Quella sera che Jimi Hendrix e la sua band suonarono per noi
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Quella sera che Jimi Hendrix e la sua band suonarono per noi
Al Festival di San Remo del ’66, mi aveva presentato a Maurizio un amico di famiglia, pezzo grosso di una primaria casa discografica di Milano, che sperava di convincerlo a incidere con loro. La mia presenza, secondo i piani, sarebbe stata di aiuto, perché anch’io iniziavo a muovere i primi passi nell’ambiente e l’avevo già incrociato in qualche balera della bassa.
Mi impegnavo per diventare un buon strumentista, ma non andai mai oltre le feste popolari e i locali di Lugano e Locarno, mentre Maurizio aveva già imbroccato la strada giusta da un paio d’anni ed era lanciato verso importanti successi nazionali, con il nuovo nome dato al suo complesso.
Attendere l’arrivo, dato per imminente, di questa stella del rock, senza conoscere nient’altro, accendeva al massimo la nostra curiosità, e certo non potevamo telefonare oltre oceano, a chi, poi! Altri sistemi non ne esistevano in quegli anni. Potevamo soltanto insistere con Maurizio per saperne di più. Ma lui, impegnato in giro per l’Italia, era impossibile da rintracciare, e le poche volte che lo scoprivamo in via Bodoni, si divertiva a inventare storie, burlandosi bonariamente di noi.
La data certa del concerto ce la comunicò l’amico di famiglia e, non so come, riuscì anche a procurare due biglietti, per me e l’amico Andrea, ovviamente pagati da mio padre. Sborsò il denaro e nemmeno volle dirmi quanto gli costarono. Proprio lui, grande ammiratore di Claudio Villa e Frank Sinatra, che odiava sentirmi in camera mia strimpellare le canzoni di De André.
23 maggio del 1968, giovedì. Il gran giorno era arrivato!
Mattina scuola, pomeriggio Jimi Hendrix. Questa, era vita!
Noi avevamo i biglietti per il concerto delle 16:30, ma il tempo passava e Jimi non arrivava, nel frattempo emergevano le notizie più fantasiose.
Ricordo di un volo dirottato, o forse caduto in mare, non era Jimi in arrivo ma Cassius Clay. L’ultima fu questa: agli Experience avevano sequestrato gli amplificatori. Li stavano smontando alla dogana dell’aeroporto, alla ricerca di droga.
Alla fine il concerto del pomeriggio non si fece. Gli organizzatori volevano rimborsarci il biglietto. Figuriamoci! Prima avrebbero dovuto passare sul nostro cadavere.
Si rimase tutti in attesa del concerto serale, fissato per le 21:30. Fu lunga, ma con l’adrenalina che avevamo in corpo avremmo aspettato anche fino a domenica. All’apertura delle porte, aiutati dalla mia prestanza fisica e dalla furbizia del mio amico Andrea, entrammo con i primi e correndo ci piazzammo davanti al piccolo palco dei musicisti. La calca di ottocento persone in uno spazio per quattrocento era molta e lottammo con le unghie e con i denti per mantenere la posizione. Fu una vera battaglia e non ci fu possibile evitare di spostarci sulla sinistra. Pazienza.
Il concerto iniziò con l’immancabile ritardo verso le 22:30. Sulla piccola pedana, stracolma di strumenti, c’erano un sacco di persone che non capivamo perché stessero lì. Si iniziò con l’esibizione di due gruppi incaricati di rompere il ghiaccio, un’usanza considerata allora doverosa, ma per fortuna durò poco. Finalmente apparirono batterista e bassista degli Experience, poi spuntò anche Jimi, con la mitica Fender Stratocaster.
Chitarra e basso utilizzavano una coppia di amplificatori Marshall: un vero schianto per me e il mio amico Andrea.
Partì la Musica
Io ero lì, Jimi Hendrix era a due metri e non me lo sarei perso per tutto l'oro del mondo!
Jimi suonava e cantava senza eccessi. Era concentrato sul suo strumento, ma ve lo giuro: era un fiume in piena di note.
Erano in tre. Sembravano dieci. Gli amplificatori erano a palla. Basso e batteria producevano un ritmo indiavolato. Jimi lo dominava e lo cavalcava con sicurezza. Viaggiava sulle corde con un’agilità mai vista. Noi sempre lì, a due passi. Lo osservavamo grondare di sudore. Stregati dall’energia prodotta dalla sua chitarra.
Sparava note acute e basse a velocità siderale. Utilizzava un distorsore inesistente qui in Italia, i suoni che produceva si rovesciavano addosso a noi con veemenza. Le nostre casse toraciche vibravano all’unisono con quell’impasto di ritmo e frenesia. Era una scena da matti, letteralmente, ma andava bene così, anzi lo incitavamo urlando. Lui raccoglieva e ne traeva nuovo vigore. Sapevo cosa voleva dire suonare su un palco con il pubblico che ti spronava a dare il massimo, ma qui eravamo oltre ogni umano limite.
Non ho la sequenza delle canzoni. Di sicuro eseguirono tutti i brani dell’album “Are You Experienced”.
Ho frammenti di ricordi di Hey Joe, Stone free e Purple Haze. Ebbi un’emozione particolare quando Jimi cantò Foxy Lady. Ne era talmente coinvolto da convincermi del suo reale rimpianto per l’incontro con una ragazza, lasciata poi chissà dove, con la nostalgia di averla persa per sempre.
Ancora oggi, se penso che dopo soli due anni, quel ragazzo, alto e magrissimo, frutto di un incrocio fra sangue indiano Cherokee, sangue nero e messicano, lo avrebbero ritrovato morto a Londra, in una stanza del Samarkand Hotel, mi sento male peggio di allora.
Questo è uno degli epitaffi scritti sulla sua tomba a Seattle, visitata in tempi recenti dall'amico Andrea, gran giramondo.
“Message to Love – Everybody come alive, Everybody Love alive, Everybody hear my message”
Il concerto finì molto tardi. Io dovevo essere a casa per le otto di sera, invece a mezzanotte e oltre, ancora non ero rientrato e avvisare i genitori di un ritardo era allora quasi impossibile. Il telegiornale forse qualche cosa aveva detto, ma mio padre, uomo di altri tempi, parti in macchina per venire a vedere cosa cavolo fosse successo. Come fece a individuarmi, in quella babele, è rimasto un mistero, e quante me ne disse! Da buon genitore, però, portò a casa anche il mio amico e le altre due ragazze che avevamo agganciato al concerto.
Allora le cose andavano così!
- Alberto Marcolli
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Re: Commento
Allora eravamo in un locale, sostanzialmente piccolo, nel parco Sempione di Milano, chi a due metri chi in fondo, ma sempre a distanze umane, mica in uno stadio con il palco a venti e passa metri di altezza e cinquantamila persone sedute sugli spalti a distanze tali che è impossibile vivere le emozioni non solo tue ma anche di chi suona.
Gli ultimi concerti che ho vissuto erano nei palazzetti. De Andrè, Gaber, James Brown, Venditti, De Gregori... Poi ho smesso.
PS. Hai intuito chi era Maurizio e la via Bodoni?
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Hai reso bene l’idea dell’eccitamento e dell’adrenalina che si respirava all’epoca nel rock, del rapporto con i genitori (molto comprensivo tuo padre, per gli standard di quei tempi) e dell’atmosfera generale di un’era irripetibile per la musica e per la società.
Ben sintetizzate le differenze con i tempi odierni nella tua considerazione alla fine.
Quel Maurizio era Vandelli?
Ti do un voto alto e rilancio con un aneddoto, legato in qualche modo a Jimi Hendrix.
Me lo ha raccontato un chitarrista di lungo corso, che era adolescente alla fine degli anni sessanta. Con i compagni della sua prima band frequentava un negozio di dischi di Firenze, ci passava delle mezze giornate, spesso senza comprare niente, viste le sue tasche perennemente vuote.
Un giorno che, come al solito, lui e gli altri del gruppo erano intenti a esaminare le copertine della sezione pop-rock, il proprietario li chiamò e disse: “Ragazzi, vi faccio ascoltare un disco che mi è appena arrivato dall’America” e mise sul piatto il 45 giri di Foxy Lady.
Alla fine della canzone il mio amico avrebbe voluto attaccare lo strumento al chiodo, il bassista, invece, commentò: “Sì, questo Hendrix è bravo, canta bene, ma il chitarrista! Quello è un vero fenomeno!”
https://chiacchieredistintivorb.blogspot.com/
Intervista su BraviAutori.it: https://www.braviautori.it/forum/viewto ... =76&t=5384
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Re: Commento
Via Bodoni (Milano) è dove abitava in affitto in una antica villa stile liberty con tutta la banda del suo complesso. Era un vero porto di mare con musicisti e cantanti che andavano e venivano e pure si fermavano a dormire, se serviva. Di Jimi potrei anche dirti qualche cosa di più, ma sono cose troppo personali.Francesco Pino ha scritto: 26/06/2022, 16:11 Chi era il Maurizio a cui ti riferisci ci sono arrivato tramite il festival del '66. Via Bodoni invece no.
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Re: Commento
Non è un mio filone, solo che molti bravi autori mi hanno chiesto di continuare.FraFree ha scritto: 26/06/2022, 23:05 mi piacerebbe leggerti calato in altri contesti. Forse, è un tuo filone, con vari pezzi. Comunque, mi è piaciuto.
Il concerto con Jimi ho finito di scriverlo una settimana fa, sulla base di ricordi e note scritte in un diario. La prossima volta ti prometto che invierò tutt'altra storia: ho solo l'imbarazzo della scelta. Data la mia età ne avrò almeno duecento, forse più, sparsi nei quattro computer di casa + portatile. Ogni tanto ci guardo dentro e tra versioni antiche, recenti e meno, non ci capisco più niente.
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Purtroppo il lasciarsi trasportare è stato un po' il dramma delle mia generazione, o almeno io l'ho vissuto così. Sono cresciuto ascoltando molti grandi artisti che però se n'erano già andati, personaggi come Jimi Hendrix, Kurt Cobain, Freddy Mercury, De Andrè, Rino Gaetano ecc...
A quattordici anni iniziavo ad apprezzare chi non c'era più, voi li avete vissuti, e anche se non sono un esperto di musica, li avrei voluti vivere.
Sul racconto c'è poco da dire, scritto alla perfezione e ricco di trasporto, parla di vicende personali quindi non giudicabili.
Complimenti.
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Diciamo che la struttura tutto sommato funziona con qualche sbavatura.
"Le note sul mio diario di bordo, conservato come una reliquia, parlano di un volo dirottato, o forse caduto in mare, non era Jimi in arrivo ma Cassius Clay. L’ultima fu questa: agli Experience avevano sequestrato gli amplificatori. Li stavano smontando alla dogana dell’aeroporto, alla ricerca di droga."
Perché parlano? Se l'impostazione è al passato direi parlavano. In l'ultima fu questa metterei: l'ultimo appunto riguardava gli E. a cui avevano sequestrato..."
"Non ho la sequenza delle canzoni. Di sicuro suonarono tutti i brani dell’album “Are You Experienced”.
Ho frammenti di ricordi di Hey Joe, Stone free e Purple Haze."
Anche qui viri al presente, ma una tantum ci può stare. Ma perché il verbo avere? Non ricordo la sequenza, non ho memoria della sequenza.
Mi rimangono solo frammenti... e così via.
"Oggi non ci capisco niente. Sempre con il cellulare in mano, e poi?"
Scriverei: non si ci capisce, per non tornare al presente si rende impersonale.
Ti segnalo un refuso: "23 maggio del 1968, giovedì. Il gran giorno era arrivato!"
Quando è a capoverso anche se è una data il numero va tradotto in lettere. Ventitré maggio.
Mi è sembrato un buon onesto racconto tutto incentrato sull'esperienza di un ragazzo al tour Are you experienced di Jimi Hendrix. Non sapevo della tappa italiana. La lettura risulta scorrevole e il testo attira l'attenzione.
Una riflessione personale io a quel tempo ero solo un ragazzetto, ma certo è impressionante la differenza tra la tua Milano (?) e il mio remoto paesello del Belìce fermo nel tempo in cui da poco in quello stesso 1968 un terremoto aveva devastato piccoli centri antichi togliendo ogni cosa a chi già non aveva niente. Il mio paese per fortuna venne solo sfiorato dall'epicentro. I miei ricordi di ragazzino non sono certo concerti e band in giro per l'Europa, ma donne vestite d'un eterno lutto con le spalle alla strada e il viso alla porta intente a cucire o spalmare concentrato di pomodoro su logore tavole e fichi secchi sugli stecchi costruiti con le canne, o raggrinziti contadini seccati dal sole che all'alba ogni mattina in groppa al loro mulo partivano per i campi per poi tornare al tramonto. Io negli anni sessanta vivevo forse ancora come si viveva nell'Ottocento, in una sorta di bianco e nero, e tu invece eri proiettato in un mondo colorato cosmopolita. Per certi versi ti invidio.
Io avevo un pianoforte a casa e mio padre, amante della lirica, mi pagava le lezioni di pianoforte. L'imprinting che ho avuto con la musica vira su Corelli e Monteverdi più che sui Doors. Ho scoperto il progrock già grandetto, ma per me la musica rimane quella di Bach e compagnia danzante.
Certo oggi le cose sono cambiate pure da noi e i ragazzi li vedi ciondolare col cellulare in mano. Rimane però una certa resistenza mi accorgo e molti giovanissimi mi sembrano più attratti dalla tradizione che dalla modernità e provano e recuperare quanto è stato perduto negli ultimi decenni. Ma non so quanto durerà.
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Ancora oggi, se penso CHE quel ragazzo, alto e magrissimo, frutto di un incrocio fra sangue indiano Cherokee, sangue nero e messicano, funambolico chitarrista che ammiravo da così vicino, appena due anni dopo, a 28 anni non ancora compiuti, lo avrebbero ritrovato morto a Londra, riverso sul letto di una stanza del Samarkand Hotel, mi sento male peggio di allora.
Frase però decisamente troppo lunga, prova ad alleggerirla.
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Emozionante, senza dubbio!
Se mi permetti un solo, piccolo appunto: evita il confronto coi tempi di oggi, o almeno evitali in modo diretto.
Quando parli della tecnologia, di come si facevano certe cose, chi ha vissuto quei tempi (e anche un bel po' dopo) sa già di che parli. Inoltre, stai creando un doppio tempo narrativo: quello della vicenda e quello di te che oggi ragioni sui fatti di allora, ed è a tratti disorientante.
Penso che, invece, dovresti calarti solo in quel tempo, e sono certo che riusciresti a comunicare lo sconcerto (oggi ignoto ai ragazzi) del non avere come avvisare un genitore, o l'emozione di vedere un distorsore mai nemmeno visto in Italia, o la sensazione che generava il nome "Fender Stratocaster".
Cazzo (e non chiedo venia): Jimi Hendrix!
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Invidio molto chi ha vissuto gli anni tra il 65 e il 75. Io sono nato nel 75 e per me i concerti sono stati una vera noia. Li ho frequentati poco e svogliatamente. Sono sempre stato solo un consumatore di CD e per tradizione familiare ho spaziato in tutti i generi (classica, leggera, rock). Ho scoperto i Beatles verso i 12 anni. Mi piacquero moltissimo, ma tra i miei coetanei venivo deriso perché erano già troppo agée. Quindi mi sono spostato su prodotti più recenti. Passata l'adolescenza mi sono sentito finalmente più libero di ascoltare ciò che volevo e, complice la curiosità, ho scoperto un mondo che andava dai Pink Floyd e Led Zeppelin fino ai Dire Straits. Negli ultimi anni ho iniziato ad amare anche il punk e il metal. Insomma una storia come tante altre.
Un abbraccio!
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La spina infinita
"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
Di Mario Stallone
A cura di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.