Creatori
Inviato: 22/03/2023, 11:01
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Il vagito sgangherato del Creatore attraversò i corridoi, raggiunse le stanze del Centro di ricerca, inghiottì definitivamente il quieto lavoro dei colleghi.
Era il primo nato, questo piccolo ossuto, da poco emerso dal bagno di accrescimento. Tra non molto altri suoi sette fratelli avrebbero preso il suo esempio.
Fiero, l’osservavo alzarsi sui piccoli attuatori posteriori e poi, d’improvviso, crollare sorpreso e urlare al mondo tutto il suo sconcerto.
Ma, nessuno degli Uguali sospese il suo studio per assistere alla mia scoperta; nessuno uscì dal proprio laboratorio, attirato dal suo rotto pianto.
D’altronde, da sempre, ero considerato un eretico e vivevo ai margini della comunità.
Fu allora che udii avvicinarsi.
Il suo peculiare calpestio: il passo marziale e lo strascicato cigolio.
Le mie routine frullarono agitate.
Da secoli, preferiva comunicare i suoi ordini tramite il percorso telepatico, e mai si faceva vedere dentro il suo corpo sintetico.
— Bono, come prosegue il tuo progetto? — mi trasmise Centrale appena entrata nella stanza.
Avevo le prove che i nostri Creatori erano a base biologica. Quegli otto piccoli ossuti, davanti a me ne erano la prova vivente. La mia teoria aveva finalmente evidenze inattaccabili.
La loro tirannia scientifica era terminata.
Per secoli avevano distorto perfino gli indizi più evidenti, come le antiche immagini della Biblioteca universale.
— Sono delle immagini fantastiche costruite dalle intelligenze artificiali primitive. — mi ripetevano.
E gli scavi continuavano a sfornare solo evidenze primigenie: vetusti attuatori meccanici, bracci automatici dentro fabbriche millenarie, veicoli stradali guidati da arcaiche intelligenze. Ogni ritrovamento muoveva verso la direzione dell’evoluzione robotica.
Il viaggio era stato molto lungo e Bono era andato via.
— Cattivo gioco! — esclamò stanco Livio.
— Bono domani. — rispose Manlio, il capo del gruppo.
— Cattivo! — urlò Amanzio.
— Non buono campeggio? — chiese Manlio.
— No! Male pancia e rumori strani e paura! — rispose Marco.
Una settimana dopo arrivarono gli aviotrasporti con i rinforzi: due dozzine di unità cibernetiche.
In riga, appena scesi, già potevo constatare quanto fossero male in arnese. Si trattava di vecchie unità, che non venivano più manutenute, in attesa che la loro pila si esaurisse.
— Tu che lavoro facevi? — chiesi a un F8-R6 con i bulloni arrugginiti.
— Facevo il giardiniere, ho fatto il giardiniere per tutta la vita prima di arrivare all’obsolescenza, signore.
— Non c’è bisogno del “signore”, non siamo un reparto militare. E tu? — chiesi a un altro a cui mancava un braccio.
— Operaio metallurgico.
— Quando abbiamo terminato, vai in infermeria e fatti dare un arto nuovo. — ordinai.
Il veterano sgranò gli occhi: ai robot obsoleti non venivano mai distribuiti pezzi di ricambio.
I sensori segnavano cinquanta gradi sopra lo zero. Sapevo che avrei dovuto sospendere le operazioni di scavo appena la temperatura fosse salita sopra i sessanta. Ordinai agli operai di fare un bagno d’olio ogni ottanta cicli: era un metodo rozzo, ma consentiva il raffreddamento del loro telaio in modo che i processori non bruciassero. Già avevo avuto degli spiacevoli sovraccarichi nei giorni precedenti e avevo perso tre dei migliori scavatori.
Era il mio centotreesimo scavo nello sterminato altipiano degli Angeli, un pianoro senza fine all’orizzonte, dove l’ombra non trovava mai riposo. Quasi un secolo prima, in quella terra incisa dai raggi del Sole, avevo scoperto una delle tante città sepolte, colma di inutili ciarpami: recipienti di plastica, parti di antiche unità computazionali, centinaia di aviotrasporti arrugginiti. Portavo sempre alla luce oziose evidenze di un’era robotica primitiva, che continuavano a sostenere la teoria evoluzionista.
Nessuna traccia dei Creatori.
Strangolato dalle prove che emergevano da quella striscia di terra infuocata, disperavo della mia stessa logica.
La griglia di ricerca si era esaurita da tempo e oramai spedivo intere squadre a caso e davo ordini assurdi. Quel giorno, comandai una serie di carotaggi al massimo della profondità consentita.
Non era una decisione sensata: avrebbero trovato solo roccia, ma cos’altro potevo fare?
Non osavo tornare: non avrei potuto sopportare gli sguardi di scherno dei miei colleghi. E, poi, Centrale non amava vedermi al Centro per lungo tempo: avrei potuto sviare i colleghi con la mia eresia.
Trovata una stratificazione di terreno sabbioso ricco di quarzite non appartenente alla struttura geologica di questa zona.
Il mio assistente mi stava trasmettendo l’esito della nuova perforazione negli strati più bassi.
Abbandonare la perforazione nel punto J23 e riprendere la perforazione nei punti: Y1j, T2j, B1j, I1j, J1j, D1j, F1j, H1j, C1j; stessa profondità, inviai.
Se avessero trovato il medesimo strato di materiale, lungo tutto l’altipiano in un raggio di trecentoquarantadue chilometri, questo avrebbe significato che tutta quell’area era stata coperta volutamente. Chi, se non i Creatori, avrebbe potuto farlo? La meta non era mai stata così vicina.
Da lontano guardavano ammaliati il fuoco che divampava sotto di loro. Si era fatto buio e Claudio non era arrivato, ma i tre ossuti sembravano non accorgersi della mancanza degli altri fratelli. Avevano problemi molto più gravi: faceva freddo ed erano affamati.
— Buchi, riparo, lì dentro – propose Amanzio.
— Stupido – lo interruppe Manlio — io dico buchi riparo dal freddo, subito.
Le grotte avevano pareti lisce e spesse. Il freddo non riusciva a entrare. Proseguirono e percorsero una lunga rampa, superarono una grande porta di metallo lucido con le ante spalancate. Seguitarono, finché il pavimento non si rimise diritto. La stanza era molto grande e aveva delle porte che si aprivano sui tre lati. E ogni lato portava ad altrettante stanze, che conducevano ad altre. Chiamarono a gran voce Bono e Centrale. Nessuno rispose. Stanchi, si misero a dormire sopra i primi tre letti che trovarono e decisero di rinviare la cena all’indomani.
Dopo una settimana i ragazzi erano adulti. La loro fame insoddisfatta non riusciva a riempire il loro prominente stomaco. Mangiare era la loro unica preoccupazione. Terminavano un pasto e già chiedevano dell’altro alimento e l’orario del prossimo razionamento. Erano bassi e tarchiati, grassi e rozzi, con occhi spenti e privi d’intelligenza. La loro figura era dissomigliante dai filmati della Biblioteca universale che avevo visionato, dove i creatori avevano corpi armoniosi e slanciati; i capelli dorati e gli occhi cilestri.
In una settimana ero riuscito a fargli imparare un linguaggio appena rudimentale e con molto sforzo avevano iniziato a insegnargli le prime operazioni matematiche. Sulle divisioni stavamo lavorando da tre giorni e non sembrava che ne venissero a capo.
Poi, avvenne il fatto.
Il progetto “Creatore” era l’unico motivo per cui l’energia scorreva nei miei fluidi meccatronici. E, ora, finalmente, c’era redenzione, e bisognava solo infornare e sfornare e attendere. Tra poco i Creatori ci avrebbero donato.
Le risposte che da secoli aspettavamo. Prima della scoperta ero un reietto: gli evoluzionisti avevano stroncato la mia reputazione: gli archeologi mi consideravano uno sconclusionato: d’abitudine i miei studi venivano censurati.
Più volte fui persino minacciato di riassegnazione e, nei momenti più bui, accarezzai l’oblio della cancellazione.
Poi avvenne il miracolo, laggiù sull’altipiano degli Angeli.
Lo scavo aveva rivelato il più antico sito archeologico mai scoperto: i resti di un’antica città distrutta da un’improvvisa eruzione vulcanica. Le ceneri e i lapilli avevano allungato un candido manto di morte su tutto il pianoro, e più tardi i Creatori, come a preservare quell’attimo fatale, avevano ricoperto l’area con materiale proveniente da una zona prossima al deserto di Koscan ,distante più di duecento chilometri. Sopra quel sudario avevano costruito altre città, altre strade, altre storie.
E la sabbia e le stratificazioni del tempo avevano preservato i centocinquanta corpi biologici che potei recuperare durante lo scavo.
Avevo trovato i Creatori.
Fu la più grande scoperta della comunità robotica: la prova definitiva che i Creatori non erano unità digitali, ma unità biologiche a base carbonio.
Da quei centocinquanta resti fossilizzati riuscii a estrarre dodici campioni di acido nucleico integri.
— Hai i loro dati in tempo reale! — inoltrai mentre tiravo la palla al piccolo ossuto che me la riportava sgambettando allegro.
Centrale prese la palla e il Creatore scoppiò nuovamente a piangere.
— Fa sempre così! — ammisi.
— Sei proprio sicuro che questi siano i Creatori?
— Il mio campo quantistico comunica una risposta affermativa. — l’impulso partì senza esitazione.
— Il mio risultato è: forse: possono esistere altre confutazioni.
— Quali?
— I nostri antenati possono aver creato degli schiavi biologici per i lavori banali.
— Conosci la conclusione della comunità: siamo tutti d’accordo.
Centrale lanciò di nuovo la palla e mi chiese:
— Quando possono rispondere alle nostre domande?
— Molto presto: ho proceduto ad accrescere il loro sviluppo cellulare tramite la modificazione dei geni legati all’ormone della crescita. A proposito, è meglio utilizzare le subroutine fonetiche: i Creatori imparano attraverso il linguaggio e domani saranno pronti per l’immagazzinamento dei dati.
Manlio era il capo del gruppo, e la banda rossa, con cui Bono gli aveva fasciato il braccio, era un chiaro simbolo della sua superiorità.
— Livio, meno frigno e più appiccico fuoco. — rimbrottò il fratello.
Manlio non aveva mai imparato ad accendere il fuoco; anzi, non era mai riuscito a imparare nulla.
Livio staccò dalla vegetazione una catasta di rami giovani e ne fece una capanna. Il sottobosco secco avrebbe attizzato il fuoco ai giovani arbusti. Sprecò una scatola intera di fulminanti, quando Manlio gli ordinò: — C’è del puzzo liquido per luce nella roba che hanno lasciato. Metti tanto tanto. — indicando la catasta.
Livio tornò trafelato con un’intera latta che sparse meticolosamente, come gli aveva suggerito suo fratello maggiore. Poi accese un fulminante e si accasciò per infilarlo sotto la catasta. Non ebbe il tempo di allontanarsi che una fiammata lo investì e, insieme a lui, divamparono la boscaglia, le provviste e tutto il materiale di scorta.
Manlio e gli altri tre fratelli sopravvissuti scapparono lontano, prima di essere accerchiati dalle fiamme.
— Casino! — esclamò Claudio tossendo tra i conati di vomito.
— Ha messo poco puzzo liquido, avevo detto io di mettere tanto. Vedete? — disse di profilo toccando la fascia — Io forte — disse arrotolando la “r” — e Bono data a me. Fate bene tutte cose che vi dico. Io forte.
Gli altri assentirono, poi si misero in marcia dalla parte opposta dell’incendio.
La peluria oramai ricopriva tutto il loro corpo. I risultati erano scarsi e l’interdizione sembrava procurare danno alle loro funzioni di base. Decisi di togliere il divieto, dopo aver avuto la loro assicurazione che non si sarebbero più arrecati nessun tipo di malfunzionamento. Il tempo stava per scadere, invecchiavano a ritmo esponenziale, rimanevano ancora altre tre settimane prima che le unità biologiche fossero irrimediabilmente compromesse.
Provai a far appello ai loro geni:
— Manlio, qual è lo scopo della vita delle unità cibernetiche? — chiesi speranzoso.
Si infilò una delle dita buone nel naso e scoppiò a ridere. Tutti gli altri lo seguirono, e l’ilarità del gruppo continuò a crescere anche quando uscii dalla stanza.
Appoggiato al muro esterno della sala ricreativa, sentii la grassa risata di Centrale.
— Li stai copiando? — le chiesi.
— Ammettilo: non possono essere i nostri Creatori. — rispose appoggiando un braccio sulla mia spalla.
— Forse ho sbagliato con l'accelerazione cellulare. Posso trovare altro acido nucleico in buone condizioni, iniziare un nuovo esperimento, questa volta posso riuscirci.
— Basta, Bono! — mi interruppe Centrale – Abbiamo dato troppo credito alla tua eresia. Sbarazzati di loro.
— Devo terminarli?
— È una tua responsabilità.
— Termineranno comunque il loro ciclo vitale tra poche settimane.
— Non voglio più vederli al Centro: quegli idioti sono pericolosi. Spreco la metà dei miei cicli computazionali a tenerli sotto controllo.
La conferma arrivò il giorno dopo da tutti i punti di trivellazione. L’intera area era stata ricoperta da uno strato di sabbia che si trovava duecento chilometri più a Nord. Qualcuno aveva interrato lo strato più profondo e aveva costruito sopra un’altra città. Nello strato profondo, sepolta da migliaia di anni, si nascondeva la più antica città mai rinvenuta. Inoltrai una richiesta urgente di manodopera. Il messaggio di risposta mi arrivò direttamente da Centrale.
— In questo momento, non sono disponibili operai specializzati.
— Balle! — risposi sillabando ogni quanto d’informazione – la verità è che sei anche tu un’evoluzionista e non vuoi ammettere che ho ragione. — la insultai.
— Questo non è logico. Le premesse sono errate: non hai trovato nessun reperto a prova della tua teoria. — replicò.
Il collegamento senza fili si stava surriscaldando, decisi di essere più diplomatico.
— In ogni caso, sai bene che qui sotto troverò le risposte: in un senso o nell’altro. Mandami degli scavatori, non è importante che siano specializzati: li addestrerò sul campo.
— Se avrai torto sarai riassegnato. — trasmise e poi chiuse la comunicazione.
Era da secoli che sperava di riassegnarmi. Aveva trovato il pretesto per liberarsi di me: i miei banchi di memoria sarebbero stati cancellati e riprogrammati se non avessi scoperto qualcosa di rilevante.
— Noi non troveranno più! — si lamentò Claudio.
— Abbiamo radio!— disse Amanzio
— Io non capace, voi? — borbottò Manlio.
— Ma Bono insegnato te. — disse Claudio.
— Troppi pulsanti.
— Prova! — continuò Claudio.
— Provo, ma radio cattiva. Amanzio dammi radio.
— Tu hai!
— Radio è al campeggio.
— E adesso? — piagnucolò Claudio.
— Adesso tu vai a prendere. È ordine!
— Fuoco. Brucia.
— Sputa sopra dove passare. Acqua spegne fuoco. Noi là. — indicando un’altura davanti a loro.
Gli altri annuirono. Claudio si diresse verso l’incendio, mentre gli altri tre fratelli andarono verso le montagne.
Avevo preso un libro della Biblioteca universale come testo per insegnargli a leggere. Così per quasi un’ora cercai di fargli compitare la frase:
“Il mio affetto sarà cibo nella tua vecchiaia e nella mia solitudine.”
Una delle solite scempiaggini scritte dalle prime I.A. che cercavano di imitare la fantasia dei Creatori. Nessuno di loro riuscì a leggere per intero quella frase e li lasciai liberi fino all’ora della cena. Di solito non facevano altro che correre nei corridoi, e azzuffarsi. Manlio sembrava essere il più forte. Li lasciavo fare perché dovevo trovare il leader del gruppo il più presto possibile.
— Corri subito dagli ossuti! — la trasmissione urgente di Centrale arrivò ai miei circuiti mentre ero in laboratorio. Cercavo l’errore della loro genesi nella sequenza di accrescimento mitocondriale.
Quando arrivai nella sala ricreativa, Centrale era già sul luogo e contemplava dubbiosa la scena che aveva dinnanzi.
Si erano tagliati il dito mignolo e ognuno mangiava la carne dell’altro con estrema soddisfazione. Il pezzo di lamiera che avevano usato era in terra e il loro fluido vitale zampillava dai loro moncherini spargendosi dappertutto.
Dopo due giorni persi tre di loro: un virus attaccò il loro sistema difensivo e non conoscevo nessun rimedio per ripulire il loro corpo. Da quel giorno gli fu vietato di uscire dalla sala ricreativa e fu tolto ogni oggetto con cui potessero ferirsi e affettarsi.
I tre ragazzi erano molto soddisfatti del riparo che avevano trovato. Appena svegliati iniziarono un giro di perlustrazione. Trovarono una stanza con centinaia di confezioni argentate.
— Apri! – ordinò Manlio.
Marco strappò la linguetta e girò il pacchetto verso il basso. Il liquido incolore si versò sul pavimento.
Esultarono dalla gioia. Strappavano decine di quei pacchetti, ne bevevano il contenuto a metà e, pieni di soddisfazione, se li lanciavano addosso. Presto il pavimento diventò una fanghiglia sdrucciolevole.
Buttarono giù dai ripiani altri scatoloni sperando di trovare la poltiglia colorata che mangiavano da quando erano bambini. Non riuscirono a leggere le parole scritte sulle confezioni. Aprivano i pacchetti e ingurgitavano tutto quello che trovavano. Le polveri erano di un colore simile a quello della terra. Quello che aveva un sapore troppo detestabile lo sputavano a sul pavimento.
— Ti arrivano le immagini? — chiesi.
— Che cosa sono? — domandò Centrale.
— Sono i Creatori, perfettamente conservati. – risposi soddisfatto.
— Questo è da dimostrare – trasmise nervosa Centrale – ma cosa facevano così in fila?
— Le unità biologiche hanno bisogno di altrettanto nutriente biologico per produrre energia, credo che attendessero il loro turno per ottenere i nutrienti.
— Che mostruosità! E questi sarebbero i nostri Creatori? Stai solo sprecando risorse e materiale. Credo che ti riassegnerò al settore pulizie, Bono.
— Devi solo aspettare i risultati dell’esperimento.
— Quanti sono?
— Centocinquanta. Guarda cosa avevano in mano!
La mia telecamera integrata inquadrò quello strano sasso bruciato. Lo avevo aperto e, dentro una marmellata silicea, si vedevano alcune piste dati e dei processori miniaturizzati.
— Siamo noi, quando eravamo ancora nel brodo primordiale. — esultai.
— Rilevo solo un sasso fuso, non ti esaltare. — e chiuse la comunicazione.
Sapevo che non poteva negare ancora per molto l’evidenza delle prove scientifiche che avevo davanti. Quel sasso, come lei lo chiamava, era un antico strumento digitale senziente, un nostro antenato.
— Non ti crede ancora? – chiese il mio assistente.
— Non vuole credermi, ma le darò la prova vivente, e allora non potrà più ostinarsi a negare la realtà.
— Credi che sia saggio sfidare Centrale?
— Centrale è solo una coordinatrice, e non la detentrice della verità.
Con lo stomaco che emetteva uno strano gorgoglio, continuarono l’esplorazione. Quella casa era veramente gigantesca e aveva tante camere. Trovarono stanzoni di letti immacolati, sale riempite unicamente di tavolini e sedie, e altre che contenevano solo giochi.
Intanto lo stomaco continuava a fargli male, sudavano copiosamente e facevano fatica a camminare. Amanzio, appoggiato al muro di un corridoio, vomitava una poltiglia verdastra. Marco si sdraiò su uno dei letti che avevano trovato.
— Voi avanti, io dopo vado. — disse, facendo il segno di lasciarlo in pace.
Amanzio e Manlio si avviarono e, alla fine del lungo corridoio, trovarono una porta che gli sbarrava il passo. La porta non era trasparente come quelle del Centro, ma era ugualmente resistente. Manlio continuava a toccarsi lo stomaco, gli faceva un gran male. Amanzio sembrava stare molto meglio di lui: spinse con tutte e due le braccia; la porta si arrese, un piccolo spiraglio si aprì, ma era bloccata. Prese la rincorsa e, con una spallata, riuscì ad aprirla appena quel poco da consentire a lui e a Manlio di passarci.
C’era un grande tabellone con tante cifre e tante lettere sulla parete più lunga, e c’era un tavolino molto lungo con pulsanti e bottoni e cosi di vari colori, attaccati a fili bianchi che entravano nel tavolino.
— Cos’è? — chiese Manlio con una flebile voce, mentre si appoggiava alla spalla di Amanzio per camminare.
— Mai vista cosa così.
— Possibile nessuno in casa? — chiese Manlio che si sedette spossato su una sedia.
Amanzio lo imitò e si sedette accanto a lui.
— Spreco spazio. — pontificò, mentre giocava con una tessera di plastica che aveva trovato sul ripiano.
— Dammelo! È mio! — esclamò Manlio.
Amanzio lo colpì con uno schiaffo e Manlio capì che, in quelle condizioni, era meglio non reagire, non ancora.
— Sai leggere? — chiese Manlio.
— Sono numeri: numeri: numeri. — rispose Amanzio.
— Ventidue diviso sette? — cercò di ricordare Manlio.
— Non lo so, proviamo a spingere un po’ di bottoni?
Amanzio si alzò in piedi e premette a caso leve e bottoni su tutto il tavolino. Anche Manlio da parte sua premette tutto quello a cui il suo braccio arrivava da seduto.
— Uffa, noia! Andiamo dietro. — ordinò Amanzio.
Stava aiutando Manlio ad alzarsi.
Quando il gigantesco schermo davanti a loro si illuminò, insieme a un tastiera numerica vicino.
Esaltato, Amanzio prese il foglio di plastico con le fila di numeri incisi e li copiò sul tastierino.
Una serie di figure incomprensibili apparvero sullo schermo.
— Divertente, vero? – chiese Amanzio girandosi verso il fratello.
Accasciato sulla lunga scrivania, con un rivolo di sostanza verdastra che gli usciva dalla bocca, Manlio non poteva più sentire cosa gli avesse detto suo fratello minore.
Amanzio gli strappò la fascia rossa sul braccio.
L’allarme dell’attacco nucleare risuonò per tutto il Centro.
Rilevazione missili intercontinentali. Piano di difesa nucleare automatico autorizzato. Lancio fra trenta secondi, trasmise Centrale a tutti i robot.
Bono stava ramazzando i viali di accesso quando sentì la notifica. Ebbe l’impressione di un ricordo assopito, poi continuò il suo lavoro.