La verità sia con te
La verità sia con te
Tom era alla guida mentre Jerry teneva la testa appoggiata al finestrino, guardando di sbieco la distesa lucida e biancastra sotto la luce lunare. Oltre il parapetto s’intuiva lo strapiombo buio e selvaggio.
“Vai piano Tom, se prendi la curva sbagliata, ci facciamo un volo di cinquanta metri” le parole gli uscirono leggermente biascicate.
“Io mi salverei, tu non lo so” fu la secca risposta.
All’improvviso ci fu un’accelerazione. L’auto sbandò in curva per poi stabilizzarsi nuovamente. Jerry vide la montagna avvicinarsi e si drizzò sul sedile.
“Hei!”
“Coglione di un effeminato, mentre io facevo l’autista, tu te la spassavi con la biondina. Adesso fai il coniglio.”
“Non t’incazzare. È stata una bella serata, che ti posso dire” rispose Jerry indispettito.
Tom ascoltò e tacque. Poi, di botto, replicò. “Restiamo un altro giorno. Ne parleremo con il proprietario. Partire domani mattina per evitare il traffico mi sembra da stupidi. Ho un po’ voglia di divertirmi. Dai!”
Jerry lo osservò. Sapeva che Tom aveva un carattere duro e a volte diffidava di lui. “E che dovremmo fare secondo te? C’è sempre il ragazzino, e Bonnie finirebbe nelle mie braccia.”
“Oh sì, lo so. Il tuo fascino ha colpito ancora! Appena conosciuta e già si è innamorata. Io invece sempre a bocca asciutta. Io ti dico che ho voglia di rivederli.”
Jerry si stirò e diede un buffetto sulla gamba dell’amico.
“Senti Tom, siamo sempre stati amici particolari, ogni volta che siamo insieme ci divertiamo da matti. Tom & Jerry, chissà dove saranno stati? Al bar non vedranno l’ora di rivederci! Ieri sera è andata bene a me perché tu stavi guidando. Qualche bacio, una ripassata alle tette e via. Ho il suo numero ma non la rivedrò più. Purtroppo.” Sospirò con enfasi paternale. “Non dobbiamo fare a gara tu ed io, nessuno di noi è talmente più bello dell’altro da prevaricarlo e umiliarlo. La prossima volta capiterà a te. Ok?”
“Quando mai? Lo sai che sono uno sfigato. Cristo.”
Il colpo di clacson prolungato fece sussultare Jerry. Era stanco di quella discussione e voleva solo dormire. Non c’era in giro nessuno, la strada sembrava la pista di un autodromo.
In pochi minuti arrivarono al loro alloggio immerso in un silenzio assoluto, poca luce e un’aria fresca e frizzante. Non sembrava ancora estate.
“Dio mio! Tornare a casa è la scelta migliore, non ho voglia di stare in questo posto un altro giorno. Vorrei rivedere Bonnie, ma da solo però, invece tu sarai in mezzo a noi” provocò Jerry.
Era stanco e i baci di quella ragazza gli avevano lasciato in dote una sensazione di rilassatezza profonda e una voglia di affondare la testa nel cuscino. Tom non disse niente.
Salirono in casa, si spogliarono e si buttarono sul letto.
Il sole li svegliò alle undici, intorpiditi e affamati. Tom era il più sveglio. Prese uno straccio e ripulì lo specchio imbrattato di rossetto. Ripercorse il tourbillon esagerato che li aveva presi la sera precedente, quel comportarsi come ragazzini in gita scolastica. Si ricordava che il ritorno in macchina era stato un autentico supplizio. Lui davanti con Dylan, con gli occhi rivolti allo specchietto retrovisore a controllare Jerry abbracciato alla ragazza, le bocche incollate e le mani che s’intrufolavano tra i seni. Guidava e deglutiva, guidava e sudava. Guidava e guardava Dylan, immobile e pensieroso con lo sguardo fisso davanti a sé. Aveva tentato di imbastire uno straccio di conversazione ma si era completamente impappinato, e allora si era finto indifferente alla situazione.
Dopo una decina di minuti di pulizia tutto era ritornato come prima. Lo specchio che rifletteva la sua immagine era perfettamente lindo. Gettò nel cestino il giornale che Dylan intimidito dal gran casino aveva finto di leggere. Tom si guardò intorno soddisfatto, come se avesse cancellato per sempre il ricordo di quella notte.
Chiamò il proprietario per chiedergli di stare un giorno in più. L’uomo gli rispose che la stanza era ancora loro.
Tom, raggiante, prenotò senza neanche tentare di abbassare il prezzo. Jerry sbuffava a ripetizione.
“Continuo a non capire perché ci dobbiamo fermare un altro giorno. Io e lei, tu e lui. Non ne vale la pena Tom. Ci trascineremo in una serata dove io sarò legato dalla tua presenza, e tu sarai incazzato per nulla. Se torniamo a casa, ci si vede la sera al bar. Ti prometto che non racconto nulla, non faccio lo spaccone. Dove siete stati? Ci chiederanno. Oh, al mare, a fare un giro, risponderemo.”
Tom si grattò la testa.
“Un’altra sera amico, ci divertiremo un poco” rispose.
“Ancora?” alzò la voce Jerry, “per cosa poi. La magia è finita. Le conosci anche tu queste serate incredibili, sono fantastiche, hanno qualcosa di magico che evapora nello spazio di poche ore. Poi tutti a nanna.”
“Dai, andiamo a fare un giro al mare. La questione è chiusa” disse Tom zittendolo definitivamente.
S’incamminarono lungo la strada principale. La giornata di sole aveva richiamato tantissime persone e l’estate cominciava a far sentire il suo calore.
Tom camminava senza meta e Jerry lo seguiva a un paio di metri di distanza.
“Dai Jerry, chiamala e organizza un aperitivo per stasera” disse Tom voltandosi all’improvviso.
“Aspetta un attimo, poi la chiamo.”
“Dai Jerry, non farti pregare. Ci sarà festa stasera, se chiami più tardi, magari non ha tempo per noi.”
Jerry sbuffò, diede un ampio sguardo al golfo soleggiato e prese il cellulare.
Dopo due squilli una voce allegra riempì l’aria.
“Oh my God, che sorpresa!” esordì.
“Ciao Bonnie, come stai? Hai dormito bene?”
“Benissimo! E tu? Mi hai pensato?”
“Sì, ti ho pensato tanto” rispose impacciato. Sentiva sul collo l’alito di Tom.
“Volevo chiederti se ci potevamo vedere stasera. Non siamo ancora partiti e allora…”
“Sì, anch’io ho voglia di rivederti. Però ci sarà anche Dylan. Mio cugino è ancora un ragazzino e non saprei dove mandarlo.”
“Se è per questo, ci sarà anche Tom. Senti beviamo qualcosa tanto per stare insieme tutti quanti. Più avanti mi piacerebbe venire a trovarti in Inghilterra.”
“Mi farebbe piacere. Ne parleremo Jerry. Intanto per stasera ci possiamo trovare al John Cabot, un disco pub. Cerca l’indirizzo, è vicino a casa mia."
“Sì. Alle otto va bene?”
“Ok, ci vediamo lì. Kiss” chiuse la telefonata Bonnie.
Jerry rimirò il telefono, girandoselo tra le mani. Sentì la voce di Tom giungere da dietro le spalle.
“Allora?”
“Allora l’appuntamento è alle otto al John Cabot.”
“Devi vestirti bene amico. Ci sarà la tua bella in ghingheri.”
Jerry lo guardò e sorrise mestamente.
Ritornarono in albergo a passo lento.
Alle sette in punto entrarono in birreria. Era un bel locale, ampio e arredato completamente in legno. Grandi banconi si alternavano a tavoli più piccoli; all’esterno c’erano altre postazioni composte di sedie, piccoli pouf e tavolini molto bassi. Sempre all’interno erano appese ai muri gigantografie di cantanti rock. Jerry si avvicinò e cominciò a osservare un’enorme foto di David Bowie ai tempi di Ziggy Stardust. Si era vestito in maniera molto sobria con un paio di jeans e una maglietta bianca dell’Hard Rock Cafè di Barcellona. Tom indossava un paio di pantaloni marrone e una camicia azzurra. Non era mai stato molto moderno nel vestire e peccava anche in praticità e abbinamento dei colori. Si era pettinato i capelli all’indietro con tantissimo gel, sembrando più vecchio di quanto fosse in realtà.
Alle sette e dieci arrivarono Bonnie e Dylan.
La ragazza indossava un vestito leggero di colore acquamarina con un nastrino rosso intorno al collo. Era fresca e bella, sinceramente bella, pensò Jerry. I capelli biondi scendevano leggeri sulle spalle e qualche piccola lentiggine spuntava sulle guance. Dylan invece sembrava un autentico milord. Pantaloni blu e una maglietta rossa Fred Perry. Ai piedi portava un paio di scarpe Timberland.
Sorrisero nel vedere i due italiani in attesa del loro arrivo. Con Bonnie si scambiarono dei piccoli baci di saluto mentre Dylan diede loro un maschio cinque. Sembrava più sicuro rispetto la sera prima e biascicò qualche parola in italiano. Era proprio un ragazzetto di buona famiglia.
“Ciao ragazzi, come state?” esordì Tom un po’ guardingo.
“Benissimo, oggi abbiamo fatto un bel bagno a Bergeggi” gli rispose Bonnie sorridente.
Il ragazzino non parlava, sembrava avesse già perso la baldanza iniziale. Jerry accarezzò il braccio paffuto di Bonnie e lei gli prese la mano. Si scambiarono un bacio fugace.
“Ragazzi, Dylan ed io vi vogliamo fare una sorpresa. Facciamo un aperitivo e poi vi portiamo a casa nostra. Abbiamo il biliardo e altre cose divertenti.”
“Uh uh” bofonchiò Tom.
Jerry sorrise stupito.
“Bene, che beviamo?”
“Quattro negroni” fece Tom.
“No, per Dylan qualcosa di più leggero!”
“Va bene, allora tre negroni e uno sbagliato.”
Il barista li guardò e non disse nulla. Cominciò a preparare i cocktail.
In breve tempo li mise sul bancone del bar accompagnandoli con alcuni piattini di olive e patatine.
Bonnie prese il bicchiere e declamò: “Alla nostra salute e al nostro incontro. Dylan ed io quando ritorneremo in Inghilterra ci ricorderemo di voi e di questi bei momenti passati insieme. E promettiamo di migliorare il nostro italiano.”
Gli altri si unirono in un cin cin allegro e scanzonato. Bevvero avidamente e il primo a posare il bicchiere vuoto fu Dylan.
Tom lo guardò e cominciò a ridere.
“Good Dylan, very good.” Il ragazzetto era rosso in viso e alzò le braccia in segno di vittoria.
“Ti piacciono le ragazze italiane? Se vuoi, ti dico cosa preferiscono fare ai maschietti” gli disse appoggiando il bicchiere.
Bonnie lo guardò con curiosità e prese la mano di Jerry.
“Dai Tom, è un ragazzino.”
“E allora? Non sarà mica frocio!”
“Che vuol dire frocio?” chiese Bonnie.
“Tom, dai, fai il bravo” esortò Jerry.
“Ok ok. Cameriere, raddoppiamo.”
Il cameriere preparò altri quattro cocktail. Allegò anche il conto. I ragazzi guardarono lo scontrino.
“Sessanta euro. Pago io. Papà mi ha lasciato un po’ di soldi” disse Bonnie tra il finto stupore generale. Tutti alzarono i bicchieri e fecero un altro brindisi.
“All’estate e al papà di Bonnie!” urlò Jerry, porgendole la mano.
“All’estate!” gli fece eco la ragazza. I due sorridendo cominciarono a duettare. La musica era alta con le note di Stand by me degli Oasis e tutti i presenti cantavano a squarciagola.
Jerry e Bonnie si staccarono dal bancone. Dapprima con giri di walzer poi sempre più vicini, fino a che la ragazza ebbra si avvinghiò a Jerry. Cominciarono a baciarsi e a conoscersi. Le sue labbra erano morbide e Jerry la stringeva con estrema dolcezza. Ballarono leggeri fino a quando inciamparono nelle loro stesse gambe e caddero a terra.
“Mi piaci Bonnie.”
“Anche tu italian boy!”
Le loro risa risuonarono alte nel locale e anche il barman danzava con loro.
Tom era fermo in un angolo, acquattato dietro l’andirivieni che si era scatenato. Barcollò vistosamente, e per non perder l’equilibrio, si appoggiò a una mensola. Anche Dylan giunse sul posto dietro a Tom. Due pesci fuor d’acqua.
La serata aveva preso la direzione prevista, e se ognuno dei due esclusi si era immaginato uno svolgimento diverso, la realtà li stava riportando con i piedi per terra.
Bonnie si avvicinò ai due e fece loro una piccola carezza chiusa da un inchino. Era felice nella sua innocenza giovane e rideva voltandosi a guardare Jerry.
Tom le prese un braccio con forza, negli occhi un lampo di rabbia futile. La giovane le sorrise e lo condusse tenendolo per mano.
“Wow, quando sento la voce di Liam Gallagher, non riesco a star ferma.”
I tre la guardarono in silenzio, ammirando la bellezza e la semplicità di quella giovane inglesina che stava incantando tutti.
Bonnie prese Dylan per un braccio e chiese. “Che facciamo cugino? Andiamo a casa?”
Assentì.
Jerry fu il primo a uscire dal locale, saltellando ipercinetico. Gli altri lo seguirono.
Percorsi un centinaio di metri si ritrovarono in un quartiere signorile, con case a due e tre piani. Sostarono davanti a una di queste. Bonnie prese le chiavi dalla borsa e aprì il cancello. Tom e Jerry la seguirono curiosi.
Entrarono nell’appartamento.
La ragazza li prese entrambi per mano e li portò a visitare i locali.
“Ora ci troviamo nel salone delle feste, più in là c’è lo studiolo di mio padre, poi la cucina, il bagno e due stanze da letto. In una ci dormo io e nell’altra Dylan.” Il ragazzo sentendo il suo nome arrossì. Jerry istintivamente pensò a come il giovane Dylan curiosasse nella stanza della cugina. Probabilmente non si sarebbe persa una sua doccia neanche se avesse sofferto di mal di denti.
Tom girando per la casa fece segno di compiacimento.
Ogni cosa era al posto giusto, si notava il buon gusto e l’armonia degli oggetti. Il vaso nell’angolo, le mazze da baseball, la spada, i grandi quadri, le tende così bianche da sembrare fosforescenti.
“E poi, sorpresa delle sorprese, abbiamo la cantina con i giochi. Dylan, prendi la chiave che andiamo giù a giocare a biliardo.”
Il ragazzetto prese una chiave appesa al muro e aprì la porta dell’appartamento per andare al piano di sotto.
“Scusa dov’è il bagno?” chiese improvvisamente Tom.
“È in fondo al corridoio. Voi cominciate pure a scendere. Poi Tom ed io vi raggiungeremo” disse Bonnie.
Dylan e Jerry uscirono e imboccarono la rampa delle scale.
Giunti nel seminterrato Dylan aprì una porta. Un grande salone si aprì alla vista di Jerry. Vi erano un biliardo, un tavolo da pingpong, una panca, una cyclette, un tapis-roulant e un punching-ball attaccato al soffitto. Era tutto pulito e organizzato, con l’aria condizionata messa a temperatura ideale.
“Stupendo. Ci vieni con tua cugina ad allenarti?” ruppe il ghiaccio Jerry.
“Sì, a volte. A lei piace fare la panca e correre sul tapis-roulant. Io preferisco dare qualche pugno. Mio padre, quando viene qua in primavera, si allena spesso” rispose Dylan in un discreto italiano.
“Mi piace tua cugina.”
“L’ho visto.”
“Piace anche a te.”
“È una domanda?”
“Sì e no, è anche un’affermazione.”
“È mia cugina, mi conosce dalla nascita.”
“Una gran bella ragazza, in Italia così ce ne sono poche.”
Dylan lo guardò sospettoso e diede un gran pugno alla palla di gomma pendente dal soffitto. Jerry ammirò la sua forza. Si mise in posa e provò anche lui. Il risultato non fu lo stesso. Il colpo, anche se più potente, non aveva l’energia e la secca velocità del pugno di Dylan.
I due si guardarono e per la prima volta sorrisero. L’italiano cominciò a girare per la stanza, finché prese una stecca da biliardo. Il ragazzino lo osservava, mentre Jerry si allenava a tirare a casaccio. Le biglie scivolavano leggere sul tappeto verde smeraldo. Mirò alla palla contrassegnata con il cinque, il suo numero fortunato. La colpì bene, con un colpo secco e la biglia s’infilò in buca senza toccare nessuna sponda, diretta come un filotto.
Jerry era alticcio e aveva voglia di provocare il ragazzo. Sembrava un damerino ma spogliato dei vestiti da milord poteva divenire un’altra persona.
“Verrò a trovarla in Inghilterra” incalzò Jerry.
“Uh.”
“Abiti vicino a lei?”
“No, io più a nord, saranno circa trenta chilometri.”
“La vedi spesso?”
“Non capisco.”
“Ti chiedo se la incontri spesso.”
“Ogni tanto. Quante domande che fai.”
“Diciamo che se una persona mi piace vorrei sapere tutto di lei.”
Tom uscì dal bagno. Non sentiva più nessuna voce e cominciò ad aggirarsi per la casa. Vide Bonnie che guardava fuori dalla finestra. Era a piedi nudi e il vestito si era un po’ scollacciato. Quando si voltò, la ragazza gli fece un sorriso e gli disse “Andiamo.”
“I tuoi genitori non vengono quest’estate in Italia?”
“Sì, credo a fine luglio verrà mio padre. Sono separati e mia madre non viene qua da parecchi anni” gli rispose la ragazza.
Tom non capì bene, e ripeté la domanda. Stava cercando d’imbastire un discorso plausibile ma trovava grandi difficoltà. Capiva che non c’era gran feeling e in sovrappiù trovarsi solo con una ragazza gli mandava sempre il sangue alla testa. Si sedette sul divano, con le gambe aperte e la testa all’indietro.
“Che hai Tom? Non stai bene?
Tom non disse nulla. Si diede una spinta e in una frazione di secondo fu in piedi.
“Dai, raggiungiamo gli altri” ripeté Bonnie.
Tom le si avvicinò e cercò di abbracciarla. Bonnie fu colta di sorpresa e reagì respingendolo con forza.
“Che cosa fai? Dai non fare lo stupido” gli disse guardandolo impaurita.
Ton si avvicinò di nuovo, con più decisione. La ragazza lo respinse ma lui era nettamente più forte.
“Lasciami, lasciami altrimenti urlo. Smettila!”
Tom non parlò, le aveva cinto le spalle e la strinse forte a sé. Come in un goffo tango la fece girare su se stessa, ora lui era dietro di lei e la immobilizzava. Bonnie mugolò e cercò di scalciare.
“Dai Tom, sono stanca, lasciami, mi fai male.”
“Sei bellissima.”
“Basta, se continui lo dico a Jerry.”
“Sei stupenda.”
Tentò di baciarla sul collo spostandole con forza i capelli. Bonnie si difese dandogli una gomitata. Tom la strinse ancora
più forte sui fianchi, immobilizzandole le braccia.
Passo dopo passo come in una danza la spinse in camera.
Bonnie non credeva a quello che stava succedendo. Era felice appena era arrivata nella casa e desiderosa di mostrar loro la bellezza e comodità dell’appartamento. In un attimo ripensò alla serata, al perché si trovasse in quella situazione.
Cercò una difesa scomposta, quasi disperata.
Tom era una furia, la baciava ovunque e con le mani frugava scomposto sotto il vestito.
Si rovesciarono sul letto.
Le saltò sopra tenendola ferma, prese la scollatura del vestito e tirò a tutta forza. Il cotone leggero si stracciò come carta fino a che la ragazza rimase a seno nudo. Bonnie si piegò in due, tentando di coprirsi le parti intime. Le lacrime le inondarono il viso, gli occhi cominciarono a bruciare e a vedere il mondo offuscato. Era paralizzata e non riusciva a urlare.
Tom si slacciò i pantaloni, si strappò la camicia e si asciugò il sudore. Ansimava. Le aprì le gambe con forza.
Bonnie non reagì, una voce flebile sibilò nel silenzio della camera.
“No, nooo, che fai? …non voglio fare nulla…ti prego…” lo supplicò a bassa voce.
Tom si liberò dei pantaloni e con furore animale entrò in lei. Forte, violento, prolungato in profondità. Il sangue aveva già macchiato le lenzuola candide mentre Bonnie guardava affranta il soffitto della stanza. Non riusciva a gridare, sentiva fortissime le urla nella testa ma dalle labbra le uscivano solo spifferi, mentre ogni tipo di energia stava per abbandonarla.
Il furore di Tom si placò dopo un tempo interminabile. Poi giacque su di lei, stordito e svuotato. Bonnie, sentendo che la bestia aveva perso vigore, lo spinse via e, come risvegliata da un lungo torpore, cominciò a urlare il suo dolore disperato. Un grido di orrore verso il mondo, complice della sua libertà offesa e straziata.
Tom si rigirò su se stesso tramortito.
Il grido echeggiò forte. Raggiunse il pianerottolo, scese per le rampe e si disperse nel seminterrato ammantando la palestra e il biliardo.
Dylan e Jerry sentirono quell’urlo e si guardarono in faccia stupiti. Il più lesto fu il giovane inglese, che scattò come un felino. Jerry rimase come pietrificato per qualche secondo, il tempo necessario al ragazzino di oltrepassare la porta della palestra, che si richiuse impietosamente in faccia a Jerry, intrappolandolo nel locale.
Era una porta blindata di vecchio tipo che si apriva solo con la chiave, rimasta nella tasca di Dylan. Cristo! Pensò Jerry, cominciando a martellare la porta, urlando e inveendo, conscio che qualcosa di brutale fosse già successo. Sentiva l’odore acre della paura sulla sua pelle, il terrore di qualcosa di troppo grande e malvagio. Si maledì per la sua stupidità prendendo la porta a spallate.
Dylan corse le scale a tre gradini alla volta, con l’adrenalina a mille.
Entrando in casa, guardò subito nel salone. Non c’era nessuno. Vide il letto sfatto in camera sua. Vi entrò.
Bonnie si era accucciata in un angolo, seduta sul pavimento ricoperta con ciò che rimaneva del vestito color acquamarina. La testa tra le ginocchia, tremante. Piangeva sommessamente.
Tom la bestia era sdraiato con le braccia aperte. Il lenzuolo, proprio quello in cui ci aveva dormito la notte prima, era sporco di sangue.
Dylan arretrò con gli occhi sbarrati, inebetito dalla piega che avevano preso gli accadimenti. La memoria ritornò al giorno prima quando avevano conosciuto quei due italiani.
Ricordò come in un film visto decine di volte la cugina che amoreggiava con Jerry e lui intorpidito che leggeva quel giornale di cui capiva ben poco di ciò che era scritto.
Ritornò nel salone, camminando tentoni, inciampando nel tappeto e finendo sdraiato sul divano.
Jerry nel seminterrato tentava disperatamente di aprire la porta. Prese il cellulare e subito lo lasciò cadere. Era scarico. Si trovava prigioniero del nulla. Urlò qualche nome in maniera sconnessa, mentre girava sconclusionato per la palestra.
Dylan si alzò dal divano. I cinque minuti in cui era stato sdraiato lo avevano reso più forte. Una voce lontana lo guidava nella sera. Una delle tante voci che lo accompagnavano nonostante lui cercasse di zittirle. Ora si sentiva atletico come un eroe dell’antichità. A lunghi passi gironzolò per la casa senza meta.
Tornò da Bonnie. La voce si era trasformata in un lamento ossessivo, le ombre parlanti si avvicinavano e lo circondavano. Attaccata alla parete verso la cucina, vide una katana. Si avvicinò all’arma, la esaminò con cura e la staccò dal muro. Come un lampo si ricordò che era un regalo di suo padre dopo un viaggio in Giappone. La rimirò in tutta la sua lucentezza e maestosità e la appoggiò a terra.
Fece un giro dell’appartamento.
Ritornò in camera e prese per mano Bonnie, la strinse a sé baciandola in fronte. La ragazza lo abbracciò. Quante volte avrebbe voluto dirle che la adorava, bruciante nel fuoco di una devozione assoluta davanti alla dea della bellezza.
Avrebbe voluto genuflettersi dinanzi a tanto splendore. Ma era troppo tardi.
Le voci nella testa erano diventate urla, un sabba rock che suonava a intermittenza.
La condusse nel salone. Con leggerezza la fece distendere sul divano e la coprì con un plaid. La mano a chiuderle gli occhi fu leggera e con un fresco, fugace bacio le sfiorò le labbra.
Ritornò nella camera. Si sentiva forte, unì le mani, le portò sopra la testa e le fece discendere lungo i fianchi. Il mondo era ai suoi piedi, la rabbia era scacciata dalla sicurezza della sua potenza.
Fu di nuovo davanti a Tom. Lo guardò, duro e indifferente. La bestia aveva gli occhi socchiusi e lo vide arrivare. Il suo sguardo spento ornava un viso esangue; respirava lento, svuotato di ogni reazione possibile sotto il peso della colpa.
Dylan gli si pose davanti, alzò la katana davanti a sé, dritta dinanzi agli occhi, poi la fece zigzagare con estrema velocità. Riportò l’arma nella posizione iniziale, con la lama perpendicolare agli occhi, a inscenare una figura geometrica. Tom non si mosse.
Dylan s’inchinò, appoggiò la lama della katana sulla propria fronte e diede un colpo. Una sottile linea rossa si aprì e il sangue a piccoli rivoli cominciò a scendere sul viso del giovane.
Si rialzò.
Rimase in quella posizione per alcuni minuti, ritto e immobile con la spada all’altezza del cuore.
Arretrò leggermente alzando la katana.
“La verità sia con te.”
La voce baritonale ruppe il silenzio. Il colpo da sinistra a destra partì deciso, energico e perfetto. La punta della lama toccò la gola di Tom, quel tanto bastante a provocare un profondo taglio che cominciò copioso a sanguinare. Il corpo della bestia ebbe un sussulto, s’inarcò leggermente e poi ritornò in posizione mentre un rantolo gli si spegneva in gola.
Tutto tacque.
Dylan si girò verso lo specchio con un sorriso.
S’immaginò lo stupore dei suoi compagni di scuola se lo avessero visto in quel momento. Le voci ora stavano diminuendo d’intensità. Il sabba rock cominciava a diminuire il ritmo con piccoli colpi di basso dal suono circolare e tutto andava scemando verso il buio. Il sangue scorreva sulle sue guance.
Si girò di lato.
Sulla destra aveva le gambe di Tom, entrato nel mondo dei morti.
S’inginocchiò, prese la katana con entrambe le mani, diede un ultimo sguardo verso l’alto, appoggiò la lama all’addome e spinse con forza.
- Domenico Gigante
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L'amicizia fraterna che si incrina di fronte alle conquiste balneari offre spunti infiniti, ma allora perché non chiamarli Caino e Abele? Leggendo avevo cominciato a pensare a una possibile violenza omosessuale che avrebbe reso il suicidio più... non trovo l'aggettivo. Comunque bello.
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Re: La verità sia con te
Anche quando la storia, come in questo caso, è forse un po' 'telefonata' (per usare il gergo calcistico).
Ma nel complesso il mio voto è positivo.
- Tiziano Legati
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Anch'io trovo che i nomi dei personaggi vadano assolutamente cambiati perché cambiano radicalmente l'approccio alla storia e si resta spiazzati.
Complimenti
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Ma mi rivolta e mi ribolle il sangue che queste gare debbano essere il luogo di queste efferratezze, se commisuriamo il fine col mezzo, immotivate. Il fine dovrebbe essere esercitarci alla scrittura e affinarla. Il mezzo è l'argomento che scegliamo.
Se si trattasse di opere più lunghe, nelle quali entra un'intera varietà di episodi, potrei accettarlo: il male è parte della vita e io stesso mi sono dovuto misurare con scene poco edificanti. Ma qui ho potuto quasi seguire tutta la costruzione del racconto per quest'obiettivo, e la cosa mi ha disturbato.
Io trovo rivoltante, indegno dell'essere umano, il solo pensiero della violenza.
È un mio limite, scusa, e la tua capacità descrittiva non ha fatto altro che suscitare in massimo grado questa mia repulsione.
Puoi prenderlo come un voto massimo, ma mi è costato. Troppo.
Racconti alla Luce della Luna
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COMMENTO
la storia di per se è buona e scorre bene, ma non ci sono interruzioni nei dialoghi che descrivano cosa stia succedendo e questo fa perdere un po' il filo della narrazione dato che fra dialoghi e scene sembra quasi ci sia un cambio di sequenze invece che una linearità, o almeno questo è un parere personale.
Gara di primavera 2024 - La cantautrice calva - e gli altri racconti
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La spina infinita
"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
Di Mario Stallone
A cura di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
BReVI AUTORI - volume 3
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BReVI AUTORI è una collana di libri multigenere, ad ampio spettro letterario. I quasi cento brevi racconti pubblicati in ogni volume sono suddivisi usando il seguente schema ternario:
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Noir + Drammatico + Psicologico
Rosa + Erotico + Narrativa generale
La brevità va a pari passo con la modernità, basti pensare all'estrema sintesi dei messaggini telefonici o a quelli usati in internet da talune piattaforme sociali per l'interazione tra utenti. La pubblicità stessa ha fatto della brevità la sua arma più vincente, tentando (e spesso riuscendo) in pochi attimi di convincerci, di emozionarci e di farci sognare.
Ma gli estremismi non ci piacciono. Il nostro concetto di brevità è un po' più elastico di un SMS o di un aforisma: è un racconto scritto con cura in appena 2500 battute (sì, spazi inclusi).
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Giorgio Leone, SmilingRedSkeleton, Francesco Gallina, Laura Traverso, Umberto Pasqui, Patrizia Benetti, Luca Valmont, Alessandra Leonardi, Mirta D, Pasquale Aversano, Gabriella Pison, Alessio Del Debbio, Alberto Tivoli, Angela Catalini, Marco Vecchi, Roberta Eman, Michele Botton, Francesca Paolucci, Enrico Teodorani, Marco Bertoli, Fausto Scatoli, Massimo Tivoli, Laura Usai, Valentina Sfriso, Athos Ceppi, Francesca Santucci, Angela Di Salvo, Antonio Mattera, Daniela Zampolli, Annamaria Vernuccio, Giuseppe Patti, Dario Sbroggiò, Angelo Bindi, Giovanni Teresi, Marika Addolorata Carolla, Sonia Barsanti, Francesco Foddis, Debora Aprile, Alessandro Faustini, Martina Del Negro, Anita Veln, Alessandro Beriachetto, Vittorio Del Ponte.
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A modo mio
antologia AA.VV. di opere ispirate a storie famose, ma rimaneggiate dai nostri autori
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Susanna Boccalari, Remo Badoer, Franco Giori, Ida Daneri, Enrico Teodorani, Il Babbano, Florindo Di Monaco, Xarabass, Andrea Perina, Stefania Paganelli, Mike Vignali, Mario Malgieri, Nicolandrea Riccio, Francesco Cau, Eliana Farotto.
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