L'amore e 'Il mestiere di vivere'

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L'amore e 'Il mestiere di vivere'

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"E tutto questo è stato buttato senza amore. E non è un delitto, non è un peccato, non è nemmeno una scorrettezza: è una cosetta che si fa, che non rimorde, come schiacciare un moscerino.
Allegri, c'è una legge morale!" (21 nov. 1937)

"La legge morale serve a non fare del male a noi, non a risparmiarlo agli altri. La carità soltanto può dirci quanto male facciamo agendo secondo il nostro dovere. Ciò si vede non solo nei casi d'amore, ma in tutta la vita. Ma questo sarebbe un immenso ideale: chiedere sempre, instancabilmente, a ciascuno che cosa l'offende, lo priva, lo tortura, e compensare, abbracciare, riaccendere. Ma a ciascuno vuol dire a tutti, e vuol dire sempre, e non si può. Non si può specialmente perché uno almeno non avrebbe questo compenso e questo abbraccio, e quest'uno siamo noi. Perché una cosa è certa: veder godere, anche per opera nostra, non basta alla nostra pace. Esempio: le donne insoddisfatte.
Pare un miscuglio di sacro e profano, ma non è. La vita comincia nel corpo.
Scrivo: T., abbi pietà. E poi?

Non dovrai mai più prendere sul serio le cose che non dipendono da te solo. Come l'amore, l'amicizia e la gloria.
E quelle che dipendono da te solo, importa poi molto se le pigli o no sul serio? Chi ne saprà nulla? Perché, se si è soli, non c'è chi: anche l'io se ne scompare. Sempre più bello." (25 nov. 1937)

"Eppure, a vedere quanto si soffre, il sacrificio è contro natura. O superiore alle mie forze. Non posso non piangere. E piangere è cedere al mondo, è riconoscere che si cercava un tornaconto.
C'è qualcuno che rinuncia pur potendo avere? Questa carità non è altro che l'ideale dell'impotenza.
E allora basta con la virtuosa indignazione Se avessi avuto denti e astuzia avrei raccolto io la preda.
Ma questo non toglie che la croce del deluso, del fallito, del vinto - di me - sia atroce a portare. Dopotutto il più famoso crocefisso era un dio: nè deluso nè fallito nè vinto. Eppure con tutta la sua potenza, ha gridato "Eli". Ma poi si è ripreso, e ha trionfato, e lo sapeva prima. A questo patto, chi non vorrebbe la crocefissione?
Tanti sono morti disperati. E questi hanno sofferto più di Cristo.
Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente." (26 nov. 1937)

"La mia felicità sarebbe perfetta, se non fosse la fuggente angoscia di frugarne il segreto per ritrovarla domani e sempre. Ma forse confondo: la mia felicità sta in quest'angoscia. E ancora una volta mi ritorna la speranza che forse domani basterà il ricordo." (1 dic. 1)

"Sia chiaro, una volta per tutte, che essere innamorato è un fatto personale che non riguarda l'oggetto amato - nemmeno se questo riami. Ci si scambia, anche in questo caso, dei gesti e delle parole simboliche in cui ciascuno legge quanto ha dentro di sè e per analogia suppone viga nell'altro. Ma non c'è ragione, non c'è bisogno, che i due contendenti combacino. Ci vuole un'arte tutta propria per sapere accettare e interpretare favorevolmente quei simboli e disporvi la propria vita in modo soddisfacente. Nulla può fare l'uno all'altro se non offrire di questi simboli, illudendosi che la corrispondenza sia reale. Ma occorre una riserva at the back of one's head di pratica scaltrezza: occorre aver deciso di servirsi di quest'offerta (fatta per bisogno individuale dell'oggetto amato) per appagare le proprie necessità. Chi sarà stato scaltro nell'impostazione della corrispondenza, non soffrirà vicende, farà accadere ogni cosa secondo il suo vantaggio, creerà un mondo di cristallo in cui si godrà l'oggetto. Ma non dimenticherà mai che la sfera di cristallo è un vuoto dove l'aria non penetra, e si guarderà dal romperla nell'ingenuo tentativo di arearla. Abbandoni, trasporti, figli, devozioni, fiducie: sono simboli individuali, dai quali l'aria - la mistica penetrazione dell'altro - è sempre esclusa. Vi è insomma tra quei simboli e la realtà lo stesso rapporto che tra le parole e le cose. Bisogna essere così scaltri da prestar loro un significato senza scambiarli con la sostanza vera. Che è la solitudine di ciascuno, fredda e immobile." (5 dic. 1937)

"L'arte di farsi amare consiste in tergiversazioni, fastidi, sdegni, avare concessioni che epidermicamente riescono dolcissime e legano il malcapitato a doppio filo; ma in fondo al suo cuore e al suo istinto fan nascere e covano un rabbioso rancore, che si esprime in disistima e desiderio di vendetta. Far degli schiavi è cattiva politica, e si è visto, e si vedrà ancora.
La consueta tragedia: sa farsi amare soltanto chi sa farsi odiare, dalla stessa persona.
Così finisce la giovinezza: quando si vede che l'ingenuo abbandono nessuno lo vuole. E ci sono due modi di questa fine: accorgersi che non lo vogliono gli altri e accorgersi che non possiamo accettarlo noi. I deboli invecchiano nel primo modo, i forti nel secondo. Noi siamo stati dei primi. Allegro." (7 dic. 1937)

"In fondo, tu scrivi per essere come morto, per parlare da fuori del tempo, per farti a tutti ricordo. Questo per gli altri, ma per te? Essere per te ricordo, molti ricordi, ti basta?" (10 apr. 1949)

"Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella bostra nudità, miseria, inermità, nulla".
Ho trascritto alcuni passi del 'Mestiere di vivere'. Mi hanno colpito perché mi sento come Pavese, incapace di reggere questo gioco del mondo, incapace di reggere la sofferenza che deriva dal non sentirci amati dalla persona che vorremmo, ancora una volta. In realtà ne sono capace, ma i tempi sono troppo lunghi. Ne vale la pena? Lacan dice che amare significa dare quello che non si ha a chi non lo vuole. Ma è davvero questo l'amore? Non riesco a crederci. Capisco cosa intende: sicuramente diamo a chi amiamo ciò di cui abbiamo bisogno noi, ma quando c'è vero incontro credo che diamo all'altro anche ciò che ancora non sapeva di volere. Certo, che l'altro sia un'alterità è vero e, come dice Pavese, essere innamorati prescinde dall'oggetto dell'innamoramento. Ma spero che sia così doloroso solo se l'oggetto non ci ama. Perché chiudersi in una sfera di cristallo in cui non c'è vera possibilità di conoscere l'altro per me non è accettabile. Eppure sento tutta la sua sofferenza e il senso di fallimento: ho provato anch'io a farmi bastare l'amore-carità, ma è vero che manca sempre qualcosa. L'amore verso di noi. L'esclusività di un amore verso di noi.
Quest'idea poi che il dolore non serva a niente...è vera, ma allora? Dobbiamo ignorarlo e far finta che non esista? Oppure solo piangere perché non ci sarà ricompensa alcuna per il nostro dolore?
Bellissimo infine il pensiero di scrivere per essere ricordo, per essere 'come morto, per parlare da fuori del tempo'. Forse per leggere il proprio dolore, sublimarlo invece che sentirlo.
Anche perché come Celine (Prima di mezzanotte) probabilmente anch'io rendo tutto sogno o ricordo.
Sono pensieri sparsi. Voi che ne dite?
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