Brianza Horror
Brianza Horror
Ore 8
DONG…DONG…DONG. Con le campane che suonano a morto, mi risveglio anche questa mattina. Forse farei meglio a cambiare suoneria al cellulare, mettere qualcosa di allegro o un pezzo rock. Oggi mi sento strano dopo che ieri sera ho letto per metà "la solitudine del maratoneta", di Sillitoe; è un libro illuminante e questa notte, dopo la tremenda giornata che mi attende, voglio finire di leggerlo. Mi alzo scivolando dal letto agile come un bradipo, e quasi carponi vado in cucina. Ingoio un cornetto alla crema e bevo acqua naturale, la colazione frugale di un mistico dell'occidente. Tutto questo in diciassette secondi. Non è ancora record. E poi via in bagno, il mio regno mattutino, dove il gesto di radermi è ormai diventato una messa laica.
In giornata dovrò presentare una relazione di bilancio al capo, la persona più importante dopo Osvaldo Piccion, il gran patron di Divanite. È un lavoro incompleto perché la mancanza cronica di personale e programmi informatici non mi permette maggior precisione.
Da quando la crisi è arrivata, tutto è andato a rotoli, anche le cose semplici non sono più recepite. Ora non c’è più San Silvio perso tra le cosce di qualche ragazzina e nemmeno Don Umberto pizzicato con le mani nella marmellata. E per Matteo de’ voantri che aggettivo si può trovare? È strano il destino dei brianzoli, che da oltre un ventennio hanno affidato le loro speranze politiche e filosofiche a persone dal passato piuttosto oscuro.
Paradossalmente questo popolo, tra i più laboriosi al mondo, ha affidato il suo futuro a soggetti che non hanno mai lavorato. Si ha l’impressione che non ci sia più un rappresentante serio nel vasto mondo che circonda questa landa. I padri se ne sono andati e gli orfani sono diventati esperti di costituzione, di accoglienza agli immigrati e di emergenze naturali. E di flat tax. Vivono e proliferano in un mare d'egoismo, tra lamentele e arroganza e rimembranze del tempo andato. Bene, mi sono sbarbato e vestito. Forza e pazienza.
Ore 10
Dopo un paio di commissioni arrivo in ufficio e trovo i miei colleghi alla macchinetta del caffè.
A prima vista mi paiono sereni, anche se un po' stanchi, d'altronde il ritmo è da catena di montaggio alla Charlie Chaplin, altro che lavoro di concetto. La direzione del pensiero non è più uniforme, anni e anni di antico benessere filtrano e distorcono una realtà in declino. Dopo dieci minuti mi chiama Piccion. Vuole sapere se i dati sono pronti. Il tono è quello tranquillo e conviviale della casalinga di Voghera che ha appena trovato un topo nella dispensa. Rispondo come un automa, tipo sì, però, mancherebbe questo e questo. Non mi dilungo più di tanto perché non sono più sicuro di reggere la parte, spesso provo un senso di scoramento, di vergogna indefinibile. Gli abitanti della Divanite li divido in due categorie: gli automi e i replicanti. Gli automi conoscono le tempistiche del lavoro e le sue tecniche. Sono positivi, anche se ormai rispondono a monosillabi e si comportano come gli antichi Maya dinanzi alla veemenza del vulcano: alzano le braccia in segno di rispetto verso la grandezza della natura. Qui alzano le mani e basta, di grandezza se ne vede poca. I replicanti sono più obliqui, cercano sempre una sponda cui aggrapparsi, sono una categoria protetta, potremmo definirli i quadri del sistema, anche se per ovvi motivi sono sempre bypassati dalla proprietà. I replicanti però non mollano, ripetono all'infinito il loro monotono disco e sono lasciati in pace. È questione d'intelligenza, coraggio e, soprattutto, onestà. A volte nei momenti di scoramento penso che il confine tra le due categorie sia labile, ma in realtà c'è, eccome se c'è.
Ore 12
La pausa pranzo è arrivata in un battibaleno. Vorrei tornare a casa, cuocere un paio di uova e sdraiarmi sul letto ad ascoltare un po' di musica. Purtroppo ho promesso a Marcello di pranzare con lui. Mi farà comunque bene. Mi è simpatico Marcello. Sul lavoro è avanti cent'anni rispetto a me, lui non ha coscienza delle cose, non esegue, annuisce e basta. Piccion gli ha chiesto più volte una relazione sui venditori, lui ha annuito e non ha presentato nulla. È in perfetta linea con il sistema che non vuole avere troppi dati e percentuali da esaminare, quelli te li chiedono solo per farti lavorare poiché ti pagano. No, al sistema non gliene ne frega un gran cazzo di questo. Solo soldi, soldi, soldi, vogliono sentirsi dire che stanno guadagnando, che sono bravi e che fanno tanto business.
Ore 14
Al rientro è tutta una fibrillazione. Oddio, è il morto che prima di divenire tale ha un rigurgito di vita? Ripenso al DONG della sveglia. Arriva Aldo Trombetta, detto il Trombetta. Nome omen, il Principe dei Replicanti, risultati zero, esibiti con una classe innata. Si pavoneggia, ha appena parlato con Piccion.
"Mi ha detto che le vendite sono in calo e che i clienti non pagano" esordisce finto trafelato. "Osvaldo” gli ho risposto “te l'ho già detto l'altro giorno, non ti preoccupare. Devi parlare con i tuoi commerciali, sono loro che non mi danno le cose di cui ho bisogno. I modelli, le pelli, io… io… io… sono bloccato. Che cosa succede? Una volta il lavoro girava, giraavaaa." Conclude finto ieratico.
Incredibile, la solita litania da dieci anni, non una nota fuori posto. C’è o ci fa? Ci sono o ci fanno? Se ci fosse qui Freud neanche con una mega tirata di coca avrebbe capito la psiche di personaggi simili. Pesante, la situazione è sempre più greve e l'orizzonte plumbeo. Vedo nuvoloni minacciosi all'orizzonte.
Vivere o sopravvivere?
Ore 16
A metà pomeriggio prevedo che la giornata sarà ancora lunga. Il bilancio è pronto, per quello che può valere. È il momento del caffè e con grande sorpresa ritrovo il mio amico Sergione. Era tanto tempo che non incontravo questo brasiliano grande, grosso e biondo che cura l'importazione delle pelli. Aveva terminato la collaborazione da un bel po' di anni ma da circa un mese ha firmato un nuovo contratto.
"Hola Sergione, como va la vida?" scherzo sempre con lui, cercando di mischiare un po' di parole italiane, spagnole e portoghesi. Mi fa un sorriso non molto convinto e capisco che è un po' preoccupato.
"È tanto che non ti vedo." esordisco per sciogliere il ghiaccio. "Eh sì, penso siano passati dieci anni dal nostro ultimo incontro." mi sorride più rinfrancato, "Vedo tanti cambiamenti.”
"Trovi? Sì, credo che siano cambiate un po' di cose ma lavorando qui da tanti anni me ne accorgo meno. Che cosa trovi di diverso?" gli chiedo incuriosito.
"Vedo in giro tanto nervosismo, oserei dire rabbia. In Italia e in azienda. Tanti anni fa non era così. Ho visitato alcuni profili facebook, vedo post che passano dalla dolcezza della foto di un gattino alla rabbia per la politica. Sembra che tutti siano esperti di tutto, ma li leggono i giornali?”
"Caro il mio Sergione, forse è l'eredità di Silvio. È stata la miccia che ha fatto credere ai brianzoli di essere tartassati dallo stato mentre lui predicava di evadere il fisco. Nessuno si è accorto che questo pensiero ha tolto slancio e inventiva." gli rispondo tutto di un fiato.
"Cioè dare voce al malcontento di piccoli borghesi ha significato portarlo in una strada chiusa?"
"Eh sì, credo proprio di sì. C'è stata un'amnesia generale. Nel frattempo gli orizzonti del mondo sono mutati e ora ci ritroviamo tutti in braghe di tela. Tra l'altro con l'euro non si può più utilizzare la leva della svalutazione e quindi siamo rimasti al palo.”.
"È un peccato, perché una volta eravate un popolo allegro e lavoratore, ora… non so… mi sembrate tutti impazziti." mi dice Sergione dispiaciuto.
"Caggiavà Sergione, es un momento particular. Più tardi ci facciamo una caipirinha magari!”.
"OK!" e ci abbracciamo.
Mi ha fatto piacere rivederlo, mi ricorda un tempo in cui l'aria era più leggera.
Minchia, Sergione!
Ore 18
Sono un po' stanco. Non ho ancora capito se la situazione va bene così o se ci sono delle domande e richieste di approfondimento.
Finalmente arriva la telefonata di Piccion. Ho la vaga impressione che la nostra casalinga abbia visto centinaia di topi nella dispensa. Vuole rivedere alcuni conti perché ha parlato con Marcellabbella e dice che ci sono degli importi discordanti. I coglioni ormai mi penzolano rinsecchiti a livello delle scarpe. Non è possibile…vedo il pensiero di una civiltà seppellito da una montagna di frittelle rancide, la decadenza a grandi falcate arriva e ci sfiora. Per ora, un giorno non tanto lontano ci sotterrerà.
Immagino che Piccion giri per le scrivanie come un prof tra i banchi di scuola, lamentando di non avere più soldi e di essere diventato povero. E penso con affetto ai miei colleghi, magari quelli con mutuo a carico, che lo devono ascoltare. Alle sue obiezioni rispondo con un sintomatico - veda lei. So il fatto mio e so che mi sto stancando. Pazzesco, una volta c'era la Brianza, fosse anche solo quella alcolica che leggevi sugli striscioni dello stadio. Era uno slang che voleva dire persone serie che miravano al sodo. Persone che vivevano bene, con rapporti costruiti nel tempo, focalizzati nel rispetto e nella serietà. Nulla di serioso, solo il vivere civile. È proprio saltato tutto, qui ormai c'è più politica che in parlamento. Per quattro conti da strapazzo.
Qui è la Brianza Horror.
Ore 20
Giornata lunghissima. Arriva finalmente la telefonata del capo e del vice capo. Anche loro sono ingredienti scaduti di questo minestrone puzzolente.
Giovanni e Giacomo, Giacomo e Giovanni. G & G. Non si possono vedere, negli anni sono stati il numero uno e due alle dipendenze di Piccion, alternandosi secondo gli umori del capo e la vischiosità della lingua. Mi sembra di vedere Putin e Medvedev. Uno è primo ministro e l'altro presidente, poi come d'incanto si scambiano i ruoli. I russi, però, comandano. Parole parole parole. Quello ha detto questo, l'altro però sostiene questo. Una Babele, anche se usiamo lo stesso idioma.
I live in Brianza Horror.
Ci salutiamo rinviando a domani l'esame del problema. Sarà un'altra riunione dove tutti si trascineranno stancamente, svegli come dei formichieri solo ai cenni di Piccion. Chiudo la telefonata con un senso di nausea ma forse è già tutto superato: è solamente fame.
Ore 22
Sergione mi ha aspettato, gentile come sempre. Ci ritroviamo come ai vecchi tempi a mangiare una pizza, niente caipirinha, sostituita da un’ottima birra rossa, discutendo del più e del meno. Cerchiamo di lasciare da parte il lavoro, ma inevitabilmente ritorniamo sempre sull'argomento. Anche in Brasile, come in tutto il Sudamerica, la situazione non è buona.
“Ci siamo sempre confrontati negli anni scorsi, non pensi che sia anche un fatto di cultura questa crisi?” gli chiedo.
“Penso di sì, ho sempre notato un certo rachitismo intellettuale e morale, l’importanza dell’accumulazione di denaro è sproporzionata nella realtà di oggi. Mi sembra che il tempo si sia fermato.”
“Bravo Sergione, hai colto nel segno. Voglio fare il filosofo come te, e ti dico che il troppo stroppia. Troppo lavoro, troppi soldi, troppa furbizia. Poi un giorno ti svegli e scopri che non hai voglia di rinnovare la tua azienda, che la strada da sempre percorsa è diventata viscida e impervia. Forse è la storia del mondo e dei suoi cicli; il tempo posa sempre la sua polvere.”
“Non ci resta che berci una grappa…salud!” mi risponde con allegria.
“Salud amigo mio.”
Mi fa piacere che io e Sergione siamo sempre in sintonia.
Alla seconda grappa cominciamo a scherzare e a parlare di calcio.
Domani sarà un'altra dura giornata di lavoro.
Se ci vado.
Forse no.
Vedremo.
Non vedo l'ora di leggere il libro.
Ore 24
Ritorno a casa allegro. La birra, le due grappe e la compagnia di Sergione hanno contribuito a rendere leggero il mio animo. Mi svesto in un batter d'occhio. So già che non dormirò subito. Prendo in mano "La solitudine del maratoneta" e comincio a leggere. Sono alla metà del racconto e con un po' di sforzo riuscirò a finirlo.
Si parla di Colin incarcerato in un riformatorio. Deve correre la corsa di tutte le case di correzione d'Inghilterra. È il favorito. Lui però non vuole vincere, non vuole dare la soddisfazione alla faccia da porcello del suo direttore di pavoneggiarsi come un damerino. Lo trovo un bellissimo esempio di onestà personale.
Parte la corsa e Colin è subito in testa. Con la strada che corre sotto i suoi piedi, rafforza il suo primato. Arriva l'ultima curva, quella più in fondo al percorso. È parecchio distante dalle tribune, dove i notabili si stanno gingillando per la sicura vittoria di Colin; ma lui non vuole vincere, è spinto da un senso di giustizia verso se stesso, una purezza che lo pone sopra gli uomini comuni.
Completata la curva, Colin si finge moribondo, si getta a terra in preda a dolori articolari, coliche renali e chi ne ha più ne metta. Con l'occhio di sotto all'ascella controlla gli inseguitori. Arrivano a passo cadenzato e stanco. Sicuramente non lo valgono. Lui si dimena sempre più fino a quando è superato. Solo allora si può rialzare e correre verso il traguardo.
Wow!
Non ha vinto ed è ciò che voleva. È come se avesse segato il ramo su cui era seduto. Sorride con se stesso pensando al grugno del direttore di fronte alla sua inopinabile sconfitta.
Immagina che sarà punito per questo. E così sarà. Pulizia cessi fino al termine del periodo di pena. Soddisfatto, pulirà tutti i giorni, in pace con se stesso.
Ore 2
È tardi, e sono arrivato alla fine del libro; me lo appoggio sul petto e chiudo gli occhi con un senso di leggerezza.
La giornata è stata lunga e per certi versi inutile. Tutto è fermo, aggrappati a un sottile filo di lana, si spera nello stellone italico. Anche lui però non funziona più, la fortuna che ci ha sempre arriso ha voltato la schiena, si è tolta la benda e ora guarda da un’altra parte. La notte porterà consiglio o sarà il mio corpo a dare la risposta. Immagino di segare il ramo dove sono seduto, proprio come Colin.
Sento l’attrezzo che procede veloce.
Gra sciii gra sciii gra. Ormai manca poco.
Crraaaack... sto volteggiando nell'aria, il mio corpo fa mille capriole, vedo i miei genitori che da lassù mi sorridono, a terra ci sono i miei amici con la mia ragazza che agita un fazzoletto rosso, vedo il cielo azzurro e le nuvole bianche e tante cicogne che giungono da lontano. Annuso l’aria tersa di un bel giorno di primavera. L'animo è leggero e il mio volto lo sento disteso. Ogni salto nel vuoto ha il suo fascino discreto.
Vi voglio bene, a tutti, indistintamente. L'atterraggio prima o poi arriverà e sarà il più morbido possibile.
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Trovo bello in particolare questo passaggio, dà un'immagine particolarmente efficace:
Sono positivi, anche se ormai rispondono a monosillabi e si comportano come gli antichi Maya dinanzi alla veemenza del vulcano: alzano le braccia in segno di rispetto verso la grandezza della natura. Qui alzano le mani e basta, di grandezza se ne vede poca.
In questo passaggio secondo me c'è un errore, parla Osvaldo, poi dici che il protagonista risponde ma alla fine del discorso chiudi con un "conclude" come se fosse di nuovo Osvaldo a parlare. Forse mi sono confusa io...
"Mi ha detto che le vendite sono in calo e che i clienti non pagano" esordisce finto trafelato. "Osvaldo” gli ho risposto “te l'ho già detto l'altro giorno, non ti preoccupare. Devi parlare con i tuoi commerciali, sono loro che non mi danno le cose di cui ho bisogno. I modelli, le pelli, io… io… io… sono bloccato. Che cosa succede? Una volta il lavoro girava, giraavaaa." Conclude finto ieratico.
Spero di non averti annoiato ... per me voto 3.
- Eliseo Palumbo
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Bel racconto, scritto molto bene.
Il protagonista esterna il suo malessere passo dopo passo lungo tutta la giornata fino alla drastica e finale decisione anche se tanto finale forse non sia, era già tutto premeditato dal mattino anche se forse voleva inizialmente negarlo a se stesso: "Oggi mi sento strano dopo che ieri sera ho letto per metà "la solitudine del maratoneta", di Sillitoe; è un libro illuminante e questa notte, dopo la tremenda giornata che mi attende, voglio finire di leggerlo." questa parte , con il senno di poi a fine lettura, credo che sia una sorta di anticipazione.
I vari riferimenti ai vecchi e attuali leader del centrodestra non mi sono piaciuti, se in Brianza e in Italia ci sia stata o c'è una crisi la colpa non è certo solo loro, ma non siamo qui a parlare di politica. Bella l'immagine di Sergione e il protagonista rimasto molto "vero" consapevole di non sapere il portoghese e ammette di mischiare parole spagnole e italiane; un ultima bevuta, un ultimo sorriso, un ultimo momento di fugace felicità prima del salto nel buio dell'oltretomba, gesto apprezzabile o meno ma pur sempre rivoluzionario per il protagonista, che per la prima (e ultima volta) ha deciso di pensare a sé stessi, di essere egoista e cercare l'imperitura voglia di libertà e riscatto.
Si lascia leggere.
Re: Commento
In pratica è il Trombetta che riferisce al protagonista del colloquio con Osvaldo.
Questo racconto ha suscitato curiosità tra amici e colleghi perché cercavano i nomi delle persone reali da sostituire a quelli di fantasia.
E' quindi un racconto "locale", frutto di una situazione reale. Quasi sicuramente per chi è lontano risulta di più difficile comprensione.
E'scritto con il sangue. Il mio.
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Niente male, davvero.
p.s. Grazie per avermi fatto scoprire un libro che non conoscevo.
https://chiacchieredistintivorb.blogspot.com/
Intervista su BraviAutori.it: https://www.braviautori.it/forum/viewto ... =76&t=5384
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Re: Brianza Horror
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forse un po' lungo, come lunga è la giornata del protagonista, però si legge bene fino in fondo.
tutto sommato è la descrizione, un po' esaltata, ma tant'è, della situazione attuale in quella zona.
apprezzabili anche i vari riferimenti ai politici ingannatori, di destra o sinistra che siano, il cui impegno ha portato alle condizioni del momento.
bel lavoro
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Mi ha divertito parecchio e trovo che rispecchi molto bene il punto di vista di un indigeno fermo ai bordi della giungla intento ad osservare come questa si è trasformata nel tempo.
Non uso il termine deteriorata, bensì utilizzo il termine trasformata.
Ogni società ha bisogno di alcuni passaggi e metamorfosi per mutare.
Alcune volte regredisce, come ben descritto nel testo, ma alla fine migliora.
E' solo questione di tempo.
Un tempo che spesso è ben maggiore di quello a nostra disposizione.
Mi piace come hai descritto quella giungla ed il caos che in essa qualcuno ha introdotto ad arte.
Sono certo che l'ordine avrà la meglio un giorno su quel caos.
A quel punto soggetti mediocri, automi e replicanti dovranno adeguarsi ai nuovi standard.
In assenza di caos i salti nel vuoto non son ammessi.
Mi piace e mi ha divertito.
Voto: 4.
https://www.youtube.com/watch?v=HTRHL3yEcVk
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Non sono sicuro che il protagonista del romanzo di Sillitoe sia perfettamente sovrapponibile al protagonista del tuo racconto. A ogni modo, sia nei pensieri solitari del tuo protagonista, sia nei dialoghi con Sergione, mi pare che si compia un'analisi lucida e obiettiva della situazione; ma affatto profonda, sembra che i protagonisti non riescano ad andare oltre la superficie. Forse l'horror della Brianza fa parte della naturale evoluzione del capitalismo, da industriale a finanziario, non ti pare? E lo spostamento dei fattori produttivi in luoghi più adeguati siano una naturale declinazione del capitalismo globalizzato odierno. E quindi bisognerebbe riflettere sull'essenza del moderno capitalismo, e della moderna società della tecnica, e non farne un fatto meramente generazionale e motivazionale.
Il protagonista vede i suoi colleghi, e forse anche se stesso, come dei piccoli borghesi e nell'eclisse della medio borghesia, in quel timore di diventar poveri, ravvisa la fine di un mondo, del suo mondo. La mia convinzione è che la definizione anglosassone di middle class sia una truffa, una mistificazione storica. Le classi lavoratrici, la working class, sono state sempre a rischio povertà, perché la loro ricchezza dipendeva e dipende esclusivamente dalla presenza di lavoro e dalla qualità della sua retribuzione. La perdita di coscienza della propria posizione costituisce la più grande vittoria delle èlites, che hanno fatto credere a tutti di essere dei piccoli capitalisti. Per poi cominciare a smantellare tutto il bel gioco per apparecchiarlo altrove. Asservire le menti e lasciare la libertà ai corpi, per poi, con calma, renderli schiavi col bisogno.
E infine, da siciliano, confesso di non aver avuto molta empatia per i dolori della Brianza. Perché se in Brianza oggi si gira un horror, in Sicilia e nel Mezzogiorno da due secoli stanno girando uno snuff movie. E mi pare che non gliene sia mai fregato niente a nessuno, né alle classi dirigenti, comprese quelle meridionali, né al popolo italiano nel suo complesso. Non c'è mai stata industria, non c'è mai stato sviluppo, non c'è mai stata speranza, se non nella fuga. Io ho la mia famiglia sparpagliata in mezzo mondo tanto per dirne una. Ricordo a me stesso che se nel 1861 il Regno delle Due Sicilie (esclusa quindi la Sardegna) aveva la metà della popolazione italiana, oggi ne ha un terzo. E fra trent'anni le proiezioni demografiche ISTAT danno un sesto. Manco la guerra greco-gotica era giunta a tanto.
Per quel che vale ti do il massimo dei voti, Athos.
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Per il resto, tutti i miei complimenti: invece di un saggio sociologico sulla vita aziendale e sul declino del miracolo brianzolo piuttosto che di quello del nord est, mi hai regalato una tua giornata psicotica divertente in attesa del licenziamento o dell'araba fenice della pensione.
Forse qualche ragionamento troppio serioso e "pensato" fra una grappa e l'altra, ma la sostanza c'è ed è molto positiva.
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Gara d'estate 2020 - Anniversari, e gli altri racconti
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BReVI AUTORI - volume 4
collana antologica multigenere di racconti brevi
BReVI AUTORI è una collana di libri multigenere, ad ampio spettro letterario. I quasi cento brevi racconti pubblicati in ogni volume sono suddivisi usando il seguente schema ternario:
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Ma gli estremismi non ci piacciono. Il nostro concetto di brevità è un po' più elastico di un SMS o di un aforisma: è un racconto scritto con cura in appena 2500 battute (sì, spazi inclusi).
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Ida Dainese, Angela Catalini, Mirta D, Umberto Pasqui, Verdiana Maggiorelli, Francesco Gallina, Francesca Santucci, Sandra Ludovici, Antonio Mattera, Francesca Paolucci, Enrico Teodorani, Laura Traverso, Romina Bramanti, Alberto Tivoli, Fausto Scatoli, Cinzia Iacono, Marilina Daniele, Francesca Rosaria Riso, Francesca Gabriel, Isabella Galeotti, Arcangelo Galante, Massimo Tivoli, Giuseppe Patti, SmilingRedSkeleton, Alessio Del Debbio, Marco Bertoli, Simone Volponi, Tiziano Legati, Francesco Foddis, Maurizio Donazzon, Giovanni Teresi, Sandro Pellerito, Ilaria Motta.
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Déjà vu - il rivissuto mancato
antologia poetica di AA.VV.
Talvolta, a causa di dinamiche non sempre esplicabili, uno strano meccanismo nella nostra mente ci illude di aver già assistito a una scena che, in realtà, la si sta vivendo solo ora. Il dèjà vu diventa così una fotocopia mentale di quell'attimo, un incontro del pensiero con se stesso.
Chi non ha mai pensato (o realmente vissuto) un'istantanea della propria vita, gli stessi gesti e le stesse parole senza rimanerne perplesso e affascinato? Chi non lo ha mai rievocato come un sogno o, perché no, come un incubo a occhi aperti?
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A cura di Roberto Virdo'.
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