Colombella mia!

di maria rupolo


- Colombella mia, amoruccio, tesoro! - sbucato dalla macchina l'omino col baschetto, grassoccio, colorito, muovendosi come tanti pezzi smontabili, sicuro oltrepassò la siepe in un punto in cui era meno fitta e per di più rovinata e aperta dai vari passaggi e continuò i suoi richiami dolci e insistenti nel brolo di fianco alla casa: dietro le tende della finestra a lui cara nessuna mano si levò a scostarle, nessun volto venne a occhieggiare al loro riparo discreto. Sventolò il baschetto per qualche minuto poi rifece il percorso buttando braccia e gambe qua e là e agilmente, malgrado la corporatura, si infilò nell'auto. La scena si ripeteva da vario tempo per cui nessuno dei vicini si affacciava più a curiosare e solo qualche bambino ancora si attardava a guardare, senza grande interesse, lo spettacolo.

Borromeo Pancaldo, rappresentate di commercio, si era sofficemente scontrato nel negozio di alimentari del paese, girando l'angolo d'uno scaffale, con la signorina Adele Ninni, si era profuso in scuse, aveva continuato il discorso facendola abilmente parlare (poco) dei prodotti da lui rappresentati, argomento in cui eccelleva, e l'aveva accompagnata benché riluttante a casa; riluttante perché mai un uomo sconosciuto aveva scortato la signorina lungo le strade del paese e perché questo in particolare non le piaceva molto, anzi le pareva ridicolo e bizzarramente goffo, giudizio che poi si rivelò sbagliato.

Nel breve tratto di strada seppe ricavare tutto quello che gli interessava dalle avare parole di Adele e con modi vivaci e cortesi riuscì a introdursi in casa senza aver violato le più elementari leggi dell'educazione, si presentò alla sorella, venne a sapere che il cognato lavorava fino a tardi, chiese il permesso di tornare a far loro visita e si accomiatò riempiendo il vuoto delle due donne con parole in apparenza pescate a caso, ma che si incastravano abilmente tra loro a formare un monologo pittoresco ma ben costruito. Salutò, s'inchinò, uscì e quasi rotolando e agitando il basco che aveva in mano sparì dietro la siepe che custodiva casa e giardinetto. Aveva anche saputo che la camera della signorina si affacciava sul lato destro della casa dove un po' di prato e qualche albero stentato riuscivano a strappare il nome di brolo.

Fedele alla promessa e forte del permesso abilmente estorto senza che le due sorelle quasi se ne fossero accorte, tornò in un'ora in cui poteva trovare il marito e cognato e dopo un gioco pirotecnico di parole in cui descrisse la sua vita passata presente e probabile futura, si inchinò e chiese devotamente e umilmente, così si espresse, la mano della signorina.

Questo era un avvenimento inaspettato, dato che Adele si avvicinava all'età canonica, aveva un aspetto scialbo e viveva una sua vita senza rilievo e senza dare né ricevere molto calore; non era una scelta, ma consapevole della sua personalità un po' stinta e freddina si era creata una nicchia in cui vegetava senza disturbare ed essere disturbata; qualche lavoretto in casa per aiutare la sorella, qualche messa ascoltata con discreta devoozione, qualche passeggiata e qualche saluto qua e là; ogno tanto si informava degli altri, per dovere e con un po' di interesse che si spegneva subito e con ugual moneta veniva ricambiata, accettata con modesta simpatia come un essere che aveva diritto di vivere e morire in quel paese poiché lì era nata.

Il cognato, per essere sinceri, si rallegrò non perché la poverina gli creasse dei problemi, appartata e schiva com'era, ma perché quella presenza grigia gli appesantiva (oh poco poco) l'atmosfera e gli pareva che senza di lei avrebbe respirato più vivacemente, ma guardò la cognata e si afflosciò: questa era rimasta di sasso, poi si era animata improvvisamente ed era corsa via senza una parola. L'omino capì che non era l'emozione ad agitarla, ma subì il rifiuto amabilmente, come cosa prevista; chiese il permesso di corteggiarla e ricevutolo perché niente vietava che prima o poi, così argomentarono marito e moglie con una remota speranza, cedesse alle prevedibili lunghe insistenze, si ritirò fra inchini e sorrisi e dondolamenti come se uscisse da uno scontro vittorioso.

Borromeo Pancaldo manovrò i suoi affari in modo da poter sostare nel paese una notte ogni quindici giorni, spostando lievemente il suo giro di rappresentanza e diede inizio ad una corte pressante e animata.

Adele dapprima si era indispettita e aveva sentito il bisogno di scagliare sulla testa rotonda e calva del maturo innamorato qualche oggetto pesante e vistoso, anche perché si sentiva derisa a causa sua dai vicini e dai numerosi bambini che non mancavano mai a quella commedia gratuita, poi, affievolendosi col tempo la curiosità e abituandosi a quei richiami stravaganti e dolci, aspettava il pomeriggio del suo arrivo con un certo interesse – verrà anche oggi? - e la mattina quando lui prima di riprendere il viaggio tornava a farsi sentire – colombella sposa della mia vita perché non ti affacci? - ascoltava con un'ombra di sorriso. Nella sua vita incolore e già fissata su binari da cui sembrava impossibile scostarsi, quelle parole e l'amore che rivelavano in modo buffo ma inequivocabile erano un elemento nuovo, una variante al suo andare stancamente verso la vecchiaia. Ma cedere no, le sarebbe sembrata una sconfitta arrendersi a quella comica trottola scomponibile.

Il Pancaldo non adottò la tattica di non farsi vedere per un mesetto, tattica ovvia ma da cui rifuggiva perchè gli ripugnava mancare a quel tacito e non richiesto appuntamento: era sicuro che potesse o no in futuro piacere alla signorina Adele, lei in un certo senso lo aspettasse e non si senntiva di deluderla: non era capace di far del male, si scostava con attenzione per non calpestare le formiche, i fiori, se possibile anche i fili d'erba. E poi amava, era questa la sua forza e la sua allegria, amava tutto e tutti, la gente gli animali le nuvole la pioggia, amava snza riserve e desiderava far felici gli altri: perché mai avrebbe dovuto far soffrire, anche se lievemente, una puntira di spillo, la sua diletta?

Un giorno sbucò dalla macchina con pacchi e scatole, penetrò nel brolo. Rientrò nell'auto, ne uscì ancora carico e così continuò tanto che ben presto ebbe un folto stuolo di spettatori, ragazzini che andavano aumentando e vicini che tornavano a curiosare attratti dal movimento e dai richiami dei bambini. Adele, al riparo delle tende, non vedeva quasi nulla: sentiva il vocìo, scorgeva la schiena del Pancaldo abbassarsi e alzarsi, sparire, tornare e rifare gli stessi movimenti. Intanto il rumore cresceva, voci risa piccole grida: che succedeva? Una beffa? Non poteva crederlo, l'omino non era, per quel che ne aveva capito, persona da vendicarsi della sua ritrosia, del suo non colpevole rifiuto e inoltre le risare non sembravano di scherno; ora Borromeo non lavorava sotto la casa, ma più in là, per cui poteva scorgere che stava tappezzando il brolo di cose colorate, alcune luccicanti, ma non riusciva a vedere bene, con quelle tend e pesanti a fare da schermo. Si decise improvvisamente, le scostò e, fatto il primo passo, ormai era alla vista di tutti, si affacciò: il praticello era costellato di pacchi pacchetti scatole scatolette di ogni colore che brillavano sotto il sole. Non seppe dapprima come reagire, ma cominciò a turbarsi; forse senza saperlo il suo corteggiatore aveva ripetuto i gesti dei cavalieri antichi, porre ai piedi dell'amata gli oggetti più preziosi trovati nel corso dei loro viaggi e stendere il mantello ricco di perle e ricami per renderle dolce il cammino.

Borromeo aveva infatti disteso sotto la sua finestra le cose che gli erano più care, quei prodotti di cui era venditore entusiasta e orgoglioso e che erano per buona parte ragione della sua vita: a lei venivano dati, offertta generosa e totale, in cambio anche di un solo cenno; si addolcì, si intenerì, l'omino non era poi così buffo come le era sembrato all'inizio e cominciava a esserle caro.

Il principe azzurro era sparito da un pezzo dai sogni della signorina e anche la speranza di sposarsi; ora ci ripensò e guardando intorno quelle facce ridenti, quei ragazzini frementi e felici che aspettavano il lieto fine per buttarsi sul prato variopinto di caramelle e biscotti e rivedendo il suo passato scolorito, le venne da pensare che in futuro forse non avrebbe avuto una vita meravigliosa, ma un po' meno grigia, questo sì. E il sorriso timido e commosso che le affiorò divenne via via più aperto e sicuro mentre la folla incoraggiandola applaudiva e rideva. E anche lei scoppiò in una risata lunga e irrefrenabile, rideva rideva finalmente, di tutto cuore, di felicità ma anche di divertimento: qual Pancaldo, che uomo imprevedibile e commovente e comico!

Su tutto quel tripudio di sole grida risate colori luccicanti si levò gioiosa con un'esplosione a lungo repressa la voce: - Colombella animuccia sposa mia bella! -