Il segreto di Cleofe
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Il segreto di Cleofe
Persino Don Angelo, nella predica della prima messa, non sapeva trovare le parole; infatti non le trovò: difficile spiegare alla dozzina di vecchiette davanti a lui che tutto rientra nell’imperscrutabile piano di Dio, anche quella robusta sferzata impressa all’Altomilanese. Così si accontentò di commentare il Vangelo del giorno, sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Intanto Cleofe, seduta in terza fila senza nessuno davanti, fissava gli occhi imbarazzati del parroco e gongolava: avrebbe saputo il suo segreto al massimo qualche mese dopo, protetta dalla clausura del confessionale.
Complice la gelida brezza che ancora alitava sul paese, il solito corteo di sciure non fece alcun capannello fuori dalla chiesa ma, scialletti in spalla, si diressero tutte rapidamente verso casa, già prima della fine dell’Ave Regina. Cleofe raggiunse a stento il ponte, anch’essa infreddolita: scossa dal segreto che serbava, nemmeno si era presa la briga di aprire l’armadio per recuperare qualcosa di lungo. Si arrestò sulla sommità, sperando di specchiare nelle acque del Naviglio il suo volto, che si immaginava raggiante dopo il segno provvidenziale della notte. Non vi riuscì: la superficie era completamente ricoperta di foglie strappate, rami distrutti e qualche tronchetto, involontari testimoni di una sciagura che si prolungava lungo il corso del canale, mobile cimitero di precoci navigli verdeggianti.
Davanti al Tigros ebbe la sua prima folgorazione: forse lì avrebbe trovato qualcuno a cui confidare il suo segreto. Controllò nel borsino e giudicò i dieci euro sufficienti per comprare qualcosa, sebbene nulla le servisse effettivamente, se non un confessore. Con lo sguardo proteso verso l’interno, scavalcando un cumulo di grandine ammonticchiata davanti alla porta a vetri semibloccata, Cleofe valutò il salumiere Gustavo come prima opzione. Precipitatasi al bancone della gastronomia, senza nemmeno guardare frutta e verdura, una cocente delusione si palesò nella sua espressione quando scoprì esservi l’imbambolato sostituto Fernando: causa fette troppo spesse, stentava a rivolgersi a lui persino per la mortadella o il crespone, figuriamoci se poteva confessargli il suo segreto!
Quale famelica tigre spinta da appetito atavico, Cleofe si diresse nel reparto merendine/biscotti alla ricerca di una nuova preda ma non la trovò. Entrando nella corsia dello scatolame il professor Gagliardini sembrò fare al caso suo: serio, taciturno, stimato. Sì, era proprio la persona giusta. L’uomo, concentratissimo a scovare le differenze nutrizionali fra il doppio e il triplo concentrato di pomodoro, se la trovò dietro senza saperlo e dallo spavento un paio di tubetti finirono inesorabilmente a terra, ammaccandosi. Un uomo con i nervi poco saldi, non c’era dubbio, troppo poco saldi per serbare intatto il suo segreto. Forse era meglio passare oltre, anzi decisamente.
Le rade macchine sulla strada, che con le loro luci facevano brillare le corsie del supermercato nonostante fossero ormai le nove e mezza, passavano oltre senza fermarsi; insomma, non c’erano altri clienti. Mesta, un po’ stizzita e con in mano giusto una scatola di gramigna, tanto per non dare nell’occhio, Cleofe si diresse alla cassa, con la mente già rivolta al cimitero dove, oltre all’amato padrone, avrebbe sicuramente trovato una maggiore varietà umana a cui confessare il suo segreto.
Ad attenderla per il saldo c’era Rosina, giovane e sorridente, scintillante di glitter e imperlata di gel. Ragazza curata, giovane, con la testa sulle spalle: già conviveva e programmava di avere un figlio.
“Buongiorno signora Cleofe, ha visto che danni, questa notte?”
L’invito era più che esplicito, sicuro segno della Provvidenza per la confessione del suo segreto. Non poteva trattarsi di una coincidenza: quel giorno non doveva nemmeno essere di turno. La ragazzetta aveva sì e no venticinque anni; avrebbe raccontato sicuramente al futuro figlio la scioccante verità, tramandando il segreto di Cleofe per almeno un secolo, forse qualcosa di più. La donna esplose:
“No no, Rosina, io di danni non ne ho avuti e sai perché? Perché appena ho sentito i primi tuoni mi sono svegliata, ho preso in mano il rosario e ho detto tre decine di fila; così a casa mia non si è rotta nemmeno una finestra”. Confessato.
Uscendo dal Tigros, con in viso la brillante soddisfazione di chi ha scritto davvero la storia, Cleofe si voltò e notò che pure Rosina la fissava: fintava indifferenza, ma l’anziana aveva scovato uno sprizzante luccichio negli occhi verdastri della giovane, malcelato segno di gioia per essere la prima a conoscere il suo segreto.
La noia di Rosina, acuita dalla mancanza di clienti, fu interrotta solo dall’arrivo del Gagliardini:
“Buongiorno professore, ha visto che danni questa notte?” e passò così l’ipercalorico tubetto di triplo concentrato sul lettore a barre.
- Domenico Gigante
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Re: Il segreto di Cleofe
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Commento Il segreto di Cleofe
Domenico Gigante ha dato della svampita e innocua alla signora Cleofe. Perché? Vive sola e se qualche volta recita il rosario non è un male, dico io. Lo sbaglio è ostentare la sua preghiera, attribuendole proprietà, magari anche vere, soprattutto per lei, ma che diventano sciocche quando le confida a una cassiera del Tigros, distante anni luce dal comprenderne il suo significato autentico. Onestamente il luccichio nei suoi occhi verdi non lo interpreto molto bene. Poi, perché verdastri? Il significato letterale è: “ di colore tendente sgradevolmente al verde”.
In conclusione: non sarebbe stato meglio immaginare un segreto diverso? Facile a dirsi, visto che il racconto voleva mantenere un tono leggero e divertente
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Re: Il segreto di Cleofe
- Domenico Gigante
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Re: Commento Il segreto di Cleofe
Ciao Alberto! L'espressione "svampita" è infelice. Intendevo riferirmi alla forma di religiosità primitiva e magica, secondo la tripartizione di Frazer, di Cleofe. Una forma di religiosità che la porta a credere nei poteri scaramantici del rosario e, di conseguenza, al mistero quasi iniziatico (il segreto) che questi portano con sé. Tra l'altro un'immagine tipicamente meridionale che viene collocata in piena brianza, con effetto dirompete sullo stereotipo.Alberto Marcolli ha scritto: 01/07/2022, 13:05 Noto una certa verbosità che appesantisce. Personalmente io sfronderei certe frasi, tenendo presente che, trattandosi comunque di un “corto”, per essere efficace il testo deve essere scorrevole e asciutto il più possibile.
Domenico Gigante ha dato della svampita e innocua alla signora Cleofe. Perché? Vive sola e se qualche volta recita il rosario non è un male, dico io. Lo sbaglio è ostentare la sua preghiera, attribuendole proprietà, magari anche vere, soprattutto per lei, ma che diventano sciocche quando le confida a una cassiera del Tigros, distante anni luce dal comprenderne il suo significato autentico. Onestamente il luccichio nei suoi occhi verdi non lo interpreto molto bene. Poi, perché verdastri? Il significato letterale è: “ di colore tendente sgradevolmente al verde”.
In conclusione: non sarebbe stato meglio immaginare un segreto diverso? Facile a dirsi, visto che il racconto voleva mantenere un tono leggero e divertente
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Non sono d'accordo con Alberto Marcolli sulla verbosità che appesantisce: secondo me (parere da prendere con beneficio d'inventario, naturalmente ), è proprio l'eccessiva verbosità che crea una certa suspence su che diamine di segreto possa custodire un'anziana signora di un paesino, ansiosa di confessare al parroco (anzi, no: a chiunque incontra, purché idoneo) ciò che ha combinato.
E che sarà mai? Si chiede il lettore: ha visto qualcosa di sconveniente, ha bollito il gatto, ha insultato la vicina con epiteti irriferibili? Niente di tutto questo...
- Roberto Bonfanti
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Non conoscevo il termine battirone, ho imparato anche qualcosa di nuovo.
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Re: Il segreto di Cleofe
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Mobile cimitero di precoci navigli verdeggianti è un'immagine stupenda.
A rileggerti
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Mi è piaciuto l'azzeccato e ben descritto quadretto tipico della vita di paese, con il suo tran tran quotidiano, i suoi personaggi caratteristici, insomma questo vivere provinciale e semplice che, dal mio punto di vista, è sempre decisamente apprezzabile. Bravo anche per aver saputo creare, con un'azzeccata e incalzante costruzione del racconto, curiosità e aspettativa in chi legge. Bello il contrasto fra il "grande" segreto di Cleofe e l'effettiva ingenuità e quasi banalità (comunque simpatica e positiva) della sua rivelazione. .
Complimenti.
- Marino Maiorino
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Il racconto non mi convince. A un tratto ho persino creduto che Cleofe fosse una gatta coi suoi pensieri ("Cleofe si diresse alla cassa, con la mente già rivolta al cimitero dove, oltre all’amato padrone, avrebbe sicuramente trovato una maggiore varietà umana").
Certamente rappresenta una di quelle anziane che, sole, invecchiano e ammattiscono nei paeselli di tutto il mondo, ma quale sarebbe il peccato da confessare (i peccati si confessano, non i segreti), aver avuto salva la casa dal fortunale per aver aver recitato 30 rosari di fila?
Sulla scrittura, alle volte ti fai prendere la mano: "Quale famelica tigre spinta da appetito atavico, Cleofe si diresse nel reparto merendine/biscotti alla ricerca di una nuova preda". Putroppo parli di fame e di merendine nella stessa frase. So bene che qui la "fame" è la voglia di trovare qualcuno a cui raccontare il fattaccio, ma se mi sbatti le merendine sotto il naso mentre mi hai indotto fame (il lettore si immedesima, se sei abbastanza bravo, e tu lo sei), io mi fermo al pacco di merendine!
Voglio dire, presta maggiore attenzione al contesto nel quale esprimi le tue metafore.
Insomma, il racconto non mi convince del tutto, sebbene veda ottime basi per realizzare opere di ben altro calibro.
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Re: Il segreto di Cleofe
Mi dispiace che il secondo non lo abbia gradito del tutto, forse Marino ti sei approcciato al racconto con delle aspettative troppo elevate per le mie modeste capacità e pretese letterarie (sono qui giusto per divertirmi e divertire il lettore, non certo per raggiungere nuove vette letterarie). Il brano è volutamente ingenuo e surreale, con un tono vagamente epico che è fatto apposta per stridere con la pochezza del racconto. Se mi permetti un paragone musicale, mi sento più Cochi e Renato che Mina e Celentano, almeno qui.
Ti ringrazio comunque per il commento, spero di farne tesoro per eventuali nuovi brani.
PS: L'Altomilanese è una zona geografica storica e ben delineata (vedi Wikipedia) , esattamente come Irpinia, Salento o Mediocampidano.
- Marino Maiorino
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Re: Il segreto di Cleofe
"Altomilanese"... anche oggi posso andare a dormire avendo appreso qualcosa di nuovo!
Al riguardo di Cochi e Renato: quasi tutti i comici italiani sono passati dalla comicità al drammatico, prima o poi: preparati!
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Il tuo racconto mi lascia perplesso sul voto da dare.
Il brano mi è piaciuto, semplice e diretto anche se a leggerlo è rileggerlo salta all'occhio una carenza di ritmo nelle azioni. Sinceramente curerei questo aspetto perché a momenti è un pochino lento.
La storia è divertente, anche se molto semplice.
Quindi farei così, se dovessi votare secondo i miei gusti voterei 3, se dovessi votare in maniera totalmente slegata da questi direi 4, quindi un 3,5.
Approssimiamo a 4.
Buona gara.
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