Indice:
La gara
Gara 5
A MODO MIO
GIUGNO 2009
antologia per BraviAutori.it
A cura di Pia, prefazione di Miriam
Foto allegate a ogni racconto di: autori vari.
Si ringraziano gli Autori di questa antologia per la partecipazione.
Nota: l'antologia impiega l'editing degli autori.
Trasformazione digitale: MiCla Multimedia
Ringraziamenti
Nessuno di noi forse si aspettava questo successo, eppure è andata così.
Siamo giunti alla quinta edizione, con il numero dei partecipanti addirittura raddoppiato, pronti al combattimento a colpi di tastiera, ci divertiamo prendendoci in giro.
L'onore della vittoria questa volta è toccato ad Alessandro Napolitano e, sempre a lui, toccherà anche l'onere di organizzare la prossima. Siamo già tutti impazienti e scalpitanti sulla linea di partenza.
Un ringraziamento speciale e doveroso va a Max che mette a nostra disposizione il suo portale, a tutti gli autori che si sono cimentati permettendoci di realizzare questo ebook e a Necrophilia e Bonnie che hanno realizzato alcuni disegni ispirandosi alle nostre opere, nonché a Miriam che ci introdurrà nel vivo dei racconti con la sua prefazione.
Pia
Qualsiasi aspirante scrittore si sarà ritrovato, almeno una volta nella vita, a leggere il libro di un grande autore e a sospirare con bonaria invidia: "Ah! Se avessi avuto io un'idea così, se fossi stato io a creare simili personaggi!"
A molti sarà anche capitato di rimanere delusi per il finale di una storia o per le sorti toccate ai loro protagonisti e, magari, qualcuno sarà stato tentato, nel suo intimo, di immaginare un'evoluzione completamente diversa.
La sfida che Pia ha proposto a noi utenti del forum per questa Gara 5, prende spunto da simili premesse.
Ciascuno di noi è stato chiamato a "prendere in prestito" il protagonista di un libro famoso e a sprigionare il suo estro creativo riscrivendone la storia. L'esperimento ha prodotto risultati molto vari: interessanti, sorprendenti, in alcuni casi, esilaranti.
Alcuni hanno spostato i personaggi nel tempo, li hanno reinterpretati, modificati, proiettati in realtà completamente diverse da quelle di provenienza. Altri si sono calati nell'opera elaborando nuovi capitoli in perfetta sintonia con l'originale o semplicemente proponendo una conclusione diversa da quella conosciuta.
Scorrendo i racconti di questo e-book, potrà capitarvi di incontrare personaggi a voi noti, ma in una veste talmente inedita, che spesso faticherete a riconoscerli. Allo stesso modo, potrete imbattervi in personaggi assolutamente riconoscibili ma protagonisti di vicende che mai avreste osato immaginare.
Chi mai si celerà sotto le mentite spoglie di un maghetto armato di fucile, di sorella Guglielmina, di una quarantenne dall'occhio pesto o di un folletto dall'abito bianco?
E ancora, cosa accadrà all'agente 007 durante le sue vacanze romane, all'ultimo uomo sulla terra Robert Neville, ai napoletani Renzo e Lucia?
Ogni mistero sarà svelato nelle prossime pagine!
Buona lettura
Miriam
Il diario segreto di Edward Cullen
Che giorno è oggi? Non lo so. Boh, sono tutti uguali.
Anche oggi scuola, che palle! Non so più quante volte le ho studiate queste cose, ma non potevano vampirizzarmi, non so, a venticinque anni? Che poi ogni tanto mi viene il dubbio che anche il cervello mi sia rimasto a diciassette...
...
Arrivata una nuova ragazza a scuola, agile come un ippopotamo ubriaco. È carina, sì, ma si vede che lo sa e fa la finta modesta per tirarsela. E poi... ma si lava? Puzza di sangue lontano un miglio, magari avrà le sue cose ma non è una buona scusa per ignorare le norme più basilari dell'igiene personale.
Non riesco a leggerle la mente, sicuramente non ne ha una.
...
Oddio ma quanto è appiccicosa questa? Più si cerca di evitarla e più ti viene dietro. Un altro po' e si faceva mettere sotto da un camion per attirare l'attenzione, e io scemo che l'ho pure salvata.
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Ho capito, ci sta provando. Vabbe', è un secolo che vado in bianco, quasi quasi approfitto. Mi invento qualche balla romantica sul guardarla dormire e vediamo come va a finire.
Certo prima o poi dovrò spiegarle perché la evitavo, mica le posso dire in faccia che puzza, se no continuerò ad andare in bianco per i prossimi secoli. Mi inventerò qualcosa...
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Dice che ha capito che sono un vampiro. Contenta lei. A me risulta che i vampiri siano completamente diversi, ma le donne è meglio non contraddirle.
...
Ma perché ho deciso di invitarla alla partita di baseball? Potevamo passare una bella serata, e adesso invece mi tocca difenderla da un maniaco, che, fosse per me, potrebbe pure mangiarsela ma ho paura che lasci il lavoro a metà e poi mi tocchi sopportarmela per l'eternità come non morta. Poi con la sfiga che ho si ritroverà sicuramente il potere di causare disastri naturali ovunque vada, praticamente ce l'ha già!
...
C'è mancato poco! Mi è pure toccato succhiarle via il veleno per evitare che si trasformasse, che schifo! Sempre meglio che tenersela appiccicata per sempre, comunque.
E adesso vorrebbe diventare come me, ma non lo capisce che non la voglio?
...
Ho deciso, la mollo. Le sparo la solita menata del non sei tu, sono io, è per il tuo bene, e me ne vado. Se è intelligente mi dimentica, ma siccome so che non ha cervello magari si butta da un ponte, comunque me ne libero.
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Alice mi ha appena detto che si è buttata da una rupe. Alè! Me ne vado in vacanza in Italia per festeggiare!
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È viva. L'ha salvata un lupo mannaro. Ecco perché li odio. È pure convinta che mi sarei suicidato per lei, ma davvero ha creduto a quella balla che le ho detto mentre guardavamo Romeo e Giulietta?
Ed è ancora fissata con quella storia che dovrei trasformarla. Ha perfino convinto Carlisle, ma è facile, lui prende cani e porci.
E adesso chi se ne libera più? Mi sa che dovrei suicidarmi davvero... chissà, forse se riesco a
provocare abbastanza il lupo mannaro ci pensa lui...
...
Questo è più scemo di lei, lo provoco in tutte le maniere e lui niente, almeno lei si convincesse a mettersi con lui, ma è proprio fissata con me. Ma che ho fatto di male? Tutti questi anni spesi a cacciare leoni di montagna invece che umani e questo è quello che mi merito? Questa faccenda del karma non va come dovrebbe.
Continuo a cercare scuse per non farla trasformare.
Però ho capito il trucco: le faccio una proposta di matrimonio, sono sicuro che dirà di no.
...
Evviva, ha detto di no!
...
Ma non ci credo, è riuscita a scatenarci contro tutti i "vampiri" del creato e anche qualcuno che nemmeno c'era, nel creato. Ma come si fa? È una maledizione fatta donna questa!
Ho colto l'occasione per allearmi coi lupi sperando che con la vicinanza lei se lo prendesse o almeno lui mangiasse la foglia, ma non c'è stato verso, lui si è quasi fatto ammazzare e lei sta meglio che mai.
...
Porca miseria, ha cambiato idea sul matrimonio!
...
Quell'idiota di un lupo è sparito dalla circolazione. Sono riuscito a farlo venire almeno al matrimonio, sperando che me lo rovinasse e lo mandasse all'aria, ma non c'è stato niente da fare.
Mi tocca pure la luna di miele.
La porto all'isola di Esme, se sono fortunato se la mangia uno squalo. Alla peggio, la prima notte di nozze muore durante l'amplesso, visto che ha questa fissa di volerlo fare da umana.
...
Niente squalo, niente amplesso mortale, e sì che mi sono impegnato, la vita fa schifo.
...
Assurdo, è rimasta incinta! Solo da lei ci si poteva aspettare una cosa del genere!
La buona notizia è che non sopravviverà alla gravidanza, e testarda com'è non ci sarà verso di fargliela interrompere. Comunque reciterò la parte, altrimenti è troppo ovvio.
...
Sì, sì, è testarda come previsto, sarò presto un vedovo consolabile!
...
Ecco, adesso se ne sono usciti con questa storia di trasformarla appena il bambino nasce. Ho un'idea, speriamo che funzioni.
...
Fallimento completo, nonostante abbia abbondato col veleno (sono arrivato al punto di farle un'intracardiaca), è sopravvissuta lo stesso, peggio ancora sembra che non sia una maniaca sanguinaria, non ho nessuna scusa per farla a pezzi e bruciarla.
La bambina è adorabile, non ha preso da sua madre almeno.
...
Quel pedofilo del lupo ha avuto l'imprinting con la bambina. Se sono fortunato, quando lo dico a mia moglie si ammazzano a vicenda.
...
Non sono fortunato.
...
Ci ha DI NUOVO tirato addosso tutti i vampiri possibili. Vabbe' ma adesso basta! Mi stavo organizzando per farla scappare all'estero con la bambina con la scusa di un'idea di Alice, ma come al solito non ha capito un tubo e stava per mandarci il lupo.
...
Tutto tornato tranquillo. Prevista una gita in Brasile, solo per svago adesso visto che ormai della bambina sappiamo tutto.
La foresta amazzonica è grande, mi perderò, ho già deciso. Chissà se riesco a rifarmi una vita dall'altra parte del mondo, magari al polo. Comunque sia, non sentirete più parlare di me.
-CMT-
Il nome della rosa
Me ne stavo comodamente appollaiata sulla mia sedia a sdraio, avevo appena finito di potare le rose, la mia passione, quando suor Agatina arrivò tutta trafelata, il soggolo per la corsa le era scivolato all'indietro mostrando quei quattro ciuffetti di capelli rimasti, svolazzare come bandieruole.
- Calma, spiegati meglio sorella, la telefonata... sì, dobbiamo recarci urgentemente in Italia? E dove precisamente?
- Sì sì, sorella Guglielmina, stanno succedendo episodi strani nel Convento delle Carmelitane Scalze, abbiamo già il volo prenotato, il tempo di preparare i bagagli, e le spiegherò strada facendo.
Sempre frenetica suor Agatina, sarà la sua giovane età, ma è molto acuta e perspicace.
Era ormai notte quando arrivammo al Convento, ci venne ad aprire una minuscola suora di nome Dalia, dal velo bianco capii che era una novizia.
- Cosa fai a quest'ora fuori dalla tua cella? - Urlò la madre superiora dal fondo del corridoio.
- La scusi, è un 'ingrata, con quello che sta succedendo al convento in questi giorni, menomale che siete arrivate sorelle, accomodatevi.
Entrammo in uno stanzone che fungeva da libreria, qui avremmo potuto trovare qualsiasi informazione ci potesse interessare sul convento, ma sopratutto sulle novizie.
La madre superiora ne era certa, da quando erano giunte al convento le tre nuove ragazze, non passava giorno che si trovassero oggetti fuori posto, oggetti... che non facevano parte dell'arredo assai misero delle celle, oltre al letto, al tavolino e alla panca, veniva concesso per l'igiene personale, un secchietto di rame con l'acquasanta, un candeliere, una consolina per lavarsi, del sapone di Marsiglia, un pettine di osso, mai e poi mai, si era visto in un convento di clausura una lametta da barba! Un pennello!
- Un uomo! Sono certa, sicuramente una delle novizie avrà fatto entrare un uomo! Dovete scoprire come e quando è successo! Ne và della reputazione del convento, S. Teresa sono certa vi aiuterà a scoprire il mistero!
Rimaste sole nella biblioteca, segnati i nomi delle ragazze, Agatina e io, iniziammo a sfogliare, registri pieni di appunti, storie personali di ognuna di esse, con stupore... ci accorgemmo subito di una strana coincidenza: Dalia, Veronica e Rosa... si erano scelte tutte il nome di un fiore, romantica coincidenza.
Novizia Dalia, nata a Torino, si chiamava in realtà Dalila, un nome poco consono per una suora e lei, senza opporsi, si era lasciata consigliare dalla zia Badessa. Una raccomandata? No... aveva scelto la clausura per una delusione d'amore, per il dolore aveva rifiutato il cibo per mesi, e la zia aveva pensato di portarla con sé, per preservarla da una morte certa.
- No... lei certamente un uomo non l'avrebbe fatto entrare mai!
Novizia Veronica... Miriam, nata a Milano, era una ex velina, finita sui giornali per uno scandalo a luci rosse.
Lei sì, avrebbe potuto far entrare un uomo, magari il suo ex marito... quel politico famoso che l'aveva sponsorizzata per anni!
Ma da sotto un faldone, suor Agatina estrasse un foglio, una specie di fax... una ANSA... dove stava scritto a caratteri cubitali: "DIVORZIO e mi ritiro in convento, dei tuoi miliardi non so che farmene, Addio!"
- Niente da fare suor Guglielmina, non ci resta che questa Rosa - annuì suor Agatina sconsolata.
Arrivammo alla pagina dove si descriveva il suo arrivo, non il classico autobus con cui era arrivata Dalia, non il Taxi con cui era giunta Veronica, ma bensì... a piedi, non veniva citato nemmeno... il suo nome di Battesimo...
Oh mio Dio! Qual era... Il vero NOME DELLA ROSA????
Sul fondo di un cassetto... trovammo la fotocopia ingiallita... era un documento d'identità, dove riconoscemmo il suo volto... ma alla voce nome... c'era scritto... Mario.
'Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus'
La rosa primigenia esiste nel nome, noi possediamo soltanto i nomi.
-Bonnie-
Alice nel paese delle meraviglie
Alice si guarda allo specchio. Gli anni sono passati come un treno. Hanno percorso le rotaie del cuore fino a lasciarle solchi indelebili sul viso.
Barcolla, così si tiene al lavandino mentre un getto di acqua gelida lava via il sangue che le cola dal naso.
"Apri, maledetta cagna! Ho da dirti ancora un paio di cose".
Alice sa che suo marito dice a suon di calci e pugni quel che pensa. Ode impaurita i colpi feroci che si abbattono sulla porta del bagno.
"Fa che non ceda!" implora tornando a guardare la sua figura riflessa. Una maschera dall'occhio pesto e quarant'anni portati male. Non somiglia più per niente alla bambina dai boccoli d'oro che inseguiva un bel coniglio bianco nel paese delle meraviglie.
"Ti ho detto apri!" Tuona la voce dall'esterno.
Qualcuno vuole ancora la sua testa. Non la regina di cuori, ma un re senza corona e senza regno. Un re che un cuore non ce l'ha e che, per certo, di rose non si è mai curato.
Copiose lacrime si rincorrono sul suo volto bagnato, le appannano la vista al punto che non sa quanto sia reale lo sbuffo di fumo che d'improvviso inonda la stanza.
"Chi esser tu?" Una strana figura danzante affiora tra nuvole grigie.
"Brucaliffo..." mormora la donna incredula. Vecchi ricordi si riavvolgono come un nastro. "Io...io, al momento non saprei signore - o almeno-, so chi ero quando mi sono alzata questa mattina, ma credo di essere cambiata molte volte da allora".
Antiche parole si affollano in punta di labbra, ma le ricaccia indietro come un cattivo pensiero.
"Sono Alice" risponde semplicemente, "ti ricordi di me?"
"Come no!" E' una voce diversa a risponderle. Ora un sorriso felino è comparso sulla superficie traslucida, traccia un'iperbole che si confonde in una folta coda fino a sparire del tutto.
"Stregatto, ci sei anche tu?" Non fa in tempo a terminare la domanda che una canzoncina parte in sottofondo.
"Un buon non compleanno a te, a te..."
Un lieve sorriso si mescola al pianto. E' sul punto di rivolgere la parola anche ai nuovi arrivati, quando si rende conto della sua follia. Non possono essere lì davvero.
"Aprimi o te ne pentirai!" Nuovi colpi si abbattono sulla porta coprendo le note del Cappellaio Matto e della Lepre Marzolina.
Alice scuote il capo disperata. Non è più il tempo dei sogni e lei non è più una bambina. Adesso piange perché sa che le sue meraviglie sono solo un'illusione. Sa che, quando verrà fuori, a sorprenderla ci sarà solo dolore.
E' intenta a scrutare terrorizzata la serratura che sta per cedere, ormai incurante delle voci che la chiamano, perciò neanche si accorge del coniglio bianco che fa capolino estraendo un orologio dal panciotto.
Con uno schianto violento i cardini si spezzano e, finalmente, suo marito irrompe nel bagno. Ha gli occhi iniettati di sangue ed è verde di bile. Sembra quasi che ruggisca mentre l'afferra per i capelli sbattendole la testa contro lo specchio.
Mille schegge argentate schizzano per aria ma, come per incanto, anche sua moglie schizza via.
L'uomo rimane attonito nella stanza deserta.
Alice chiude gli occhi. Vede nero per lunghissimi attimi, poi una sagoma familiare, pian piano torna a prendere forma nell'oscurità.
Il Bianconiglio fissa le lancette. "E' tardi, è tardi, è tardi" dice, "ma forse, abbiamo ancora tempo..."
-Miriam-
Confessioni di un artista di merda
"Io sono fatto d'acqua. Non ve ne potete accorgere perché faccio in modo che non esca fuori. Anche i miei amici sono fatti d'acqua. Tutti quanti. Il nostro problema è che non solo dobbiamo andarcene in giro senza essere assorbiti dal terreno ma, anche, che dobbiamo guadagnarci da vivere."
[PHILIP KINDRED DICK]
Quella mattina Charley si trovava nel suo appartamento. Seduto sul sofà contemplava controluce il bicchiere di rhum che teneva saldo tra le mani. Fay era uscita in tutta fretta mezz'ora prima. L'aveva osservata dalla finestra andarsene a piedi dopo aver effettuato una chiamata di nascosto dal telefono in soggiorno.
Charley aveva alzato la cornetta della linea secondaria e ascoltato con attenzione il breve monologo di Fay. La udì intimare al suo interlocutore di presentarsi in un cafè del centro alle dieci in punto. Dall'altro capo del telefono non arrivarono altro che cenni di assenso talmente brevi da non permettergli di riconoscere la voce con la quale sua moglie stava discorrendo in tono tanto confidenziale quanto astioso.
Per un momento ebbe anche la tentazione di seguirla.
Per quale motivo? Si domandò poi.
Per scoprire quello che già temo? Quello che già so?
E se non fosse quello che io penso, a questo punto, cambierebbe qualcosa?
Non credo. Domani, al più tardi dopo domani, sarò ancora qua a dannarmi l'anima in cerca di una prova che confermi i miei sospetti.
Non importa se questi siano fondati o meno, saranno sempre là a perforarmi il cervello.
Non ho più fiducia in lei, sento che qualcosa non va tra noi, qualcosa si è rotto, da molto tempo...
Lo noto dal suo disinteresse nei miei confronti, dalla sua acredine, dalla sua indifferenza per tutto ciò che mi riguarda.
É lo stesso totale distacco che ha verso chiunque, quella freddezza che riesce a mitigare solamente quando le torna necessario al fine di ottenere ciò che vuole.
Ed è proprio questa incostanza che fa di lei una affabulatrice.
Sono le sue lacrime che sgorgano quando meno te le aspetti a motivare l'illusione che possa avere un cuore come qualsiasi altro essere umano. Almeno finché non scopri che quelle lacrime sono nient'altro che una farsa e che all'improvviso, quasi senza accorgertene, hai una lama conficcata nel fianco che lei rigira su se stessa nascondendo sul suo viso un velato ghigno di soddisfazione.
É adesso il momento, disse fra sé e sé Charley, di dare un taglio a questa storia, prima che sia troppo tardi, prima che uno dei due uccida l'altro.
Non era un esagerazione. Di questo se ne era reso conto la sera precedente al ritorno dal colloquio con Boucher.
Charley rincasò nel tardo pomeriggio e trovò sua moglie in cucina intenta a preparare il ragù per la cena.
- Ciao amore, tutto bene? Hai un'aria così depressa...
disse lei.
Lui non le rispose. Non la guardò neppure. Prese un bicchiere dall'acquaio e lo riempì di vino, poi si defilò in soggiorno. Rimase seduto sul sofà - come era uso fare quando qualcosa lo preoccupava - sorseggiando il suo sauvignon in silenzio finché Fay non lo raggiunse per comunicargli che la cena era pronta.
- Tesoro, la cena è pronta.
Amore, tesoro. Quanta ipocrisia in quelle parole che mai gli erano suonate vuote a quel modo. D'improvviso un senso di nausea si impossessò di lui. La testa cominciò a girare. Si accorse, così, d'improvviso, di odiare quella casa, quel sofà, la cucina, quel tavolo, le pareti, tutto. Odiava tutto perché tutto era pregno di lei. Il bicchiere, nel quale Fay aveva bevuto così tante volte che poteva quasi sentirne il sapore nauseabondo delle sue labbra. La sedie su cui era solita sedersi conservavano ancora quel calore che lo metteva a disagio ogni volta che vi si poggiava.
Poiché tutto quello che toccava perdeva la sua natura divenendo il simulacro di se stesso, proprio come sua moglie.
Chi o cosa era Fay?
Fay era finzione, qualcosa che esisteva solo nella sua mente. Era quell'immagine che si era costruito di lei sette anni prima e che non era mai corrisposta alla realtà. Solo adesso se ne rendeva conto. E d'improvviso, con un impeto che non aveva mai provato prima, quell'odio così profondo, si trasformò in ira per rivelarsi a lei in tutta la sua potenza con un grido:
- Basta con questa farsa!
Fay rimase in piedi sulla soglia del soggiorno a bocca aperta con le braccia abbandonate lungo i fianchi, incapace di reagire.
- Che ti prende, Charley? Sei impazzito?
- Impazzito? - rispose caustico. Estrasse il manoscritto di Boucher dalla tasca del paltò - che non si era ancora tolto di dosso - e lo gettò a terra ai suoi piedi.
Fay lanciò uno sguardo rapido al pavimento e in un istante comprese quello che aveva l'aria di aver turbato così tanto suo marito.
- E allora? - domandò, fingendo di cadere dalle nuvole.
- Ho letto quel romanzo e ho capito tutto.
- Wow! Fai progressi. Se vuoi passiamo a qualcosa di più difficile. Potrei farti leggere Il lupo della steppa di Hesse o Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij... - lo punzecchiò sarcasticamente e con fare maligno, lei.
- Hai capito benissimo, non cercare di prendermi in giro.
- Cosa dovrei fare? Mi aggredisci, mi insulti, poi lanci un manoscritto ai miei piedi dicendo di aver capito tutto... Dai la possibilità di comprendere anche a me, perché io non capisco dove vuoi andare a parare.
- Sono stato da Boucher...
Fay si fece bianca in volto. Si chiese se Boucher sarebbe stato capace di raccontare tutto a suo marito.
Era possibile.
In fondo egli nutriva del risentimento nei suoi confronti dovuto al fatto che la loro storia non era funzionata come aveva sempre sperato.
Fay, però, non poteva ancora concedersi di scoprire le carte in tavola. Doveva indagare, capire di cosa fosse a conoscenza Charley. Avrebbe dovuto negare l'evidenza finché non avesse avuto la certezza che non sarebbe più servito a niente mentire.
- E quindi?
- Quando la smetterai di recitare questa commedia? É chiaro come il sole che tu hai una relazione con lui, gliel'ho potuto leggere in faccia.
- Tu devi essere pazzo! Paranoico, per giunta! Io non ho nessuna relazione con Boucher... - rispose Fay gridando - ... abbiamo solo un rapporto di amicizia! Se non sbaglio anche tu hai delle conoscenze femminili con le quali ti incontri ogni tanto, no? Boucher è una persona interessante, è uno scrittore, è piacevole parlare con lui...
- Fay, tu ci vai a letto. - la interruppe con tono grave e sferzante. - É raccontato tutto lì, in quel romanzo, e me lo ha confermato lui stesso oggi pomeriggio.
Fay sentì improvvisamente ribollire il sangue nelle vene. D'istinto prese la prima cosa che gli capitò per le mani - un settimanale di psicologia che trovò sulla credenza alla sua destra - e lo scagliò contro suo marito con tutta la forza che riuscì a imprimere.
Charley tentò di scansarsi per evitare di essere colpito, ma la costola dura del giornale lo raggiunse all'orecchio destro infliggendoli un dolore tale che per qualche istante rimase piegato su se stesso comprimendo l'orecchio con la mano.
Quando si riebbe inveì contro sua moglie, strattonandola verso il muro. Con la mano sinistra la teneva ferma premendola alla parete, mentre con la destra si lasciò fuggire un colpo al viso. Quando fu in grado di rendersi conto di quello che aveva appena fatto allentò la presa e tornò a sedersi sul divano senza dire una parola.
Fay scivolò piano lungo la parete fino a che non si ritrovò seduta a terra con le ginocchia tra le braccia e il viso ancora rosso e fradicio di un pianto singhiozzante e disperato.
Dobbiamo porre fine a questa storia prima che uno dei due uccida l'altro, ripeté a se stesso ritornando alla realtà presente mentre rovistava nell'armadio intanto che sua moglie era fuori casa.
Ammucchiò i vestiti sul letto impilandoli senza criterio uno sull'altro. Poi prese una valigia - la più grande che riuscì a trovare - e pressò dentro gli abiti. Per quanto li premesse, però, non riuscì a farli entrare tutti in quel bagaglio. Rovistò la casa in cerca di una nuova borsa, finché non ne trovò una abbastanza capiente da contenere il resto. Alle scarpe e agli altri oggetti avrebbe pensato poi.
Qualche minuto più tardi Fay rincasò dall'appuntamento con Boucher.
- Charley? - gridò sentendo provenire degli strani rumori dalla loro camera.
Charley non rispose, tanto era impegnato nel suo lavoro.
Fay non udendo risposta, si avviò con passo leggero e un velo di preoccupazione verso la camera da letto.
- Cristo, mi hai fatto paura Charley! Per un attimo ho pensato che ci fossero i ladri in casa...
Quando si rese conto di quello che suo marito era intento a fare con così tanta solerzia da non prestarle la benché minima attenzione, le gambe cedettero al peso del suo corpo e per un attimo dovette arreggersi allo stipite della porta per non cadere a terra.
- C - co-sa stai f-facendo? - balbettò.
- Le valige. Non vedi? - rispose secco senza degnarla di uno sguardo.
Fay si avvicinò a lui e con gli occhi lucidi carezzò i suoi capelli:
- Non capisco, Charley? Dove vuoi arrivare?
- Te ne andrai, Fay, appena avrò terminato di fare i tuoi bagagli. É meglio per tutti e due. - le disse scrollandosi la sua mano di dosso.
- Andarmene? E tu butteresti al vento sette anni passati insieme così, sbattendomi fuori casa?
- Sì.
Le lanciò uno sguardo sicuro, penetrante, quasi solido.
Dopo un primo istante di silenzio, Fay gli si gettò contro malmenandolo sguaiatamente.
- Figlio di puttana! - gridò.
Dopo un accenno di lotta riuscì a bloccare le mani di lei e con una spinta la fece cadere sul letto, dove rimase piangendo senza più tentare di reagire.
- Con chi ti sei ritrovata al City Light Cafè?
- Così, adesso, ascolti le mie telefonate...
- Con chi ti sei ritrovata al City Light Cafè? - insistette lui
- Che importanza ha, ormai?
- Con chi ti sei ritrovata al City Light Cafè?, disse stavolta gridando.
- Con Adam Boucher.
Charley non disse una parola, riprese solamente a riempire i bagagli di sua moglie, che adesso se ne stava seduta sul letto rivolgendogli uno sguardo che trasudava odio e perforava qualsiasi cosa incontrasse nel suo cammino.
- Ci sono andata a letto. Ti ho tradito e mi è piaciuto farlo.
Suo marito continuava a non guardarla, ma avvertì una fitta allo stomaco. Non che la cosa lo turbasse granché a livello affettivo, era piuttosto il suo orgoglio maschile a essere ferito, la sua autostima.
- Ha riempito quei vuoti che tu non hai saputo colmare. In fondo... anche tu mi hai tradito in passato, no? L'uomo non è nato per essere monogamo. - lo fissò con un sorrisetto maligno stampato in volto, sicura di averlo ferito abbastanza a fondo perché si portasse dietro quella cicatrice finché fosse campato.
- Pensala così, se questo può aiutarti a stare in pace con te stessa. Non avrai problemi di monogamia d'ora in avanti...
Chiuse i bagagli e li sollevò dal letto per trasportarli alla porta. Sua moglie lo seguì correndogli dietro per tutto l'appartamento.
- Sei sicuro di quello che stai facendo? Potresti pentirtene in futuro.
Aprì la porta e posò le valigie di lei oltre la soglia.
Fay rimase immobile a fissarlo negli occhi ancora un istante in cerca di un segnale qualsiasi che indicasse una sua incertezza, anche minima, e che non riuscì a trovare, mentre la porta gli si chiudeva contro.
Eppure non riusciva a rassegnarsi alla realtà dei fatti e meditava già la prossima mossa che avrebbe compiuto per ribaltare le loro sorti. Era una questione di orgoglio.
-Dafank-
Io, Sono Leggenda?
Sono Robert Neville, l'ultimo essere umano sulla terra.
Giorno 93
É l'anno 1976, un morbo ha trasformato il genere umano in esseri aberranti, assetati di sangue, incapaci di qualsiasi emozione umana. Li ho chiamati Vampiri. Nell'oscurità in cui sono precipitato ho bisogno di nominare l'ignoto, ciò che non comprendo.
Redigo questo diario per lasciare una testimonianza della mia vita. Mi rassicura, mi aiuta a non cedere alla pazzia, a non aprire la porta e diventare uno di loro.
Cerco in queste righe il conforto che nessuno potrà darmi. Devo riposare prima che le loro urla soffochino la notte e invadano la mia esistenza.
Giorno 123
L'incubo è reale. I Vampiri irrompono nella mia casa, distruggono ogni cosa e mi fanno loro. Sento il cuore pulsare al ritmo delle loro urla selvagge. Il sudore mi avvolge in un lenzuolo di paura, sudario di una vita che il destino mi ha riservato.
Giorno 147
Ho deciso di studiarli. Devo trovare uno scopo nella vita altrimenti l'alcool mi ucciderà. Userò questo diario per tenere traccia dei progressi. Di giorno dormono,
è il momento migliore per uscire...
Staccò la penna dal diario. Gli studi stavano per subire un importante svolta. Accese lo stereo.
La musica accompagnava i movimenti. Il bisturi disegnava lunghi solchi sulla pelle ruvida e grigia di un tessuto morto.
- Ho trovato il modo di narcotizzare queste bestie.
Pensava ad alta voce.
Li aveva battezzati vampiri e il destino l'osservava sorridendo. Dall'aglio aveva distillato il veleno per provocare in loro uno stato di torpore, incoscienza.
Sinatra cantava il suo swing mentre Robert osservava la disposizione degli organi interni.
- É tutto a posto, salvo la mancanza di sangue.
- L'ipotesi è che il sangue si sia ritirato a causa dell'aglio.
Si accertò che i legacci fossero ben saldi.
Stava aprendo una scatoletta per il cane quando un rumore echeggiò dal piano superiore. La schiena sudata e la mano tremante, si tagliò con la lamiera della scatoletta. Paura
- Bello, hai sentito anche tu? Gli allarmi non sono scattati.
Prese la Colt e, alzato il volume dello stereo, salì le scale.
Assolo di Sax
Ancora un altro rumore.
- Non è possibile, non ci dovrebbe essere nessuno.
- Bello stai qui, controlla il nostro amico
Il cane ubbidì
Si precipitò nel soggiorno con la mano armata protesa come uno scudo di fronte all'ignoto.
Vide un'ombra, le corse incontro, girò l'angolo, entrò nella cucina. Non c'era nessuno.
- Eppure sono certo di aver visto... Quel rumore era vero
Passarono alcuni minuti prima di accettare la solitudine che da sempre avvolgeva la stanza.
Tornò nello studio e trovò il cassetto aperto.
- I miei appunti, tutti i miei studi sono scomparsi, non ci sono più.
Vomitò, lo stomaco si contorse e carponi, con la bava colante, frugò con insistenza nel tiretto.
- Che sia impazzito, che mi sia immaginato tutto, compreso i documenti?
Li aveva raccolti con fatica, uno studio meticoloso su quelle bestie immonde. Abitudini, dialettica, comportamenti e adesso avrebbe aggiunto il capitolo più importante, l'anatomia.
Si sdraiò per terra e pianse. Le lacrime rigarono il volto fino ad arrossarlo. Perse la condizione del tempo, dello spazio e svenne.
Sinatra concluse il suo swing e il silenzio piombò nuovamente nella solitudine fisica e mentale di Neville.
Robert passò una notte intera nell'incoscienza, consapevole che senza un'attenta sorveglianza i vampiri avrebbero potuto rompere i sigilli e irrompere nella sua tana.
Era lui la preda e loro i cacciatori. Quei documenti, spariti in modo incomprensibile, erano l'unico e ultimo sigillo per non cedere alla pazzia.
Redigerli gli aveva permesso di non cedere all'alcool, di sopportare la mancanza di una donna, del calore del sesso.
La notte passò come tutte le altre. I vampiri erano riusciti a rompere alcuni assi di legno ma non a irrompere. Robert trovò la forza di rialzarsi, a dare un senso alla sparizione dei documenti.
Se i documenti erano realmente esistiti, allora doveva esserci ancora la creatura che aveva catturato.
Il sole filtrava tra le protezioni di legno divelte. Riverberi di polvere danzavano sullo squarcio di luce come uno sciame di insetti in riva a un lago.
Bagnato dalle proprie urine, il corpo non aveva retta allo shock della notte prima. Barcollò e chiamò il cane.
Nessuna risposta.
Discese verso le scale e l'orrore fu troppo opprimente per mantenerlo ancora in piedi. Cadde, sbatté la testa.
Buio
Nello scantinato non c'era più nulla. Non c'era l'essere immondo legato al tavolo operatorio, nessun arnese per l'autopsia, nessuna fiala di sangue né ampolle con il succo di aglio.
Un ambiente di ordinario disordine, scatoloni con vecchi ricordi accantonati negli angoli, scarpe da tennis bucate, sci, qualche arnese da ferramenta sparsi ovunque. Nessuna traccia dei vampiri, della solitudine in cui era vissuto. Solo la realtà prima dell'avvento del morbo.
Il destino aveva reso tutto bizzarro. La normalità di un tempo faceva molto più paura del mondo irreale in cui aveva vissuto fino alla sera prima.
Svenne.
Quando aprì gli occhi vide una stanza piccola, dalle pareti bianche. Disteso su un lettino ospedaliero, alle sue spalle la luce si insinuava attraverso delle sbarre.
Si sentiva confuso e spaesato.
Pianse, sapeva che il nuovo ordine sociale lo aveva preso e lo avrebbero giustiziato come il mostro, l'essere diverso per il quale non si può esprimere pietà.
Davanti a lui una porta pesante, la soglia per il suo futuro. Sentì trapelare delle voci.
- É stato appena consegnato dottoressa. Era disidratato senza alcuna cura igienica.
- Qual è la patologia che ha sviluppato?
- Schizofrenia ossessiva mista ad allucinazioni. Crede di essere l'unico uomo sopravvissuto a una epidemia che ha trasformato gli uomini in vampiri.
Il medico sorrise.
- Mi prepari una relazione ne discuteremo al prossimo consiglio.
Si svegliò, sentì una benda stringergli la tempia e del calore irradiarsi lungo la cervicale.
Mise a fuoco una mano protesa di fronte a lui. Non era deformata dal morbo, era aggraziata, liscia. Una donna gli sorrise.
- Robert stai tranquillo, non agitarti è tutto finito.
La guardò timoroso incapace di razionalizzare quel contesto. Bionda, pulita, infondeva sicurezza. Minuti di silenzio colmarono quell'incontro, la donna, seduta accanto, gli spiegò l'impossibile.
- Robert, te la senti?
Neville annuì
- Faccio parte dell'equipe di medici che ha perso il controllo del virus.
- Calmati abbiamo posto rimedio.
- Il tempo da quel giorno è trascorso e tu non sei stato l'unico a sopravvivere. Ci sono stati altri scienziati che negli anni hanno costruito un macchinario capace di piegare lo spazio, di modellarlo a nostro piacimento e viaggiare nel tempo.
- Abbiamo notato dal futuro che oltre agli studiosi eri sopravvissuto anche tu e in te abbiamo trovato la speranza. La soluzione a cui nessuno era riuscito ad arrivare. Abbiamo trafugato i tuoi appunti e tornati nel 1976 abbiamo cancellato questo incubo. Abbiamo riscritto la storia e alcuni di noi stanno dimenticando.
Robert non capiva di cosa parlasse e osservava quella donna con curiosità.
- Probabilmente ancora non riesci a dare un senso alle mie parole. Ci sarà tempo per altre spiegazioni, lasciamo che la tua mente si abitui a tutti questi cambiamenti.
Lo abbracciò e all'orecchio gli sussurrò
- Grazie, sei stato la nostra leggenda per anni.
-Rona-
Le metamorfosi di una vita
Gregor Samsa, svegliatosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo.
In realtà, non era sicuro di essere davvero sveglio, forse stava ancora sognando, non poteva essere reale quello che stava succedendo.
Provò a muoversi, senza riuscirci. Provò a parlare, per chiedere aiuto ma, allo stesso modo, non ebbe risultati. Vedeva soltanto il movimento frenetico e scoordinato delle zampette che sembravano attaccate al suo corpo. Lui però non le sentiva, non sentiva niente. Era sdraiato sul dorso e con uno sforzo immane, girò lo sguardo da un lato della camera. Vide i suoi mobili, vide la sua scrivania, cercò di spostarsi ancora un po' per riuscire a scorgere l'orologio: era tardi, si sarebbe dovuto già alzare da un pezzo, doveva andare a prendere il treno, il capo si sarebbe infuriato di sicuro. Continuava a muovere gli occhi, voleva che quella strana sensazione che lo opprimeva lo lasciasse respirare, lo lasciasse muoversi, lo lasciasse in pace, ma niente. La mente era sveglia, ma il resto del corpo non rispondeva ai comandi che la testa gli inviava. Di colpo si rese conto che accanto a lui c'era qualcuno: una figura vestita di bianco con gli occhi rossi, demoniaci e con un muso lungo e appuntito.
- Mi chiamo Pandaff - disse quello strano essere - tu sai chi sono?
La sua voce era profonda, spaventosa, sembrava arrivare dalle viscere della terra.
Gregor provò a rispondere, ma dalla sua bocca - in realtà non era certo di possedere ancora una bocca - non usciva alcun suono.
La bianca figura annuì, come se avesse capito. Poi si protese verso di lui.
Gregor continuava a girare gli occhi, vedeva intorno a sé tutte le cose che facevano parte della sua vita, ma non riusciva più a riconoscervi niente di familiare.
Pandaff gli salì sopra, col muso a pochi millimetri dal suo. E Gregor si sentì sopraffatto da quella figura e da quella voce, tanto che tutto il resto scomparve.
- Ascoltami Gregor, ascoltami con attenzione - disse poi, e iniziò a raccontare una storia di treni, di commessi viaggiatori, di ritardi, di una madre terrorizzata e debole e di un padre che odiava suo figlio, odiava quello che era diventato, forse lo aveva sempre odiato, di un padre che avrebbe voluto un figlio diverso, un figlio con una spina dorsale. Gregor si chiese se in quelle condizioni, adesso, ce l'aveva - finalmente - una spina dorsale, seppur nascosta dalla corazza dura che era diventata la sua schiena. Pandaff continuava a parlargli: di una sorella affettuosa e carina che presto si sarebbe stancata di lui, presa da un nuovo lavoro e da un nuovo amore, dal primo amore. Gli raccontò di un abbandono, di quanto, nonostante tutto, contino davvero le apparenze. Gli raccontò di una morte in solitudine e di un disprezzo verso quello che era diventato che, forse, dissimulava un disprezzo verso quello che lui era sempre stato.
Gregor annaspava e, nonostante continuasse a fare sforzi bestiali, non riusciva a muoversi né a proferire parola.
Poi Pandaff si avvicinò ancora di più a lui e con la punta del muso lo ferì agli occhi. Dal taglio uscì un liquido nerastro, ma Gregor non sentiva dolore. Era come se, oltre a essere diventato una specie di mostro, avesse perso ogni sensibilità fisica. E, forse, anche morale. La sensazione che seguì fu liberatoria. Il liquido nero si era portato via tutto quello che Gregor si portava appresso da una vita.
Pandaff sorrise di un ghigno spaventoso e disse:
- Avrei voluto non incontrarti così, avrei voluto che le cose fossero andate diversamente. Ma, forse, sei ancora in tempo, pensaci Gregor...
La figura bianca scomparve. Gregor, finalmente, aprì gli occhi, stavolta davvero. E riuscì a muoversi. Si sedette sul letto e prese in mano l'orologio. Avrebbe fatto in tempo a prendere il treno, forse avrebbe preso quello successivo, forse avrebbe scelto un'altra destinazione. Di sicuro, però, non sarebbe più tornato indietro.
E fu [...] come una conferma ai nuovi sogni e alle buone speranze, quando alla fine del tragitto [...] si levò in piedi, stirando il suo giovane corpo.
-Manuela-
Blade Runner (The Baglione's cut)
Los angeles, Terra - 2019 A.D.
- Peccato però che lei non vivrà! Sempre che questo sia vivere... (Gaff)
...
- Non sapevo per quanto tempo saremmo stati insieme. Ma chi è che lo sa? (Deckard)
Los angeles - tanti anni dopo.
L'agente speciale Daneel R. Olivaw stava inseguendo un furfante nei meandri della megalopoli. Il suo collega, Elijah Baley, si era storto una caviglia e, stoicamente, aveva urlato a Daneel di inseguirlo e che se non l'avesse beccato non gliel'avrebbe perdonato. Daneel gli sorrise e cominciò a correre come un dannato.
In circostanze normali Daneel avrebbe raggiunto quell'uomo in pochi istanti ma, proprio quando riuscì a scorgerlo in basso attraverso la grata metallica della passerella, percepì chiaramente nel suo cervello positronico uno strano tocco di presenza (1). In una città piena di robot come quella era un fatto piuttosto frequente. Quello che bloccò Daneel fu il carattere obsoleto del segnale.
Si guardò attorno. Una figura stava lucidando senza troppa voglia gli infiniti intrecci di tubi d'acciaio che portano aria, acqua, vapore e chissà cos'altro ai livelli superiori.
- Salve! - disse cautamente Daneel, avvicinandosi tranquillamente.
La figura, una donna trasandata e spalmata di sudicio ovunque, rispose meccanicamente: - Scialve.
- Non riconosco il tuo modello. Chi ti ha costruita?
- Non sciono affari tuoi, lasciami lavorare.
- Sono un agente di polizia, rispondi.
La donna cominciò a correre molto velocemente, saltando da un tubo all'altro con l'agilità di una scimmietta che conosce a memoria ogni ramo del suo albero preferito.
Daneel, grazie anche alle sue più sofisticate routine positroniche, calcolò il percorso più rapidamente e si fece trovare nel punto esatto in cui giunse la donna. L'afferrò saldamente e le puntò la pistola in testa.
- Chi sei? - chiese nuovamente lui.
- Non ricordo. Sciono qui da sciempre, a pulire. Non sciò, nesciuno scià. Però scion qui.
- Ho capito... - Daneel la tranquillizzò - Seguimi. Fidati di me.
- Mi fido. - si arrese lei, posando lo straccio su un tubo luccicante.
Daneel raggiunse il suo collega che era già in mano ai medici, gli spiegò la situazione. L'altro sapeva perfettamente che protestare sarebbe stato inutile e quindi disse: - Cosa dico al capo?
- Digli che ho impegni di famiglia...
Terminus city, Terminus - 1 E.F (ovvero moltissimi anni dopo...)
La signorina Ferina Nuth entrò nell'ufficio di Daneel, dove si tessevano segretamente le maglie principali del Secondo impero galattico.
- Ciao Daneel!
- Ciao Ferina, siediti. Facciamo il controllo di routine.
Ferina, così si chiamava la donna che curava da sempre l'abitazione di Daneel, si sedette tranquilla e lasciò che quest'ultimo le manipolasse la base del cranio.
Con una pressione al posto giusto si sollevò una porzione di cute che lasciò scoperta l'interfaccia di controllo. Una targhetta recitava: Tyrell Corporation, modello: Nexus 6.
Più sotto, inciso con un laser in un secondo tempo, continuava: Ultimo aggiornamento: Spacetown, 4723 A.D.
Dopo un rapido interfacciamento Daneel concluse che la donna era in perfetta efficienza: - Tutto in ordine Ferina, sei in ottima forma!
- Sei sempre così premuroso....
(fine)
Rachel (2017 AD): E' un Replicante. Un modello Nexus 6 sperimentale creato dalla Tyrell Corp a Los Angeles. Le sono stati impiantati dei ricordi di qualcun altro, forse della figlia di Tyrell, e grazie a questi ricordi lei è convinta di essere umana...
Rachel è speciale perché, a differenza degli altri modelli Nexus 6, non ha data di scadenza... (2)
Daneel R. Olivaw la conobbe per caso e si occupò della sua manutenzione finché gli fù possibile. Quando la struttura biomeccanica di Rachel non poté più essere manutenuta, chiese segretamente al Dott. Fastolfe di ricreare per lei un corpo nuovo, molto più robusto e duraturo, mantenendo intatto sia l'aspetto originale, sia il cervello (seppur con alcuni importanti aggiornamenti)...
ENCICLOPEDIA GALATTICA (3)
(1) Fin dall'alba dei tempi, tutti i manufatti robotici sono dotati di rilevatori di presenza reciproca. Una qualsiasi macchina senziente riesce quindi a capire quando una sua simile è nelle vicinanze. Originariamente questo accorgimento serviva nelle miniere per evitare che costosi macchinari si guastassero in seguito ad accidentali collisioni.
(2) Tratto da http://www.blade-runner.it
(3) Tutte le note qui riportate sono tolte - per gentile concessione dell'editore - dall'Enciclopedia Galattica, CXVI edizione, pubblicata nel 1020 E.F. dagli Editori Enciclopedia Galattica, Terminus.
-Max-
Harry Potter “gears”
Il vento tra i capelli. Il sole brucia in testa, soprattutto su quella dannata cicatrice sulla fronte.
I cadaveri in decomposizione fanno da cornice ad un tappeto di melma e liquame. I piccoli ciuffi d'erba sono i soli testimoni del massacro.
Vedo le scie dei proiettili passare così vicino ai miei compagni di sventure, che posso prevedere quale pezzo di carne andranno a trafiggere. La guerra imperversa da molti generazioni e nell'aria si sentiva il profumo di una risoluzione imminente... a prescindere al vincitore.
In un attimo il tempo si ferma e la mente mi riporta a 2 anni fà; quando tutto questo è cominciato. Eravamo io, il mio fedele amico Ron e la nostra spalla Ermione. Tutto scorreva senza intoppi, la routine giornaliera era diventata il nostro tutto. Spensierati e illusi da una vita ricca di gioia. Niente dura in eterno e a luglio la terra tremò. A malapena riuscivamo a restare in equilibrio e come un vulcano impaziente di esplodere, il suolo diventò rovente, si squarciò sotto i nostri piedi. Ne uscirono degli esseri del tutto simili a noi, intelligenti, organizzati e vendicativi. La loro pelle color terra ricordava il terriccio da dove erano fuoriusciti. La loro razza, comandata da Lord Voldemort, aveva conquistato tutte le città vicine, ed ora mancava all'appello la nostra. Quella che mi ha dato i natali da 18 anni, mi ha visto crescere, piangere, trovato l'amore e i migliori amici e compagni di lotta. Sono 2 anni che questa guerra miete vittime più della signora con la falce.
Vengo catapultato pesantemente alla realtà dal sibilo di un proiettile che mi sfiora la testa e il suono mi stupra il padiglione auricolare. In piedi in questa terra straniera imbraccio il mio fidato fucile d'assalto Lancer, cerco Ron ed Ermione. Sono in difficoltà ad uscire dal loro modulo di trivellazione verticale! Senza pensarci due volte ricarico e mi tuffo in loro aiuto. Il nemico mi corre incontro, è talmente vicino che il suo fetore mi stordisce; aziono la motosega in dotazione con il fucile d'assalto e sento il suo sangue vischioso scendermi in gola; il freddo ferro taglia la carne con facilità, quel che ne rimane cade a terra con un tonfo sordo. I fidati di Valdemont incalzano e mi ritrovo circondato da tre di loro. Cambio velocemente arma, impugno il fucile a pompa modificato da 8 colpi camiciati calibro 37. Capriola in dietro e fuoco. I pezzetti di cervello sono ovunque, ma ora non posso preoccuparmene; il secondo mi rincorre cercando di segarmi, è troppo lento. Gli assesto un colpo sulla faccia con il calcio del fucile, lui barcolla stordito e gli sparo in pieno petto. L'esplosione si mischia alla polvere e volano pezzi di carne morta e viscere in tutte le direzioni. Il terzo si paralizza, ha paura di toccare la massa di frattaglie della sua stessa razza. Ho tutto il tempo per prendere una granata esplosiva e attaccargliela addosso. BOOM!
Mi muovo velocemente verso Ron ed Ermione... attivo la nostra unità robotica Silente e gli ordino di preparare la bomba a luce solare... il vuoto...
La signora Scheletrica vibra la falce verso di me, ma non sono io il suo obbiettivo. 20 cm più a destra Ermione cade a terra. I capelli unti le coprono il foro di un proiettile penetrato nell'occhio..il volto è una maschera di sangue. La face colpisce sempre il bersaglio!
Mi risveglio nel nostro comando, non so come ci sia arrivato, ricordo solo una luce fortissima! È stato un sogno??
No, non credo... mi alzo e la trovo lì... ferma, inerme. Non riesco a piangere, provo un dolore muto, il mio cuore si stringe ed è come se una mano invisibile lo strozzasse... desidero una sola cosa, l'unica cosa che possa addolcire un po' la sofferenza: la vendetta! Dalla radio, contemporaneamente al mio pensiero, odo la voce metallica di Voldemort incitarla!
...
I led colorati del televisore divennero tutti neri. Il buio calò nella stanza e seguirono lamenti, risate isteriche e soprattutto frustrazione. La stessa che segue dopo un incidente, sbagliare il canestro decisivo o come in questo caso, non aver salvato prima la partita!!
E dal profondo una sola frase:
- Senti Harry, la prossima volta giochiamo a scacchi!!!!
-Clali-
007, Vacanze Romane
Roma è chiassosa e confusionaria, ma quella notte, dalle finestre dell'albergo Excelsior di Via Veneto, la città annegava in una disperata malinconia. La dolce vita arrancava tra una coppia di turisti, un'edicola appena illuminata, un furgone parcheggiato davanti alla fermata del bus e i tavoli vuoti di un ristorante all'aperto. Bond accostò le tende, chiudendo il sipario sulla città. Si toccò l'orologio creando un cuscino d'aria tra la cassa in oro e il polso destro; infine, volse lo sguardo alla suite arredata in stile impero: poltrone ricoperte di velluto, lampadari di Boemia, un soffice tappeto indiano. Appena il tempo di compiacersi per il lusso e udì bussare alla porta.
- Servizio in camera, Signore.
James Bond lasciò entrare il carrello della cena, rifilò al ragazzo un biglietto da dieci euro, versò un bicchiere di Saint Emilion Gran Cru e lo sorseggiò, alternandolo a dei bocconcini di capretto alla liquirizia.
Tre minuti più tardi era riverso a terra, privo di sensi e con il colletto della camicia macchiato di vino rosso.
Era stato M a volere quella vacanza. Il capo l'aveva invitato a prendersi una settimana di riposo, omaggiandolo di un soggiorno a Roma.
Bond, da far suo, aveva accettato di buon grado, sicuro di trovare la compagnia adeguata per trascorrere le notti romane.
Tornò cosciente un'ora dopo, legato a una sedia con il ponentino a spettinargli i capelli. Di spalle, udiva il quieto sciacquio del Tevere. Quando aprì gli occhi, un pugno lo centrò sulla bocca. Non fece una smorfia, assaporò con gusto il fiotto di sangue e lo sputò.
- Preferivo il Saint Emilion e la mia camera all'Excelsior. - Un sorriso beffardo disegnò le sue labbra.
- Invece ti dovrai accontentare dell'acqua del fiume, Mr. Bond. - Rispose con un inglese incerto l'uomo davanti a lui.
- A cosa devo questo onore? - Il prigioniero parlava con una luce puntata negli occhi.
- Alla Spectre amico mio, e al nostro debito nei loro confronti che stiamo per saldare.
- Come mi avete trovato?
- Domanda del cazzo amico, i servizi segreti della mala funzionano meglio dei vostri.
Bond intravide l'uomo avvicinarsi, avvertì scuotere la sedia fino ad arrivare sul ciglio del fiume. La luce si abbassò, lasciando intravedere una figura corpulenta sotto un viso grassoccio ricamato da una barba folta e lunghi capelli biondi.
- I tuoi documenti sono il nostro lasciapassare, amico mio. Ti avrei risparmiato un po'di agonia, ma si sono raccomandati per una morte movimentata. Ora puoi andare a farti fottere.
Un calcio sbilanciò la sedia e Bond cadde nel Tevere, inghiottito dal buio della notte.
La corrente lo scagliò contro un ramo galleggiante; appena dopo l'urto, un mulinello capovolse la sedia lasciando 007 con la testa sott'acqua.
Chiuse occhi e bocca, sfregò forte le mani legate alla spalliera della sedia. Con l'indice sinistro toccò l'orologio, aprì un varco tra la cassa e il polso, rimosse la minuscola e fastidiosa linguetta d'acciaio. Un ingranaggio scattò e dal quadrante uscirono tre arnesi: una matita, un temperino e una piccola lama dentata.
Riuscì a liberarsi prima di passare sotto il primo ponte, quello dedicato a Papa Sisto. Raggiunse l'argine di cemento e si gettò di corsa su per le scale: con tre balzi guadagnò il livello della strada. Duecento metri più indietro, due uomini risalivano sopra un furgone. Bond lo riconobbe: ero lo stesso parcheggiato sotto la finestra dell'Hotel.
Acquattato, si mosse verso il veicolo, appena fu possibile annotò con la matita dell'orologio il numero della targa.
L'agente della CIA, Felix Leiter, impiegò dieci minuti per trovare e riferire a Bond il nome del proprietario del furgone:
- La targa è di un Ford Transit, è di proprietà di un circolo, si chiama "Scaccomatto".
- Hai già l'indirizzo?
- James, ti hanno quasi ammazzato, io non...
- Felix, ho rischiato di tornare a Londra a nuoto, e gonfio di lercio liquame, dannazione, dammi l'indirizzo. - sentenziò Bond.
- Piazza Trilussa, è a cinque minuti da dove ti trovi.
Il Transit era parcheggiato accanto allo "Scaccomatto", appena sotto la scalinata che porta alla fontana "Borghese". James Bond passò davanti alla statua del poeta romanesco, offrì al Trilussa marmoreo un rispettoso inchino. Usando il temperino dell'orologio forzò la serratura del furgone e, ancora bagnato, si accucciò sotto il sedile posteriore.
L'uomo dai lunghi capelli biondi entrò nel furgone quaranta minuti dopo. Si liberò della pistola posandola tra il cambio e la leva del freno a mano, accese il motore.
James Bond aveva avuto il tempo di prepararsi: colpì la guancia del suo avversario con il temperino sistemato tra le nocche della mano. Approfittando della sorpresa, agguantò i capelli dell'uomo, raccolse la pistola e gliela puntò alla nuca.
- Una Magnum calibro380, - Disse l'agente 007 - questa fa parecchio rumore, sveglierò tanta brava gente.
La barba dell'uomo era ricoperta di sangue, Bond aveva colpito la guancia destra e il taglio arrivava fino alla base del naso.
- E se invece t'ammazzassi in modo un po' più - 007 fece una pausa, cercò la parola giusta e scandì: - movimentato!
Trentasei ore dopo, nella sede del MI6 servizi segreti, Regent's Park - Londra
- Miss Liz, sei troppo affascinante per fare da segretaria a quel bruto di M. - Bond sorrise alla donna seduta dietro alla scrivania.
- James, prima o poi mi dovrò fare invitare a cena da te. - Liz Moneypenny arrossì.
Aprendo la porta dell'ufficio di M, Bond concluse:
- Incredibile che non l'abbia già fatto!
Abbandonò Liz ed entrò nella stanza del capo. Il fumo del sigaro cubano aveva saturato l'ufficio, respirare sembrava impossibile.
- Ti rendi conto cosa hai combinato? Ti avevo mandato lì per farti riposare e tu mi sbatti il primo delinquente che passa dentro la fontana del Trilussa, mezzo annegato, con la faccia squartata e un buco calibro 380 in una spalla! - M parlava a raffica mentre leggeva il rapporto della polizia italiana.
- Capo, quello che hai chiamato il primo delinquente che passa mi aveva legato a una sedia e gettato nel Tevere e se non fosse stato per il regalo che mi hai fatto al compleanno - Bond guardò il polso e i suoi occhi si rifletterono nel quadrante dell'orologio - io ora sarei mangime per gabbiani.
- E allora sia maledetto quell'affare lì, oppure sia maledetta la tua mania di lasciare feriti stranieri in casa straniera. Quante volte te lo devo ripetere che è meglio se li ammazzi!
- Capo, cosa ci vuoi fare, passerò alla storia come un agente con licenza di uccidere troppo galante per farlo davvero.
- E io passerò alla storia per averti licenziato o strozzato, è lo stesso. - Tossi, inspirò una boccata di fumo cubano e tornò a parlare.
- Cosa hai scoperto da quel tale?
- Bè, diciamo che il buco sulla spalla l'ha aiutato a confessare i nomi dei vertici italiani della Spectre.
M cambiò rapporto e prese quello redatto da Bond:
- Non c'è traccia di quei nomi qui.
James Bond si alzò dalla sedia, agitò il braccio per scansare una nuvola di fumo, sorrise e disse:
- Nomi, quali nomi?
-Alessandro-
Quel ramo del lago di Como
Agnese era una donna pratica, viveva sul lago Patria e aveva una figlia. Il marito se ne era andato da anni, ma lei diceva a tutti che era morto.
Agnese lavorava sodo per preparare il corredo alla sua unica figlia, Lucia.
Sperava che la ragazza trovasse un Buon partito e si sposasse, così anche lei avrebbe potuto finalmente riposarsi.
Lucia però era la sua disperazione: usciva di continuo, frequentava cattive compagnie, aveva preso la nomea, in paese, di essere una "ragazza facile".
Da donna verace qual era, aveva capito che difficilmente la figlia si sarebbe sposata e quindi iniziò a cercarle essa stessa un marito.
In paese viveva un giovane contadino, non particolarmente bello, non particolarmente intelligente, ma grande lavoratore, il suo nome era Renzo.
Agnese decise che sarebbe stato lui il suo futuro genero.
Convocò Renzo a casa e, senza tanti preamboli, gli chiese:
- we guagliò, ma tu quanto guadagni?
Renzo rimase allibito a questa domanda, ma Agnese non si perse d'animo e continuò:
- è inutile che fai chella faccia, l'ammor è na cosa bella, ma senza sord a tavol resta vacant' o, comme dice ‘o prevet' (Don Abbondio), "Senza sord nun se cantan' mess".
Renzo non sapeva cosa rispondere, a lui interessava solo trovare una brava ragazza con cui sposarsi...
Agnese continuò:
- Rè (Renzo) sient'ammè, te parl' comm' ‘na mamma, va for, va a Torin, là stann arapenn ‘na fabbric e machin, io cunosc' a un che ce po' metter ‘na bona parola e tu pigli fatic, po' tuorn e t'ha spus. - ("Tant a chest chi sa pija!!" pensò)
Lucia, come se leggesse il pensiero della madre, provò a ribellarsi e con il rossore tipico dell' ingenuità, atipica per una come lei, disse:
- We mammà, nun facit accussì, jà.
Ma Agnese la bloccò:
- Statti zitta tu! Ma che te creriv che don Rodrigo chella sera che t'ha purtat o castell te vulev fa ricere o rusario? Mo stu criatur av bisogn e nu pate e già si fortunata ca ‘e truvat a ‘stu strunz, appen trov ‘a fatic te ne vai pur tu!
Passava da quelle parti un giovane scrittore milanese, tale Alessandro Manzoni, che era in un periodo buio della sua vena poetica (oggi si direbbe che aveva il blocco dello scrittore), sentì questa storia e pensò di farne un romanzo. Andò a parlare con Agnese per conoscere altri dettagli importanti, a lui interessava soprattutto sapere chi era quel Don Rodrigo di cui tanto si parlava.
Agnese lo accolse molto gentilmente in casa, gli offrì anche il caffè, ma vedendo che 'o scrittor' perdeva tempo e lei doveva lavorare andò subito al sodo e disse:
"Dottò, primma cosa Lucia nel romanzo deve essere vergine, che qua già il paese è piccolo e ‘a gent non si fa i ...zzi suoi, po' non dovete mettere nessuna indicazione del luogo, anzi meglio che cambiate proprio lago...
...Un' ultima cosa, spartimm' al 50% che cà nisciun è fess!
-Gio-
American Psycho
Jean ce l'ha messa tutta per farsi amare. E alla fine c'è riuscita. Non ne sono sicuro, ma ora viviamo insieme e io non ho rapporti sessuali con altre donne.
Lei dice che mi preoccupo per il prossimo. Sono sudato. Ho bisogno di andare al bagno.
Mentre indosso la camicia Armani dopo che abbiamo fatto l'amore, Jean mi dice che trova deliziosamente infantili i miei disegni di donne morte e fatte a pezzi. Se le dico che il bancomat mi lascia messaggi inquietanti mentre prelevo soldi che non so come spendere, lei sorride e mi abbraccia forte. Il toccarsi delle nostre carni mi procura fugaci brividi emozionali, sintomatici dell'inesistente sentimento che lei chiama "amore". Annodando i lacci delle mie Gucci, le confesso che alcune settimane fa una panchina del parco mi ha seguito per sei isolati, spaventandomi a morte. E su queste parole, lei mi bacia con fare quasi materno. Altri brividi di sentimento inesistente.
Jean crede così fermamente nell'esistenza dell'amore che ho iniziato a utilizzare anch'io questo termine. L'ho fatto, s'intende, per mera convenienza comunicativa. Per pura convenzione linguistica.
Per essere la mia ex segretaria, Jean non se la cava male. Il suo unico problema è che è troppo simile a me. Per questo andiamo così d'accordo. Per questo ci amiamo. Anche se l'amore non esiste.
Sì, lo so. È tutto troppo confuso. Ma... cosa oggigiorno non lo è?
Io sono pazzo. Su questo non c'è alcun dubbio. Sono un prodotto, un'aberrazione di questo sistema di vita. La cosa, tuttavia, mi turba relativamente.
Mi chiamo Patrick Bateman. Sono un colletto bianco di Wall Street. Sono giovane bello e ricco da fare schifo. La società per cui lavoro, appartiene alla mia famiglia. Dai tempi di Harvard a oggi ho commesso centinaia di omicidi. Ho stuprato. Ho torturato. Questa splendida routine fatta di affari, palestra, sesso e omicidi è andata inaspettatamente a farsi fottere quando ho sbattuto il muso contro la realtà dei fatti. E cioè che non era vero niente. Tutto quel sangue non era mai stato versato. Era avvenuto tutto nella mia fantasia. Sono solo un fesso imballato di quattrini, come tutti i miei colleghi. Non sono speciale in nulla. Mi sto disintegrando, ma senza sforzarmi troppo.
Tutto questo, invece di infastidire Jean, la fa andare in brodo di giuggiole. Lei trova la mia fragilità tremendamente sexy. E sapete perché? Perché io e Jean siamo pazzi allo stesso modo. Cerchiamo disperatamente di evitare il contatto con la ruvida realtà che ci circonda. Viviamo in mondi tutti nostri. Il suo è fatto di amore, vita di coppia, semplicità e dolcezza. Il mio, di corpi smembrati e di sevizie.
Questi due mondi sono due rette parallele. Possiamo condividere lo stesso letto, la stessa casa, ma nessuno di noi due è veramente lì. Per questo andiamo così d'accordo.
Per questo quando le dico che per me è dura avere un senso a qualsiasi livello, lei mi fa gli occhi dolci. Per questo lei sorride come una mongola, anche se le spiego che la mia personalità è abbozzata e informe e che la mia crudeltà è radicata e persistente.
Mentre faccio un nodo Windsor alla mia cravatta Ferragamo, provo a farle capire che niente è positivo, che l'espressione "gentilezza di spirito" non ha senso. Le dico che è un cliché. Uno scherzo di cattivo gusto. Non mi fa nemmeno finire il concetto che scansa le mie mani e completa lei il nodo della mia cravatta. Dopo averlo fatto, mi cinge la vita con le braccia e poggia la sua fronte sui miei pettorali d'acciaio. Se la conosco almeno un po', rimarrebbe volentieri così avvinghiata a me per tutta la vita.
Indossando la giacca e il cappotto di Armani, e avviandomi di corsa verso l'uscio di casa mia per andare a lavoro, le dico che l'individualità non esiste più. Che il desiderio non ha senso. Le dico che il sesso è matematica e che il pensiero è inutile. Che Dio non è vivo. Che l'intelletto non è una medicina. Che il male è l'unica cosa permanente e che l'amore non è degno di fiducia.
Jean mi ha seguito fino alla porta. Con passo lieve e incedere sereno.
Devo andare a lavoro.
Piantando nei miei occhi vuoti la luce del suo sguardo incantato e sognante, Jean dice solo: <<Ti amo Patrick.>>.
Mentre aspetto che l'ascensore arrivi al mio piano, penso al fatto che la superficie sia l'unica cosa in cui ciascuno trova un qualche significato. Questa è la civiltà dal mio punto di vista, colossale e frastagliata.
-Snuff-
(Il codice) Da Vinci
Sono qui, al museo vinciano di Leonardo ad ammirare le prodigiose opere da lui inventate e riprodotte in scala con modellini di legno quando sento una voce provenire da dietro:
- Ti garbano eh?
Mi volto e vedo lui, sì proprio lui in carne e ossa che mi sta osservando soddisfatto... non è possibile, è un'allucinazione penso tra me e me.
Mi struscio gli occhi e poi guardo ancora e vedo un uomo robusto con una folta barba bianca, ma non è Babbo Natale, no..
E' il grande Leonardo da Vinci, fisicamente presente davanti a me.
- Maestro... ma è lei?
- No, so' Babbo Natale. Suvvia... a voi che vi pare?
- Ecco... io... non ci posso credere... ma icche la ci fa lei qui? Cioè, un dovrebbe essere morto?
- Aaahhh... morto chi? Sono vivo e con la mì pelle!!
- Senta Maestro, se lei è vivo... non so... potrei approfittare... posso farle qualche domanda?
- E sentiamo le sù domande, giovinetta curiosa, o icchè tu vò sapè?
Dice il maestro, intanto che costruisce una macchina del tempo con gli stuzzicadenti che McGiver gli fa'na pippa.
- Io mi chiedevo se Lei è contento di questo museo...
- E che domanda gli è mai questa?.. sì mi pare di molto bellino! Unnè pe essere modesto, ma sono un bel testone, l'hai viste tutte le mi cose?
- Ma lo sa che lei è la persona più famosa del mondo dopo Papa Ratzinger e Britney Spears?
- Lo so, son più di cento lustri che mi fischino l'orecchie, però son contento!
- ... maestro...
- Icche c'è, sei peggio di Marzullo con tutte stè domande...
- Sono una Sua grande ammiratrice, mi racconta di sua madre, chi era?
- Eh, eh, la mì mamma ll'era una bella figliola ed il mì babbo un ganzo... gli garbavano a tutte le belle donne, mica bischero lui... però m'ha voluto un gran bene, anche se un'ero della sù moglie, pover'omo. M'ha tirato sù come l'altri figliòli!
- Maestro, ma com'ha fatto a dipingere la Gioconda?
- E com'ho fatto, col pennello cinghiale... o donzella... un te lo vò dì, è un segreto mio e vò siete troppo insistente...
- ... DRIN...DRIN...
- O la mi perdoni... mi suona il cellulare!!
- Il cellulare? ... cosa?
- O Michelangelo... a che ora? Al canto del gallo?
- Sì però un vi scordate i fiorini questa volta... un si gioca solo a favella.
- Maestro, ma che fa? Con chi parla? Fiorini?
- Uffff... sì ciò, come lo chiamate: "il torneo di poker" ho inventato un modo per vincere sempre!
lo prendo a braccetto e ci allontaniamo come vecchi amici, continuando a parlare
- ...sì perché, quando mi capita la doppia coppia, non so mai se cambiare carta o no, non è che Lei, anzi che tu mi spieghi come si fa?
- Si, bah, ora svelo il Codice da Vinci!!
-Aigor-
Intervista col vampiro
Preparai il registratore in religioso silenzio, avevo anche il mio blocco per appunti, più che altro per scaricare la tensione scarabocchiando, com'era mia abitudine.
Louis mi accolse nella sua biblioteca, due lampade situate ai lati opposte dell'enorme sala emanavano una luce fioca. Nel camino due grossi ceppi di legno producevano un bel fuoco, ma non riuscivo a riscaldarmi. Non osavo chiedere di fare più luce, in fondo preferivo che il mio interlocutore rimanesse nell'ombra: non mi sarei mai abituato al pallore e alla levigatezza del suo volto.
Era la seconda volta che l'intervistavo e, se si può credere che i vampiri invecchino, allora sì, mi sembrava che sul suo volto bianco ci fossero più rughe, o forse era solo l'effetto dei giochi d'ombre create dalle fiamme nel camino.
Avrei voluto chiedergli perché mi avesse richiamato ma Louis mi anticipò: "So cosa ti stai chiedendo: per quale motivo ho voluto rivederti"
Non attese la mia risposta: "Molto presto uccideremo tantissimi umani, lasceremo in vita pochissimi di loro e li faremo nostri schiavi affinché possano riprodursi, servirci e donarci il loro sangue"
Non usò perifrasi, poche e semplici parole che per me ebbero l'effetto di un pugno nello stomaco, non osavo immaginare cosa sarebbe stato peggio per me: morire o essere schiavo, non vedevo alternative.
"Il mondo è cambiato, per secoli siamo stati cacciati, temuti, disprezzati, in alcuni casi ammirati,
ma adesso c'è di peggio"
Un nodo mi strinse la gola, in effetti i tempi non erano tanto felici, ma lasciai che continuasse senza interromperlo
"Il tempo delle guerre tra di noi vampiri è finito - Luis parlava a voce bassa, ma le parole sembravano riecheggiare direttamente nella mia mente - abbiamo visto succedersi guerre, epidemie, disastri ambientali, eccidi di massa, tutto causato dalla sete di potere dell'essere umano, fra poche decine di anni il pianeta sarà inospitale anche per noi. Abbiamo deciso di fermare questa follia distruttiva"
Un brivido mi serpeggiò lungo la schiena, continuavo a rimanere in silenzio, Louis dopo una lunga pausa continuò:
" Lestat ha risvegliato la regina Akasha, le ha succhiato il sangue e ha radunato me, Marius, Armand, Gabrielle, Maharet , Mekare e tutti gli altri vampiri. Raggiungeremo ogni angolo della terra e uccideremo inebriandoci di sangue, fino a prosciugare i vostri miseri corpi per poi lasciarli vuoti e inutili"
Adesso il calore mi aveva invaso fin troppo, iniziai a sudare, Louis si avvicinò alle tende, le scostò e aprì la finestra. La luna era piena, eppure il cielo era nero, sembrava in movimento. Lentamente mi alzai, il vampiro si fece da parte, raggiunsi la finestra e quello che vidi mi tolse il fiato: migliaia e migliaia di scure sagome si avvicendavano nel cielo, enormi pipistrelli pronti a calare sulla terra.
Fu a quel punto che lo fissai dritto negli occhi e la sua espressione mi fugò tutti i dubbi
"Ascolta Daniel, hai un'opportunità: puoi scegliere da che parte stare - l'espressione di Louis era addolorata - ma non hai molto tempo"
Forse l'idea dell'immortalità mi aveva sfiorato già, ma non dissi niente, Louis mi si avvicinò tanto da sentire il suo odore, mi sfiorò con la mano leggera il collo.
Alzai la testa, mi si era presentata una terza possibilità e scelsi.
La bocca si appoggiò al collo, la sensazione fu quasi sensuale, i denti penetrarono nella vena ma non sentii alcun dolore, percepivo il sangue scorrere nelle mie vene e nelle sue. Poi sentii sulla mia bocca il sapore del sangue, Louis si era morso un polso e l'aveva portato alle mie labbra. Ero debolissimo ma lucido, dopo un po' mi aiutò a distendermi sul divano e mi rassicurò: "Ti riprenderai presto, qui sei al sicuro adesso, sanno già che sei dei nostri e nessuno ti farà del male."
Da dov'ero riuscivo a guardare fuori dalla finestra spalancata, ali enormi vi passarono davanti in una discesa pigra, Louis li raggiunse velocemente, l'avrei aspettato e, quando sarei stato pronto, avremmo volato insieme nell'oscurità della notte, mi sarebbe piaciuto. Una nuova energia sconosciuta scorreva già nelle mie vene.
-Pia-
Cuore
Questo libro è particolarmente dedicato ai ragazzi delle scuole elementari, i quali sono tra i nove e i tredici anni, e si potrebbe intitolare: Storia d'un suicidio di massa, scritta da un alunno di terza d'una scuola municipale d'Italia. Ora leggete questo libro, ragazzi: io spero che ne sarete contenti e che vi farà del bene.
*****
Giorno 1
Oggi è stato il primo giorno. E dato che era il primo giorno, per la prima volta abbiamo visto il nuovo Maestro. Nel primo giorno il maestro ci ha letto il primo racconto del nostro percorso spirituale: il piccolo kamikaze padovano.
Giorno 2
Oggi è stato il secondo giorno. E dato che era il secondo giorno, abbiamo riflettuto sul racconto del primo giorno e abbiamo capito che non dobbiamo venderci al sistema ma difendere la Patria.
Giorno 3
Oggi è stato il terzo giorno. E dato che era il terzo giorno, per la terza volta abbiamo visto il maestro, che ci ha raccontato un racconto, che però era il secondo e non il terzo: la piccola vendetta lombarda. Abbiamo capito che l'onore di ricevere gli onori militari conta più della vita.
Giorno 4
Oggi è stato il quarto giorno. Ma anche se era il quarto giorno il maestro ci ha letto un racconto che era invece il terzo. Questo racconto parla di un ragazzo che scriveva i biglietti d'addio di tutti i suoi amici che volevano suicidarsi e infatti "lo chiamavano lo scrivano" è anche il titolo del racconto.
Giorno 5
Oggi è stato il quinto giorno. Il maestro ci ha fatti riflettere sul racconto dello scrivano di ieri (terzo racconto). Abbiamo capito che per avere la felicità è necessario sacrificarsi nel corpo e nello spirito (però veramente io non ho capito bene cosa vuol dire).
Giorno 6
Il racconto di oggi (sesto giorno) si intitolava "il tamburino sardo" ma il protagonista non era un tamburo, era un ragazzo che si è sacrificato per la patria ed è un eroe.
Giorno 7
Oggi il maestro ci ha spiegato cosa dobbiamo fare per diventare eroi anche noi! Io ho un po' paura a fare il sacrificio, ma Franti si è offerto volontario di aiutare quelli che non se la sentono. Sono molto, molto contento di essere utile per l'Idea.
-Yle-
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