Feldscher

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'inverno 2022/2023.

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Stefano M.
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Feldscher

Messaggio da leggere da Stefano M. »

Feldscher

Neve fresca. Neve ghiacciata, neve marcia. Neve in fiocchi, in aghi, in polvere. Neve troppo bianca, nemmeno la nostra miserabile carovana riesce a scalfirne il candore. Sempre neve, maledetta neve. Da tre giorni non vedo altro.

Auschwitz è un luogo orribile, dicono. Per gli altri, non per me. Gli altri che mi rinfacciano di aver perso la mia dignità di ebreo. Balle, tutte balle: quando entra in gioco la pelle conta solo cavarsela. E io me la sono cavata, potete starne certi. Dormivo al caldo, avevo un letto tutto mio, una stufa tutta mia, una coperta tutta mia. Gli altri ebrei hanno iniziato a non parlarmi più; hanno iniziato a parlarmi solo gli ufficiali tedeschi. Solo ordini, si intende, ma quelli li eseguo senza batter ciglio: non ho nulla di cui preoccuparmi. Che la guerra duri altri cinque, dieci, vent’anni, che i nazisti conquistino il mondo non mi importa.

Mi basterebbe soltanto essere ancora al fianco del Dott. Mengele per vivere bene. Mi ha voluto bene anche se sono ebreo? Non lo so e francamente non mi importa. Io eseguivo i suoi ordini e lui mi garantiva una vita decente. Punto. Mi ha promesso che ci incontreremo di nuovo, mi ha persino donato il suo tabarro come pegno.

Ora, dopo tre giorni di marcia, la sua lontananza inizia a farsi sentire, non sono più certo di rivederlo. Ho paura di morire? Non troppa, a dire il vero. Vedo davanti a me scheletri in pigiama che si tirano avanti trascinando i piedi, in silenzio: se ce la fanno loro perché non dovrei farcela io, che sono meglio coperto, meglio nutrito, più sano? Mi scoccia solo patire il freddo, la fame, la fatica: solo quello.

Ieri si è avvicinato un tale:
«Ti prego, dammi un po’ del tuo mantello, anche San Martino ne diede metà al povero che stava gelando!»
«Non ti vergogni? Parli di santi, proprio tu che sei ebreo?»
Non stetti più a sentire i suoi sciocchi mugugni; ero più forte di lui, avrei potuto tirargli un calcio e lasciarlo a terra per sempre. Ma non mi andava di sprecare energia: sarebbe caduto poco dopo, da solo.

Uno sparo, qualche colpo. Non capisco da dove provengono ma istintivamente mi tiro in mezzo alla carovana per farmi scudo con i ruderi animati degli altri prigionieri. Mi accovaccio a terra. Silenzio. Poi un giubilo, che mi fa rizzare in piedi: tutti corrono, saltano, ridono. Alzandomi l’orizzonte scopre una decina di corpi a terra, immobili davanti ai miei occhi. Non sono ebrei, sono SS.

Poco più lontano un soldato russo, alto almeno un metro e novanta. Punta il fucile contro di me. Provo a fermarlo a parole:
«Sono ebreo, sono ebreo».
Mi risponde in modo incomprensibile, non capisce la mia lingua. Sono troppo vicino per scappare, alzo le mani. Come posso spiegargli che quel tabarro tedesco non è mio? Perché non ho una camicia a righe come tutti gli altri? Alzo in fretta la manica; comprende tutto: non faccio l’appello mattutino da mesi ma quel numerino tatuato mi sta tornando utile. Abbozzo una risposta con l’unica parola comune alle nostre due lingue:
«Feldscher».

Mi prende sottobraccio, facendosi strada fra gli stremati rimasugli umani intorno a noi, accasciati in attesa dei modesti soccorsi che arriveranno fra ore, forse. Mi indica una tenda da cui esce un fumo invitante, non esito un secondo e mi ci tuffo dentro. Meno male: anche i russi hanno bisogno di infermieri.
Nuovoautore
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Messaggio da leggere da Nuovoautore »

Un personaggio odioso… ma chissà quanti per sopravvivere un'ora in più in quelle condizioni disumane si sarebbero, o si saranno, comportati allo stesso modo. Avrei preferito un finale diverso, più drammaticamente tragico per il nostro pragmatico furbastro. Così come lo hai concluso, quello che si credeva più furbo degli altri… ha dimostrato che la furbizia paga, sempre! Piaciuto, metto un bel quattro. Ciao.
Stefano M.
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Re: Feldscher

Messaggio da leggere da Stefano M. »

Grazie mille Nuovoautore per il commento e per la valutazione positiva. Hai ragione: il protagonista del racconto è davvero odioso, in questo devo dire che mi confermi di averlo caratterizzato correttamente! Questo racconto vorrebbe essere un, seppure modesto, omaggio a tutti coloro che vengono schiacciati dalle difficoltà e che purtroppo recepiscono l'impronta di terrore e malvagità dei più forti. Non ho voluto un finale tragico proprio perché quello è ancora un uomo, una vittima che è stata trasformata in furbo e carnefice e dunque non può fare la stessa fine da chi è "cattivo" fin da principio.
Grazie ancora e alla prossima!
Andr60
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Di kapò e collaborazionisti è pieno il mondo: per avere la pancia piena e i piedi al caldo sono disposti a tutto, e il tradimento dei propri compagni non è certo il crimine peggiore. Potrebbero diventare ministri :)
Voto 4
Mauro Conti
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Messaggio da leggere da Mauro Conti »

E' proprio vero che di approfittatori e traditori ne è pieno il mondo e colpiscono quando meno te lo aspetti.
I più forti tendono sempre a schiacciare i subalterni.
Protagonista veramente personaggio becero. Cosa non si farebbe per la propria pellaccia....
Concordo anch'io sul finale che avrei preferito più "strong".
Però promosso in pieno, molto piacevole da leggere e non troppo lungo.
Voto 4.
Giovanni p
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Messaggio da leggere da Giovanni p »

Buongiorno Stefano,

hai scritto qualcosa di diffile in maniera semplice e gradevole, ci sono alcuni punti che però non mi hanno convinto.
Il cambio di sequenza è quasi assente, non si capisce se l'episodio di San Martino sia successo prima del momento che sta vivendo o sia nel presente, seguendo quindi una fabula.
Il personaggio lo hai costruito alla perfezione, un anti-eroe col quale non è possibile empatizzare, ma solo odiarlo.
Avrei preferito che tu apliassi il tutto, anche perchè la storia è veramente interessante.
Per ora ho dato 3, nel caso tu modificassi il racconto avvertimi così che abbia la possibilità di cambiare voto.
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Laura Traverso
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

Il tuo breve ma incisivo racconto evidenzia una tipologia di umano che, pur di salvare la pelle, è stato capace di ogni crimine contro i suoi simili. Il personaggio è disgustoso e opportunista ai massimi livelli, ma credo che non sia neppure tanto un caso isolato... La scrittura è scorrevole e il tema non banale. Voto 4
Roberto Di Lauro
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Messaggio da leggere da Roberto Di Lauro »

Sembrerebbe la storia di un opportunista, ma è lui bravo o quelli intorno a lui non sono in linea con l'intelligenza?
La frase: "quando entra in gioco la pelle conta solo cavarsela" esprime una filosofia che va oltre le ideologie e cose similari.
Come racconto, è breve e conciso.
Tutto sommato mi è piaciuto. Voto 4.
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Roberto Bonfanti
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Messaggio da leggere da Roberto Bonfanti »

Come già scritto da altri sei riuscito a renderci odioso il protagonista, il furbetto che se la cava sempre, anche nelle situazioni più disperate. Questo lo rende un po' monodimensionale, ma funzionale al breve racconto, quindi l'intento della narrazione è centrato.
In un mondo perfetto mi augurerei che qualche suo compagno di sventura lo abbia rincontrato dopo la liberazione.
Che ci vuole a scrivere un libro? Leggerlo è la fatica. (Gesualdo Bufalino)
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Marino Maiorino
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Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Il personaggio è giostrato in bilico nel produrre un misto tra disprezzo viscerale e compassione.
Si aggrappa a una supposta "ebreità" (come quando rifiuta di farsi novello San Martino e rimprovera persino il ricordare il santo, o come quando tira fuori il tatuaggio) che non è certo quella che leggiamo oggi, eppure è comunemente vigliacco e opportunista.
Vittima o carnefice? No, carnefice no: nel racconto non arriva a compiere efferatezze (sebbene abbia collaborato con Mengele non suggerisce ricordi che possano far parlare di efferatezze), ma lascia che quelle si compiano. La banalità del male fatta persona.
La gran parte di noi, ne sono certo, ancora di più perché viviamo in tempi e Paesi ricchi, in società sazie, dimostrerebbe assai più egoismo del protagonista. Sta già accadendo con la guerra in Ucraina, o crediamo davvero che tutti gli esaltati che si arruolano dall'Italia in uno o l'altro esercito di quella guerra lo fanno per un ideale? E una volta arrivati lì, cose crediamo che vadano a fare? Sembra davvero che la nostra società sia tenuta al limite della sazietà per poterne liberare gli istinti più abietti alla semplice pressione di un bottone. Magari, il bottone che chiude un gasdotto...
Ma non riesco a comprenderlo. Mi spiego meglio: capisco benissimo l'ambiguità dell'ebreo collaborazionista, ma questa la interpretiamo oggi con tutto ciò che "ebreo", "collaborazionista", "2a guerra mondiale", "campagna di Russia", film americani (scrittura di una nuova morale) e un infinito di eccetera è stato steso. Mi manca entrare nella mentalità di quell'uomo del 1943.
Per capire davvero l'orrore di quegli episodi non possiamo restare sul nostro pulpito di uomini del XXI secolo e bacchettare l'orrore e l'abiezione senza capire come ci si è arrivati, e tutta la retorica di "Hitler il pazzo" mi lascia freddo come quella di "Putin il pazzo", di "Saddam il criminale" (a seconda delle stagioni), di "Qaddafi il dittatore" (ci facevamo affari).
Tanto più mi lascia freddo perché sono le stesse cose che si dicevano di Bonaparte, ma poi passano due secoli e diventa un genio militare che esportò in tutta Europa i principi della Rivoluzione Francese...
In qualche modo, la risposta a quelle domande è ciò che non trovo, che non leggo, e il racconto resta la denuncia dell'ambiguità e dell'opportunismo (a livelli estremi).
«Amare, sia per il corpo che per l'anima, significa creare nella bellezza» - Diotima

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RMarco
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Messaggio da leggere da RMarco »

Il tuo racconto è in apparenza semplice al giudizio. Il personaggio è condannato dalla corte. Un protagonista odioso, che descrive scelte moralmente difficili con tono neutrale. Eppure il narratore non lo condanna apertamente a mio avviso, non ci sono atti che lo individuino come un carnefice. Lascia uno spiraglio da cui il lettore deve guardare. Io personalmente l ho visto di fianco ad Alma Rosé, la nipote di Mahler che internata organizzò la Mädchenorchester von Auschwitz. Accettò di vivere meglio degli altri detenuti e molte sue compagne sopravvissero. Forse la tranquillità con cui il protagonista sembra convivere dipende dall'aver anche lui fatto qualcosa per gli altri nei limiti di quell'inferno. Non lo ammetterà mai. Non ci possono essere santi all'inferno. Grazie per lo spazio lasciato al lettore
Anto58
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Messaggio da leggere da Anto58 »

Mi piace questo racconto, scritto in modo semplice ma efficace. In un attimo, con poche righe, ti ritrovi immerso in quella triste situazione. Eppure l'autore riesce a fa dimenticare per un momento tutti gli orrori, proponendo un personaggio che, seppur spregevole, appare umano, molto umano....Voto 4
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Domenico Gigante
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Messaggio da leggere da Domenico Gigante »

Ciao Stefano! A me il tuo personaggio fa una grande simpatia: il più umano tra gli umani, fuori da ogni retorica tra vittime e carnefici. Anche Hannah Arendt vide albergare nei suoi correligionari la banalità del male, chiedendosi come fosse possibile che dalla somma di tante piccole bassezze potesse sorgere il male assoluto. D'altra parte in tanti tra i privilegiati - compresa la Arendt - scapparono negli Stati Uniti per salvarsi la pelle, abbandonando al loro destino milioni di persone. Complimenti!
Un abbraccio!
Vorrei essere il mare che si muove per rimanere se stesso e più di tanto non lo sposta il vento. Fragile ma tenace.
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antologia di racconti luppolati

Complice di serate e di risate, veicolo per vecchie e nuove amicizie, la birra ci accompagna e ha accompagnato la nostra storia. "Dentro la birra", abbiamo scelto questo titolo perché crediamo sia interessante sapere che cosa ci sia di così attraente nella bevanda gialla, gasata e amarognola. Perchè piace così tanto? Che emozioni fa provare? Abbiamo affidato questa "indagine" a Braviautori, affinché trovasse, tramite l'associazione e il portale internet, scrittori capaci di esprimere tali sensazioni. E infatti sono arrivati numerosi racconti: la commissione ne ha scelti 33. Nemmeno a farlo apposta, 33 è la quantità di centilitri di un gran numero di bottiglie (e lattine) di birra; una misura nota a chi se n'intende.
A cura di Umberto Pasqui e Massimo Baglione.

Contiene opere di: nwAndrea Andreoni, nwTullio Aragona, Enrico Arlandini, Beril, Enrico Billi, nwLuigi Bonaro, Vittorio Cotronei, Emanuele Crocetti, nwBruno Elpis, Daniela Esposito, Lorella Fanotti, Lodovico Ferrari, Livio Fortis, Valerio Franchina, Luisa Gasbarri, Oliviero Giberti, Elena Girotti, Concita Imperatrice, Carlotta Invrea, Fabrizio Leo, Sandra Ludovici, Micaela Ivana Maccan, Cristina Marziali, Stefano Masetti, Maurizio Mequio, nwSimone Pelatti, Antonella Provenzano, Maria Stella Rossi, Giuseppe Sciara, nwSalvatore Stefanelli, nwSer Stefano, nwSunThatSpeed, Marco Vignali.

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antologia AA.VV. di opere ispirate a storie famose, ma rimaneggiate dai nostri autori

A cura di Massimo Baglione.

Contiene opere di: nwSusanna Boccalari, nwRemo Badoer, nwFranco Giori, nwIda Daneri, nwEnrico Teodorani, Il Babbano, nwFlorindo Di Monaco, Xarabass, Andrea Perina, Stefania Paganelli, Mike Vignali, Mario Malgieri, nwNicolandrea Riccio, Francesco Cau, Eliana Farotto.

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antologia di opere ispirate dal concetto di Carosello e per ricordare il 40° anniversario della sua chiusura

Nel 1977 andava in onda l'ultima puntata del popolare spettacolo televisivo serale seguito da adulti e bambini. Carosello era una sorta di contenitore pubblicitario, dove cartoni animati e pupazzetti vari facevano da allegro contorno ai prodotti da reclamizzare. Dato che questo programma andava in onda di sera, Carosello rappresentò per molti bambini il segnale di "stop alle attività quotidiane". Infatti si diffuse presto la formula "E dopo il Carosello, tutti a nanna".
Per il 40° anniversario della sua chiusura, agli autori abbiamo chiesto opere di genere libero che tenessero conto della semplicità che ha caratterizzato Carosello nei vent'anni durante i quali è andato felicemente in onda. I dodici autori qui pubblicati hanno partecipato alle selezioni del concorso e sono stati selezionati per questo progetto letterario. Le loro opere sono degni omaggi ai nostri ricordi (un po' sbiaditi e in bianco e nero) di un modo di stare in famiglia ormai dimenticato.
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