Indice:
La gara
Gara 4
CIAK, SI SCRIVE!
APRILE 2009
antologia per BraviAutori.it
A cura di DaFank, prefazione di Pia
Foto allegate a ogni racconto di: autori vari.
Si ringraziano gli Autori di questa antologia per la partecipazione.
Nota: l'antologia impiega l'editing degli autori.
Trasformazione digitale: MiCla Multimedia
Prefazione
- Pia -
Il titolo è da sempre stato elemento fondamentale per stimolare la curiosità e l'attenzione: è una parola o una piccola frase che riassume o indica l'argomento, che sia esso un film o un libro, quindi deve essere scelto con cura perché sortisca l'effetto desiderato.
Ci fa lavorare di fantasia cercando di capire quello che cela, lo pronunciamo ad alta voce, ce lo facciamo scivolare sulla punta della lingua come se fosse un cibo prelibato, lo assaporiamo, lo gustiamo, lo centelliniamo, ci convinciamo che sì, deve essere bellissimo quel film; viceversa, se non ci ispira, iniziamo a sgranocchiarlo, poi lo mastichiamo rabbiosamente, fino a farlo a brandelli, ma comunque ce ne rimane il sapore.
Questa quarta edizione ha come tema alcuni titoli di famosi film, ed è interessante osservare come essi abbiano stimolato i nostri autori scatenando le loro fantasie più o meno (più) perverse.
Stravolte completamente le trame, ognuno di loro ha interpretato il titolo come meglio gli aggrada, con buona pace dei registi che probabilmente avranno trascorso notti insonni per trovare quello giusto, affinché scattasse quell'idea geniale destinata a decretare il successo o il fiasco del loro sudato lavoro.
Dalla scoppiettante tastiera di Cmt si materializza un incauto vampiro alle prese con un dopo-sbronza semi intossicante.
Miriam per l'occasione s'improvvisa pittrice pennellando con fosche tinte su un giallo deciso, intanto che una Manuela alla riscossa con perfidia sottile trova finalmente il coraggio di reagire alle prepotenze quotidiane.
Far scomparire la stupidità è il sogno di una "schizzata" Pia, condiviso certamente da molte altre persone, mentre un effervescente e angelico Devil, addentratosi nel meandri del sesso, ne rimane folgorato.
L'amore è alla base di tutto per l'audace Alessandro, amore diverso, ma comunque amore, palesato sul principio del carpe diem.
Nembo ci fa vivere una notte da incubo, in una fuga affannosa e delirante, per fortuna solo onirica, cosa che, purtroppo, non è per lo spettrale Ranz, alle prese anch'egli con l'amore, ma in forma alquanto inquietante.
Ironia, amore, suspense, follia, intrighi ed esseri soprannaturali sono gli ingredienti di questa nuova prova dei sempre più "BraviAutori".
E ora non voglio rubarvi altro tempo prezioso, so che fremete tutti dalla morbosa curiosità di scoprire a quali opere le nostre vulcaniche menti hanno dato vita. Vi auguro quindi una buona tortura… ehm… lettura.
FINE
L'inquilino del terzo piano
- Ranz -
Laura osserva la porta del suo appartamento, il numero 15 del terzo piano del civico 36 in Via Appia.
Sta per tornare a casa sua, quella maledetta casa che le ha rovinato la vita.
La chiave è a un passo dalla serratura, ma non riesce a infilarla.
Ha paura.
- Non abbia timore Laura. Nessuno l'aggredirà più.
"Facile a dirlo", pensa fra sé.
I dottori non sanno quello che ha subito o meglio lo sanno, ma non le credono. Com'è che avevano diagnosticato il suo caso?
Isteria auto compulsiva o roba del genere.
Un paio di mesi in una clinica, una terapia da continuare a casa e poi di nuovo libera, libera di ritornare nelle braccia dell'incubo senza nessuno che la possa aiutare, sola.
Pazza.
Ecco la parola che il mondo ha usato per descriverla.
Una pazza che rivolge violenza verso se stessa e che attribuisce le colpe a un fantasma.
- Ma non può essere! Tutto è iniziato da quando mi sono trasferita in quell'appartamento. Prima non mi era mai successo.
- Laura, simili disturbi a volte possono rimanere nascosti dentro di noi per molto tempo e venir fuori in seguito a determinati avvenimenti scatenanti. È come una porta chiusa a chiave, basta la chiave giusta e questa si apre. Nel suo caso potrebbe essere stato il trasloco a turbarla.
Infila la chiave.
La gira.
La porta si apre.
Laura percorre il corridoio nella semi oscurità.
Cammina lentamente, cerca di percepire ogni minimo rumore.
Ha paura.
Lei non è pazza. Non lo è mai stata.
Non può essersi procurata da sola tutti quei lividi. I dottori hanno sbagliato tutto.
In quell'appartamento c'è davvero qualcosa che l'aggredisce, la picchia, la violenta. Qualcosa che non si può vedere, qualcosa che non si può percepire.
Arriva alla sua camera.
- È solo nella sua testa Laura. È solo nella sua testa.
La prima volta è stata lì. Ricorda molto bene.
È estate.
Distesa sul letto, indossa una camicia da notte. Ha gli occhi chiusi. Cerca di rilassarsi dopo una lunga giornata in ufficio. Ha voglia di un uomo. È passato molto tempo dall'ultima volta, troppo tempo. Si tocca. Prova piacere. Improvvisamente si sente sfiorare i seni.
Apre gli occhi.
"Non può essere!", pensa e un sorriso appena accennato si dipinge sul suo volto.
Nella stanza non c'è nessuno.
Ma la sensazione del tocco rimane, anzi, si fa ogni momento più forte. Qualcuno le sta lentamente palpando i seni. Si sente sfiorare i capezzoli che diventano rigidi. La sua vagina è bagnata, il piacere prende possesso del suo corpo.
Poi…
- È solo nella sua testa Laura. È solo nella sua testa.
Qualcosa entra dentro di lei. È violento, le fa male. Si sente stringere i polsi con forza. Vorrebbe gridare, ma delle mani invisibili, le stesse che prima l'hanno eccitata, la schiaffeggiano con forza.
Dura pochi, lunghissimi minuti, dopodiché riesce a muoversi.
Si alza e si osserva nello specchio.
Il suo viso è scomparso. Di fronte a sé vi solo una massa di escoriazioni che fanno sembrare la sua pelle carne cruda.
Vorrebbe gridare, ma non riesce ad aprire la bocca dal dolore.
Da quella prima volta è passato molto tempo, ma le aggressioni non sono cessate.
Ha cercato aiuto e l'hanno considerata pazza.
- Nella sua testa Laura. Tutto è solo nella sua testa.
Si avvicina al letto.
Tutto è come l'aveva lasciato.
- È solo un'allucinazione.
Si stende.
Vuole solo dimenticare.
Silenzio.
Cerca di rilassarsi. Forse hanno ragione i dottori. Forse era davvero lei la causa di tutto.
- Ora sta meglio e può riprendere la sua vita di sempre. Continui a prendere le medicine e vedrà che non avrà più problemi.
Silenzio.
Pace. Per la prima volta dopo mesi è tranquilla. Un sorriso appena accennato si dipinge sul suo volto.
"Sei tornata finalmente!".
Si alza.
- Chi è?
- È solo nella sua testa Laura. È solo nella sua testa.
- Chi è?
Due mani invisibili la schiaffeggiano.
- Lasciami in pace, vattene!
Inizia a piangere. Non può essere. Lei è guarita. Non può essere.
"Tu sei mia. Non ti libererai mai di me!".
- Lasciami in pace, vattene!
- È solo nella sua testa Laura. È solo nella sua testa.
FINE
Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere
- Devil -
Lassù, oltre il cielo, oltre la galassia, qualcuno ci osserva e si chiede cosa sia il sesso. Perché gli esseri umani sono così attratti, perché hanno tante manie, tante morbosità?
Nell'Eden, un gruppo di giovani angeli era riunito e osservava con molta attenzione quello che fanno gli umani quando sono travolti dalla libidine.
Uno di loro in particolar modo era molto incuriosito, il suo nome era Rocco.
Nella sua testolina frullavano tanti pensieri, non capiva cosa fosse quella sensazione, quel fuoco che sentiva dentro quando guardava quegli esseri aggrovigliarsi fra loro, alcune volte si annodavano tanto da sfidare le leggi della fisica.
Era il più giovane del gruppo, molto curioso, cercava risposte dai suoi colleghi più esperti, ma questi non sapevano cosa raccontargli: non erano mai usciti dall'Eden.
Un giorno, mentre esaminava un giovane elemento umano, pronto all'atto dello strofinamento del suo chiodino (come chiamavano la masturbazione), un vecchio saggio gli si avvicinò.
- Rocco, cosa stai facendo - gli chiese il saggio con tono divertito.
Con fare disinvolto, il giovane angelo gli rispose:
- Ma tu sei il grande Ottantafrecce, l'unico di noi che sia riuscito ad avere rapporti con quegli esseri.
- Vedo che mi conosci. - Rispose il saggio.
- E come potrei non conoscerti, sei il mio idolo, avrei tante domande da farti! Per esempio, quel ragazzo non si fa male a tirarsi su e giù quell'affare?
- Piccolo Rocco, hai tanto da conoscere. - Esclamò Ottantafrecce - Vuoi imparare qualcosa? Vieni con me, ti porterò dove tutto è possibile e tutti i sogni diventano realtà: ad Amsterdam.
- dov'è? è bella? - Chiese Rocco.
Il saggio rispose ridacchiando: - Credo che tu conosca la favola di Pinocchio, Amsterdam è il paese dei balocchi.
Rocco rimase senza parole, il cuore batteva così forte che sembrava volesse uscirgli dal petto. Ottantafrecce lo notò e tranquillizzò Rocco: quello che stava provando era uno dei tanti stati dell'essere umano.
Arrivati ad Amsterdam, Rocco non credeva ai suoi occhi: migliaia di vetrine rosse con stupende ragazze che si mostravano semi nude, lo chiamavano, gli mandavano baci, era preso dal panico e non capiva perché all'altezza del pube i pantaloni stessero diventando sempre più stretti.
Ottantafrecce all'improvviso urlò con voce diabolica: - Che inizino le danze.
Alcool e sesso!
Si incamminarono verso i canali, lungo i quali si trovavano teatri erotici, dove si poteva assistere e in qualche caso partecipare a veri e propri show hard.
All'improvviso Rocco fu tirato dentro uno di questi, un uomo enorme e barbuto non faceva altro che ripetergli:
- Verginello, vuoi show? Sei verginello, vero? Sì, sì, si vede.
Non sapeva cosa rispondere e cosa fare, intanto i pantaloni si erano riallargati.
Ottantafrecce lo raggiunse e lo portò all'interno del locale. Gli offrirono del whisky, lo assaggiò, non lo trovò di suo gusto, la testa cominciò a girare, ma ne chiese subito altri due.
Nel frattempo, una delle attrici notò subito quel goffo ragazzo e si diresse verso di lui, iniziando a strofinarsi e a eccitarlo. Lo portò sul palco, gli sbottonò i pantaloni, ma lui era troppo ubriaco, non ce la faceva neanche a stare in piedi.
La ragazza gli chiese: - Non ti piaccio?
- Sì, sì - Rispose Rocco.
- E allora perché il tuo cosino non si muove?
Il pubblico che assisteva scoppiò a ridere, Rocco non capiva, tutto intorno a lui girava e cascò a terra.
Masturbazione.
Il giorno seguente si risvegliò in albergo con Ottantafrecce già pronto per ripartire.
- Allora ti devo spiegare che quel coso che si allunga e si accorcia a seconda dei tuoi stati d'animo si chiama Piripacchio, e serve per dare e ottenere gioia. L'alcool lo fa addormentare.
Rocco era ancora stordito, fece finta di aver capito e si recò in bagno per darsi una ripulita.
Ripensando a quelle parole, guardava il suo piripacchio, e cominciò a tirarlo in su e in giù, dopo neanche cinquanta secondi il piripacchio sputò in un occhio di Rocco.
Urlò come un matto, Ottantafrecce accorse in bagno e lo trovò che stava strozzando il suo piripacchio.
- Rocco cosa stai facendo? Ti farai del male.
- Mi ha sputato in un occhio senza motivo, cosa gli ho fatto? - Rispose Rocco.
Ottantafrecce scoppiò in una grande risata e spiegò a Rocco cosa fosse la masturbazione.
Sesso Orale.
Rocco non faceva altro che toccarsi il coso, dovunque fosse: ci aveva preso gusto.
- Rocco finiscila, siamo in un bar, qui non si può. - Bisbigliò Ottantafrecce
- Hihihihi bello, ha risputato. - Farfugliava Rocco.
- Basta ci guardano tutti.
Una cameriera del bar aveva notato il giovane ragazzo che non faceva altro che dimenarsi sotto i pantaloni.
Si avvicinò e gli sussurrò all'orecchio: - Vieni con me, ci penso io al tuo giocattolino.
Rocco guardò Ottantafrecce, che acconsentì.
La ragazza lo portò in bagno, cominciò a baciarlo e leccarlo. Gli sbottonò i pantaloni e scese verso il suo pube. All'interno del bar si udì un fortissimo urlo proveniente dal bagno, Rocco corse fuori senza pantaloni gridando: - Ottantafrecce scappa scappa, mi vuole mangiare il coso, è una vampira, scappa.
Il saggio arrossì dalla vergogna e fece finta di non conoscerlo.
Il sesso.
Ormai disperato, a Ottantafrecce non rimase altro che fargli provare il sesso: - Rocco entra qui e fai esattamente quello che ti dice questa splendida creatura.
Lui annuì e, accompagnato dalla signorina, entrò nella stanza.
Passarono ore, Rocco non si vedeva tornare. A un certo punto la porta si aprì e Rocco uscì stravolto, con una sigaretta in bocca e l'aria soddisfatta.
Si incamminò verso l'hotel senza dire niente, Ottantafrecce lo seguì.
A un tratto si sentì strattonare: due enormi energumeni lo avevano afferrato.
- Chi paga il conto? Sono più di 500 euri. - Chiesero i due.
Il panico scese su di lui, non aveva tutti quei soldi.
- Non li ho. - Rispose semplicemente.
Un' apocalisse di botte si abbatté sul suo corpo.
Per pagare il debito dovette partecipare come schiavo a una pratica sadomaso.
Giurò di aver chiuso con il sesso.
FINE
Una pura formalità
- Miriam Mastrovito -
Quella mattina Enzo si era svegliato quasi di buon umore. Il vecchio ritornello di una canzone dei CCCP aveva preso a ronzargli nella testa. Lo aveva accompagnato sotto la doccia e seguitava a tenergli compagnia mentre camminava per recarsi al suo appuntamento.
"É una questione di qualità o una formalità. Non ricordo più bene. Una formalità. Come decidere di andare a tagliarsi i capelli, di eliminare il caffè o le sigarette, di farla finita con qualcuno o qualcosa…"
Si passò distrattamente una mano sulla testa. Non era stata proprio sua, la decisione di dare un taglio alla zazzera che lo connotava da anni. Di sua spontanea iniziativa, non lo avrebbe fatto. Avrebbe strozzato volentieri Rino, il barbiere, nell'attimo preciso in cui gli aveva chiesto: ‹‹Corti?›› e, senza attendere ulteriore conferma, aveva preso a sforbiciare come un forsennato.
D'altra parte, un simile sacrificio valeva l'opportunità di un posto di lavoro ben retribuito.
Enzo era disoccupato da tempo immemore. Le sue risorse economiche ridotte al lumicino.
‹‹Una pura formalità. Sa, il direttore presta particolare attenzione all'immagine dei suoi dipendenti››. Era così che il signor Vitali aveva giustificato la strana richiesta. Subito dopo aveva sventolato una banconota da cento euro e, con fare quasi elegante, l'aveva lasciata scivolare nel palmo del suo interlocutore. ‹‹Nel caso avesse problemi di liquidità››.
Enzo si era illuminato. Ce n'era abbastanza per farsi la pelata e gli sarebbe avanzato anche il resto. D'improvviso gli era parso che la ruota della fortuna avesse ricominciato a girare.
Il signor Vitali lo aveva avvicinato in un bar, un paio di sere prima. Lo aveva chiamato per nome, quasi lo conoscesse da tempo, e gli aveva offerto da bere. Si era presentato come socio di una grossa Impresa alla ricerca di personale e, dopo una breve chiacchierata, gli aveva ventilato la possibilità di un colloquio.
La prima reazione di Enzo era stata di estrema diffidenza.
L'impeccabile completo gessato, le scarpe tirate a lucido, gli occhiali dalla montatura dorata, erano tutti dettagli che lo mettevano a disagio. Ma, sopra ogni cosa, era stata la reticenza dell'uomo a destare i suoi sospetti. Si era rifiutato categoricamente di fornire informazioni sull'Impresa e sul tipo di lavoro offerto.
‹‹A tempo debito›› aveva promesso. Poi aveva parlato di guadagni snocciolando cifre a parecchi zeri e lì, le resistenze di Enzo erano crollate.
Un colloquio, un taglio di capelli e un cospicuo acconto sulla fiducia. Non vi era ragione per tirarsi indietro. Se l'offerta non fosse stata di suo gradimento, in fondo, avrebbe sempre potuto rifiutare.
‹‹I documenti››. Il signor Vitali lo accolse sulla soglia di un anonimo appartamento della periferia cittadina. Non una targa che potesse distinguerlo da una qualsiasi abitazione privata.
‹‹Come?››
‹‹Carta d'identità, patente…›› specificò l'uomo. ‹‹Deve consegnare tutto a me››.
‹‹Per quale ragione?›› Enzo appariva turbato.
‹‹Non si preoccupi›› lo blandì Vitali. ‹‹É una pura formalità. Devo registrare i suoi dati››.
L'altro ubbidì e lo seguì nell'ufficio del direttore.
Un uomo robusto, capelli bianchi, stesso completo gessato dell'altro, gli tese una mano viscida dal retro della sua scrivania e lo invitò ad accomodarsi.
Lo scrutò a lungo in silenzio, poi rivolse un'occhiata d'intesa a Vitali e dichiarò: ‹‹Mi sembra l'uomo giusto. Con qualche ritocco potrebbe essere perfetto. Provi a tirargli i capelli indietro››.
Il socio sfoderò un pettine dal taschino.
‹‹Ma cosa?!›› Enzo balzò in piedi sulla difensiva.
‹‹Solo una formalità›› lo rabbonì Vitali esercitando una pressione decisa sulle sue spalle perché si risedesse.
‹‹Molto meglio›› commentò il direttore rimirando la nuova acconciatura. ‹‹Ha preparato gli abiti?››
Vitali si assentò per pochi attimi. Quando rientrò nella stanza, brandiva un elegante vestito nero.
‹‹Lo indossi›› ordinò a Enzo.
‹‹Ma che razza di gioco è questo?›› protestò lui. ‹‹Sono qui per un colloquio o cosa?››
‹‹Solo una formalità›› insisté Vitali sfoggiando un sorriso che aveva ben poco di rassicurante.
L'uomo si cambiò d'abito sotto gli occhi indiscreti dei presenti. A ogni minuto che passava, avvertiva un forte senso di allarme montargli dentro.
Il sospetto che in tutta quella faccenda ci fosse qualcosa di sbagliato, si tramutò in certezza quando lo sguardo del direttore tornò a posarsi su di lui.
‹‹Molto bene›› affermò compiaciuto. ‹‹Adesso è quasi la copia perfetta del nostro Presidente. Se non fosse per il naso…››
A quelle parole Vitali scattò e gli sferrò un pugno in pieno viso. Gocce scarlatte piovvero sul doppiopetto nero.
‹‹Cosa diavolo volete da me?›› farfugliò Enzo scosso da un tremito.
‹‹Vogliamo solo offrirle l'opportunità di rendersi utile›› spiegò il direttore. ‹‹Una vita insulsa, come la sua, per quella di un uomo d'onore››.
‹‹Perché io?››
‹‹Semplicemente per la somiglianza›› rispose quegli con aria di sufficienza. ‹‹Qualche piccolo accorgimento e nessuno dubiterà che il suo cadavere sia quello del Presidente››.
Vitali gli si accostò. Gli carezzò la nuca con finto fare paterno. Gli porse un fazzoletto perché si asciugasse il naso.
‹‹Non desiderava forse, una carica di tutto rispetto? Siamo qui per accontentarla. Ha vissuto da perfetta nullità, uscirà di scena da PRESIDENTE››. Scandì l'ultima parola con particolare enfasi, poi, molto lentamente, infilò una mano sotto la giacca e ne estrasse una rivoltella.
Il viso di Enzo si mutò in un maschera di orrore, cominciò a vibrare più forte, mentre una macchia scura gli si allargava sui calzoni.
‹‹Si calmi›› sibilò il Direttore. ‹‹Affronti la situazione con dignità… una sigaretta?››
Enzo volse gli occhi al cartello che campeggiava alle sue spalle: "Vietato fumare".
Nessun bisogno di chiedere. Allungò le dita tremanti.
Una pura formalità.
FINE
Cose molto cattive
- Manuela -
Stamattina mi tocca andare alla posta: scade la bolletta. Detesto le file e mi toccherà farne una bella lunga. Mentre sono in macchina qualcuno grida:
« Ma come cazzo guidi?»
Non faccio in tempo a rispondere, io non rispondo mai in tempo, le risposte giuste mi vengono sempre dopo, quando è troppo tardi. Quello che ha urlato mi sorpassa strombazzando, il semaforo è arancione e io mi fermo, sicura di fare la cosa giusta. Mentre aspetto il verde - sarà passato un secolo - mi annoto il numero di targa. Potrei tentare un reclamo? E per cosa? Ingiurie? "No, ci dispiace signora, le prove sono contro di lei, l'imputato ha ragione, lei non sa guidare!"
Lasciamo stare, che è meglio. Entro nell'ufficio postale, colta da una nausea improvvisa alla vista di tutte quelle persone, accomunate a me dalla stessa scadenza, dalla consapevolezza di dover pagare, entro oggi. Il display lampeggia, è il mio numero, ma una signora mi precede allo sportello. Tento di far valere i miei diritti, provo a chiedere spiegazioni, ma quella parla così forte che copre ogni tentativo di reclamo. Decido di arrendermi e aspettare che finisca. Nemmeno stavolta mi è venuto qualcosa da dire. Solo la smorfia che faccio mostra quanto io sia infastidita. La guardo per tutto il tempo. E siccome sono proprio dietro di lei, mi segno nella memoria il suo nome. E il suo cognome. Silvana Duranti. Così. Tanto per. Per non dimenticarlo. Perché non chiamerò mai mia figlia Silvana, se mai ne avrò una. E non sposerò mai un Duranti, se mai mi sposerò. È una donna minuta, con i capelli castani ben pettinati, anche se la messa in piega non sembra proprio fatta stamattina. È truccata in maniera sapiente e meticolosa: se decidessi di conciarmi come lei, mi dovrei alzare all'alba. La voce squillante rivela un accento marcato, mentre chiede a tutta voce il codice di avviamento postale. Poi se ne va, soddisfatta di averla fatta franca. Mi avvicino allo sportello e, mentre tiro fuori la bolletta in scadenza, penso a quanto poco ci sia voluto per rendere felice e contenta una qualsiasi signora Silvana.
Però questo pensiero non mi basta. Quando esco la donna è ancora lì, chiacchiera con qualcuno mentre sale sulla sua macchina che è proprio davanti alla mia. Potrei risponderle adesso. Potrei urlarle in faccia il mio disprezzo per come si è comportata, per come si è comportato prima l'automobilista, per come ci comportiamo sempre tutti, sentendoci forti per le cattiverie che facciamo e diciamo in continuazione. Mi monta una rabbia mai provata, ma non le dico niente. Però, colta dall'improvvisa voglia di trasformarmi in un agente segreto, la seguo fino a che arriva davanti a una palazzina grigia con gli infissi rossi e parcheggia. Come in un film poliziesco da due soldi, fermo la macchina a una distanza che mi permette di vedere dove va e mi abbasso sul sedile. Mi viene da ridere, ma poi mica tanto. Lei tira fuori dalla borsa un mazzo di chiavi, apre il portone e poi scompare. Scendo, mi avvicino furtivamente all'ingresso e leggo i nomi sui campanelli. Duranti S. C'è! Sotto un altro nome, c'è il suo: mi sento come se avessi vinto la coppa del mondo, che poi sarebbe da vedere pure per quale specialità! Suono al citofono e mi risponde la stessa voce che avevo sentito poco prima.
« Chi è?»
« Signora, devo leggere il contatore del gas, mi apre per favore?» Chissà come m'è venuta questa!
Click, e manco mi risponde, maleducata.
Salgo lentamente le scale: lei è lì, sulla porta, mi guarda un po' sorpresa, forse mi ha riconosciuta. Non fa in tempo a rendersene conto, né a dire niente. Sotto, nell'atrio, ho trovato un estintore. In una frazione di secondo ripasso il corso antincendio: togliere lo spinotto di sicurezza, impugnare il tubo flessibile, premere la leva, dirigere il getto… e la riempio di schiuma, la signora.
Stasera Silvana non avrà bisogno di struccarsi la faccia… sempre che stasera ce l'abbia ancora una faccia! Poi la bombola cade a terra, come lei.
Faccio una specie di piroetta su me stessa e me ne vado. Sorrido. E, come per cercare un riparo, infilo le mani in tasca. Tiro fuori un pezzetto di carta: AB 123 WZ. Ah, ecco cos'altro devo fare.
FINE
Confessioni di una mente pericolosa
- Pia -
Entrai nello studio accogliente, alle pareti stampe con paesaggi montani, un leggerissimo e raffinato profumo raggiunse le mie narici, luce soffusa e rilassante.
Lo strizza era una donna, indossava un vestito rosso su un corpo statuario che mi riportò alla mente Kelly Lebrock, chissà quanti cowboy si sarebbero serviti il pasto! Visualizzai mentalmente il mio look: felpa e jeans, il tutto accompagnato da un paio di Nike taroccate, nascondevo le mie disgrazie dietro l'abbigliamento casual. La odiai a prima vista!
La mano che mi tese era morbida, sembrava che non avesse mai lavato un piatto, una posata, niente, zero. La mia era peggio della carta vetrata, temetti di averla graffiata, mi aspettavo di vedere il sangue scorrere dalla sua mano. Trucco perfetto, nemmeno una sbavatura. Il mio trucco? Inesistente: non sarebbe servito comunque a molto. Con un sorriso composto e un lieve cenno del capo mi indicò il divano.
Mi accomodai, avrei fumato volentieri una sigaretta.
- Ho un potere - esordii cercando di darmi un contegno che non provavo.
- Me lo vuole rivelare? - la voce era vellutata come una passata di pomodoro.
- Posso cancellare le cose, le disegno o le scrivo e poi le cancello.
- In che modo? - un sopracciglio s'inarcò con grazia.
- Ha letto Duma key? Come Stephen King in quel libro.
- E che cosa ha cancellato?
- Beh, intanto ho riscritto l'alfabeto, ma senza il "kappa" - la guardai, non si
scomponeva, convinta di avere a che fare col solito schizzato.
- Perché? - m'incitò ad andare avanti.
- Mi ero stancata di ricevere messaggini tipo "ke fai, okkio ke ti kiamo e ke kakkio" e cose simili - riuscii con sforzo a reprimere una risata guardando la sua espressione.
- E cos'altro ha cancellato?
- Ho cancellato gli assorbenti con le ali, non li sopporto, s'attaccano ai peli e fanno un male cane quando li tiri via.
- E… adesso si sente meglio? - iniziavo a fare breccia nella sua imperturbabilità,
il labbro si aggricciò lievemente, l'idea la sconvolgeva ma, ovviamente, non credeva a una parola.
- In effetti ho eliminato addirittura le mestruazioni.
- Ah! Pensa di cancellare altre cose?
- Ehm… avrei cancellato le merendine del Mulino Bianco.
- Non le piacciono? - sbagliavo o c'era una sottile vena d'ironia?
- Non è per le merendine… ma, vede, è a causa delle merendine che succedono certe cose diseducative.
- E cioè?
- Scusi, ce le vede lei marito e moglie che la mattina saltano dal letto appena svegli facendo a gara a chi arriva primo in cucina per la colazione? Felici che sia iniziato un altro giorno di lavoro di merda, lei già truccata e pettinata come se fosse appena uscita da una megaseduta dall'estetista, proprio come lei.
Lanciai lì la frecciatina, mi parve che avesse accusato abbastanza il colpo, fra un po' avrei affondato la lama fino all'elsa, godevo!
Cambiò posizione sulla sedia, sembrava trovarsi a disagio.
- E ha bisogno di carta e matita per fare questo?
- Non più, all'inizio sì, poi sono diventata molto brava, mi basta concentrarmi.
Intanto la vidi scarabocchiare sul block notes, tracciava dei piccoli segni, la punta della penna restava sempre nello stesso posto. Provai a indovinare cosa stesse tentando di scrivere: una linea verticale, due linee oblique che partivano dal centro e si biforcavano una verso l'alto e l'altra verso il basso, che fosse un cappa?
Il bel viso truccato iniziò a sbiancare sotto i chili di trucco, oddio c'era arrivata, le mani dalle unghie perfettamente laccate adesso tremavano leggermente.
- Posso eliminare i reality show: il grande fratello, l'isola dei famosi…
Con la mente iniziai a scorrere i titoli uno per uno sapendo già che sarebbero scomparsi dal palinsesto televisivo e dal panorama delle trasmissioni spazzatura, però non era sufficiente: volevo darle la prova evidente delle mie capacità.
- Ci ha già provato? Ci riesce?
- Posso fare ancora di più, posso far scomparire tutti gli idioti dalla faccia della terra.
Sbaglio o adesso era proprio divertita?
- Non deve essere facile: ce n'è una tale quantità…
Mi concentrai, immediatamente sparì anche lei.
- Dottoressa? occazz', anche questa è andata!
All'improvviso il cellulare iniziò a suonare con la sua musichetta insistente:
- Pronto? - dall'altro capo la mia amica tuonò:
- Allora? Ancora con i tuoi giochetti, eh? Guarda che qui sono spariti tutti, proprio adesso che ero a letto con Matteo… falli ritornare immediatamente, hai capito?
- Va bene, va bene… poi però non dirmi che Matteo è diverso dagli altri, ok?
- … mmmhhh… sì, lo so, hai ragione tu, ma adesso rimetti tutto come prima.
- Ancora non riesco bene al contrario, però ci provo, tranquilla.
Mi concentrai bene e pensai di far scomparire le mie cattive intenzioni.
In un attimo ricomparve Kelly che mi osservò stranita, come se si fosse ubriacata con chissà quale mix alcolico.
Aveva un'espressione buffa e sembrava non capacitarsi di quello che era accaduto.
- Dicevamo? - domandò dopo diversi minuti di silenzio.
Tutta la sua compostezza era svanita e si capiva che era in difficoltà, un senso di goduria mi invase, continuava a guardarsi e a toccarsi come per capire se la sua persona fosse realmente presente.
Osservai il decolletè… esageratamente abbondante e questa volta il pensiero arrivò naturale e spontaneo: vorrei far scomparire le tette di silicone!!!!!
- Aaaaaaahhhhhhhh!!!
- Dottoressa, la smetta di urlare così, guardi che l'ho fatto per lei, la plastica è nociva per la salute, dovrebbe saperlo. Vuole che faccia sparire anche i medici incompetenti?
La faccia allucinata della donna adesso appariva quasi comica con gli occhi e la bocca spalancata, le mani sul seno miseramente sgonfio e basso.
- Ho capito, oggi non si sente bene… quando ci rivediamo?
Non attesi la risposta, aprii la porta, un urlo lancinante mi seguì per le scale, forse era stato addirittura più divertente che far scomparire le persone, soprattutto era stato un buon esercizio, diventavo sempre più brava, nessuno avrebbe potuto fermarmi più!
FINE
Stati di Allucinazione
- Cmt -
"Allora?"
La domanda giunse tanto improvvisa da fargli sgranare gli occhi, risvegliandolo dal suo torpore. Sollevò la testa e fissò l'ometto calvo e occhialuto che lo guardava dall'alto, poi abbassò lo sguardo sulle proprie braccia, ancora incrociate sulla scrivania, che gli avevano fatto da cuscino fino a poco prima.
"Eh? Cosa?" balbettò.
"Le pare il momento e il posto per dormire??! - gli urlò contro l'ometto, spruzzando saliva peggio di un irrigatore da giardino - Vuole che la licenzi, per caso?"
"Ma che? Licenziarmi? E quando mai?" Sempre più confuso prese a guardarsi intorno. Davanti a lui, su uno schermo LCD, pipistrelli da cartone animato inseguivano una donnina discinta in quello che doveva probabilmente essere uno screensaver. Tutto lasciava pensare che si trovasse in un ufficio… ma a fare cosa? Lavorare? Lui? Ridicolo!
L'ometto, intanto, aveva ripreso a urlare. Lui neanche cercò di capire cosa. Allungò una mano e fece per prenderlo per il collo, ritrovandosi ad afferrare l'aria, perdere l'equilibrio per il troppo slancio e finire dritto in terra, sbattendo la faccia sul pavimento. Si rialzò, e un rivoletto di sangue gli scese dalle labbra.
L'ometto non c'era più. L'ufficio neanche. Ora si trovava di fronte a una grande lavagna nera, e una donna asciutta e segaligna con un paio di occhialetti a punta lo fissava con aria torva, agitando una bacchetta.
"Ha intenzione di venire all'interrogazione o no?"
Mentre si rialzava, la guardò con occhi fiammeggianti, che non parvero suscitare in lei la benché minima reazione.
"E si copra! Che diamine! Dove crede di essere?"
A quelle parole, abbassò lo sguardo e notò solo allora di essere praticamente nudo, a eccezione di un paio di ridicoli boxer su cui erano ricamati dei lupetti con un ciuccio in bocca. Senza neanche sapere perché, portò istintivamente le mani a coprirsi le parti basse.
"Ha studiato?" lo incitò la maestra.
"No che non ho studiato, che ca…" venne interrotto da una bacchettata dritta sulle gengive. Qualcuno alle sue spalle lanciò un aeroplanino di carta che gli si infilò in un orecchio.
Si voltò di scatto, e nel farlo si ritrovò accidentalmente a infilare il braccio sotto quello di una perfetta sconosciuta vestita di bianco, che si girò e gli mostrò un sorriso a sessantaquattro denti, incurante del suo sguardo allucinato. Davanti a lui si stendeva la scalinata di una chiesa, con un lungo tappeto rosso sangue che si snodava dall'altare fino a sotto i suoi piedi. Le campane suonavano a festa mentre dall'interno proveniva una musica inconfondibile.
Si rese conto quasi di sfuggita che i suoi boxer erano stati sostituiti da uno smoking impeccabile, completato da un ampio mantello nero abbastanza fuori luogo… no, a ben pensarci era tutto il resto a essere fuori luogo.
"Eh no! - sbottò - Questo è veramente troppo!"
Sfilò il braccio da quello della presunta sposa e fece una sorta di saltello, che nelle intenzioni avrebbe dovuto avere ben altro esito, ma che finì solamente per farlo cadere di nuovo faccia in terra. Quando si risollevò, la testa gli faceva male e gli sembrava che tutto il mondo gli stesse girando attorno. Se non altro, però, era un mondo che conosceva. Si stropicciò gli occhi, cercando poi di rimettere a fuoco… le pareti erano quelle del suo castello, la sua bara era lì a due passi. Sospirò di sollievo.
"Mai più, giuro mai più mangiare con uno sconosciuto senza prima un esame del sangue, tossici del piffero!"
FINE
Tutto in una notte
- Nembo13 -
Aveva sentito nelle sue orecchie il piacevole suono delle urla e dei lamenti. Persone alle quali, lui, aveva donato una vita diversa: quella di nuovi dannati.
Erano passati alcuni giorni da quella notte, e da allora si nascondeva. Adesso era lui che stava provando ansia, dopo che le urla si erano assopite allontanandosi dalla città di Londra.
Riprese a correre, sentiva il terrore scivolargli addosso, avvertiva nella narici la puzza di sangue marcio. Trovava la forza inconsapevole di sorridere, anche se adesso era lui il terrorizzato.
Correva nel buio.
Fuggiva nel buio. Stranezze della sua razza maledetta.
Will era sudatissimo, attorno e sopra di lui un pessimo ma amato buio, la sua salivazione sembrava catrame, era stanchissimo, eppure correva come un pazzo. Ora era all'interno del bosco e stava scappando, non sapeva da chi. Quando era in preda al delirio non conosceva più nessuno.
Tutti al paese, arroccato nella sua collina, lo conoscevano come una persona strana. Ma non per questo decise di scendere a valle, di andare a far proseliti nella sua amata Londra. Lo aveva fatto bene, troppo bene, e adesso aveva terrore che lo prendessero.
I maledetti non sapevano chi era Will, no, non lo immaginavano assolutamente.
Adesso Will sapeva, che chi lo stava inseguendo voleva fargli del male, tanto male, tanto da ucciderlo. Era conscio che si era comportato come si sentiva dentro di sé, come era nella sua natura, e nessuno avrebbe potuto dire che aveva fatto male, nessuno dei suoi adepti, che lo adoravano e lo amavano per la nuova opportunità che lui aveva dato alle loro misere vite.
Maledetta nottata.
Correre. Il suo cervello gli ordinava di correre più velocemente che poteva. Attorno a lui, ombre sempre più scure. Ansia, sudore, respiro affannoso.
La luna grande come un faro di luce bianca, stava facendo capolino oltre le colline dove lui era diretto. Si appoggiò a un tronco per respirare un attimo. Ansimante sputò, la bava gli restò appiccicata, era trasfigurato tanto era stanco.
Teneva un'arma, quel bastone che adesso stava osservando, girandolo fra le mani, quasi una clava. Se proprio doveva difendersi avrebbe fatto la sua parte. Aveva sete, una maledetta sete. Eppure aveva bevuto abbondantemente.
La clava era già stata usata, era sporca di sangue e brandelli di cervello. L'osservava, eppure era strano: questo non gli faceva schifo, anzi non era neanche stupito di quello che stava vedendo. Con la mano la pulì e, senza timore, leccò i sieri dalla medesima.
Guardò avanti a lui, gli sembrò di sentire dei rumori. La sua tensione era alta. Incominciò a rendersi conto che doveva uscire dal bosco. Si passò la mano sulla fronte sudata, era sporca di sangue rappreso come tutto il suo viso. E sapeva che non era il suo.
Si rimise a correre all'opposto dei rumori, dei latrati dei cani. Ancora si appoggiò ansimante, fermò il suo respiro per capire i rumori che venivano da non molto distante da dove si trovava lui. Erano passi strascicati sulle sterpaglie del bosco.
"Maledetti, maledetti…"
Passi pesanti, le foglie calpestate frusciavano, rami rotti, e sottobosco calpestato. Cani che abbaiavano rabbiosi di paura e di ricerca. Il tutto succedeva a meno di trenta metri da lui.
"Adesso mi prendono, mi scannano… lo sento!"
Voleva vomitare.
Lo fece. Era terrorizzato.
Un rumore velocissimo, una corsa, un'ombra bassa, un cane si avventò su di lui all'improvviso. Vide i suoi denti brillare di luce lunare riflessa, sentì il suo viso fra le sue zanne, lo scricchiolio delle sue ossa rotte, stava soffocando nel suo sangue. Dolore urla bestemmie, voci umane attorno a lui. Il cane si tolse. Con gli ultimi barlumi di ragione vide la canna del fucile appoggiarsi lentamente sul suo occhio.
Poi più nulla.
***
Sentì la voce calda e sicura di sua madre.
" Will… Will... svegliati…"
Si svegliò dal suo incubo.
" Will, forza alzati! che devi andare a scuola."
Osservò la penombra della stanza, questo lo rassicurava. Allungò la mano sul comodino. Prese il suo bicchiere d'acqua. Sorseggiò lentamente, la paura passò.
"Vengo mamma."
Si alzò.
Pensò che oggi sarebbe stata una bella giornata.
Will aveva sete, senza stupore osservò mentre si stava lavando le mani, che le stesse erano sporche di sangue.
Sì, aveva ancora tanta sete.
Si osservò allo specchio.
Sapeva di essere carino, sorrise a se stesso.
Ma non si vide.
Come tutti i vampiri.
FINE
L’attimo fuggente
- Alessandro Napolitano -
“e mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia” - FdA
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia” - FdA
- Sì, lo voglio.
Manuela volse lo sguardo alla navata della chiesa, alzò il bouquet di margherite e sorrise ai presenti.
- Sì, lo voglio. - Scandì ancora quella frase, gustandola e accarezzandola.
Tornò con gli occhi negli occhi di Paolo e sussurrò:
- Grazie amore mio.
L'abito bianco, l'odore dei fiori d'arancio, la luce sacra delle candele: avrebbe voluto ingannare il tempo e imprigionare quell'istante per l'eternità.
Don Antonio agitò le mani e le ricompose nella posizione solenne della preghiera. Attese il silenzio degli invitati, scosse la testa in direzione del fotografo: nessun flash avrebbe dovuto turbare la liturgia.
- Vuoi tu Paolo… - Don Antonio s'interruppe e sorrise allo sposo.
Paolo trattenne il respiro, guardò il Cristo dominare da sopra l'altare. Buffo, pensò, non credo tu esista eppure, sei l'unico a cui posso chiedere un sostegno. Solo tu puoi aiutarmi a superare i prossimi minuti. Tutto deve filare liscio, è la cosa migliore.
Paolo sorrise e don Antonio, senza capire, ricambiò.
…. prendere in sposa la qui presente Manuela, onorarla e rispettarla…
Certo che tu, lì sopra, hai una prospettiva invidiabile. I pensieri di Paolo erano tanto insistenti e forti da coprire la voce del sacerdote. Chissà come ti divertì a guardarci scegliere sempre il male minore, a ridere nel vederci fare compromessi su compromessi, senza essere mai noi stessi.
…. finché morte non vi separi?
Il volto di Paolo era pallido, la bocca semi aperta e lo sguardo perso nell'aria.
- Figliolo, è il momento della risposta. - Sollecitò il sacerdote.
- È il momento? - Disse Paolo arricciando le labbra e alzando il sopracciglio.
- È il momento! - Sentenziò. L'espressione confusa del suo volto lasciò il posto a una luce nuova. Accarezzò la mano di Manuela e la baciò, scostò il banco di legno dove erano poggiate le fedi nuziali e raggiunse l'altare. Ci salì sopra.
Il crocefisso era di bronzo, alto tre metri. La base cilindrica si snodava e forgiava fino a diventare la croce su cui era inchiodato il Salvatore. La fronte era fasciata da una corona di spine d'oro e il suo volto comunicava compassione e misericordia.
Guardava Paolo e Paolo guardava lui.
- Da qui sopra tutto è più facile, - La parole echeggiavano negli angoli della cappella. - è un esercizio che dovreste provare, dovreste lasciare a terra le vostre paure e vedere dall'alto l'effetto che fanno.
Le voci degli invitati si sovrapponevano e confondevano: rumoroso era il loro sgomento.
Paolo guardò Manuela, aveva le mani davanti gli occhi. Il bouquet di margherite rotolò a terra mentre i genitori la sorreggevano.
- Tu non hai nessuna colpa, io piuttosto mi sarei dovuto arrampicare prima, magari sopra un'alta montagna e non ridurmi a questo. Ti chiedo perdono e lo chiedo a tutti. - Allargò le braccia e chinò il capo nella stessa posizione del Cristo.
Si scosse e volse lo sguardo ai suoi testimoni.
Maria, l‘amica del cuore, la sua conoscenza più vecchia e più vera. Stava dritta come un fusto, rigida con le mani tra i capelli rossi.
Marco, il suo collega, conosciuto un anno prima e da allora inseparabili. Era l'unica persona seduta in tutta la chiesa.
- Tu l'avevi capito, vero? - Paolo guardava Maria.
Con un salto scese dall'altare e corse da lei.
- L'hai capito? - Insistette.
Maria annui.
- In questi mesi ho provato più volte ad aprirmi con voi, ho cercato di raccontarvi la mia vita e di come mi sentivo cambiato. Ho avuto troppa paura. L'errore che ho commesso è di essere stato felice. Dopotutto, quante persone possono dire la stessa cosa?
Maria prese le mani di Paolo, Manuela scoppiò a piangere, don Antonio si fece il segno della croce, gli invitati tacquero e Marco, alzandosi in piedi, disse:
- Sei un maledetto pazzo, non funzionerà mai.
- Non funzionerà mai se ti lasciassi fuggire come un qualsiasi attimo della vita. - Rispose Paolo - Non me lo posso permettere e non me lo potrei perdonare.
Si avvicinò a Marco, prese il suo viso tra le mani e lo baciò sulle labbra. Si strinsero e baciarono ancora.
Il fotografo benedì i nuovi amori sotto uno scrosciante luccichio di flash; il Cristo, immobile nel suo vestito di bronzo, attenuò la sofferenza dei cuori infranti.
FINE
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