Buono a nulla
- Daniele Missiroli
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Buono a nulla
Non aveva voglia di studiare, ma gli piacevano i numeri e aveva una bella calligrafia. Le volte che aveva marinato la scuola, imitando alla perfezione la firma dei genitori, non si contavano. Così, dopo essere uscito dal liceo a calci nel sedere, era stato costretto a cercarsi un lavoro.
– Sei un buono a nulla – il padre lo rimproverava ogni giorno.
In effetti, Jenkins non sapeva proprio far niente, quindi nessuno lo assumeva. Nessuno tranne Tom Wilford, poiché il ragazzo gli aveva detto che avrebbe lavorato gratis per imparare il mestiere.
Fu così che si ritrovò a distribuire la posta negli uffici di quella ditta. La compagnia concludeva affari in tutto il mondo: commerciava immobili, merci, azioni ed era quotata bene a Wall Street. Jenkins si rivelò metodico nel suo incarico. Prendeva servizio alle otto in punto e alle undici aveva già consegnato tutta la posta. Wilford, per farlo arrivare a fine giornata, lo aveva anche incaricato della distruzione dei documenti che venivano gettati incautamente nei cestini.
Un giorno, mentre vuotava proprio il cestino di Tom, si lasciò sfuggire una frase. Il presidente della compagnia, Arnold Stone, che casualmente aveva sentito, restò sorpreso sentendogli dire che bisognava vendere tutte le azioni. Tom scosse la testa, scusandosi per le corbellerie di Jenkins, ma il boss era diventato ricco proprio facendo quello che gli altri non avrebbero mai fatto. Il rischio gli procurava scariche di adrenalina irrinunciabili.
– Perché venderesti le nostre azioni? – Stone si lisciò il pizzetto. – Tutti le desiderano e il loro valore sale ogni giorno.
– Lei ne possiede solo il 40% e ormai nessuno le vende, perché stanno salendo.
– Appunto – Tom cercò di accompagnarlo a forza fuori dal suo ufficio.
– Venda tutto il pacchetto e le azioni crolleranno! – Jenkins fece l'occhiolino al signor Stone.
Dopo una settimana, durante la quale le azioni della B&B erano precipitate, e poi erano risalite alla stessa quotazione, Jenkins fu convocato nell'ufficio del presidente.
– Ho deciso di promuoverti – Stone lo fece accomodare.
– La ringrazio e mi congratulo con lei per aver raggiunto il 65%
– Oh, un colpo di fortuna, credo – il presidente gli fece l'occhiolino. – Mi hanno detto che sei bravo con i numeri, voglio che controlli i conti di tutte le filiali.
Da quel giorno la vita di Jenkins cambiò. Cominciò ad arrivare alle sette e a tornare a casa alle otto di sera. Le filiali erano trenta e c'erano gli ultimi dieci anni da verificare. Il lavoro era immenso, ma Jenkins lo affrontò con la consueta meticolosità.
Imparò l'uso di un programma, che fece poi modificare per i suoi scopi, e creò enormi tabelle. In quegli anni ebbe anche il tempo di laurearsi in Economia. La sua tesi si intitolava: "Come frodare piccole somme" e in pratica era il sistema che aveva scoperto nelle filiali. Il giorno dopo la laurea, Jenkins consegnò al signor Stone il rapporto definitivo. Wilford venne arrestato e lui fu promosso Direttore Generale.
Per altri dieci anni diresse la compagnia in modo puntiglioso. Licenziò tutti i rami secchi e assunse persone che, come lui, si dedicavano al lavoro dodici ore al giorno. Le operazioni speciali, quelle di cui il governo era meglio non venisse a conoscenza, le curava con particolare attenzione. Anche quella volta che un cartello colombiano gli chiese di affittare dei magazzini per stoccare la loro merce gli andò bene. Quando la polizia, grazie a una soffiata, arrivò sul posto, lui aveva già spostato tutto, perché non si fidava di nessuno.
– Un segreto è tale solo se lo conosce un numero dispari di persone inferiore a due – soleva dire ai suoi sottoposti.
Ora possedeva una villa principesca, due Ferrari, un conto in banca milionario ed era felice.
Tempo dopo il signor Stone lo convocò: – Ho deciso di fare una fusione – Albert chiuse a chiave la porta – e voglio che ci sia tu a capo della nuova società.
– Ma... – cercò di obiettare Jenkins, che aveva solo trentacinque anni.
– Ci uniremo alla Simon & Simon, creando una compagnia da un miliardo di dollari e tu sarai il presidente.
Jenkins rimase senza parole.
– Io ormai sono vecchio e resterò solo come consigliere esterno. Tutti i documenti sono già pronti, manca solo la tua firma. Gli avvocati ti aspettano in sala riunioni, insieme ai rappresentanti della Simon. Ricorda che nessuno deve saperlo fino a quando verrà dato l'annuncio ufficiale, fra una settimana.
Jenkins sapeva bene di cosa stesse parlando. La pena per insider trading poteva arrivare a vent'anni di prigione e a cinquanta milioni di dollari di multa.
Raggiunse la sala e firmò tutti i documenti, che gli avvocati si affrettarono a chiudere in cassaforte. Poi tornò nel suo ufficio e disse alla segretaria che si sarebbe preso una settimana di vacanza.
Sette giorni dopo si presentò, puntuale, alla conferenza stampa che annunciava la fusione. Aveva appena iniziato a parlare, che la sala fu invasa da un nugolo di poliziotti. Si diressero sul palco e gli chiesero le generalità. Lui rispose che era un amico del presidente, che gli aveva chiesto di parlare in sua vece.
Arnold Stone, che era seduto in prima fila, si alzò e disse che era falso: era Jenkins il nuovo presidente, mentre lui era solo uno dei tanti consiglieri esterni. La polizia controllò i documenti, prontamente forniti dagli avvocati. Su tutti c'era la firma di Stone e lo arrestò. Era perfetta, indistinguibile da quella vera.
Jenkins, in quella settimana, si era licenziato e aveva acquisito una piccola società d'affari che era solita speculare su diverse aziende. E proprio in quel periodo, casualmente, quella ditta aveva acquistato molte azioni delle due società che si sarebbero fuse.
Anche Stone l'aveva fatto, ma lui era il presidente: insider trading!
Gli diedero diciotto anni. Morì in prigione dopo cinque.
Jenkins visse alle Maldive, circondato da belle ragazze, per il resto dei suoi giorni.
- Giorgio Leone
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"Ora possedeva" forse è corretto, ma non mi piace molto.
Albert, che era seduto in prima fila, si alzò e disse che era falso" troppi che...
- Roberto Bonfanti
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Il cambio di nome di Stone te l’hanno già segnalato.
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- Daniele Missiroli
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Re: Buono a nulla
L'intenzione era più quella della favola (il buono a nulla, se motivato,si riscatta e fa qualcosa di buono) piuttosto che la descrizione di giochi di borsa seri. Non sono riuscito a creare l'alone di leggerezza che serviva; andrà meglio in primavera.


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Però il tuo Giufà tanto buono a nulla non è. Perché usciti dal Liceo nessuno sa far niente (non è un posto dove si imparano competenze) e il nostro protagonista lavora invece da subito con impegno e dedizione e riesce a scalare con le sue sole forze i vertici dell'azienda dove lavora. Si laurea, scopre truffe, e via discorrendo, diventa il massimo dirigente. Perché sarebbe un buono a nulla? Forse lo era suo padre, non lui.
A mio avviso proprio nella costruzione del carattere del personaggio Jenkins perdi la scommessa. Il protagonista è un vincente, non il contrario. Un vincente che costruisce la sua fortuna con metodo e impegno, non un cretino che per caso mette nel sacco tutti.
Fosse stato un buono a nulla avresti dovuto farlo rimanere tale fino alla fine per dare un senso alla storia. Il senso che tu scrivi debba avere.
- Eliseo Palumbo
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Racconto scritto molto bene come tuo solito. La favola a me è piaciuta. Il titolo è una provocazione come a dire: buono a nulla chi? (o almeno io l'ho interpretata così)
Per il resto, non mi sono fatto troppe domande sul mondo della finanza eccetera.
Voto positivo
- Isabella Galeotti
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Re: Buono a nulla
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