L'appartamento dei rimpianti
Inviato: 23/09/2021, 12:57
E così “L” si ritrovò in quel cascinale, dopo tanto tempo, con “GC”.
Avevano convissuto lì per oltre sei anni, in uno degli appartamenti ricavati dopo la ristrutturazione.
GC avrebbe voluto sposarsi.
GC avrebbe voluto dei figli.
L aveva quella voce nella testa che le ripeteva continuamente che non sarebbe stato il caso:
-La farai solo soffrire, le causerai un sacco di problemi!-
-In fin dei conti le hai fatto perdere già un sacco di tempo!-
-Le persone come te dovrebbero sterilizzarle, per evitare che possano riprodursi e portare avanti il loro patrimonio genetico difettato!-
L aveva sempre pensato che la voce avesse ragione e quindi non aveva mai smesso di far presente a GC, fin dall’inizio, che
“Prima o poi dovrai fare la tua vita”
“Non potrai continuare a buttare via il tuo tempo con una persona come me”
“Io non potrò mai darti nulla di buono e finirò per tarparti le ali”
“Non ce la faccio a pensare al futuro e a programmarlo: ho sempre pensato che io un futuro non ce l’ho”
Alla fine GC era andata a lavorare all’estero, la storia a distanza aveva funzionato inaspettatamente bene e, dopo incredibili viaggi per incontrarsi a metà strada e passare magari anche solo qualche ora assieme, passato poco più di un anno si era licenziata.
Era tornata a casa con la consapevolezza di non poter stare senza L e con la convinzione ancor più marcata che avrebbero dovuto sposarsi e mettere su famiglia.
-Il Matrimonio è una istituzione anacronistica e credo di essere una delle persone meno indicate per mettere su famiglia- era il pensiero di L, immutato.
Alla fine, dopo un altro anno in cui le prime crepe nel loro rapporto si erano via via moltiplicate, fino a minarne le fondamenta e far venire tutto giù in modo improvviso, GC era tornata all’estero e avevano finito per lasciarsi.
Senza rabbia, senza rancore, senza litigi: GC aveva finalmente deciso di farsi la propria vita, come in fin dei conti L aveva invitato a fare praticamente ogni giorno durante gli anni passati assieme.
Essendo l'appartamento di proprietà di GC, nonostante questa le avesse detto che avrebbe potuto restarci senza problemi, L era prima tornata dai suoi genitori, per poi trasferirsi da un amico.
GC alla fine si era pure sposata: L pensava che il marito fosse proprio una brava persona.
L aveva continuato a sopravvivere convivendo con i propri demoni.
Tra di loro era rimasta una bella amicizia: si sentivano ogni giorno ma si vedevano pochissimo perché alla fine GC ed il marito erano sì tornati in Italia, ma nel “profondo Nord”.
L non ce l’aveva minimamente con GC; piuttosto continuava a provare un senso di rimorso per averle fatto perdere del tempo prezioso.
E adesso, assieme, rimettevano piede in quel meraviglioso appartamento che, assieme, avevano arredato e personalizzato: ne era venuto fuori un particolare miscuglio tra minimal e fricchettone.
La casa era ancora piena delle loro cose…
C’era stato l’incontro un’oretta prima a casa di amici comuni e assieme poi il ritorno al cascinale, in quel piccolo quartiere di estrema periferia che un tempo era un paese ben distante dalla città e poi ne era stato inglobato, ma esteticamente manteneva intatta la sua aria di piccolo borgo.
GC si era anche detta felice di vedere la nuova auto di L mentre, a braccetto, scendevano le scale e salutavano gli amici.
L non aveva avuto brutte sensazioni quando l’ex fidanzata le aveva mandato un audiomessaggio circa un mese prima spiegando: -Siccome voglio vendere la casa ed è ancora piena di roba, molta della quale è tua, dovremmo trovarci e fare una cernita: per me puoi portarti via tutto quanto, comunque-
L non aveva avuto una brutta impressione quando l’aveva rivista, in tutto il suo splendore, seduta a tavola intenta a scolarsi il secondo Negroni nella strana cucina verde pistacchio dei loro amici: aveva pensato che non fosse cambiata di una virgola.
Non aveva percepito brutte sensazioni quando si erano abbracciate.
Non aveva provato cose sgradevoli nemmeno quando, raggiunto il cascinale, aveva aperto il cancello motorizzato del parcheggio usando il telecomando appeso alla chiave della propria auto:
-Non ci credo: funziona ancora?-
-La macchina è nuova ma il telecomando è sempre quello: un tasto per il cancello mio ed uno per questo-
Un minimo aveva ripensato a quanto era bello tornare dal lavoro, premere quel pulsante, infilarsi nel posteggio e, parcheggiata la propria auto accanto a quella di GC, scendere ed osservare un istante il panorama, prima di correre da lei e dalla loro cagnolina. Il parcheggio affacciava su campagna apparentemente incontaminata: pareva di trovarsi a centinaia di chilometri dalla città e, alla sera, la visuale sul tramonto era libera per chilometri!
Parcheggiarono in uno dei due posti riservati al loro appartamento. Percorsero il vialetto che conduceva al portico con l’ingresso: le siepi ed i praticelli erano in condizioni sempre perfette, curatissimi dall’inquilina impicciona che abitava a piano terra, alla destra del portone.
Salirono: le ripide scale secolari non erano cambiate di una virgola.
Erano protette dalle Belle Arti: non le si poteva demolire per sostituirle con una scalinata meno ripida e pericolosa.
Tante volte le due si erano dette che, prima o poi, qualcuno si sarebbe ammazzato volando giù per quei gradini o, quantomeno, si sarebbe fatto parecchio male.
Entrarono: il rumore della porta blindata riportò in mente ad L un miliardo di cose.
Già il corridoio, con l’originale soppalco, era invaso da cose buttate alla rinfusa.
Raggiunsero la cucina che era riempita da libri ed altre cianfrusaglie.
-Guarda: quelli sono i tuoi!- le fece GC indicando una selva di testi appoggiati sul piano di lavoro tra fornelli e frigorifero all’americana.
Quanto era bello tagliare le verdure guardando la campagna dalla finestra…
Quanto era bello il frigo con la macchina del ghiaccio…
Si misero ad infilare in grosse buste di tessuto tutti i libri di L, che in seguito iniziò a trovare cose interessanti anche tra tutti gli altri tomi messi un po’ ovunque:
-Ma questi sono miei!!!!!!-
-Infatti! Era improbabile che fosse roba mia!-
-Volevi buttarli via?-
-Cavolo, scusa...-
- “Never let me go” di Ishiguro? Se fosse finito nella spazzatura non ti avrei mai perdonata! E non puoi disfarti di questi!-
-Prendili tu: per me puoi portarteli via anche tutti. Quelli che volevo salvare li ho già portati da mia zia, in attesa di riuscire a trasferirli su...-
-Oh mio Dio: Peto!-
“Peto” era un libro su un cane, in lingua portoghese: un giorno che erano a far la spesa in un supermercato di Lisbona, durante una vacanza, lo avevano visto e avevano riso così tanto che avevano dovuto comprarlo.
Risero nuovamente, assieme.
Riempirono l’auto nuova fiammante di L con libri, alcune action figures e soprammobili stravaganti; poi tornarono nell’appartamento.
In salotto GC tentò di convincere L a portarsi via il mobiletto, con due cassetti molto capienti, dove un tempo tenevano tutti i joystick delle loro console, gli hard disk esterni ed i videogiochi.
-Oh, cavolo...- mormorò L, osservando un particolare mobile addossato contro una parete.
Era fatto a ponte ed era di un vistosissimo arancione. Aveva quattro ruote nascoste e una larghezza di poco superiore al loro letto matrimoniale: ci scorreva sopra, appositamente progettato per mangiare a letto o appoggiarci un laptop, un libro od un tablet.
“Consolle scorrevole Malm”, questo il suo nome ufficiale.
L non aveva mai avuto rimpianti o rimorsi per la fine della loro storia; ma a quel punto la sua mente fu sovrastata da ricordi di loro due a letto.
Gambe Chilometriche (per questo stava quel GC) intenta a studiare per l’università, mentre L scriveva i suoi romanzi e quel mobile strano con sopra i due laptop.
Il lungo lavoro per la tesi di GC, alla fine praticamente tutta realizzata da L.
Tutta la roba che avevano fumato a letto: su quella consolle arancione c’era sempre il kit per “far su”.
Le tonnellate di serie tv che avevano visto in quella stanza, per non parlare di tutti gli anime in giapponese che avevano amato.
Il sesso.
Ah, il sesso…
Quel mobile andava ovviamente fatto scorrere in fondo al letto per non dar fastidio la notte e durante il sesso ma, anche se era parcheggiato oltre la fine del materasso, misteriosamente finiva sempre che per la foga ci sbattevi una caviglia o un tallone contro!
I grandi occhi chiari di GC e quelli verdi e dal taglio aggressivo di L si incontrarono.
Si scambiarono un sorriso imbarazzato.
Gli zigomi di GC si fecero rossastri.
Balbettò un -Beh...sono stati degli anni fantastici-
-Sì, davvero favolosi-
L si sentì annegare nei ricordi e nei rimpianti: aveva la piena convinzione di aver fatto solo il bene di GC lasciandola libera; ma in quel momento le mancò il respiro.
Nella testa risuonarono queste domande: “E se mi fossi sforzata?”
“Se davvero l’avessi sposata?”
“Se fossi cambiata almeno un po’?”
“Passeremmo ancora tanto tempo in quel letto favoloso, con quel mobile geniale?”
“Avremmo formato una famiglia e saremmo invecchiate assieme?”
Non era la solita voce, ma la sua stessa coscienza.
Mentre si sentiva letteralmente morire trovò la forza di sorridere alla ex e spronarla: -Andiamo: ti accompagno da tua zia...-
Avevano convissuto lì per oltre sei anni, in uno degli appartamenti ricavati dopo la ristrutturazione.
GC avrebbe voluto sposarsi.
GC avrebbe voluto dei figli.
L aveva quella voce nella testa che le ripeteva continuamente che non sarebbe stato il caso:
-La farai solo soffrire, le causerai un sacco di problemi!-
-In fin dei conti le hai fatto perdere già un sacco di tempo!-
-Le persone come te dovrebbero sterilizzarle, per evitare che possano riprodursi e portare avanti il loro patrimonio genetico difettato!-
L aveva sempre pensato che la voce avesse ragione e quindi non aveva mai smesso di far presente a GC, fin dall’inizio, che
“Prima o poi dovrai fare la tua vita”
“Non potrai continuare a buttare via il tuo tempo con una persona come me”
“Io non potrò mai darti nulla di buono e finirò per tarparti le ali”
“Non ce la faccio a pensare al futuro e a programmarlo: ho sempre pensato che io un futuro non ce l’ho”
Alla fine GC era andata a lavorare all’estero, la storia a distanza aveva funzionato inaspettatamente bene e, dopo incredibili viaggi per incontrarsi a metà strada e passare magari anche solo qualche ora assieme, passato poco più di un anno si era licenziata.
Era tornata a casa con la consapevolezza di non poter stare senza L e con la convinzione ancor più marcata che avrebbero dovuto sposarsi e mettere su famiglia.
-Il Matrimonio è una istituzione anacronistica e credo di essere una delle persone meno indicate per mettere su famiglia- era il pensiero di L, immutato.
Alla fine, dopo un altro anno in cui le prime crepe nel loro rapporto si erano via via moltiplicate, fino a minarne le fondamenta e far venire tutto giù in modo improvviso, GC era tornata all’estero e avevano finito per lasciarsi.
Senza rabbia, senza rancore, senza litigi: GC aveva finalmente deciso di farsi la propria vita, come in fin dei conti L aveva invitato a fare praticamente ogni giorno durante gli anni passati assieme.
Essendo l'appartamento di proprietà di GC, nonostante questa le avesse detto che avrebbe potuto restarci senza problemi, L era prima tornata dai suoi genitori, per poi trasferirsi da un amico.
GC alla fine si era pure sposata: L pensava che il marito fosse proprio una brava persona.
L aveva continuato a sopravvivere convivendo con i propri demoni.
Tra di loro era rimasta una bella amicizia: si sentivano ogni giorno ma si vedevano pochissimo perché alla fine GC ed il marito erano sì tornati in Italia, ma nel “profondo Nord”.
L non ce l’aveva minimamente con GC; piuttosto continuava a provare un senso di rimorso per averle fatto perdere del tempo prezioso.
E adesso, assieme, rimettevano piede in quel meraviglioso appartamento che, assieme, avevano arredato e personalizzato: ne era venuto fuori un particolare miscuglio tra minimal e fricchettone.
La casa era ancora piena delle loro cose…
C’era stato l’incontro un’oretta prima a casa di amici comuni e assieme poi il ritorno al cascinale, in quel piccolo quartiere di estrema periferia che un tempo era un paese ben distante dalla città e poi ne era stato inglobato, ma esteticamente manteneva intatta la sua aria di piccolo borgo.
GC si era anche detta felice di vedere la nuova auto di L mentre, a braccetto, scendevano le scale e salutavano gli amici.
L non aveva avuto brutte sensazioni quando l’ex fidanzata le aveva mandato un audiomessaggio circa un mese prima spiegando: -Siccome voglio vendere la casa ed è ancora piena di roba, molta della quale è tua, dovremmo trovarci e fare una cernita: per me puoi portarti via tutto quanto, comunque-
L non aveva avuto una brutta impressione quando l’aveva rivista, in tutto il suo splendore, seduta a tavola intenta a scolarsi il secondo Negroni nella strana cucina verde pistacchio dei loro amici: aveva pensato che non fosse cambiata di una virgola.
Non aveva percepito brutte sensazioni quando si erano abbracciate.
Non aveva provato cose sgradevoli nemmeno quando, raggiunto il cascinale, aveva aperto il cancello motorizzato del parcheggio usando il telecomando appeso alla chiave della propria auto:
-Non ci credo: funziona ancora?-
-La macchina è nuova ma il telecomando è sempre quello: un tasto per il cancello mio ed uno per questo-
Un minimo aveva ripensato a quanto era bello tornare dal lavoro, premere quel pulsante, infilarsi nel posteggio e, parcheggiata la propria auto accanto a quella di GC, scendere ed osservare un istante il panorama, prima di correre da lei e dalla loro cagnolina. Il parcheggio affacciava su campagna apparentemente incontaminata: pareva di trovarsi a centinaia di chilometri dalla città e, alla sera, la visuale sul tramonto era libera per chilometri!
Parcheggiarono in uno dei due posti riservati al loro appartamento. Percorsero il vialetto che conduceva al portico con l’ingresso: le siepi ed i praticelli erano in condizioni sempre perfette, curatissimi dall’inquilina impicciona che abitava a piano terra, alla destra del portone.
Salirono: le ripide scale secolari non erano cambiate di una virgola.
Erano protette dalle Belle Arti: non le si poteva demolire per sostituirle con una scalinata meno ripida e pericolosa.
Tante volte le due si erano dette che, prima o poi, qualcuno si sarebbe ammazzato volando giù per quei gradini o, quantomeno, si sarebbe fatto parecchio male.
Entrarono: il rumore della porta blindata riportò in mente ad L un miliardo di cose.
Già il corridoio, con l’originale soppalco, era invaso da cose buttate alla rinfusa.
Raggiunsero la cucina che era riempita da libri ed altre cianfrusaglie.
-Guarda: quelli sono i tuoi!- le fece GC indicando una selva di testi appoggiati sul piano di lavoro tra fornelli e frigorifero all’americana.
Quanto era bello tagliare le verdure guardando la campagna dalla finestra…
Quanto era bello il frigo con la macchina del ghiaccio…
Si misero ad infilare in grosse buste di tessuto tutti i libri di L, che in seguito iniziò a trovare cose interessanti anche tra tutti gli altri tomi messi un po’ ovunque:
-Ma questi sono miei!!!!!!-
-Infatti! Era improbabile che fosse roba mia!-
-Volevi buttarli via?-
-Cavolo, scusa...-
- “Never let me go” di Ishiguro? Se fosse finito nella spazzatura non ti avrei mai perdonata! E non puoi disfarti di questi!-
-Prendili tu: per me puoi portarteli via anche tutti. Quelli che volevo salvare li ho già portati da mia zia, in attesa di riuscire a trasferirli su...-
-Oh mio Dio: Peto!-
“Peto” era un libro su un cane, in lingua portoghese: un giorno che erano a far la spesa in un supermercato di Lisbona, durante una vacanza, lo avevano visto e avevano riso così tanto che avevano dovuto comprarlo.
Risero nuovamente, assieme.
Riempirono l’auto nuova fiammante di L con libri, alcune action figures e soprammobili stravaganti; poi tornarono nell’appartamento.
In salotto GC tentò di convincere L a portarsi via il mobiletto, con due cassetti molto capienti, dove un tempo tenevano tutti i joystick delle loro console, gli hard disk esterni ed i videogiochi.
-Oh, cavolo...- mormorò L, osservando un particolare mobile addossato contro una parete.
Era fatto a ponte ed era di un vistosissimo arancione. Aveva quattro ruote nascoste e una larghezza di poco superiore al loro letto matrimoniale: ci scorreva sopra, appositamente progettato per mangiare a letto o appoggiarci un laptop, un libro od un tablet.
“Consolle scorrevole Malm”, questo il suo nome ufficiale.
L non aveva mai avuto rimpianti o rimorsi per la fine della loro storia; ma a quel punto la sua mente fu sovrastata da ricordi di loro due a letto.
Gambe Chilometriche (per questo stava quel GC) intenta a studiare per l’università, mentre L scriveva i suoi romanzi e quel mobile strano con sopra i due laptop.
Il lungo lavoro per la tesi di GC, alla fine praticamente tutta realizzata da L.
Tutta la roba che avevano fumato a letto: su quella consolle arancione c’era sempre il kit per “far su”.
Le tonnellate di serie tv che avevano visto in quella stanza, per non parlare di tutti gli anime in giapponese che avevano amato.
Il sesso.
Ah, il sesso…
Quel mobile andava ovviamente fatto scorrere in fondo al letto per non dar fastidio la notte e durante il sesso ma, anche se era parcheggiato oltre la fine del materasso, misteriosamente finiva sempre che per la foga ci sbattevi una caviglia o un tallone contro!
I grandi occhi chiari di GC e quelli verdi e dal taglio aggressivo di L si incontrarono.
Si scambiarono un sorriso imbarazzato.
Gli zigomi di GC si fecero rossastri.
Balbettò un -Beh...sono stati degli anni fantastici-
-Sì, davvero favolosi-
L si sentì annegare nei ricordi e nei rimpianti: aveva la piena convinzione di aver fatto solo il bene di GC lasciandola libera; ma in quel momento le mancò il respiro.
Nella testa risuonarono queste domande: “E se mi fossi sforzata?”
“Se davvero l’avessi sposata?”
“Se fossi cambiata almeno un po’?”
“Passeremmo ancora tanto tempo in quel letto favoloso, con quel mobile geniale?”
“Avremmo formato una famiglia e saremmo invecchiate assieme?”
Non era la solita voce, ma la sua stessa coscienza.
Mentre si sentiva letteralmente morire trovò la forza di sorridere alla ex e spronarla: -Andiamo: ti accompagno da tua zia...-