Lo specchio
Inviato: 23/09/2024, 23:48
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Come ogni sera, Antonia si prepara per il riposo notturno, non va mai a dormire senza essersi tolta il trucco e applicata la crema da notte facendola penetrare sul suo volto con massaggi accurati; è molto meticolosa e da sempre si prende cura del suo aspetto al fine di allontanare quanto più possibile il passare del tempo che, inevitabilmente, lascia tracce sui volti, e non solo, di chiunque.
Di solito procede rapida a quei doveri nei confronti di se stessa, ma quella sera succede qualcosa che la turba profondamente.
E’ davanti allo specchio e vede, si osserva con una lucidità come mai prima di allora, e all'improvviso capisce e percepisce la realtà, una verità che ha cercato in tutti i modi di rimuovere, ma adesso è lì, davanti a lei e non può più illudersi.
Di fronte ecco riflettersi una donna vecchia e stanca, col viso dal colorito giallognolo solcato da profonde rughe, gli occhi spenti e circondati da una fitta trama di piccoli solchi, la capigliatura liscia e canuta.
Sì, è lei, è sua l’immagine che ha di fronte, fa fatica ad accettare quella visione che le appare devastante.
Non regge e piange, lacrime copiose le solcano il volto, che fu bello, e scendono lente dopo aver attraversato la sua faccia dove l’impietoso scorrere del tempo è anche troppo evidente.
Continua in silenzio a versare lacrime senza emettere alcun suono, quasi per pudore, come se non potesse neppure permettersi un lamento.
Poi accade qualcosa, all'improvviso succede ciò che ha dello straordinario, del miracoloso e dell’incredibile.
Lo specchio le rimanda un’altra visione, la vecchia non c’è più, è scomparsa.
Al suo posto è apparsa la bellezza, la gioia e la giovinezza.
A quel punto ha anche smesso di piangere, guarda attonita la leggiadra immagine riflessa; avverte un capogiro, è malferma sulle gambe e si aggrappa con forza al mobile che sostiene l’oggetto che, impietosamente, pochi minuti prima, l’aveva mostrata senza filtri, così come era. E poi la voce…sente parlare.
“Va bene che è passato tanto tempo ma potresti anche ricordarti, riconoscermi, quasi quasi mi irriti un poco, ma solo un poco però, perché comprendo e non mi offendo più di tanto”
“Ah sì, certo che sì, adesso ti riconosco. Eri tanto bella, con le gote rosee, il volto tondo e paffutello, gli enormi occhi scuri circondati da lunghissime ciglia nere, i dentini bianchi e perfetti che brillavano tra le labbra larghe e carnose quasi sempre sorridenti.
Avevi i capelli color del grano maturo che portavi con le trecce fermate da due fiocchi vistosi e colorati, mentre le ciglia e sopracciglia erano scure. Alcuni arrivarono a dire che allora ti tingevi, ciò ti dava giustamente fastidio. Ovviamente non era vero, eri così, bionda naturale e con gli occhi scuri, anche in ciò un poco fuori dal comune”
“Bene, adesso mi rincuori, sono davvero tanto felice, mi avrebbe veramente dato fastidio essere finita nel dimenticatoio. E no, non avrei proprio potuto accettarlo. Non devi mai e poi mai dimenticarti di me, se accadesse non potrei proprio perdonarti”
“Ma no, non mi sgridare, scusami tanto, è trascorso così molto tempo che al momento non ti avevo riconosciuta, ma adesso sì, ricordo e ti chiedo di dirmi, come mai sei qui? Sono confusa da questa tua apparizione, non so tanto come interpretarla… Vuoi prenderti gioco di me? ”
“Beh, non è difficile da capire il perché mi sono fatta avanti. Desidero aiutarti a ricordare, sai bene che io non me ne sono mai andata; lo sa il tuo cuore rimasto immutato, sempre sensibile e capace di cogliere ogni sfumatura della vita, lo sanno i tuoi sentimenti che sono stati, e sono, intensi, profondi e impetuosi. Lo sa la tua mente, rimasta ancora curiosa, pur con qualche inciampo di memoria.
Ricordi quanto sono state le cose belle che ti hanno accompagnato durante lo scorrere del tempo?
Lo so, è vero, anche le brutte ci sono state, ma cerchiamo di non considerarle in quanto sappiamo essere inevitabili, sì purtroppo fanno parte del pacchetto che si chiama esistenza.
Allora, coraggio, non esitare, ricorda… ”
Lo sguardo di quella donna stanca aveva adesso acquistato un guizzo di lucentezza e curiosità.
Incredula per ciò che aveva davanti agli occhi e, soprattutto, per il curioso dialogo scambiato con la bimba emersa dal passato, si sentiva pronta ad accettare la sfida e a rivedere il film della propria vita.
Come per magia eccola catapultata nella sua infanzia che fu piuttosto felice, vissuta accanto agli amati genitori, assai severi e non poco autoritari, ma sempre presenti e attenti a ogni sua mutata esigenza durante il passare del tempo.
Ed ecco le scorribande in strada con gli amici di allora, i vari giochi come il pampano, guardie e ladri, alto e basso, le “baracchette” costruite ai margini dell’autostrada, i dadi, le biglie colorate e di varie misure, i negozietti dove si vendevano per poche lire giocattoli o cose che non servivano più, per poi potersi comperare un ghiacciolo o una merendina.
Ma forse il ricordo più bello erano le corse in bicicletta con le inevitabili cadute e le ginocchia sbucciate, l’andare senza sosta avanti e indietro per le strade di quel paese di provincia, distante un’ora di auto dalla città.
Percorreva velocemente quelle vie, poco asfaltate e polverose, pedalando sulla sua bellissima bicicletta “Fiorelli”, di colore azzurro metallizzato, regalo di suo padre per una promozione importante: la prima media.
A quel tempo avrebbe voluto togliersi l’etichetta della provinciale, le sarebbe piaciuto di più essere nata e vissuta in città; ma poi no, con l’andare degli anni apprezzò quel vivere lento del suo paese, dove le tradizioni e i rapporti umani erano più sentiti, dove l’umanità era tangibile, assieme, certamente, al pettegolezzo; non esisteva la privacy, ognuno sapeva tutto di tutti. Quello era l’aspetto che le piaceva di meno.
Era una bambina esuberante e il solo andare in bicicletta aveva dato adito a critiche, riportate a sua mamma con queste parole: “Ma insomma, Antonina è sempre in giro, sempre in bicicletta…Dovresti tenerla di più in casa, non va bene così”. Si sentì offesa, le fece male quel rimprovero, solo per un comportamento sano e gioioso.
Ma così fu… le taglienti lingue ebbero da dire anche su ciò che era solo gioco, allegrezza e vitalità giovanile.
Il periodo delle scuole, anche nella sua provincia, cominciava con la materna che al tempo si chiamava asilo infantile, per poi proseguire con le elementari e infine con le medie.
Le superiori erano in città, per raggiungerle ci si doveva sobbarcare un viaggio in treno, spostandosi da dove viveva, se si voleva continuare a istruirsi.
Molte ragazze di allora finivano le scuole in paese, con la terza media. Per l’epoca era superflua l’istruzione per le donne, destinate soprattutto a svolgere il ruolo di mogli e madri, pertanto alla totale dipendenza del marito.
I suoi genitori erano mentalmente emancipati, per loro era importante, anche se ragazza, che proseguisse gli studi.
Così si spostò in treno, dalla provincia alla città, per molti anni.
Ma quanto erano gioiosi quei viaggi in compagnia di alcuni compagni e amici, effettuati con quel mezzo sferragliante.
Si divertivano tanto, ridevano per nulla, ma ripassavano anche il programma scolastico in modo da affrontare al meglio l’interrogazione probabile. Un rito non trascurabile era la seconda colazione: la focaccia, buonissima, appena sfornata, acquistata di corsa prima di partire e consumata durante il viaggio.
E poi i primi amori, la grande e indimenticabile emozione del primo bacio a quattordici anni.
Lui, Renzo, era davvero bello ed elegante, aveva più anni di lei, forse diciotto, non ricorda bene neppure come finì.
I flirt allora erano abbastanza frequenti, il cuore batteva all’impazzata alla vista del lui di turno, ci si innamorava in fretta e altrettanto velocemente l’infatuazione svaniva.
Tristi, molto tristi, invece, furono i primi dolori: la perdita, anno dopo anno, degli amati nonni.
La prima ad andarsene fu la nonna Gina, era una donnina dolcissima, la mamma di sua madre, viveva assieme al nonno con lei e la sua famiglia. Allora, per fortuna, non usavano gli ospizi, o case di riposo che dire si voglia, e gli anziani erano accuditi e amati dai figli sino alla fine della loro esistenza.
Ma pure gli esami, l’ansia delle interrogazioni: l’impegno, lo studio intenso per raggiungere l’obiettivo prefissato, i sacrifici e la soddisfazione per avercela fatta.
Anche questo aspetto è da inserire tra le azioni laboriose affrontate.
Poi ci fu l’incontro con il grande amore, diventato marito e poi padre dei sui due figli.
Lei aveva 18 anni ed era ancora studentessa, lui 21 e si era appena diplomato. Si sposarono dopo alcuni anni di fidanzamento.
Faticosi furono i molti anni da "salti mortali" per conciliare lavoro, casa e famiglia.
Allora - come ora – tanto per stare al passo coi tempi, dopo il diploma o la laurea mediamente ci si sposava ed era scontato che si andasse a lavorare, occupazione conseguente al titolo di studio faticosamente raggiunto.
Non bastavano a una donna la casa e i figli da crescere, no, la chiamano, e chiamavano, “indipendenza”. Certo, sarà anche vero, ma a che prezzo!
Comunque era riuscita anche in quello, l’obiettivo era stato raggiunto; i figli, amatissimi, cresciuti non sempre con facilità, tra crisi adolescenziali e non solo.
Infine il dolore della vita più grande: la morte dei genitori a distanza di quattro anni l’uno dall’altra.
La perdita del marito, anche se in età assai avanzata, aveva lasciato un vuoto enorme nel suo cuore, fu da allora che iniziò a essere preda dei morsi della solitudine; pur con i loro alti e bassi si erano sempre amati e rispettati. Infine la gioia dei nipoti, una delle felicità più grandi del suo vivere era stata il diventare nonna.
Dopo questo percorso mentale indotto, avverte una sorta di scossa e si ridesta, torna a guardare lo specchio che ha davanti e la vede ancora, la bella bimba bionda con le trecce è ancora lì.
La lei bambina non se ne è ancora andata.
Sorride un po’ beffarda. È tanto carina con quell’aria da monella impertinente.
Grazie alla sua comparsa ha potuto ripercorrere la propria vita, non c’è voluto neppure molto, il nastro dell’esistenza coi suoi ricordi si è srotolato in fretta.
Continua a vederla e le sorride, le fa ciao con la manina, riconosce quanto sia stata utile e preziosa.
La saluta e le manda un bacio: “Ciao Antonia piccolina, grazie per essere venuta in mio soccorso in un momento di grande crisi esistenziale. Grazie per esserti fatta ricordare, per non essertene mai andata”.
Il passato è utile, serve a ricordarci che ci siamo guadagnati tutto ciò che la vita ci ha messo davanti, gioie e dolori, facendoci accettare il presente pure con un poco di orgogliosa soddisfazione, perché per tutti la strada è piuttosto in salita e non facile, e dopo averla percorsa ed essere arrivati quasi in fondo, si ha il diritto di sentirsi bene e in pace con noi stessi.
Adesso la bambina è svanita, ha compiuto al meglio la sua missione, non si vede più.
Ora é rimasta da sola Antonia, sola con se stessa.
Si osserva, è uguale a prima della comparsa di lei piccina, anzi quasi uguale, ci sono sì le rughe profonde e i capelli bianchi ma gli occhi adesso sono vivaci e brillano.