Siamo tutti nelle Sue mani
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Siamo tutti nelle Sue mani
Admeto, era un omone vicino all'ottantina.
Coltivatore ed allevatore di professione, ancora in piena attività.
Era uomo rude, indomito, selvatico e nonostante l’età tutt’altro che debole.
Una notte, del passato febbraio, Admeto si svegliò di soprassalto.
Aveva una strana sensazione, per cui si vestì in fretta e furia, uscì di casa e si mise a correre verso la stalla, distante pressappoco mezzo chilometro dalla sua abitazione.
Mentre correva accadde qualcosa di insolito, qualcosa che lo spaventò profondamente.
Fu una delle poche volte in cui Admeto, nella sua vita, provò realmente una sensazione di vera paura.
Si fermò e fu costretto ad inginocchiarsi a margine della strada, aveva un respiro affannoso, brividi, era tutto sudato: si passò la mano sulla fronte ed ebbe la sensazione che la pelle fredda fosse ricoperta da un centimetro di sudore appiccicoso e denso. Continui colpi di tosse incontrollabili non gli permettevano di respirare, poi cadde disteso in terra.
La crisi non durò più di un minuto, ma nel frattempo una pattuglia di Carabinieri, in giro di ronda, si trovò a passare proprio su quella strada.
I due Carabinieri fermarono l’auto e si precipitarono a soccorrere il povero Admeto.
— Signore, sta bene? Cosa le è successo? —
— Fatevi i ca… vostri, sto benissimo, andatevene fuori dai coglio.. e lasciatemi in pace che non ho fatto niente! —
Le parole di Admeto erano interrotte da continui colpi di tosse.
Poi fece per rialzarsi, ma appena in posizione eretta, una nuova crisi, simile alla precedente, lo costrinse di nuovo in ginocchio con i pugni poggiati a terra.
I due Carabinieri chiamarono immediatamente il comando disponendo che un’ambulanza giungesse presto in soccorso.
Appena i sanitari giunsero sul posto, constatarono che i parametri vitali di Admeto erano pericolosamente anormali. Per cui lo caricarono in ambulanza, accesero la sirena e corsero verso il più vicino ospedale.
Lasciarono il paziente al medico di guardia del pronto soccorso, congedandosi con: — Era in crisi respiratoria, con una forte tosse, gli abbiamo somministrato venti litri al minuto di ossigeno, ora i parametri vitali sono migliorati, adesso tocca a voi, buon lavoro! —
I medici del pronto soccorso effettuarono nuove misure dei parametri vitali: temperatura corporea, pressione arteriosa, saturazione emoglobinica arteriosa.
Applicarono la cannula sul braccio del paziente, poi passarono ad una serie di prelievi di sangue, compreso quello per l’emogasanalisi arteriosa prelevando il campione dal polso.
Quindi elettrocardiogramma, radiografia e TAC al torace.
Infine tampone faringeo per il test diagnostico COVID-19.
A questo punto Admeto venne ricoverato in un reparto di isolamento creato ad hoc per i possibili malati di COVID-19.
Giunto in reparto Admeto non stava affatto bene, ora respirava meglio ma la febbre era alta, così che il medico, dopo aver letto i referti degli esami diagnosticò: Polmonite bilaterale interstiziale acuta con versamento pleurico ed ordinò di somministrargli immediatamente una flebo di tachipirina e praticargli un drenaggio polmonare.
La mattina verso le 06.00 il laboratorio di analisi telefonò al reparto: Admeto era positivo al COVID-19.
Immediatamente venne asciugato, rivestito e trasferito in fretta e furia al reparto tisiologia COVID-19.
Dopo le due flebo di tachipirina somministrate durante la notte Admeto ora si sentiva bene e fresco come una rosa.
Appena sistemato nel letto del nuovo reparto però cominciò a far conoscere a tutti il suo naturale modo di essere.
Cominciò ad urlare, bestemmiare e fare il diavolo a quattro.
Le infermiere richiamate dalle urla di quel pazzo furioso accorsero spaventate.
— Cosa succede signor Admeto, cosa c’è? —
— Dove caz.. Siamo? Si può sapere dove caz.. mi avete portato? —
— Siamo in ospedale … non si ricorda nulla di quel che è successo stanotte? —
— E perché mi avete attaccato questo tubo e questa maschera? — Urlò Admeto strappandosela ed imprecando con l’aggiunta di bestemmie tali da far sbiancare perfino il demonio.
— Stai calmo Admeto e rimetti la maschera, ti serve per respirare, datti anche un contegno nel parlare, non siamo in chiesa ma nemmeno in un porto di mare, fallo anche solo per rispetto verso gli altri pazienti! —
— Adesso si calmi, come diceva la mia collega tenga bene la maschera, ecco gliela sistemo io, stia tranquillo! —
— Cosa c’è Admeto? Ti serve forse qualcosa? Hai bisogno di qualcosa? Perché sei così agitato? —
— Datemi il mio cellulare è nella tasca davanti della giacca! Fai la brava anche tu!
Porca vacca! —
— Glielo portiamo subito, stia tranquillo! —
— Ecco Admeto il tuo cellulare, adesso stai calmo, vuoi che ti faccia io il numero? —
— Non sono mica rimbambito, vai bella, vai fuori dalle palle, lasciatemi in pace! —
Le due infermiere si fecero da parte, ma rimasero nella stanza, prendendosi, nel frattempo, cura degli altri tre pazienti in essa ricoverati.
Poco dopo cominciò il gran vociare di Admeto al telefono, in comunicazione con la moglie.
— Ciao Rosa, questa notte mi sono svegliato per andare in stalla a vedere della Bianca ma mi sono sentito poco bene mentre ero in strada. Due sbirri che passavano, anziché pensare ai fatti loro, hanno chiamato l’ambulanza e mi hanno portato in ospedale. Aspetta un momento … Ehi voi due! Perché sono stato ricoverato? —
— Admeto lei ha una polmonite grave ed è positivo al tampone per il COVID-19. La sua situazione è molto grave, per questo si trova qui! —
— Rosa, senti l’ultima, due rimbambite vestite da spaventapasseri mi hanno detto che ho una polmonite grave e ho preso la malattia del vitello 19. Roba da matti, adesso le metto a posto io queste. Vai a vedere della Bianca, non vorrei che avesse cominciato il travaglio. Ciao Rosa, non ti preoccupare, poi ti chiamo più tardi. Bacio! —
Le due infermiere erano divertite da quel soggetto molto originale, ma allo stesso tempo preoccupate per le sue condizioni.
— Sentite un momento voi due! Primo: Io di polmonite grave non ne ho mai avuto! Secondo: Cosa è questa storia del vitello 19. Ma siete dottori o veterinari voialtri? Io vado a casa mia, non mi lascio mettere addosso le mani da veterinarie e poi sta maschera mi ha davvero rotto i coglio..! —
— Admeto, adesso stai calmo, noi siamo solo infermiere, siamo “bardate” in questo modo per via del virus. Tu sei malato di un virus che si chiama COVID19, magari lo hai sentito chiamare coronavirus. Questo virus ti ha provocato una polmonite grave e le tue condizioni non sono affatto buone. Il vitello non c’entra niente. Cosa fai di lavoro Admeto? L’allevatore? Probabilmente è per quello che hai pensato al vitello sentendo il nome del virus. Adesso stai calmo e buono dai, vado a chiamarti il dottore così ti spiega lui tutto per bene! —
— Si faccio l’allevatore e sono preoccupato per la mia Bianca che deve partorire, spero che stia bene, adesso ho detto a mia moglie di andare a controllare! —
— Vedi Admeto, allora anche tu sei un po’ un infermiere come noi, ti prendi cura e ti preoccupi per la tua Bianca, invece noi e tutto questo reparto siamo qui per prenderci cura e ci preoccupiamo della tua salute. Fai il bravo e cerca di avere pazienza, la stessa pazienza che hai quando ti prendi cura delle tue bestie. Stai tranquillo: sei nelle nostre mani adesso. Noi tutti vogliamo che tu guarisca! —
Poco dopo arrivò il dottore, anche lui tutto ricoperto di plastica, con cappuccio in plastica, mascherina e visiera. Come tutto il personale del reparto. Per riconoscersi tra loro, ognuno aveva scritto con un pennarello ruolo, nome e cognome su quella specie di protezione antivirus di plastica celeste.
— Signor Admeto buongiorno, sono il dottor … come va il respiro? —
— Bene dottore! Ma cosa ho e perché sono qui? —
— Lei ha contratto il virus COVID-19 ed ha una brutta polmonite bilaterale interstiziale acuta con versamento pleurico. Le sue condizioni sono gravi e preoccupanti. La prego di collaborare ed avere pazienza, molta pazienza perché ci vorrà del tempo! —
Dopo un consulto con le infermiere e dopo aver preso visione dei registri sui quali erano annotati continuamente i parametri vitali rilevati, il dottore chiese all’infermiera di procedere con un nuovo rilievo di pressione e saturazione.
— Pressione 145/95, saturazione 85! —
— Portate un monitor, ventilatore polmonare, serve ossigeno da due erogatori distinti ognuno regolato su 20 litri al minuto. Ma fate presto! Stia tranquillo signor Admeto, ci vuole pazienza, vedrà che ce la faremo! —
— Sono nelle sue mani! — Rispose Admeto.
Il dottore si allontanò, sorridendogli per rassicurarlo, celando tutta la sua preoccupazione dietro quella smorfia ammiccante da sotto la visiera.
Lino, vicino di letto di Admeto, rivolto verso di lui esclamò: — Siamo tutti nelle mani del Signore! —
— Ma va a fan .... vecchio rimbambito, se tu hai perso ogni speranza non venire a rompermi i cogli…! Caz.. sei un prete? —
— Confidare di essere nelle mani del Signore non è un atto finale, rassegnato, di impotenza figliolo. Ma è l’atto iniziale, l’atto che comunica la vita, nella certezza che in tutto quel che si fa si è accompagnati e guidati da quell’amore che non viene incontro al bisogno degli uomini, ma lo precede. Le mani del Signore ci accompagnano e sostengono in tutta la nostra esistenza. Le mani del Signore non trattengono ma liberano, non chiedono ma donano.
Abbi fede, figliolo! —
— Ma che fede e fede, son qui in un letto mentre dovrei essere ad occuparmi delle mie bestie. Dov’è il tuo Signore adesso, dove è? Pretaccio rimbambito! —
— Il Signore è qui vicino a noi in questo momento, i suoi Angeli sono qui tutti accanto a noi, cercali ma non con gli occhi, con il cuore. Apri il tuo cuore figliolo, coraggio! —
— Vecchio rincoglionito. Lasciami in pace, io i tuoi fantasmi non li vedo! —
— Prego per te figliolo, non avere paura, non sei solo, se ti occorre aiuto fammi un cenno! —
Admeto lo mandò a quel paese, intercalando imprecazioni e bestemmie di ogni sorta.
Nel frattempo arrivarono medici ed infermieri per eseguire le disposizioni del dottore.
Admeto si ritrovò con una maschera molto più grande della precedente alla quale erano attaccati due grossi tubi che facevano a capo ad uno strano macchinario. Una mezzora dopo l’azionamento di quel macchinario Admeto entrò in uno stato di forte stordimento causa l’elevato apporto di ossigeno ed il funzionamento del ventilatore polmonare. Le infermiere allora attaccarono un catetere per l’urina, controllarono sul monitor che tutto procedesse per il giusto verso e si allontanarono.
Ogni quindici minuti qualcuno tornava per controllare il monitor, per vedere se tutto andava bene.
Dopo alcune ore Admeto riprese coscienza, cominciò a strapparsi la maschera, non senza difficoltà causa i tre lacci fortemente tirati, ribaltando e facendo rovinare in terra il ventilatore poggiato sul comodino, poi cominciò ad urlare, imprecare e bestemmiare, diede un potente calcio alla sponda laterale del letto facendola cadere e provocando un gran fracasso, quindi non contento, avendo lo stimolo di urinare andò con le mani nelle sue parti basse ed urlò: — E questo cosa è? — Poi bestemmiando ed imprecando con rinnovato vigore cominciò a tirare e tirare il catetere fino ad avere in mano la sacca contenente l’urina.
Le infermiere accorsero spaventate e subito chiamarono in aiuto due uomini: un infermiere ed un inserviente.
Tutti insieme cercarono di fermare quella furia indomita di Admeto, rimisero tutto a posto e poi lo sedarono. Da quel momento Admeto, nutrito via flebo, ed attaccato al ventilatore non emise più nemmeno un lamento.
Soltanto una notte, verso le quattro, Admeto cominciò ad agitarsi, facendo cenno al suo vicino di letto.
Don Lino si alzò dal letto, indossò i paramenti sacri e si avvicinò ad Admeto il quale con una voce flebile disse:
— Ora lo vedo anche io, ho capito, ho capito perché sono caduto in ginocchio lungo la strada, anche io ora sono nelle Sue mani! —
Don Lino impose in silenzio le mani sulla fronte di Admeto segnandolo, poi disse a voce alta:
— Padre clementissimo,
che conosci il cuore degli uomini
e accogli i figli che tornano a te,
abbi pietà del nostro fratello Admeto
nella sua agonia;
fa' che la santa Unzione
con la preghiera della nostra fede
lo sostenga e lo conforti
perché nella gioia del tuo perdono
si abbandoni fiducioso
tra le braccia della tua misericordia,
Per Cristo Gesù, tuo Figlio e nostro Signore,
che ha vinto la morte
e ci ha aperto il passaggio alla vita eterna,
e vive e regna con te per tutti i secoli dei secoli.
Amen. —
Don Lino prese la mano di Admeto e la trattenne per alcuni minuti.
Poi suonò il campanello, arrivò un’infermiera, e le disse:
— Questo nostro fratello si è incamminato verso la Casa del Padre. —
Arrivarono dottori ed infermieri.
Quel dottore che aveva sorriso ad Admeto, pochi giorni prima, celando tutta la sua preoccupazione sotto alla visiera, disse con cupa tristezza:
— Ora del decesso: 4,44. —
Don Lino, prese la mano a quel dottore e disse: — Coraggio dottore stia sereno, ora questo nostro fratello ha finalmente scoperto di essere stato fin da principio nelle mani del Signore. —
— Lo siamo tutti Padre, lo siamo tutti. Grazie. —
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Il finale anticlimatico ci sta, ma avrei preferito il lieto fine. E lieto fine o meno siamo nel Sue mani comunque. Però, considerato quel nome importante ed evocativo, Admeto, l'Ade era inevitabile fin dalle prime battute. Mi chiedo, Rosa sarà come Alcesti e si sacrificherà per lui?
Un buon lavoro, alla prossima
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Re: Siamo tutti nelle Sue mani.
Come da premessa è basato su fatti realmente accaduti ai quali ho partecipato in prima persona.
Per ragioni che non posso rendere note ho contratto il famoso virus e sono stato curato, o studiato come un furetto , presso un ospedale civile lombardo.
Premesso che per quanto mi riguarda il decorso della malattia è stato blando: ero clinicamente guarito dopo soli due giorni, devo dire che purtroppo non per tutti gli altri pazienti le cose sono andate nello stesso modo.
In cinque giorni di permanenza in reparto ho visto uscire dalla sola nostra camera allestita per 4 pazienti: 6 pazienti purtroppo deceduti, immediatamente rimpiazzati con altrettanti pazienti.
La storia di Admeto, nome di fantasia così come Lino, l'ho vista con i miei occhi.
Quanto descritto è una minima parte di quel che ho visto e sentito in quei giorni.
Don Lino, dopo aver dato sollievo e conforto a tanti, nonostante le sue condizioni, è deceduto, purtroppo, pochi giorni dopo di Admeto.
Quello che volevo far passare lo riassumo di seguito:
1) L'infinita pazienza, guidata generalmente da quel sentimento chiamato Amore di tutto il personale medico ed ospedaliero. Nonostante il superlavoro cui sono costretti.
2) L'empatia estremamente professionale delle infermiere e dei medici sia verso i pazienti che verso gli "impazienti".
3) La preoccupazione, l'apprensione e la sofferenza di tutto il personale medico quando conscio di trovarsi di fronte a casi disperati tenta il tutto per tutto fino all'ultimo mantenendo una parvenza di serenità, tutt'altro che reale.
4) L'impotenza di tutti di fronte al decesso.
5) La solidarietà, nel racconto attribuita al solo Don Lino, ma in realtà di tutti i malati tra loro in quelle circostanze.
6) La diversità nell' affrontare simili situazioni da parte di chi crede ed ha fede, sapendo di essere fin dalla venuta in questo mondo nelle mani di Dio, che prega chiedendo al Signore di rimanergli sempre vicino durante questa prova. E di aiutarlo a superarla con onore e disciplina, implorando al contempo perdono per tutte le volte che questo non è accaduto.
La diversità è lampante perché in genere chi crede è comunque sereno anche quando soffre o riesce a respirare a stento. Don Lino docet. Viceversa in molti altri il senso di smarrimento e paura è palpabile.
7) In ultimo, Admeto è morto perché al di la del racconto questo e quel che è realmente accaduto, ma anche perché è bene si capisca che con questo virus si muore realmente.
8 ) Voleva essere uno spaccato di quel accade dentro un reparto COVID dove tra l'altro i famigliari se il loro caro non è dotato di telefono portatile, e sono tanti, è impossibilitato a contattarlo, e tante volte, purtroppo, lo può rivedere solamente in forma di cenere dentro un urna, oppure dentro una bara di zinco sigillata. E' triste ma è reale. Qualcuno potrà dire si muore soli come cani allora: In realtà non siamo mai soli ... non lo siamo mai stati!
P.S. Non sono un medico, ho buone nozioni di "Combat Medic", più volte messe in pratica all'occorrenza. In ogni caso dopo qualche giorno in ospedale, termini simili vengono appresi ed assimilati dalla maggior parte dei malati.
Un consiglio per tutti: Qualora aveste sintomi quali tosse insistente, febbre oltre i 39 e difficoltà a respirare, non perdete tempo fatevi vedere subito, perché più i polmoni si riempono più sarà difficile uscirne. La terapia COVID-19 funziona ed è efficace solo che mediamente, dipende da tanti fattori,ci vogliono 4/5 giorni per produrre l'effetto di accoppare il virus ... il problema è che se in questo lasso di tempo non si riesce per qualsiasi ragione a respirare ... quell' effetto il paziente non riesce a vederlo.
Poi naturalmente, se le misure di contenimento vengono rispettate, evitiamo che il personale medico debba essere costretto a scegliere se salvare un anziano oppure un giovane. In tal caso la scelta è obbligata, ma non è sicuramente piacevole per nessuno.
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Re: Siamo tutti nelle Sue mani.
Qui da noi non c'è molto, anzi praticamente nulla, e speriamo che rimanga così; con l'augurio che alla prossima gara stagionale sia tutto alle spalle.
Un grande in bocca al lupo.
- Laura Traverso
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Inutile stare a dire che il racconto sia scritto bene, perché la tua bravura la conosciamo, quindi posso solo farti i complimenti per come tu sia riuscito a raccontare, in modo molto distaccato, uno spaccato della tua vita in maniera ottima.
Stammi bene e riguardati
A presto
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Non sono credente ma nonostante questo il racconto mi ha suscitato una forte empatia.
Sono contento che tu stia bene ora, in bocca al lupo per tutto.
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di contro, devo dire che la punteggiatura è completamente da rivedere e ci sono svariate d eufoniche da eliminare.
un altro particolare che segnalo è la lineetta a fine dialogo: se non c'è prosieguo di frase non serve assolutamente.
però la storia in sé è davvero piacevole, nonostante il tragico finale
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La tua storia, però, con me non ha raggiunto l'obiettivo perchè, a causa di numerose ripetizioni di fatti e di concetti (ripeti più volte, in modi diversi e tramite punti di vista/personaggi differenti, che cosa è successo la notte, quale è stata la diagnosi e quali le cure effettuate), è risultata noiosa e ho faticato ad arrivare alla fine, saltando qualche frase ogni tanto, proprio nel finale che, invece, era la parte più interessante, in cui non avrei dovuto distrarmi. Mi spiace, ma purtroppo non è scattata alcuna immedesimazione.
BReVI AUTORI - volume 4
collana antologica multigenere di racconti brevi
BReVI AUTORI è una collana di libri multigenere, ad ampio spettro letterario. I quasi cento brevi racconti pubblicati in ogni volume sono suddivisi usando il seguente schema ternario:
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Ma gli estremismi non ci piacciono. Il nostro concetto di brevità è un po' più elastico di un SMS o di un aforisma: è un racconto scritto con cura in appena 2500 battute (sì, spazi inclusi).
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Ida Dainese, Angela Catalini, Mirta D, Umberto Pasqui, Verdiana Maggiorelli, Francesco Gallina, Francesca Santucci, Sandra Ludovici, Antonio Mattera, Francesca Paolucci, Enrico Teodorani, Laura Traverso, Romina Bramanti, Alberto Tivoli, Fausto Scatoli, Cinzia Iacono, Marilina Daniele, Francesca Rosaria Riso, Francesca Gabriel, Isabella Galeotti, Arcangelo Galante, Massimo Tivoli, Giuseppe Patti, SmilingRedSkeleton, Alessio Del Debbio, Marco Bertoli, Simone Volponi, Tiziano Legati, Francesco Foddis, Maurizio Donazzon, Giovanni Teresi, Sandro Pellerito, Ilaria Motta.
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Déjà vu - il rivissuto mancato
antologia poetica di AA.VV.
Talvolta, a causa di dinamiche non sempre esplicabili, uno strano meccanismo nella nostra mente ci illude di aver già assistito a una scena che, in realtà, la si sta vivendo solo ora. Il dèjà vu diventa così una fotocopia mentale di quell'attimo, un incontro del pensiero con se stesso.
Chi non ha mai pensato (o realmente vissuto) un'istantanea della propria vita, gli stessi gesti e le stesse parole senza rimanerne perplesso e affascinato? Chi non lo ha mai rievocato come un sogno o, perché no, come un incubo a occhi aperti?
Ventitrè autori si sono cimentati nel descrivere le loro idee di déjà vu in chiave poetica.
A cura di Francesco Zanni Bertelli.
Contiene opere di: Alberto Barina, Angela Catalini, Enrico Arlandini, Enrico Teodorani, Fausto Scatoli, Federico Caruso, Francesca Rosaria Riso, Francesca Gabriel, Francesca Paolucci, Gabriella Pison, Gianluigi Redaelli, Giovanni Teresi, Giuseppe Patti, Ida Dainese, Laura Usai, Massimo Baglione, Massimo Tivoli, Pasquale Aversano, Patrizia Benetti, Pietro Antonio Sanzeri, Silvia Ovis, Umberto Pasqui, Francesco Zanni Bertelli.
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Cuori di fiele
antologia di opere ispirate all'ineluttabile tormento
A cura di Roberto Virdo'.
Contiene opere di: Marcello Rizza, Ida Daneri, Francesca Paolucci, Enrico Teodorani, Mario Flammia, Francesca La Froscia, Ibbor OB, Alessandro Mazzi, Marco Fusi, Peter Hubscher, Marco Pugacioff, Giacomo Baù, Essea, Francesco Pino, Franco Giori, Umberto Pasqui, Giacomo Maccari, Annamaria Ricco, Monica Galli, Nicolandrea Riccio, Andrea Teodorani, Andr60.
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Gara d'estate 2020 - Anniversari, e gli altri racconti
A cura di Massimo Baglione.
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La Gara 18 - Brividi a Natale
A cura di Mastronxo.
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La Gara 44 - Il potere della parola
A cura di Marino Maiorino.
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