Perseus
Inviato: 27/08/2024, 0:27
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Era diventata più allegra, la piccola Aithia, da quando la nonna le aveva raccontato di Medusa e della sua maschera. Era una gioia, ora, vederla giocare spensieratamente in ogni angolo del palazzo, una gioia che aveva toccato anche il cuore del valoroso padre.
«Viene su bene!» commentò laconico alla nonna della piccola, che così spesso badava alla bimba.
«La Dea la protegge!» rispose l’anziana, non volendo attribuirsi un merito che non sentiva proprio.
«Credete dunque che abbia fatto bene a regalarle quell’amuleto?» chiese dubbioso il guerriero, per il quale il mondo degli Dei, dei loro sacerdoti e della magia sacra, era avvolto da un perenne alone di incertezze.
«Hai fatto certamente bene!» rispose lei, celando dietro quella risposta sibillina un vasto sapere ormai prossimo alla scomparsa.
Aithia entrò nell’ambiente saltellando al ritmo di una canzone infantile, vide il genitore e gli corse incontro; ne abbracciò le gambe. «Padre!» esclamò.
L’uomo raccolse la figlia sotto le braccia e la sollevò col visino davanti al proprio. Si sentiva così fortunato! La strinse al petto con forza, ricambiando l’abbraccio e, mentre così la teneva, si voltò verso l’anziana e la guardò, cercando di comunicarle una gratitudine che quell’uomo d’armi non avrebbe saputo esprimere a parole.
L’anziana socchiuse lentamente gli occhi annuendo col capo, in segno di comprensione, poi Aithia si rigirò tra le braccia del padre allungando le proprie verso la nonna. «Giagia!» chiamò.
Il padre la depose al suolo, divertito. «No, no, piccola! La nonna non ce la fa, a tenerti in braccio!»
Aithia allungò la destra verso la mano della nonna e la invitò: «Andiamo a giocare, giagia?»
Era così bello, vedere la sua bimba giocare. La sua bimba… Per quanto tempo ancora? Anche se il confine coi barbari avesse retto tanto a lungo, sedici anni passano in fretta, poi un altro uomo…
Non volle pensarci: magari sarebbe stato un buon uomo, magari di una terra lontana, dove si diceva che la minaccia non era arrivata e i ragazzi si sposano in giovane età. Magari…
La fortezza era rude e severa, nelle sue forme, ma la fantasia di Aithia le aveva fatto trovare lì mille luoghi di nascoste avventure che lei viveva da sola, coi coetanei, o con la nonna, la quale sapeva ormai anticipare a cos’avrebbero giocato a seconda dell’angolo nel quale la nipotina l’avesse condotta.
Uno, in particolare, era il luogo della sapienza: un minuscolo vano in un torrione, dal quale si poteva gettare lo sguardo sul borgo interno attraverso una stretta feritoia. Due tavolette di legno appoggiate sulla viva pietra della struttura, curvate dagli anni alle intemperie, diventavano il comodo sedile dove la piccola e l’anziana si ritrovavano spesso faccia a faccia per rimandare le storie di tempi andati. Era conveniente, quando Aithia voleva tenere segreto qualcosa, condurre saltellando la nonna fin lassù, ma ultimamente l’anziana aveva cominciato a essere sospettosa: la nipotina aveva sviluppato una curiosità inesauribile, che spesso trascendeva i limiti che la stessa nonna aveva fissato per le conoscenze da trasmettere alla bimba.
Si accomodarono nel loro angolo nascosto. La nonna, con un po’ di fiato corto per l’impegnativa salita lungo tante scale erte e strette, sedette respirando affannosamente e chiese, con un guizzo di anticipazione negli occhi: «Allora, qual è la storia che vuoi ascoltare, questa volta?»
Aithia ci aveva girato intorno per molto tempo, ma avrebbe dovuto aspettarsi che prima o poi la nonna avrebbe capito il suo “gioco”. Vedendosi scoperta, decise che era giunto il momento di conoscere il prosieguo di quella vicenda che le era vietato anche solo menzionare.
«Volevo sapere che fu di Medusa, giagia», esordì. «Mi hai detto che divenne una grande guerriera, ma le storie raccontano che infine Perséus l’uccise. Ma Perséus era principe di Athene, e Athena gli aveva spiegato come vincere la gorgone! Com’è possibile che la Dea abbia fatto questo alla sua sacerdotessa?»
Un infantile sconcerto era apparso sul visino della bimba. Quello, più di ogni supplica, vinse le resistenze dell’anziana, già pronta a opporre un categorico no.
«Dovrò trovare le parole giuste, per raccontarlo a una piccina come te», commentò dubbiosa. «Vediamo… Dov’eravamo rimaste, l'ultima volta? Ah, sì: Medusa scese spesse volte in battaglia, e con la sua maschera di serpenti divenne leggenda, vero?»
«Sì, giagia! Che successe, poi?» esultò Aithia, che già non vedeva l’ora di proseguire quel racconto.
«Che succese…» La nonna sospirò, riandando a quei lontani eventi. «Il tempo passò. I mesi divennero anni, e Medusa era riuscita ad arginare l’invasione. Per un certo tempo ci fu pace al di qua delle montagne: i nemici non osavano aggredire le terre da lei protette. Tutto parve tornare all’antica tranquillità. Ma Medusa non era la Dea, ne era solo sacerdotessa, e la Dea ama sopra ogni cosa la Vita, Lei che la dà senza curarsi di altro accidente che di suscitarla dove può. In Medusa aveva suscitato Perséus», disse e tacque, aspettando l’ovvia reazione della nipotina.
«Ma… giagia! Tutti sanno che Perséus era figlio di Danáe, che Zeús ebbe come pioggia d’oro nella torre di Argos nella quale l’aveva rinchiusa il padre Akrísios!»
La nonna sorrise sorniona. «Conveniente, non credi, che uno dei massimi eroi ateniesi, una città iona, sia nato ad Argos, una città degli invasori?»
La spiegazione non disse molto ad Aithia, che l’accantonò nella sua testolina tra le nozioni da approfondire con gli anni. La nonna intese l’impazienza della piccola e tentò di chiarire: «Sai che per Danáe si fa il nome di due madri: Eurydíke e Aganíppe. Non voglio perdere tempo a spiegarti perché non può essere Eurydíke, mi basta farti capire perché Danáe e Aganíppe sono in realtà una cosa sola con Medusa stessa: è vero che si parla di Aganíppe come moglie di Akrísios, ma c’è un’altra Aganíppe che io ti ho insegnato a venerare, perché è una cosa sola con Demeter, vero?»
La bimba si portò le mani alla bocca per la sorpresa, temendo di farsi scappare un urlo: ora tutto le era chiarissimo. «Giagia! Ma quell’Aganíppe è raffigurata con la testa di giumenta e serpenti di gorgone nella criniera!» Gli occhi sbarrati dall’aver realizzato quel legame deliziarono la nonna: la sua piccina cresceva rapidamente anche in sapienza e intelligenza.
«Ma…» proseguì allora Aithia, sempre acutissima, «perché interpongono tante generazioni tra Aganíppe e Perséus? Che bisogno c’è di riempire la storia di tanti personaggi inesistenti?»
«Tu l’hai spiegato prima: per te Perséus era nato ad Argos, non certo a Sériphos, un’insignificante isola iona, colonia di Athene, dove secondo gli argivi avrebbe preso terra Danáe con suo figlio! Essi ammettono che sia cresciuto su un’isola iona perché non possono altrimenti dare coerenza agli eventi successi in seguito e il loro inganno sarebbe palese, ma lo fanno dando un garbo alla leggenda che la renda accettabile alle loro orecchie, attribuendosi la paternità dell’eroe!»
Ci fu un breve silenzio, mentre la bambina digeriva quelle nozioni, e poi la tanto temuta domanda: «Giagia, è per questo che il padre non vuole che mi racconti di Medusa? Lui è uno degli invasori? È un barbaro?»
C’era tutta la paura di perdere un essere amato, in quelle parole, l’anziana lo sapeva bene, ma ella era istruita a seguire altre vie, quelle della Dea, che non aveva bisogno di creare menzogne ad arte, né aveva nulla da nascondere. «Piccola mia, tuo padre ti ama, non è così?» rispose con tenerezza, accarezzandole le soffici gote. La bimba fece di sì col capo, mentre gli occhioni erano sul punto di scoppiare in lacrime.
«E allora cosa importa se sia un argivo o uno del popolo antico? Egli amava tua madre e ama te, ed è davvero un buon uomo. La Dea non ci insegna ad amare senza badare a nient’altro? Dunque non lasciarti sviare da altre considerazioni: quello non sarebbe il cammino della Dea. Ma comunque, se può esserti di conforto, sappi che tuo padre, sì, proprio tuo padre, è il frutto dell’improbabile unione tra il popolo antico e gli invasori. Lo vedi, ora quanto è saggia la Dea? Davvero per Lei nulla è impossibile, e può suscitare la Vita dove gli Uomini vedono solo morte».
Si sentì sollevata, la bimba, e poco a poco un sorriso di sollievo che divenne presto gioia le apparve sul viso. Tirò su col naso un paio di volte e deglutì, facendosi coraggio per ascoltare il resto del racconro.
«Ma ora basta con gli spiegoni», le disse la nonna, asciugandole gli occhi col pollice, «o non riusciremo a terminare mai questa storia!»
«No, aspetta!» l’interruppe ancora una volta Aithia. «Ma la pioggia d’oro, allora? E Zeús?»
L’anziana sorrise benevola. «Piccola, gli adulti sanno come nascono i bambini! La pioggia d’oro non è la peggior metafora per descrivere come un uomo diede un figlio a Medusa. Da loro nacque Perséus, e solo questo conta. Ti pare?»
«Hai ragione, giagia. Scusa, puoi andare avanti».
«Allora», riprese la nonna. «In un’isola delle Kykládes, Medusa diede alla luce Perséus, che fu cresciuto da Díktys, il pescatore, “come se fosse suo proprio figlio”, dicono le leggende. Conosciamo abbastanza del popolo antico e delle sue usanze, del fatto che il matrimonio presso di loro non durasse per forza tutta la vita, quindi la cosa non ci meraviglia più di tanto, vero?»
La piccola si produsse in un ampio gesto di assenso col capo.
«E ora, come ben sai, si dice che Perséus fu mandato a prendere la testa di Medusa, ovvero la maschera indossata dalla madre. Se hai seguito quanto ti ho detto fino ad ora, la cosa potrà sembrarti strana, ma la vera storia differisce un po’ da quanto si dice.
«Era un uomo fatto, Perséus. Aveva abbastanza anni per diventare un eroe e prendere il posto della madre che, nel frattempo, era invecchiata: di fatto, aveva una quindicina d’anni meno di me».
«Ma giagia!» Esplose indignata la bambina. «Tu non sei vecchia! Io li vedo, gli uomini, quando ti guardano!» Si fermò all’istante, forse aveva detto qualcosa che non doveva, forse aveva mancato di rispetto all’anziana.
La quale sgranò gli occhi per la sorpresa, poi scoppiò a ridere come raramente le era capitato di fare: che nipote sveglia e impertinente, le era capitata!
«Così sia finché piaccia alla Dea!» rispose la nonna. «Ma una cosa è sembrare avvenenti, altra è imbracciare un’arma e guidare un esercito, e Medusa sentiva quella fatica ogni giorno di più. Anche se la gran parte delle volte la sua apparizione sul campo di battaglia era solo una messinscena per scoraggiare i nemici, col tempo si era dotata di un grande scudo, luminoso e scintillante affinché fosse riconoscibile da lontano, di una robusta lancia, e la maschera l’aveva fatta montare su di un elmo. Così bardata, correva a portare il proprio conforto da un punto all’altro dei campi di battaglia. Ma sebbene sapesse che quello sforzo andava fatto, sentiva approssimarsi il giorno in cui il suo piede sarebbe inciampato sotto tanto peso, e il nemico avrebbe rivelato l’inganno. Non doveva accadere!
«Non doveva accadere, ma la vecchiaia incombe su tutti noi, e non aveva senso spendersi con tanto sforzo se un giorno tutto avesse dovuto essere reso vano da un passo malfermo. Allora pensò che Medusa, la mostruosa gorgone tanto temuta dagli invasori, avrebbe dovuto essere soppiantata da un eroe ancora più grande, ancora più temibile: qualcuno capace di vincere la stessa Medusa! Tutti i nemici sarebbero fuggiti al solo udirne il nome, e quel nome era Perséus».
Aithia strinse le palme delle mani sulle guance, producendosi in un “Oh!” di trepidante meraviglia, ma non osò emettere un suono per non interrompere la nonna.
«È vero che Perséus era andato in terre lontane», proseguì quella. «E in un certo senso, sì, ci era andato per “prendere la testa della Medusa”, per esercitarsi alle armi e poi prenderne il posto, sarebbe più giusto dire, insieme al padre.
«In questo punto, la leggenda non mente poi molto, quando narra di Díktys e di Polydéktes, sebbene essi siano infine la stessa persona: Díktys, il padre di Perséus, e Polydéktes, una corruzione di “i molti Díktys”, i compatrioti di Díktys che accompagnarono l’eroe nel suo viaggio. Ma che viaggio fu, quello, in realtà? Perséus andò sotto la guida del padre lontano da casa con un solo obiettivo: compiere azioni notevoli, accrescere così la fama propria e del proprio nome, “il distruttore di città”, e creare così la leggenda che oggi si tramanda».
La nonna diede il tempo alla piccola di fissare le nozioni che le aveva trasmesso. Quando lesse finalmente chiarezza nel suo visino, proseguì: «Per concludere la leggenda, manca ora un solo tassello…»
«L’uccisione di Medusa!» esclamò la bambina, in un misto tra impazienza e timore.
«L’uccisione di Medusa!» confermò la nonna, sorniona, battendo le mani.
«L’impresa fu preparata ad arte: dopo aver devastato diversi porti degli invasori, Díktys diresse la rotta verso Sud. Di tanto in tanto faceva in modo che nuove, strabilianti notizie giungessero a proposito delle imprese che Perséus compiva lontano da casa, finché un giorno si sparse la voce che un ketos, un mostro marino, stava devastando le coste del lontano regno di Ethiopia, e che solo il sacrificio della principessa Androméda, “la protettrice di uomini”, avrebbe fermato il mostro. Ma le notizie non finivano qui: si diceva anche che Perséus aveva promesso al re di quelle terre di liberarlo dal flagello; avrebbe preso la testa della Medusa per fermare il ketos.
«Ora, piccola mia, capisci che “Androméda” e “Medusa” sono in realtà lo stesso nome?» chiese l'anziana.
«Nonna, hai ragione!» rispose la bimba. «Se notizie del genere fossero giunte fin qui, a mio padre sarebbero sembrate uno di quegli strani messaggi che egli riceve dai confini, e che gli fanno decidere dove mandare rinforzi! “Il sacrificio di Androméda” era dunque l’annuncio che Perséus sarebbe tornato per mettere in scena l’uccisione di Medusa!»
«Proprio così, Aithia, e il ketos da fermare non era altri che l’invasore. Tutte le voci, tutte le dicerie di quei giorni erano talmente incredibili che, dopo quegli eventi, la loro memoria restò e divenne la leggenda che tutti narrano, mentre dei fatti reali se ne tenne poco conto, e quelli si dimenticarono. La fantastica leggenda di Perséus che decapita la Medusa fu tutta una messinscena!!» confermò l'anziana.
«La prepararono nel minimo dettaglio: fu diffusa ad arte la voce che Athena stessa aveva spiegato a Perséus come vincere la gorgone, e che a tal uopo gli avesse persino prestato il proprio scudo! Ma tu sai, piccola mia, che quello era lo scudo che Medusa stessa usava!
«E giungiamo alla cosa che più ti ha sconvolto: secondo quel che si narra, la Dea della saggezza avrebbe istruito il condottiero a guardare l'immagine della Medusa solo nel riflesso di quell'oggetto prodigioso: in questo modo l'eroe non sarebbe stato convertito in pietra».
«Sì, giagia!» La bimba era di nuovo sul punto di scoppiare in lacrime, udendo quello che per lei era un tradimento in piena regola. «Ma che senso ha? Un volto mostruoso non spaventa di meno se lo guardo riflesso in uno specchio!»
«Così è, piccola mia», confermò la nonna, «ma ormai dovresti aver capito chi parlava per bocca di Athena».
Aithia, cogliendo finalmente l’ultimo elemento della trama, si portò le manine alla bocca per la sorpresa. Quella fu per lei una rivelazione. «Medusa! Medusa stessa mandò un messaggio a Perséus! Stavano coordinando l'azione, e lei gli disse come vincere!»
«Proprio così!» La nonna annuì profondamente due, tre volte.
«Ma che significava il “combattere allo specchio”?» chiese ancora la piccola, ormai impaziente di cogliere tutti i dettagli di quella storia. Gettò un'occhiata giù dal torrione, verso gli uomini che, nello stretto cortile della fortificazione, si esercitavano costantemente, ne osservò la formazione in falange… Lì, tra i più anziani, valorosi ed esperti, sulla destra dello schieramento, riconobbe l’elmo del padre, e colse anche lei il suggerimento. «Erano eserciti!» esplose trepidante. «Medusa disse a Perséus di disporre le proprie forze al contrario! Ma, mettendo gli uomini più forti sulla sinistra, quelli si sarebbero scontrati contro le truppe più forti della difesa! Sarebbe stata un'impresa disperata!»
«Bravissima, Aithia!» La nonna battè le mani una volta in segno di ammirazione. «Tuo padre sarebbe fiero di te! Lo scontro si svolse proprio così: Perséus e i suoi sembravano destinati a soccombere, quando presero terra e si trovarono l'enorme esercito dei difensori già pronto per la battaglia, coi migliori tra loro proprio sul suo fianco sinistro.
«Ma quella era anche la guardia personale di Medusa, i guerrieri che prendevano gli ordini direttamente da lei e, appena gli uomini di Perséus si mossero, lei ordinò la resa, accolse il figlio, gli consegnò il proprio elmo ornato di serpenti: la testa di Medusa era caduta!
«Il resto di quel grande esercito era più lontano dall'azione, vide solo il nemico incunearsi tra le proprie file e raccogliere quel successo disperato. La maggior parte di quegli uomini fuggì sconcertata, e ciò che raccontarono, l’eroe ateniese capace di uccidere la Medusa “guardandone il riflesso nello scudo di Athena”, divenne la leggenda che oggi tutti ripetono».
Un merlo volò sull'orlo della feritoia che dava sul borgo: nonna e nipote erano immobili, la piccola assorta a elaborare la storia appena udita, l'anziana pronta a cogliere una luce di comprensione nei suoi occhi. L'uccello ruotò il capo col becco giallo ora in un senso, ora nell'altro, con curiosità, finché la bimba si scosse e lui volò via fischiando, spaventato dal rapido movimento.
«Giagia, ma è una storia bellissima! E che fu di Perséus, poi? E di Medusa?» chiese la bimba.
«Raramente», rispose la nonna, «un inganno ha sortito un effetto così duraturo come quello ordito tra Medusa e il figlio, ma noi siamo stati fortunati. Il successo di quello stratagemma tenne gli invasori lontani dalle terre ora sotto la guida di un condottiero così temibile, un eroe così invincibile, per molti anni, ma di nuovo, il tempo…»
«Vuoi dire che anche Perséus invecchiò?» chiese Aithia.
«Naturalmente. E questa volta non sarebbe stato possibile ripetere lo stratagemma della volta precedente: troppo grande era il rischio che il nemico mangiasse la foglia. Giunto al massimo del proprio potere, Perséus approfittò della fama che ancora lo circondava per ribadire quanto grande fosse ancora l’appoggio degli Dei con un gesto che avrebbe fatto ricordare a tutti ciò di cui era stato capace: s'imbarcò per Athene e andò a restituire alla Dea lo scudo che gli aveva permesso di vincere Medusa, e a donarle la testa della gorgone. Fu una cerimonia grande e sfarzosa, se ne parlò per ogni dove.
«Infine, tornò in patria e cambiò nome: gli invasori non dovevano sapere dove egli riparasse, affinché la paura di imbattersi nel suo esercito li facesse desistere da ogni intenzione ostile, affinché quel timore vivesse anche dopo la sua morte».
«Perché, giagia, è morto, Perséus?» la piccola venne presa da una strana malinconia: avrebbe voluto vederlo, un eroe come Perséus, conoscerlo; magari sarebbe stato ospite del suo papà.
«No, fortunatamente, e ci protegge ancora, Aithia». C'era un che di sereno, in come la nonna le aveva risposto, che la bimba notò.
«Allora tu l'hai visto? L'hai conosciuto?» azzardò.
«Molto bene, piccola mia. E Díktys, che fu come un padre per lui…» la serenità del volto dell'anziana si volse in dolcezza come se riassaporando carezze delle quali aveva sentito a lungo la mancanza, la voce le si ammorbidì come per un nodo in gola.
Aithia fu turbata dalla rivelazione, ma ne capì subito la portata. «Non ne farò parola con nessuno, giagia!» Era severa come se ispirata dalla Dea stessa.
«Sì, piccola, sì. Lo farai. A tempo debito, un giorno lo farai, perché se anche il ricordo dovesse scomparire, allora loro avrebbero davvero vinto, e né Medusa né Perséus sarebbero mai vissuti, e tu non vuoi che sia così».
«Allora dovrai insegnarmi, giagia, perché dovrò diventare forte, fortissima! Come te!» Saltò al collo dell'anziana e l'abbracciò, consapevole di votarsi a un'impresa troppo grande per una bambina.
«E saggia, sapientissima, piccola mia. Finché ci sarò, questo è quello che faremo: prepareremo il tempo del ritorno della Dea».
In quel momento, oltre le montagne, un grande esercito con picche di bronzo si stava riunendo.