Quattro scintille per una
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Quattro scintille per una
“Che cosa ti succede?”
“Non lo so, di preciso. Credo di avere un po’ di influenza. Niente febbre, per ora, ma ho dolori dappertutto, dalla testa alle gambe, e una forte spossatezza.”
“Proprio adesso! Come facciamo per la cena di stasera? Hai per caso già chiamato Cristiano per rimandare?”
“L’ho chiamato per spiegargli la situazione.” La voce, molle e impastata, smussava le asperità di un pensiero spigoloso. “Non me la sono sentita di rimandare e meno che mai di annullare. È da un mese e mezzo che vuole presentarci la sua nuova, misteriosa ragazza: non mi andava di far saltare il suo programma.”
“E allora?”
Giacomo parve riflettere, come per vagliare le parole prima di proferirle.
“Conosci Cristiano quasi quanto me e non credo sarebbe imbarazzante trascorrere un paio d’ore con lui e con una ragazza che avrà la nostra età.” Fece una pausa, dopodiché, enfatico e capzioso, calò l’asso: “Non potresti andare tu?”
Nonostante l’influsso della debilitazione assestata, Giacomo aggrappò i suoi occhi appuntiti a quelli della fidanzata per perquisirne i recessi.
“La prospettiva non mi entusiasma, ma, obiettivamente, non vedo alternative valide. Il tuo amico è poi abbastanza tendente al permaloso.”
“Infatti. Non mi sbaglio quando dico che lo conosci quasi quanto me. Non puoi rovinare proprio tu questa amicizia che dura da vent’anni. Dai, Patry” sottolineò mellifluo. “Sacrificati e vai alla cena per entrambi.”
“Aggiudicato” disse Patrizia, all’improvviso dolce in volto, mentre si apprestava a portarsi in camera. “Ti accontento.”
I lunghi capelli ondulati radunati in una coda sulla nuca, il trucco pastello sulla pelle diafana, sbucò dopo venti minuti nel minuscolo soggiorno con indosso un tubino pervinca che verticalizzava un corpo già slanciato a sufficienza.
Si chinò sulla fronte di Giacomo, sempre fuori combattimento tra i cuscini, per soffiargli un bacio a distanza di sicurezza.
“Ciao, bacillo. Sbrigo l’impaccio e torno, va bene? E poi non dire che non ti vengo incontro. Mi dispiace proprio che tu non possa esserci. Ci messaggiamo?”
Sfilò davanti al sofà per attraversare in diagonale il soggiorno e Giacomo non perse l’occasione per passare al radar la mise, curatissima e sensuale, che gli veniva esibita con composta civetteria.
“Sempre se riuscirò a vedere le lettere della tastiera.”
Alle diciannove e trenta di un venerdì di falso malessere, Giacomo rimase solo con il cellulare nella mano destra, una scia di essenze agrumate nelle narici e le frasi della sua fidanzata che rimbombavano tra le pareti fonoassorbenti della sua mente in fibrillazione.
Camicia sui pettorali scolpiti, cravatta ancora annodata sul collo vasto, Cristiano si mostrò sulla soglia del suo appartamento borghese con l’assistenza del suo sorriso a trentadue denti da venditore provetto.
I riverberi di un dopobarba inglese aleggiavano sul viso rasato di fresco, il cui incarnato olivastro era esaltato da un’abbronzatura artificiale. Il novembre litoraneo transitava mite tra i pontili in letargo e gli intonaci scrostati delle case vacanza, ma il sole tramontava precoce oltre i promontori.
Udito il campanello, la misteriosa Noemi si scostò dai fornelli per imboccare l’esiguo corridoio che immetteva in cucina.
Al cospetto di un unico cavaliere, le due dame fecero conoscenza.
Mediterranea, prorompente, materna, l’una; nordeuropea, solenne, austera, l’altra.
Convenevoli di prammatica per una diffidenza istantanea che si sfoderò tangibile nella sua immanenza: una sospettosità ostile, dettata da quella competizione onnivora che è congenita in date nature femminili.
Si accomodarono a tavola e sbocconcellarono gli antipasti di mare caldo in un silenzio imbarazzante in via di condensazione che Cristiano tentò di diluire quando fu servito il risotto al nero di seppia.
“E insomma, il nostro Giacomo si è ammalato” disse, riproponendo con sciocca leggerezza l’argomento con cui, archiviate le presentazioni, aveva inaugurato la conversazione. Versò un bicchiere di Vermentino a Noemi e stappò quindi una renana di Cerasuolo per Patrizia.
“È stata una cosa repentina” articolò quest’ultima, portando la coppa alle labbra esili. “Stamattina non aveva niente, ripeto. È probabile che sia una forma virale: debolezza, dolori articolari, malessere generale. Vedrai che con un paio di giorni di paracetamolo e fermenti lattici tornerà in salute.”
Noemi, che fino a quel momento si era prestata a un’osservazione analitica e muta dell’ospite, demolì la trincea dietro alla quale si era barricata.
“Ma tu sei un medico o un’infermiera?”
“Niente di tutto questo. Ma ho maturato una buona cultura fai-da-te. Sai, basta documentarsi. Volere è potere.”
“Vedi” rincarò Cristiano pungolando la sua fidanzata. “Basta documentarsi, perché volere è potere. E, aggiungo io, bisogna non fermarsi mai.”
“Tu, Noemi” domandò Patrizia, incassato quel plauso trasversale. “Di che cosa ti occupi?”
“Lei al momento lavora come estetista in un salone di bellezza per conto di un’agenzia interinale, ma è una parrucchiera esperta e ha grandi capacità organizzative. Se i miei progetti professionali attraccano al porto giusto, nel giro di cinque, sei mesi sarà la mia segretaria.”
Conclusa l’irruzione, spedita e meccanica, nello spazio dialettico di una Noemi insofferente e fremente, Cristiano inchiodò Patrizia agli effetti delle proprie parole, che continuavano a circolare a mezz’aria.
Luce di velluto nello sguardo, testa inclinata di lato, con la voce sintonizzata sulle tonalità gravi, bisbigliò: “Potrebbe diventare la mia segretaria. Perché a me servirà una segretaria. Potrebbe...”.
La conversazione continuò a vertere su una Noemi presente ma non partecipe, esclusa sia da Cristiano sia da Patrizia, consacrati alla tempura che albergava nei piatti di portata.
“Mi assento un attimo” disse la mora tutta curve con un filo di fiato che nessuno avvertì.
Nell’attimo in cui tre scintille distinte si congiungevano in una simultanea evoluzione, i tacchi a spillo di Noemi martoriavano incuranti il parquet e Cristiano guardò Patrizia, le sorrise, le rabboccò la coppa.
Uno sguardo e un sorriso nel controluce del Cerasuolo che non imbarazzarono la giovane impiegata dal normotipo scandivano, con le pupille cerulee sui sei pollici LED del suo telefonino.
MI DISPIACE CHE NON CI SEI, MANCHI COME L’OSSIGENO. MANCHI SOLO E SEMPRE TU, SCAPPEREI SUBITO PER TE.
Giacomo uscì dalla cabina doccia, riscosso dal suono del messaggio. Ne lesse il contenuto, mentre con un asciugamano si tamponava i capelli umidi.
TI VOGLIO. FINIRÀ QUESTA CENA. FINIRÀ QUEST’ULTIMO, LUNGO PERIODO, PUOI CREDERMI. TI VOGLIO, E TU LO SAI.
Ma l’ottimistico proposito di Giacomo, affidato alla refrattaria tecnologia 3.0, si sarebbe realizzato solo nella sua metà più abbordabile: sarebbe finita la cena ma per l’ultimo, lungo periodo si sarebbe dovuto aspettare.
Con la stessa asepsi con cui poche ore prima si erano strette le mani, le ragazze si congedarono con un gelido bacio sulle guance e una brusca e repentina voltata di spalle.
“Alla prossima occasione, magari in quattro” disse Cristiano, ostentando il candido lucore di canini e incisivi.
Chiuse la porta impiallacciata e si preparò all’incendio che aveva preventivato. Ma dalla sua fidanzata, marginalizzata nel corso della serata, non si sarebbero propagati né fuoco né fiamme. Per Cristiano c’era un pericolo maggiore al varco: una scintilla.
“Come sta il mio convalescente?”
Patrizia coagulò la sua energia briosa nel bacio casto che lambì la fredda fronte del suo uomo.
“Meglio.” Giacomo si rizzò dal sofà e abbassò il volume del tv. “Non ho più la febbre e anche la spossatezza è diminuita. Com’è andata la cena?”
“Direi benino. Ho conosciuto Noemi, quindi esiste. Non è niente di che. Ha detto quattro parole in croce; non sa collegare soggetto e predicato ed è molto appariscente. Sì, anche troppo. Scusa se non ti ho messaggiato, ma, sai, non è educato isolarsi a casa altrui. Vedrai che domani ti chiama Cristiano. E adesso è un problema se mi infilo sotto le coperte? Sono stanca morta.”
E sotto le coperte si infilarono tutti e quattro, con, al proprio fianco, la parte che ognuno di essi aveva recitato in una beffa dove attori improvvisati e spettatori di ruolo si compenetravano.
La beffa di una cena e dell’ultimo, lungo periodo.
Giacomo e Cristiano erano stati amici per la pelle per decenni e il loro legame a doppio filo non si era sfaldato neppure quando aveva fatto il suo ingresso Patrizia, colta fanciulla dall’aria distaccata, blindata nelle sue letture.
Corteggiata da entrambi gli uomini, dopo mesi di altalene motivazionali, aveva premiato Giacomo, nonostante Cristiano continuasse a esercitare su di lei un ascendente talvolta irresistibile.
Un pomeriggio d’estate era però capitato l’irreparabile. Galeotto era stato un libro sfogliato all’unisono. Sensazioni e speculazioni condivise davanti a un caffè innocuo; poi il tuffo nel passato in cui Patrizia era per Cristiano un’intelligenza delicata e un animo sensibile e Cristiano era per Patrizia uno spirito pratico con aperture culturali. Infine erano stati la musica d’atmosfera e un automatismo della carne.
Giacomo, sollecitato da alcuni atteggiamenti equivoci, aveva intanto abilitato le sue azioni di monitoraggio ragionato – osservare movimenti, confrontare indizi, congetturare sui riscontri oggettivi – ma non ricavò alcuna prova di tradimento. Invischiato nel pantano fuorviante della gelosia, non ammetteva la sua incapacità di discernere i pericoli astratti da quelli concreti.
In simultanea, nella vita di Cristiano stava materializzandosi Noemi. Attratto dalle sue forme giunoniche, aveva iniziato a flirtare con lei. La sua specularità tanto fisica quanto psichica rispetto a Patrizia – da cui era intenzionato a prendere gradualmente le distanze – gli avrebbe consentito di girare pagina. Prima di decidere di non tenere più i piedi su due staffe e di immergersi a capofitto nella storia con Noemi, aveva estromesso Giacomo dagli aggiornamenti sulla sua vita sentimentale “alla luce del sole”, per escludere che potessero rimbalzare su Patrizia.
Ma a Giacomo, complice la sua esperienza sul campo, non era sfuggita la trasformazione dell’un tempo amico fidato; per accertarne le cause scatenanti, aveva così intrapreso un’oscura indagine compulsiva. Che, in meno di due settimane frenetiche, lo aveva condotto a destinazione. Lusingare, turbare e conquistare cuore, lato A e lato B della ragazza di cui aveva scoperto l’identità era stata opera semplice.
L’obiettivo di Giacomo non era costruirsi una relazione parallela o sostitutiva a quella con Patrizia, ma pareggiare il bilancio dei torti di cui credeva di essere stato vittima.
‘Bisogna agevolare la nemesi’ pensava lui.
E tutto questo mentre Noemi si destreggiava tra due possibili storie serie in nuce.
‘Prima o poi mi deciderò’ pensava lei.
Nel breve termine si era andato allestendo un perfetto incrocio clandestino tra coppie ufficiali, in cui ognuno reggeva il moccolo a se stesso, sospettando, pur in assenza di conferme, del doppiogiochismo altrui.
Cristiano aveva maturato il proposito di organizzare un evento “scansa-equivoci”, che avrebbe dovuto disperdere i veleni che si erano a poco a poco addensati nell’habitat di quei rapporti interpersonali. Ma l’accettazione dell’invito sarebbe stata per Giacomo una Caporetto in potenza.
Noemi – oggetto della seconda fase di una manipolazione mentale sotto mentite spoglie – ignorava intanto la doppia vita del suo spasimante.
Giacomo, favorito dalla riservatezza della sua occupazione che ne proteggeva la privacy, inibendo la pubblicazione di foto su internet e la creazione di profili social, non poteva permettere a una stupida cena di eludere i suoi bizantinismi strategici. La situazione aveva cominciato a scottare e le improvvide ricadute sulla storia con Patrizia erano molto probabili. Aveva imbastito suo malgrado un piano di salvataggio: un impianto di meschine giustificazioni da accampare a spese di Noemi, un colpo di teatro con un’uscita di scena e, dulcis in fundo, il ripristino dello statu quo.
Ma poi, tanto per lui quanto per gli altri protagonisti della farsa, era scattato l’ultimatum che bandiva i piedi su due staffe.
Le scintille ardevano fulgenti e ognuno avrebbe dovuto stabilire se alimentarle o soffocarle.
Giacomo sarebbe stato disposto a gettare alle ortiche una fedina d’oro bianco, un trilocale condiviso e gli scampoli corrotti di un’amicizia decennale?
Cristiano, esclusi gli scampoli, sarebbe stato disposto a ricalcolare le proporzioni del suo progetto professionale, a rinunciare alla vistosa prorompenza che ingaggiava il suo testosterone e a smantellare l’arredamento personalizzato da Noemi?
Noemi, escluso l’arredamento, sarebbe stata disposta ad assoggettarsi ancora alla precarietà del suo lavoro presso questo o quel salone di bellezza, ad adattarsi a una nuova quotidianità sregolata, con frequenti notti di solitudine?
Patrizia, al di là della scomparsa delle notti di solitudine, sarebbe stata disposta a tollerare il viso abbronzato e il candido lucore di canini e incisivi di un trentenne capace di vendere e di vendersi?
Le risposte erano custodite dal fioco bagliore di quelle scintille, diverse per dimensione e vigore, ma identiche per origini: il desiderio di una vita alternativa – straripante e gaudiosa nell’onnipotenza teorica delle volontà umane.
Una vita che accogliesse e appagasse i bramosi aneliti di un sentimento impetuoso e incalzante, confuso con una felicità in realtà molto, troppo distante.
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Re: Quattro scintille per una
Ho aggiunto anche il sondaggio.
Vedi istruzioni delle Gare.
Buon lavoro!
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Re: Quattro scintille per una
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Re: Quattro scintille per una
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Amore è anzitutto Fede e fedeltà.
Tutto il resto è un tifone caotico, ben descritto in questo racconto.
Quattro scintille per una: Ma quell'una non è Amore.
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Fra l’altro non ho ben capito chi manda il messaggio, pensavo Patrizia, ma poi si scusa di non aver messaggiato…
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Per esempio: "La voce, molle e impastata, smussava le asperità di un pensiero spigoloso."
O anche: "Giacomo aggrappò i suoi occhi appuntiti a quelli della fidanzata per perquisirne i recessi."
E penso anche a termini come "asepsi", un vocabolo usato in medicina e da te adoperato con un'analogia un po' cervellotica.
Circa il racconto, dovevi, a mio parere, lasciare ai protagonisti il compito di far intravedere la loro relazione reciproca e poi al lettore d'immaginare il resto.
Invece nel finale, in modo maldestro, è l'autore stesso (e non una voce narrante) a dilungarsi nello spiegare il come e il perché, e a soccorrere il lettore, forse perché consapevole di non esser riuscito a evocare prima l'intreccio che già si evinceva dal titolo.
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Re: Quattro scintille per una
Per prima cosa, un doveroso e sincero ringraziamento agli utenti (e per la maggior parte colleghi) che hanno dedicato tempo al mio lavoro: quelli che hanno scritto parole lusinghiere; quelli che hanno scelto la strada forse più impegnativa della critica costruttiva; quelli che, infine, hanno a mio avviso ceduto alla lusinga della critica fine a se stessa, di impronta riduttiva. Su coloro che, con ogni probabilità senza neppure portare a termine la lettura, liquidano un autore (non necessariamente io) con il voto 1, privo di un anche minimo commento enunciativo che permetta al diretto interessato di correggersi e migliorarsi, mi sono già pronunciato sul forum.
Cercherò, nei limiti del possibile, di soddisfare gli interrogativi emersi e, inoltre, di chiarire alcuni punti altrimenti destinati a rimanere oscuri.
Specifico che il racconto, in origine, avrebbe dovuto avere un taglio narrativo diverso da quello mostrato. Per ragioni di lunghezza del testo, mi sono trovato, nella seconda metà dello scioglimento e nell’epilogo, a ricorrere – secondo qualcuno in maniera maldestra - a una spiegazione esterna ai personaggi e alle loro capacità espressive. Per il poco spazio disponibile, sarebbe stato impossibile far continuare a parlare, a pensare e ad agire Noemi, Patrizia, Giacomo e Cristiano. L’alternativa sarebbe stata lasciare irrisolta la storia: da qui l’inutilità fattiva di presentare al pubblico di Braviautori il mio tentativo compositivo.
Quando mi riferisco a “spiegazione esterna”, intendo, come già accennato, “esterna ai personaggi” e non “esterna alla storia”. Ergo: a tirare le somme è la voce narrante (esiste, qualora non fosse chiaro a tutti, un narratore a focalizzazione zero, comunemente detto “onnisciente”, che sa più di ognuno dei personaggi, potendo penetrare nei loro pensieri), non l’autore. Non so su quali basi tecniche si possa sostenere in maniera arbitraria il contrario.
Certi termini o espressioni possono risultare ricercati o settoriali, frutto di un esercizio di stile e simili. Ritengo che nella nostra attività si debba sperimentare, costi quel che costi, anche rischiando di produrre stonature o inciampare nella tentazione sempre vigile del “bello scrivere” (che spesso si tramuta nel suo opposto). Non ho voluto ostentare né stupire; ma, dato che proviamo a fare letteratura e non giornalismo, sono convinto che ci sia consentito uscire ogni tanto dal recinto della denotazione per esplorare le praterie della connotazione.
Pur rispettando l’opinione altrui, credo che la “sostanza” di un’opera non debba essere pesata in base al numero delle citazioni letterarie o dei rimandi storici: si possono scrivere belle pagine con parole e contesti semplici e farcire righe con inutili e vuote evocazioni colte.
Riguardo alla questione del mittente del messaggio, rivelo che si tratta di Noemi.
Ho creato appositamente e quindi sfruttato le due situazioni parallele, compatibili con la composizione e l’invio del messaggio, dei personaggi femminili.
(Patrizia controllava il cellulare, ma Noemi si era allontanata dal soggiorno per raggiungere la camera e avrebbe potuto fare ciò che voleva…)
Il lettore, nella mia visione, sarebbe dovuto risalire all’identità del personaggio mediante il linguaggio dello stesso: Patrizia non sarebbe mai scivolata su un congiuntivo (“mi dispiace che non ci sei*”).
Grazie a tutti per la pazienza di avermi letto.
- Roberto Bonfanti
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Re: Quattro scintille per una
Per quanto riguarda la votazione, concordo sulle tue considerazioni su quell'uno tranchant se oscuro come motivazione, ma tant'è; con serenità ti posso dire che il mio voto è 3. Non disconosco la tua ottima capacità narrativa, semplicemente ritengo che stavolta il bersaglio, inteso come equilibrio tra forma e sostanza, non sia stato centrato.
Alla prossima, con stima.
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Intervista su BraviAutori.it: https://www.braviautori.it/forum/viewto ... =76&t=5384
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Blue Bull
Poliziesco ambientato a Chicago e Nuovo Messico
Un poliziesco vecchio stile, cazzuto, ambientato un po' a Chicago e un po' in New Mexico, dove un poliziotto scopre di avere un figlio già adulto e, una volta deciso di conoscerlo, si accorgerà che non sarà così semplice. Una storia dura e forse anche vera.
Frank Malick, attempato sergente della polizia di Chicago, posto finalmente di fronte alle conseguenze d'una sua mancanza commessa molti anni prima, intraprende un viaggio fino in Nuovo Messico alla ricerca di qualcosa a metà tra il perdono delle persone che aveva fatto soffrire e la speranza di un'improbabile redenzione.
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