno sembrò quasi imporgli di ricambiare l'abbraccio.
«Io pregherò per tutta la vita perché i tuoi genitori possano venire in Paradiso, e perché tu possa fare la pace con loro! Il Paradiso è anche essere in pace con tutti, no? Gesù ha fatto la pace con San Pietro e San Paolo, e loro gli avevano fatto male!»
«Per tutta la vita?» esclamò stupito Philipp, con la voce ancora nasale. Sentì Johann annuire sul suo petto, strofinando il volto sull'abito.
«Non c'è gioco più bello di questo...» mormorò il Priore, ammirando la scena.
«Senti... Ti chiami Johann, giusto?» disse finalmente Philipp, afferrandogli una spalla e spingendolo un po' per poterlo guardare negli occhi.
«Sì.» lo illuminò col suo sorriso.
«Io vorrei... Vorrei che prendessi questo. Ti piace?»
Gli diede il pupazzo, ed il bimbo lo ispezionò in tutti i modi prima di dare il suo verdetto.
«È un po' strano, ma è bello! Ti somiglia un po'...» Philipp abbassò lo sguardo, si sentiva giudicato da quegli occhi grandi. Anche Johann arrossì.
«In realtà io ho... Ho sentito, della gamba.» confessò «So che non dovevo ma...»
«Non importa, sono contento» mormorò Philipp «Lo custodirai al posto mio? Ci giocherai? Io... Non ne sono più degno.»
«Certo!» esclamò Johann, felice, poi guardò il Priore «Ma noi non possiamo tenere giocattoli come se fossero nostri.»
«Hai ragione, fratello Johann» commentò soddisfatto il superiore «Vorrà dire che tutti potrete giocarci, ma tu puoi prenderti la responsabilità di custodirlo.»
«Lo voglio fare, mi aiuterà a ricordare quello che ti ho promesso.» gongolò il bimbo.
«Johann, posso dirti una cosa?» sussurrò Philipp.
Quello annuì, allora il giovane monaco gli adagiò la testa sulla spalla.
«Guardarti negli occhi è come giocare alla visione beatifica.» gli disse nell'orecchio.
Johann scoppiò in una fragorosa risata.
«Ma allora non ti sei dimenticato come si fa!» esclamò.
XIV Secolo, Europa centrale. Il Monastero delle anime bambine del Purgatorio ha già una Regola propria ma è ancora sotto la giurisdizione dell'Ordine Cistercense.
Fiat misericordia tua, Domine, super nos,
quemadmodum speravimus in te.
In te, Domine, speravi:
non confundar in aeternum
Le ultime note del Te Deum risuonavano ancora nel piccolo coro del Monastero, ma già gli occhietti più giovani e impertinenti si erano puntati su di lui.
Alcuni non lo avevano nemmeno conosciuto, avevano soltanto sentito parlare del ragazzo storpio che il Priore aveva mandato a Parigi per studiare teologia. Altri si ricordavano di lui, ma stentavano a riconoscerlo, tanto si era fatta più matura e intelligente la sua espressione, più profonda la sua voce.
Il Priore aveva espressamente voluto che la preghiera si concludesse con il Te Deum in ringraziamento per il suo ritorno e per gli ottimi risultati che aveva conseguito: questo aveva fatto borbottare di perplessità più di uno dei monaci e bisbigliare eccitati parecchi ragazzini. Non riuscendo a convincere i novizi, come loro solito, per ottenere spiegazioni si erano gettati su ricostruzioni fantasiose dell'identità del nuovo venuto che cambiava di bocca in bocca, con sommo divertimento di chi la storia la conosceva ma preferiva aggiungere dettagli inverosimili, spesso con poca carità.
Non stupisce dunque che Philipp, questo era il nome del ragazzo, avesse catalizzato l'attenzione di tutti ora che nell'assemblea si era fatto silenzio. Non amava tuttavia quel genere di situazioni e preferì fare finta di niente. Con prudente lentezza si inginocchiò in un angolo appoggiandosi sulla gamba buona e rimase lì a pregare finché la maggior parte degli studenti e dei monaci non tornò alle opportune mansioni. Il vecchio Priore rideva sotto i baffi nel sentire i mormorii delusi di chi avrebbe voluto assistere a qualcosa di curioso o sensazionale ma, pian piano che la stanza si svuotava, nel suo cuore cresceva l'attesa di poter finalmente sentire cos'aveva da raccontare quel suo ragazzo che si era fatto tanto grande negli ultimi anni.
Qualcuno, però, sembrava più impaziente di lui.
Philipp se lo trovò davanti, con gli occhietti verdi puntati addosso. Il faccino pallido e spigoloso sembrava sul punto di essere inghiottito dalla tunica bianca fuori misura in cui era avvolto. Lo guardava con somma serietà, alzando leggermente il mento: anche inginocchiato il ragazzo era più alto di lui. Il nome del bimbo era Johann.
«Tu sei quello che ha studiato, vero?»
«Io...» tentennò, sorpreso dal tono deciso del bimbo «Sono quello che è tornato oggi, sì...»
«Quindi sai tutto?»
«Non proprio... Ho appena iniziato ad imparare» arrossì il monaco «Ma se vuoi chiedermi qualcosa... Forse posso aiutarti.»
«Sai com'è il Paradiso?» domandò quindi il fanciullo, sgranando gli occhi eccitati.
«Il Paradiso...» mormorò con lieve imbarazzo, aggrappandosi al muro per tirarsi in piedi «È bello, no? È la vita eterna dei beati... Non ci sarà più la morte né la fatica, né qualsiasi cosa brutta.»
«Questo lo so già» piagnucolò Johann, lasciando trasparire una certa frustrazione «Io ti ho chiesto com'è!»
«Com'è...?» ripeté lentamente Philipp «Visione intuitiva et etiam faciali...»
«Cosa?»
«Scusami, cercavo di ricordare» disse, piegandosi timidamente sul bastone «Il Santo Padre Benedetto dodicesimo, che poi era anche un monaco del nostro Ordine... Pochi anni fa ha scritto sulla Visione Beatifica... Ecco, il Paradiso è la Visione Beatifica, la visione intuitiva di Dio, faccia a faccia con Gesù...»
Si sentì punto dalla delusione vedendo il bimbo arricciare il naso e abbassare il capo. Voleva davvero essergli d'aiuto, ma non ci riusciva.
«Fratello, forse non so dirti quello che vuoi...» si scusò.
«Tu non sai niente del Paradiso» concluse Johann, con una punta di rabbia.
«Il fratello Philipp sa sicuramente molte cose sul Paradiso, soltanto non sa ancora come spiegarle ad un bambino» intervenne la voce calda e profonda del Priore, che nel frattempo si era avvicinato «Fratello Johann, non è bene disturbare qualcuno mentre prega, nemmeno per fare domande così importanti.»
«Perdonatemi, reverendo padre» la vocina si fece piccola piccola «Non si alzava mai e... Se faccio tardi il Maestro mi fa saltare il pasto.»
«Vedi Johann» disse sornione il Priore, spettinandogli i capelli e sorridendo a Philipp «in Paradiso non potrai temere il digiuno, perché lì saremo tutti sazi ad ogni ora, senza rischiare il mal di pancia per giunta.»
Johann non commentò, si limitò ad alzare la testa verso il vecchio monaco.
«Com'è il Paradiso? La risposta di Philipp è la più sicura, fratellino, ha fatto bene a dirti delle parole con cui sapeva di non poter sbagliare. Ma il Paradiso è di più, no? Lo sai bene.»
Il bimbo annuì.
«Non c'è niente di più della Visione Beatifica» lo corresse però Philipp «Vedere Dio, conoscerlo, amarlo... È già tutto, reverendo padre...»
«Hai proprio ragione, fratello Philipp» consolò il suo timore con un largo sorriso «Quello è tutto e non c'è niente al di fuori di esso. Ma in esso ci sono molte cose che non sei capace di dire.»
«Ad esempio?» domandò timidamente Philipp.
«Io so, Johann» continuò il Priore, abbassandosi all'altezza del bambino «Che in Paradiso si gioca tutto il tempo. Gesù bambino è il capo gioco e nessuno fa mai il prepotente. Il gioco non viene mai a noia e non ci si può far male, e non c'è nemmeno bisogno di far finta! Tutto ciò che si dice nel gioco, è per davvero.»
Il volto di Johann si illuminò, ma non all'improvviso. Lentamente i suoi occhi diedero corpo alle parole che aveva sentito, e più grandi erano le cose che immaginava, più largo si faceva il suo sorriso.
«E si può giocare insieme, reverendo padre?» domandò ancora, con lo sguardo fisso sugli affreschi del soffitto «Si può giocare con quelli che sono già in Cielo?»
«Certamente! Si starà sempre tutti insieme, senza darsi mai fastidio.»
Il Priore aveva scorto però nel volto di Philipp un'ombra scura, non gli sembrava avesse gradito la risposta, perciò chiese a Johann di andare con gli altri e sostenne il ragazzo perché raggiungesse uno dei seggi del coro, e lì sedette di fianco a lui.
«Reverendo Padre, io non voglio andare in Paradiso per giocare.» mormorò, perplesso.
«Sei già troppo grande per giocare, fratello?»
«La Regola... Gli insegnamenti dei padri... Ci insegnano tutti a non ricercare le distrazioni o il nostro piacere. Sarebbe assurdo che in Paradiso ci si distraesse dal Signore con il gioco, o che ci fosse una gioia che non sia Lui. Perché dice queste cose ai bambini?»
«Se lo dico è perché lo credo» rispose l'anziano, senza apparire turbato dall'obiezione «E poi c'è una bambina che mi aspetta là ormai da tanto tempo, e ci siamo promessi che giocheremo insieme. Nostro Signore non vorrà certo privarmi della possibilità di mantenere una promessa.»
«Padre, forse è meglio che me ne torni a pregare» disse Philipp, facendo per alzarsi. Evitava il suo sguardo.
«Non scappare fratello, consideralo un'opera di carità. Ascoltare le farneticazioni di un povero vecchio può essere un merito, e non implica condividere i suoi errori.»
Philipp rimase a sedere:
«Spiegatemi allora» sbuffò «Come può il Signore volere che giochiamo, anziché pregare e dedicarci tutti a Lui.»
«Si può giocare dedicandosi a Lui. Mentre studiavi, non lo facevi forse per il Signore?»
«Certo, ma lo facevo per poterlo servire meglio, non perché mi piacesse studiare.»
«Questo mi consola, figliolo, ma non lo facevi anche per conoscerlo? Non c'è forse in te il desiderio di vederlo già ora e di poterci parlare faccia a faccia?»
«Sì, ma so che tutta la teologia del mondo non potrà darmi questo.»
«Ma se la studi con umiltà può avvicinarti un po', può aprire la strada alla Grazia.»
«Certo.»
«E quindi hai giocato con quei libri. Io ti ho mandato a giocare sui libri e tu hai fatto il bravo bambino.»
«Come?» chiese ancora, perplesso «Ho studiato, non ho giocato.»
«Non lo sai perché i bambini giocano, fratellino? Non lo fanno certo per distrarsi, come chi gioca ai dadi nelle taverne mentre si stordisce con l'alcool. Ora che sei qui, e avrai molti bambini intorno a te, vorrei che tu li guardassi ed iniziassi a capirli. A capire cosa fanno nei loro giochi.»
«Non potete dirmelo?»
Il Priore si lascio sfuggire una tenue risata.
«I loro giochi sono annunci, fratello Philipp. Anticipano la realizzazione di ciò che in loro c'è già in potenza, per questo giocano a fare i grandi, giocano a combattere il male e i cattivi, giocano a costruire le case, giocano a... Conoscere Dio. Come fai tu con i libri.»
«Ma io sono già grande, quindi non ho più...»
«Conosci già Dio? In maniera perfetta?»
Philipp abbassò la testa.
«Tu non conosci Dio, fratello, e nemmeno io lo conosco. Non abbiamo ancora la visione beatifica di cui parlavi, eppure... Egli lascia che parliamo di lui, come se lo conoscessimo. Ti chiederà persino di insegnare a nome suo, insegnare cose che in fondo non sai! E dimmi se questo non è un gioco, un dolce gioco che annuncia il momento in cui lo vedremo faccia a faccia, e potremo parlare di lui senza timore di sbagliare, senza paura di parlare di un'ombra.»
Philipp rimase colpito da quella visione. Si sentì all'improvviso molto piccolo e sciocco, e riconobbe nelle parole del vecchio una sapienza che lo umiliava. Stette in silenzio per un po', poi si accorse che qualcosa ancora non lo convinceva:
«Ma se il gioco è un annuncio di cose che saranno, come potete dire che in Paradiso si gioca ancora? In Paradiso avremo finito di crescere.»
«È vero, ma questo non toglierà valore al nostro gioco. Semplicemente, in Cielo ogni cosa viene portata a compimento, e così ogni gioco cessa di essere finzione. Tu giochi nell'incertezza, parlando di Dio, allora giocherai nella certezza, e quello che dirai sarà vero, e ogni giorno dirai cose nuove, e saranno tutte vere. I bambini oggi giocano dicendo: "Facciamo che io ero..." e tutti continueranno a farlo là. Ma ciò che diremo sarà vero, perché saremo pienamente realizzati, tutto sarà compiuto. E non ci sarà più l'amarezza di accorgersi che in fondo siamo ancora piccoli e acerbi.»
Nessun maestro della scuola gli aveva mai parlato in questi termini. Philipp rimase accanto al suo superiore con la testa bassa, cercando di mettere in ordine le cose di cui aveva sentito parlare, non ancora del tutto convinto. Il Priore lo lasciò fare per un po', poi gli tirò leggermente una manica.
«Bentornato, fratello. Sono contento che quel bimbo ci abbia dato l'occasione di parlare proprio di questo, c'è una cosa che devo darti da tanto tempo...»
Mentre prendeva il bastone per alzarsi, Philipp scoprì nelle sue braccia un tremolio insolito. C'era qualcosa nella voce del superiore o nel suo sguardo che gli aveva messo in corpo una strana eccitazione, e così lo seguì senza dire una parola, impaziente quasi di raggiungere la sua cella. Si fermò davanti alla porta, così come voleva la Regola del Monastero, e nell'accorgersi il Priore si voltò e gli sorrise. La piccola cella era molto povera e spoglia, molto diversa da quelle di Parigi. C'erano solo un pagliericcio, una finestra, un crocifisso, davanti a questo un inginocchiatoio. Sul ripiano superiore dell'inginocchiatoio dei piccoli oggetti che da lontano si faceva fatica a distinguere. Il Priore ne prese uno e tornò da lui.
«Questo era tuo, vero?» domandò teneramente, tendendogli un rozzo pupazzo di legno. Si vedeva che era stato fatto da un bambino, le proporzioni erano strane e mancava di simmetria, tuttavia aveva un certo fascino che rivelava il talento acerbo dell'artista, specialmente nei dettagli del volto e nei due occhietti così insolitamente espressivi: sembravano guardare il mondo esterno con rimprovero. Il giocattolo aveva un grosso difetto: una gamba spezzata. E qualche graffio che rivelava un trattamento non molto attento da parte del proprietario.
«Io...» Philipp si scoprì mancare il fiato «Come hai... Come avete fatto a trovarlo?»
«L'ho trovato e basta, devi averlo perso poco prima di partire.»
«Non l'avevo perso.» ammise il ragazzo, con una punta di tristezza.
«Immagino che qualche tuo compagno lo abbia rotto mentre ci giocava, e che per rabbia tu lo abbia gettato via. Io però credo che sia ancora molto bello.»
«Nessuno me l'ha rotto.» Philipp tirò su con il naso «Non sono stato capace di farlo bene, ho fatto la gamba troppo sottile e si è rotta. L'avevo gettato via per non vederlo più.»
«Ma io l'ho trovato e mi è stato di grande consolazione. Grazie per averlo fatto.»
Philipp continuò a fissare per un po' quel giocattolo poco più grande della sua mano, e ad accarezzarlo dolcemente, specialmente dove i graffi erano più profondi.
«Quando lo hai pensato, quando hai iniziato a farlo, era così che lo immaginavi? Questo pupazzo corrispondeva alla tua idea?»
«Per niente...» sospirò il monachello «Di certo di gambe ne aveva due e... E doveva essere più bello anche tutto il resto.»
«Ma se tu fossi ancora un bambino... Ti basterebbe dire: "facciamo che questo era un grande cavaliere" o un papà, o un monaco, o pure il Papa. E per tutto il gioco lo sarebbe stato, perfetto o no che fosse venuto.»
«Immagino di sì.»
«Ma ciò non toglie che quello sarebbe sempre rimasto un pezzo di legno senza vita. Una finzione, "Hanno bocca e non parlano"...»
«Già. Non varrebbe nulla comunque.»
«Non è così, Philipp. In questo oggetto hai nascosto un desiderio grande e buono: tu volevi fare qualcosa di bello. E l'hai fatto, anche se ancora non è compiuto. Ecco, in Paradiso il tuo gioco sarà compiuto, e questo pupazzo sarà esattamente come doveva essere.» il Priore vide brillare gli occhi del ragazzo mentre si alzavano verso di lui «Non sarà come l'avevi immaginato tu, perché sarà ancora migliore. E racconterai al Signore tante cose su di lui: "facciamo che questo era un grande cavaliere!" E lo sarà davvero. Non per finta, non nella fantasia. Davvero. Ogni parola del tuo gioco sarà compiuta. Io non credo che il Signore vorrà distruggere per sempre ciò che hai fatto con amore e bellezza, quindi non potrà che portarlo a compimento.»
Philipp si appoggiò allo stipite della porta e si lasciò trascinare giù dal proprio peso, finendo seduto a terra. Lo sguardo assorto sul pupazzo.
«Quello che dite è molto strano, padre, ma sento che ha qualche senso. Anche se non penso che se questo pupazzo diventasse... Vivo? Sì, sarebbe bello se avesse una vita e potesse vedermi. Ma allora mi odierebbe, perché l'ho fatto male e perché l'ho gettato via. Non l'ho fatto con amore, perché Nostro Signore dovrebbe conservarlo?»
«Il Signore lascia che la zizzania cresca insieme al grano, ma in Cielo porterà solo il grano. Non devi avere paura dei segni lasciati dai tuoi errori, quelli davvero evaporeranno come la finzione del gioco.»
«Non avevo mai pensato che i giochi dei bambini potessero essere importanti.» Philipp continuava freneticamente a massaggiare il giocattolo, ormai con le lacrime agli occhi «Voi c'eravate, sapete qual era il gioco che volevo fare sempre.»
«Sì, lo so.» rispose serio il Priore.
«Ma Dio non potrà portarlo a compimento.» singhiozzò Philipp, mentre il volto si bagnava di lacrime.
«Dopo quello che mi hanno fatto...» andò avanti, piagnucolando con rabbia «Per come mi hanno trattato... Mi hanno gettato via!» gridò, scagliando a terra il pupazzo. Si tirò sulla testa il cappuccio. Voleva sparire. Cercò di parlare piano, sperando segretamente che il superiore non sentisse. In realtà ne uscì un ruggito. «Non li vedrò in Paradiso, e non mi tratteranno come un figlio!»
Quelle parole velenose lo disgustarono, se ne pentì subito e sperò di potersele rimangiare. Man mano che la rabbia lasciava il suo volto, veniva sostituita da un'altrettanto paonazza vergogna. Si protese a terra, riprese il giocattolo e se lo strinse al petto.
«Non sei tu che lo decidi!» la vocina acuta ma malferma di Johann lo raggiunse dall'angolo del corridoio. Spuntò fuori e subito diventò tutto rosso.
Si guardarono sorpresi per qualche istante, il bimbo e i due monaci, e senza dire una parola Johann corse verso Philipp e gli si gettò al collo, stringendolo forte e facendogli cadere il cappuccio. Philipp, che ancora manteneva le abitudini e gli usi dell'altro monastero, guardò perplesso il superiore, che con un cenno sembrò quasi imporgli di ricambiare l'abbraccio.
«Io pregherò per tutta la vita perché i tuoi genitori possano venire in Paradiso, e perché tu possa fare la pace con loro! Il Paradiso è anche essere in pace con tutti, no? Gesù ha fatto la pace con San Pietro e San Paolo, e loro gli avevano fatto male!»
«Per tutta la vita?» esclamò stupito Philipp, con la voce ancora nasale. Sentì Johann annuire sul suo petto, strofinando il volto sull'abito.
«Non c'è gioco più bello di questo...» mormorò il Priore, ammirando la scena.
«Senti... Ti chiami Johann, giusto?» disse finalmente Philipp, afferrandogli una spalla e spingendolo un po' per poterlo guardare negli occhi.
«Sì.» lo illuminò col suo sorriso.
«Io vorrei... Vorrei che prendessi questo. Ti piace?»
Gli diede il pupazzo, ed il bimbo lo ispezionò in tutti i modi prima di dare il suo verdetto.
«È un po' strano, ma è bello! Ti somiglia un po'...» Philipp abbassò lo sguardo, si sentiva giudicato da quegli occhi grandi. Anche Johann arrossì.
«In realtà io ho... Ho sentito, della gamba.» confessò «So che non dovevo ma...»
«Non importa, sono contento» mormorò Philipp «Lo custodirai al posto mio? Ci giocherai? Io... Non ne sono più degno.»
«Certo!» esclamò Johann, felice, poi guardò il Priore «Ma noi non possiamo tenere giocattoli come se fossero nostri.»
«Hai ragione, fratello Johann» commentò soddisfatto il superiore «Vorrà dire che tutti potrete giocarci, ma tu puoi prenderti la responsabilità di custodirlo.»
«Lo voglio fare, mi aiuterà a ricordare quello che ti ho promesso.» gongolò il bimbo.
«Johann, posso dirti una cosa?» sussurrò Philipp.
Quello annuì, allora il giovane monaco gli adagiò la testa sulla spalla.
«Guardarti negli occhi è come giocare alla visione beatifica.» gli disse nell'orecchio.
Johann scoppiò in una fragorosa risata.
«Ma allora non ti sei dimenticato come si fa!» esclamò.