L'estraneo interiore
Inviato: 21/03/2023, 8:17
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Nel definire una distinzione fra realtà e fantasia vi sono sempre state delle criticità che vale tuttora la pena di esaminare, seppur forse invisibili alle menti meno sensibili. Nello specifico, occorre riflettere su come l’idea di ritenere il mondo della veglia più concreto rispetto a quello onirico sia data per scontata, nonché eretta su una visione collettivamente assodata ma instabile.
I sogni non godono della stessa considerazione attribuita agli avvenimenti reali per via del fatto che è difficile riscontrarvi un significato interpretabile dalla ragione. Di rado si comprende come essi siano parte integrante della vita concreta, e che anzi esercitano su quest’ultima un’influenza non indifferente. L’immaginazione inconscia si avvale di un linguaggio ermetico spesso incomprensibile alla razionalità, grazie al quale è capace di comunicare indizi che rivelano bisogni o desideri celati. Ad oggi è di tendenza piuttosto comune ignorare ciò che la mente trasmette attraverso i sogni o le fantasticherie incontrollate, finendo per recepire il messaggio solo quando le conseguenze del suo contenuto si scontrano violente contro il muro del reale.
In generale, la fantasia ha molto più a che fare con la realtà di quanto non si pensi, poiché se si indagasse a fondo si scoprirebbe come l’una condizioni l’altra in continua alternanza, mediante gli strumenti di cui ciascuna dispone. È quasi un tutt’uno, solamente che è la forma di manifestazione a cambiare, mentre la sostanza rimane la stessa.
Ecco dunque la vera differenza: pura e semplice forma. Tuttavia tale differenza implica altri aspetti nascosti che caratterizzano la fantasia ma non la realtà, primo fra tutti la sua estrema sfuggevolezza. Se nel concentrarsi su un qualsiasi fatto reale riesce facile tenere fissa la mente, lo stesso non si può dire dei sogni o dei ricordi più remoti, a tratti obliati. Quella incredibile sensazione paradossale che si prova nei primi istanti in cui un sogno riemerge ma che viene in fretta trasformata (se non soffocata) non appena ci si medita troppo sopra o si tenta di tradurlo con le parole, da sempre accompagna gli uomini dotati di alta sensibilità. Provando anche solo a ricercarne la provenienza o la causa, il sogno perde di ogni misterioso fascino che lo qualifica ed i pensieri si spostano su altro, poiché ciò che si sta tentando di fare è afferrare una bolla di sapone con le dita. Talvolta, tramite l’uso dei simbolismi si può sperare di comunicare una visione onirica conservandone le emozioni originarie, senza che queste vengano alterate dagli inevitabili limiti imposti dall’impiego della parola: ma questa è un’impresa ardua persino per gli artisti più audaci.
Nonostante si possa dunque ritenere l’immaginazione come null’altro che una diversa forma espressiva di cui si serve la mente, certi sogni sembrano scaturire da una fantasia così profonda da risultare tanto insensati quanto estranei. Chi non ha mai sperimentato, almeno una volta nella vita, quell’anomalo innalzamento immaginativo che si verifica dopo il risveglio da un lungo sonno? Sogno e realtà paiono fondersi come se si fosse fatto ritorno da un mondo a cui non si sente di appartenere interamente; ma poi tutto torna alla normalità. La sensazione è il più delle volte piacevole, ma quando si riacquista piena coscienza sulla vita quotidiana e sugli affari da sbrigare si viene avvolti da una strana malinconia, che per certi animi si traduce nella nostalgia per un regno offuscato del quale non sopravvive un ricordo completo. Tutto ciò che rimane sono reminiscenze frammentate e confuse: alcune meno di altre, ma pur sempre pezzi di un puzzle che non è possibile ricomporre così per come era in origine.
Per quanto mi riguarda direttamente, non oso immaginare in quale folle stato d’orrore mi ritroverei se fossi tenuto a rammentare per intero la mia ultima, tremenda esperienza onirica; benché possa essere fuorviante denominarla tale.
Sin da giovane ho sofferto di una condizione tediosa che induceva il mio sonno a interrompersi ogni notte. Quando questo accadeva, puntualmente riemergevo dalle sue fasi più profonde e per i primi momenti venivo travolto da un forte senso di disorientamento. In molti casi mi sembrava di non riconoscere l’ambiente circostante, ed i pensieri erano rivolti altrove, verso posti lontani non appartenenti alla mia vita. Sia che poco prima stessi sognando oppure no, l’estraneità che mi coglieva era sempre la stessa; tuttavia la sensazione era di breve durata, e a seguito della ripresa di coscienza seguiva un nuovo addormentamento. Al successivo risveglio, quando il sole era già alto nel cielo, la familiare eppure sconosciuta percezione si ripresentava, seppur in forma attenuata, accompagnata da un’inevitabile stanchezza.
Ricordo un caso, in particolare, in cui mi svegliai in preda all’affanno. Come al solito faticavo a capire dove mi trovassi, nonostante un barlume di consapevolezza mi suggerisse la verità. La mente era un turbine di pensieri assurdi ed idee fantasiose che mai si potrebbe vivere durante la veglia, e il cui frutto non possono essere altro che i sogni. In effetti, era come se stessi sognando pur senza dormire.
La singolarità di quell’episodio nasceva forse dal fatto che, al contrario degli altri casi, dovette trascorrere molto tempo prima di riaddormentarmi. Constatando che il sonno non accennava a tornare, mi alzai dal letto e mi affacciai alla finestra. Fuori la luce dei lampioni illuminava le strade deserte, attraversate da sottili strisce di nebbia fluttuanti. Lo scenario restituiva colori che interpretavo in modo del tutto bizzarro e nuovo, come a servirmi della vista per la prima volta. Ma non si trattava soltanto della vista: infatti sentivo di star adoperando altri sensi estranei a quelli comuni, più vaghi ed evanescenti, i quali mi permettevano di cogliere delle strane sfumature oniriche in ogni dettaglio della notte. Fu allora che provai la prima inquietudine derivante da quel tipo di esperienze, poiché ebbi come l’impressione di non trovarmi per davvero nella mia stanza, avvertendo invece che il mio vero io si fosse traslato in un qualche luogo remoto e oscuro che non conoscevo.
Ma l’autentico orrore lo sperimentai solamente in seguito, durante la notte il cui ricordo non racchiude altro che paura. Quanto segue costituisce il breve tentativo di trasporre su carta tale paura, per quanto sia consapevole che il sentimento da me provato in origine ne risulterà inevitabilmente alterato.
Ancora una volta mi ridestai da un sonno senza dubbio molto profondo, e ancora una volta fui preda dell’angoscia più oppressiva. La testa mi doleva terribilmente, invasa da una tempesta di concetti impossibili. La cognizione del tempo e dello spazio non mi aveva ancora abbandonato del tutto, ma nel giro di pochi istanti ogni certezza s’indebolì. Percepii i sensi evaporare uno dopo l’altro, farsi sempre più flebili, insignificanti; finché la materia intorno a me assunse un altro tipo di concretezza. Poi si accesero nuovi sensi, più fini ed orrendamente differenti da quelli di cui gli esseri organici sono dotati. Grazie ad essi potevo scorgere ciò che si cela dietro il velo della corporeità, oltre l’orizzonte del visibile, sotto gli strati della sostanza. Il sogno, o l’incubo, più intensamente vivido stava pervadendo ora la mia mente, ma ero sveglio.
Poi, la consapevolezza della mia identità prese a vorticare in un maelstrom di terrore inconoscibile, dentro cui era presto destinata a sprofondare. Ritagli di coscienza si stavano lentamente staccando dalla mia mente per fare spazio ad altre aliene percezioni che non avevano nulla a che fare con me, ma che mi costrinsero a sondare orrori che dimorano su altri piani di esistenza, normalmente eclissati dalla logica e dal pensiero razionale. Ciò che stavo vivendo era un’autentica dissociazione dello spirito e del corpo: per la prima volta, i contenuti più inintelligibili che la mente occulta si erano manifestati davanti alle porte della ragione, ed un’altra parte di me era emersa per cercare disperatamente d’interpretarli; ma che cosa stava trovando?
Tutto culminò con una definitiva, misericordiosa perdita di coscienza. Il mattino mi trovò in uno stato di completo sbigottimento: la luce che filtrava attraverso la finestra rendeva ogni immagine nuova e familiare allo stesso tempo, come se mi fossi risvegliato da un sonno infinitamente lungo, del quale conservavo una concezione temporale distorta. Mi sembrava che non facessi uso della vista e degli altri sensi per molto tempo.
Da allora gli effetti della mia condizione scemarono fino a svanire, restituendo la pace al mio sonno. Eppure la notte i sogni si fanno inquieti, e durante il giorno mi pare di vedere strane cose che non dovrebbero esistere. La mia immaginazione si è elevata a livelli notevoli, al punto che alle volte si ritrova ad un passo dal soverchiare ogni pensiero logico. Non so se sono sull’orlo della follia, ma certamente non sono più lo stesso.
Ho compreso che l’uomo conosce solo una parte di sé, ed in pochi sanno confrontarsi con la paura di non riconoscere il proprio volto nello specchio dell’io più recondito. La realtà non è che una limitata componente derivante dal filtro a cui un cervello sottopone il mondo: ma tutto il resto, in quali neri abissi precipita?