La gallina e l'uomo
Inviato: 24/09/2024, 18:26
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
La giornata era cominciata male.
Camminava sul marciapiede.
La difficoltà non stava nella riva che si presentava davanti, a pochi passi, ma nel buio che avvolgeva ogni costruzione.
Di mattina non avrebbe dovuto essere scuro. In nessun posto; il sole scaldava, come al solito; la luna raffreddava, come al solito; sole e luna facevano a gara a chi si vedeva di più, come al solito; a intermittenza, mandavano segnali di fumo ai pochi villeggianti rimasti a godersi il freddo o il caldo del paese.
Non c’erano più le mezze stagioni e la giornata era cominciata male, specialmente per chi non si alzava con il piede giusto.
I viventi, anche i vegetali, avevano delle teste.
Le teste crescevano, diventando sempre più ingombranti, negli esemplari di sesso maschile.
Il sesso femminile aveva la testa piccola, non essendo piena di pensieri, opinioni, considerazioni o suggestioni.
Chi possedeva entrambi i sessi, a seconda dei momenti, aveva testa piccola o estremamente grossa; così imparava.
Si arieggiavano i locali prima di soggiornarvi e si faceva di ogni erba un fascio ma si pensava che non tutto il male viene per nuocere.
Tutti, tubi e vivande comprese, sopravvivevano nella confusione e si aiutavano a stare a galla nel marasma che circondava idee o conversazioni.
Ognuno se la cavava come poteva.
Lei andava. Sul marciapiedi prestava attenzione e si guardava alle spalle, per il terrore di abbandonarsi all’amicizia.
L’amore imperversava.
Il buon cuore anche.
Il vuoto lasciato dagli atti di generosità doveva, in qualunque modo, venire colmato.
La scritta LEGGERE ATTENTAMENTE LE AVVERTENZE lampeggiava e lei ripensava ai fatti.
Procacciarsi cibo e garantire la continuazione della specie. Ma quale specie? Si interrogava su cosa fosse giusto o sbagliato. Ogni opportunità si doveva valutare e considerare di rimodulare i comportamenti creando nuove regole.
Molte domande. Istanze. Richieste. E la giornata era cominciata male.
Le galline, chiuse al buio, non si trasformavano più in prede per le volpi. La catena alimentare era diventata una corda per saltare.
Dal suo cervello di gallina non avrebbe potuto uscire un’idea.
Dopo aver camminato per quasi un’ora su quel marciapiedi, dall’altro lato della strada, la gallina, che canta ha fatto l’uovo, si trasformò in uomo, avvisato mezzo salvato.
Con il suo strumento, un violino nella custodia, l’uomo tornava dalle prove.
Era tardi e qualcuno lo aspettava nella gabbia.
Era una notte buia e tempestosa ma si preannunciava un buon giorno.
I fogli erano pronti, il lavoro filava e la storia scorreva che era un piacere.
Continuava, la storia, da sola; la notte incombeva e la musica, la solita, si diffondeva.
- Era, hai dimenticato era.
- Di proposito. L’ho fatto di proposito. Uno scrittore davvero abile non fa degli errori. Non si ripete!
- Vero. Tu sei uno scrittore?
- Sì.
Così dissero e non c’era niente di male nelle parole.
Parole lecite.
Autonomo il nome dell’uomo e Devota il nome della donna.
Donna costruita a misura.
Misura lunga, troppo lunga.
Lunga la strada. E i componimenti?
Componimenti troppi.
Troppi grilli per la testa.
E adesso, basta!
Basta con le moine.
Le moine vanno bene per le finzioni.
Tutto vero: donna, gabbia, gallina, giornata, inizio, mattinata, uomo.
Domande. Tante, troppe domande. E dubbi che nascono, crescono, salvano da certezze.
L’uomo si mette nella gabbia e racconta: dei giorni andati, delle ore trascorse nei boschi, delle lunghe camminate in montagna; ma, soprattutto, delle speranze; scrive di sé come una persona rispettosa degli spazi altrui, responsabile delle proprie azioni, indulgente, molto indulgente, e comprensiva.
Difetti? Non ne riconosceva. Erano legati alla sua natura, e comuni. Tipici della predisposizione umana. Quale predisposizione?
Non facciamoci troppe domande!
Continua a scrivere.
Autonomo continua a scrivere.
Arrivato a pagina tre. smise.
Smise di inventare, smise di crogiolarsi nei tormenti, smise di pensare. Bel risultato, anzi ottimo! far correre il tempo nella gabbia, e avere la mente vuota, completamente libera da preoccupazioni, ansie o visioni che consolano.
E, non volendo lasciare niente al caso, aveva in tasca la soluzione per i mali, tutti i mali.
Tenendola ben stretta, la soluzione, non aveva intenzione di condividerla con nessuno; – tre pagine, pfui! – .
L’uomo si accontentò e la donna si eclissò.
Dove?
Nella gabbia.
Vivere in gabbia non è gradevole. O, magari, è allettante se c’è chi provvede al tuo sostentamento e se c’è chi pensa a trasformarti in quel che sei.
Cosa significa? La trasformazione. Non saperlo rientra nei canoni della vita in gabbia: allo stretto e costretti a figliare.
Breve periodo e poi via, a rincorrersi nei campi di grano, promesse o delusioni, spighe in sfighe, uomini e donne, vincitori e vinte, come in una gara.
Senza coppe o trofei, con la pelle troppo esposta per bruciare
.
In gabbia la giornata era cominciata male.
E niente, proprio niente, si metteva in atto per cambiare la situazione.