Appendice 635

Se non avesse avuto moglie e figli, se non si fosse trovato in città al momento dell'invasione, insomma, se uno di questi fattori fosse venuto meno, le cose sarebbero andate diversamente per il signor Ferri.
 Al momento, stava prendendo una tazza di tè, affacciato alla finestra. Da lì si vedevano i campi e i quartieri di una città occupata.
 Gli invasori.
 A Ferri parevano enormi razzi di metallo con gambe e braccia.
 In qualche modo a lui oscuro, avevano paralizzato i centri di comunicazione, giungendo lì prima ancora che se ne accorgesse l'esercito. Ora dominavano. La resistenza: roba futile.
 Mentre ingollava il tè, l'occhio gli cadde sul campo di fronte casa. Qualcosa dondolava dall'unico albero vivo, qualcosa tremendamente simile a un grosso pupazzo.
 Ferri si lasciò andare a una smorfia. Non avrebbe imprecato, rischiava d'attirare l'attenzione di Laura o peggio, dei bambini. Qualcuno doveva pur rimuovere l'impiccato dall'albero! Ferri si rabbuiò. Ecco che fine fanno gli oppositori, si disse. Stupidi, sciocchi visionari. Perché ribellarsi poi? Da quel che aveva capito dei loro proclami, i robot cercavano unicamente un posto per vivere. La Terra andava bene, unico neo: troppi umani.
 Ferri non sapeva per certo cosa fosse accaduto nel resto del mondo. In città avevano ucciso i vecchi e gli infermi. Brutalmente vero, ma (si diceva Ferri) non sarebbero morti comunque? Ora c'era più cibo, più spazio vitale.
 Di cosa si nutrissero i robot era un mistero. Alcuni dicevano "metallo". Lì, sulle superfici lisce dei loro corpi a siluro, forse si nascondevano enormi bocche dentate, pronte ad azzannare un bel pezzo di lamiera. Erano solo supposizioni, racconti che Ferri sentiva alla macchinetta del caffè.
 Non avendo un fisico robusto, non essendo abile a coltivare alcunché, era stato mandato dai robot a lavorare nella centrale elettrica. Ferri aveva dunque l'unica professione "tecnologica" in tutto il vicinato. Gli altri zappavano la terra su ordine dei robot. Ovunque crescevano frutti, ovunque gli animali da pascolo ingrassavano a dismisura. Ferri pensava fosse merito dei fertilizzanti portati dall'invasore. Gliel'aveva detto il signor Bernardi, un contadino. Ogni giorno, coloro assegnati a una specifica zona, ricevevano dosi di fertilizzante da spargere con le speciali macchine fornite dai robot. Quanto alle bestie; semplicemente ruminando l'erba "spaziale" (come ormai veniva chiamata) crescevano in fretta e di grosse dimensioni.
 In città erano rimasti pochi abitanti, ma si viveva meglio, sotto un certo punto di vista.
 Ferri conduceva una vita tranquilla. Aveva la sua famiglia, la sua casa (regolarmente assegnatagli dai robot) e il suo lavoro. Certo, c'erano i rospi da ingoiare. Bisognava stare attenti ai delatori e non parlare mai troppo. Una frase, un concetto sbagliato sui robot e si faceva la fine del topo. Ferri aveva imparato dunque a tenere tutto dentro. Non una parola.
 Ogni tanto, recandosi al lavoro, gli capitava di incrociare uno degli invasori. Erano alti il doppio di un uomo e dal corpo a forma di proiettile. Quattro occhi inespressivi s'aprivano in prossimità della punta; poco sotto, ecco due appendici snodate a forma di braccia. Più giù, sul fondo del "proiettile", si vedevano le gambe, magre appendici metalliche, dai tendini d'acciaio.
 Avevano mani con tre dita e proprio sotto, un'altra speciale appendice a forma di moschettone. Con quelle, raggiungevano una manualità incredibile, del tutto uguale a quella umana.
 Vederli marciare in fila, come un esercito, era qualcosa di mostruoso.
 Ferri rammentava ancora il giorno dell'invasione, quando, dallo specchietto retrovisore dell'auto, aveva visto come un'enorme cintura di proiettili, srotolarsi all'orizzonte.
 Terminò la bevanda e rabbrividì. No, non si sarebbe ribellato ai robot. Mai.
 Sciacquata la tazza, andò a chiamare sua moglie. Laura stava vestendo il più piccolo dei bambini. Gli altri due erano già pronti, con gli attrezzi agricoli in mano. Anche Laura aveva la sua tuta e una grossa zappa.
 Si guardarono senza dir nulla. Non ce ne sarebbe stato bisogno. Laura credeva Giorgio un perdente. Giorgio di sé diceva "sto salvando la mia famiglia".
 Il citofono gracchiò.
 Qualche minuto dopo, i Ferri erano in strada, accanto alla macchina di Mauro, un vicino. Come al solito, Giorgio gli sedette accanto, relegando dietro la famiglia.
 — Ho una grande notizia — Mauro era raggiante. Ferri non disse niente. L'altro sorrise, poi continuò: — Sono arrivato al decimo livello, me l'hanno detto ieri sera.
 Ferri non aveva parole. I suoi pensieri vennero in qualche modo assimilati e sputati dalla moglie. Con voce arrochita dal disgusto, Laura disse: — Hai raggiunto il "grado finale di utilità" allora.
 Mauro guardò nello specchietto e sorrise: — Si. Da oggi lavorerò per le alte sfere — disse, evitando di menzionare i robot: — Ci hanno assegnato una di quelle case in centro. Ho portato già stamattina Marta e i bimbi.
 Laura fece una smorfia; Giorgio non disse niente.
 La macchina avanzava lungo strade deserte; gelide arterie dai cui marciapiedi, si scorgevano cadaveri di macchine senza più un padrone.
 Imboccando via Buonarroti, Giorgio vide le facciate nere di quei palazzi contro cui i robot avevano dovuto usare la forza. Non molti in verità. Senza esercito, la popolazione cittadina s'era semplicemente arresa. I più erano fuggiti.
 — Non ci servirà l'automobile — disse Mauro. Ferri strabuzzò gli occhi.
 — L'hanno già assegnata a te.
 — Abbiamo un'auto? — domandò Marco, il primogenito: — Abbiamo un'auto papà! — ripeté, felice. Giorgio sorrise amaramente. Da quanto non aveva più un'auto? La risposta era ovvia: dall'invasione. Nessuno poteva possedere nulla che non fosse schedato, approvato e distribuito dai robot.
 Le auto "modificate" dai padroni, avevano un rivelatore di posizione nascosto e imprendibile per la tecnologia moderna. I robot, però, sapevano sempre dove uno si trovava.
 Quell'auto, sarebbe stata un premio o una dannazione?
 Giorgio sbuffò, mentre affrontavano il cavalcavia del centro. Una volta, tre anni addietro (o erano secoli?) ci sarebbe stato molto traffico. Ora, la vecchia auto sembrava essere l'unico mezzo in movimento da quelle parti. Non c'erano neanche i treni, banditi e distrutti dai robot.
 I padroni volevano avere la manodopera sempre sottocontrollo.
 Dopo il cavalcavia, piegarono a destra, nella nuova area agricola. I robot l'avevano "sfornata" dal nulla mesi or sono, distruggendo i palazzi, i negozi e gli antichi monumenti.
 Mauro fermò l'auto e tenne il motore acceso. Ferri scese un momento per salutare la famiglia. Laura, Marco e Giorgia sarebbero andati a lavorare nei campi, Martino, che era piccolo, avrebbe atteso nella nursery ai margini della zona, con gli altri bambini.
 Laura baciò il marito senza trasporto. Era come se fra loro tutto si fosse spento dopo l'invasione. Nei cuori, avevano posto unicamente per la sopravvivenza.
 — Presto Gio', non vorrai farmi fare tardi il primo dì di nuovo lavoro, eh! — disse Mauro. Giorgio annuì e lasciò la famiglia.
 Di nuovo in auto, dette uno sguardo al panorama. Arido, tetro, come tutto il resto.
 Pensò a quell'uomo, l'impiccato. Avrebbero dovuto rimuoverlo, avrebbero.
 Si scoprì a fantasticare su chi fosse. Un idealista, un ribelle o solo uno che aveva detto qualcosa di troppo?
 Arrivarono davanti alla grande centrale elettrica e Mauro fermò l'auto. Con un bel sorriso, staccò le chiavi dal quadro e le diede a Ferri: — Bene ragazzo. Livello dieci, wow! Sono diventato più che utile!
 Ferri prese le chiavi con una smorfia. Lui era solo livello cinque: "mediamente utile".
 — Buona fortuna — disse a Mauro. Quello annuì e si allontanò a grandi passi. Non voleva far tardi il primo giorno.
 Ferri scosse la testa, quindi rabbrividì all'apparizione di uno dei robot. Il mostro, silenzioso, stava dove prima non c'era nulla. Con qualcosa simile al rispetto, si chinò, porgendo a Mauro un braccio: — Salga, prego — disse: — Vengo identificato col numero d'appendice 635; da oggi sarò il suo trasporto personale.
 La voce del robot era metallica, ma in qualche modo ossequiosa. Appendice 635; Ferri sbuffò. Si chiamavano tutti così, con quel nomignolo "appendice" e poi un numero. Matricole anche loro, pensò. Non sapeva bene come fossero organizzati, ma aveva un quadro piuttosto vago. Tutti i "proiettili" dovevano essere guidati da un capo, forse un'intelligenza artificiale comune. Dava ordini, direttive, gestendo gli archivi degli umani, dei loto meriti e delle loro ricompense. Forse era l'intelligenza stessa che aveva pianificato così accuratamente l'invasione. Forse. A Giorgio non interessava scoprirlo.
 Mauro era salito sul braccio del robot. Ferri li guardò sparire dietro uno dei palazzi, poi udì un urlo e il rumore di qualcosa, come di un frutto che venga schiacciato. Un pensiero orrendo gli s'insinuò nel cervello.
 Abbandonando la macchina dov'era, fece alcuni passi verso l'edificio. Si trovò davanti un angolo. Lentamente, deglutì. Era solo un angolo, ma sentiva che il girarlo, gli avrebbe cambiato per sempre la vita. Sarebbe stata come una seconda, orribile, invasione.
 Trattenne il fiato. Ho il coraggio? Pensò.
 Uno, due, fece un passo e si fermò. Nessun urlo gli uscì dalla gola.
 Vide qualcosa, qualcosa che sospettava, che sapeva da tempo. Qualcosa che non aveva voluto confessare a nessuno, tanto meno a se stesso.
 Piano, piano, alzò lo sguardo dalla carcassa di Mauro, al robot. Le storie non erano vere, le storie secondo cui avessero una grande bocca. Era una specie di cannuccia flessibile, come quella delle zanzare. Con essa, succhiavano. Sì, succhiavano. Mauro, per esempio, l'avevano succhiato. Dall'uomo alto e grassottello che era, eccolo raggrinzito, simile a un involucro vuoto.
 Ferri guardò il robot e non capì se quello stesse ricambiando lo sguardo. Che avrebbe fatto? Lo avrebbe ucciso?
 Doveva prendere una decisione e subito. Bisognava arrivare fino alla macchina, andare al campo agricolo, raggiungere Laura e i bambini. Poi sarebbero fuggiti lungo la campagna, lungo le zone devastate dai robot, dove non c'era da mangiare, dove tutto era un deserto di ghiaccio.
 Ferri abbassò gli occhi. In fondo, la morte di Mauro poteva essere accidentale. Dopotutto lui era ancora al quinto livello.
 Non avrebbe dovuto svoltare quell'angolo; magari con un po' di alcol…
 Tutto svanisce, almeno in apparenza.
 Si voltò, tornando sui suoi passi.
 Non voleva far tardi al lavoro.

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