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Indice:
Il bando:
Giorgio Leone
Patrizia Chini
Nunzio Campanelli
Laura Chi
Alberto Tivoli
Annamaria Vernuccio
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Una produzione

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Antologia di racconti di gara 58
www.braviautori.it
Edizione a cura di Lodovico Ferrari.
In copertina: Palline clic clac, anni ‘70
Trasformazione digitale: Micla Multimedia
Foto allegate a ogni racconto di: autori vari

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Il bando:

Sono stato assente da questo forum per parecchio tempo, quindi, dovendo inventare un tema per questa nuova gara la prima cosa che mi è passata per la testa è il titolo di questa raccolta di racconti di King.
Quindi “a volte ritornano”. Ma chi ritorna? I dinosauri sulla terra? La cometa di halley? Il primo fidanzato? I numeri del lotto?
Il vincitore di gara 58 è risultato Alberto Tivoli. Complimenti e grazie a tutti
Lodovico

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Giorgio Leone

Dalla padella alla brace
Le cose stavano andando abbastanza bene come da tempo non mi capitava e tutti i giorni ringraziavo Galdino, il mio santo preferito che ingiustamente viene invocato solo al termine dei funerali. Non sto parlando di vincite alla lotteria, se no sarei stato a mollo in Polinesia, però non potevo lamentarmi e speravo di essermi ormai lasciato alle spalle la mia proverbiale sfiga pluriennale.
Poi successe qualcosa. Sul web, in un sito di concorsi letterari che frequentavo, ne trovai uno indetto da un tal Lodovico che – chissà perché - aveva come “avatar” la foto del suo solo occhio sinistro che sprizzava lampi di intelligenza azzurrina dietro la lente di un paio di occhiali da lettura.
Anche se non sapevo spiegarmene il motivo, quell’immagine pian piano mi entrò nel cervello, divenne un chiodo fisso e iniziò a tormentarmi. L’occhio non mi lasciava mai, giorno e notte, neanche fosse stato quello di Dio racchiuso nel triangolo o uno di quelli del dottor T.J. Eckleburg del grande Gatsby, pure loro grandi e azzurri, che controllavano impassibili il mondo dall’alto del cartellone pubblicitario fra New York e West Egg.
Tuttavia c’era anche un altro motivo di preoccupazione, ovvero il tema del racconto che era: “A VOLTE RITORNANO”. Ma che cosa o chi? Da un punto di vista letterario mi vennero in mente solo quei fottutissimi morti viventi che mi avevano spaventato a morte da ragazzo e quindi decisi di non partecipare. Ma anche così non riuscivo a dimenticare che la frase, applicata a me, poteva solo significare guai perché non c’era altro nel mio passato. Dovevo forse prenderla come un avvertimento, una premonizione o una minaccia?
Qualunque cosa stesse a significare, il primo problema che mi si presentò furono i calli che credevo di avere debellato definitivamente, due calli bastardissimi sui mignoli che mi costrinsero a muovermi come se avessi le emorroidi. Le avevo appena evocate che, dopo molto tempo, me ne uscirono due gigantesche. Non feci in tempo a rallegrarmi per il fatto che non sanguinavano che mi tagliai facendomi la barba come mi succedeva da ragazzo, per cui dovetti andare in giro con un cerotto così grande che la polizia mi interrogò credendo che mi avessero sparato durante una rapina. Già che c’erano mi perquisirono in cerca di droga perché mi videro camminare come sulle uova e pensarono che stessi nascondendo qualcosa. Non trovarono niente, ma le emorroidi li insospettirono e, in attesa di accertamenti clinici, mi tennero una notte in galera durante la quale suscitai l’interesse di un plotone di piattole giganti che non vedevo dai tempi del militare. Per farle fuori tornai a casa e mi cosparsi senza risparmio di Neo Mom che - recita il bugiardino - è una polvere antiparassitaria bianca, impalpabile e gradevolmente profumata. Ero nudo come un verme e stavo guardando la televisione mentre gli animaletti agonizzavano, quando i NOCS della polizia, che ancora mi teneva d’occhio, irruppero in casa sfondando la porta con un ariete. Quando si accorsero che non era cocaina e che quindi il Ministero non avrebbe pagato loro l’uscita, mi menarono di brutto.
Ci fu poi l’episodio della nuova igienista dentale che aveva due tette da urlo alle quali mi appoggiavo beato mentre mi ravanava in bocca. Quando poi alla fine mi spazzolava i denti con il trapano usando una specie di dentifricio che sapeva di Margarita, mi lasciavo cullare dal contatto paradisiaco, chiudevo gli occhi e sognavo di essere alle Bahamas. Avevo appena concordato con il dentista delle pulizie con cadenza quindicinale, anziché annuale, che lui la sposò e lei restò a casa incinta. Tornò la vecchia igienista, una tutta secca che godeva a torturarmi con un uncino appuntito e fui travolto dal sospetto che, per qualche motivo sconosciuto, si fosse ormai stabilita una connessione diabolica fra me, l’occhio e quelle maledette parole “A VOLTE RITORNANO”, anche se non potevo escludere che tutto fosse frutto della mia mente.
Comunque di seguito si riacutizzarono alcuni vecchi malanni come la dermatite seborroica, l’infiammazione del nervo sciatico, un paio di tipi di herpes, la cistite, l’acne giovanile e il ginocchio della lavandaia che mi era venuto da bambino perché stavo troppo sull'inginocchiatoio durante la Messa. A quel punto capii che dovevo fare qualcosa prima di ritrovarmi con il morbillo, la scarlattina, gli orecchioni, la rosolia, la pertosse, la quarta e la quinta malattia e il rigurgito da allattamento. Infatti era ormai tragicamente chiaro che qualche forza occulta andava a pescare rogne a ritroso nel mio passato e la sfiga era tornata in attività. Mi venne l’idea di essermi beccato una dose da cavallo di malocchio e, dato che San Galdino sembrava occupato altrove e il mago Do Nascimento era tornato in Brasile, mi rivolsi ad una zingara la quale mi rassicurò dicendo che mi avrebbe aiutato. Mi invitò quindi a chiudere gli occhi mentre recitava alcune formule magiche, ma quando li riaprii era sparita insieme al mio portafoglio e al cellulare. Sul lavoro ormai non reggevo e non potei neppure prendermela troppo con il mio capo quando mi licenziò mandandomi direttamente sul lastrico.
Non mi restava che tentare l’ultima carta: ottenni l’indirizzo di Lodovico e lo andai a trovare a Borgosesia notando con piacere che aveva in dotazione due occhi e non era sguercio. Lo scongiurai di cambiare il tema del concorso, ma lui tentennava.
- Ma dai, Lodo – gli dissi chiamandolo come facevano gli amici – cosa ti costa? Tanto nessuno ha ancora postato il primo racconto!
- Ma tu cosa suggerisci?
- Lasciar perdere il passato e guardare al futuro. Che ne dici di “A VOLTE ARRIVANO”?
Lui accettò e così gli baciai le mani, scesi in strada e navigai su internet con il cellulare per controllare. L’occhio era sempre lì, ma adesso sembrava guardarmi beffardo anche se non ne capivo il motivo. Stavo congratulandomi con me stesso quando un'auto, guidata da un disgraziato ubriaco e drogato, perse il controllo, piombò sul marciapiede e mi fece fare un volo di venti metri. Ora era chiaro perché l’occhio sembrava deridermi. Non è infatti certo che il destino ci riservi un trattamento migliore di quello che abbiamo avuto e a volte le nostre speranze vanno tragicamente deluse perché la vita è dura. Meglio i mali del passato che ritornano o gli accidenti che ci riserva il futuro?

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Patrizia Chini

Un odore acre
Un odore acre, intenso al punto da procurarle una nausea talmente acida da non ricordarne un’altra uguale, aveva svegliato Maria.
Aperti gli occhi e preso atto che fosse ancora notte, cercò a tentoni l'interruttore dell' abat jour che, da quando era rimasta sola dopo la morte di Mario, aveva spostato ed ora pendeva dalla testiera del letto.
Non trovava né l'interruttore né la testiera.
Maria cominciò a preoccuparsi. Allungò una mano nel letto e sentì qualcosa al suo fianco, sembrava un corpo.
Tremava ma non come una foglia, di più.
Pensò di urlare ma riuscì a modulare solo un flebile "Chi c'è?"
Nessuna risposta. Si catapultò fuori dal letto. Inciampò nelle pantofole e qualcos’altro che, come d’abitudine, lasciava cadere a terra quando si spogliava. Cadde.
Si rialzò, arrivò alla parete dove c'era la porta sicuramente chiusa prima di infilarsi nel letto.
Ora era aperta.
Le gambe le si piegarono, allora si sostenne con una mano allo stipite della porta e con l'altra cercò l'interruttore del lampadario. Lo premette a lungo prima di girarsi verso il letto.
Dio, fa che sia solo un incubo!− supplicò con tutta l’anima e sperò fortemente che fosse solo uno degli incubi ricorrenti dopo la morte di Mario.
La morte di Mario, soffocato da un'oliva andata di traverso per la risata esplosa ad una sua battuta, la sconvolgeva ancora e la teneva sveglia durante la notte.
Dio non l’ascoltò. Non era un incubo era di più!
Sdraiato nel letto, ricoperto di vomito c'era suo marito Mario...
Trionfante teneva, tra l'indice e il pollice di una mano, la grossa oliva che gli aveva causato la morte.
Mi dispiace. Mi hanno dato un'opportunità; tornare a vivere qualche ora in un corpo a scelta prima dell'apocalisse. Un dono per tutti quelli che come me riposavano in pace. Non ho apprezzato più di tanto, ma visto che si poteva... "
La moglie continuava a non capire e con gli occhi gridava
Perché?
Le tue battute, troppo frequenti, troppo banali, troppo di tutto, mi avevano stancato e l'unica che mi ha fatto ridere mi ha fatto anche morire... per questo ho scelto te.
Maria si trovò scaraventata in strada. Si guardò, era nel corpo di Mario, prese a camminare ma non era sola.
File e file di altri corpi "scelti" marciavano mesti verso la meta.
Era la notte buia dell’apocalisse.

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Nunzio Campanelli

Un numero di telefono
- Io vado via, Chiara. A tua madre diglielo tu, è meglio. Qui ho scritto il mio numero di telefono, chiamami se dovessi aver bisogno.
Dopo aver abbracciato la figlia, che aveva ascoltato immobile quel breve discorso di commiato, salì in macchina e si allontanò. Chiara rimase inerte a guardare la sagoma dell’auto finché non sparì dalla sua vista, stringendo in una mano l’unico ricordo che suo padre le aveva lasciato.
Un numero di telefono scritto su un biglietto giallo.
- Chiara, sei tu?
Appoggiò le chiavi sopra la solita mensola. Dalla cucina arrivava un frastuono insopportabile.
- Sì, mamma. Puoi abbassare il volume, per favore?
Entrò in cucina dove la madre stava guardando la Tv.
- Un momento solo, ti prego. Fammi ascoltare, è importante, hanno…
Chiara, che aveva imparato a ignorare i vaneggiamenti della mamma, prese il telecomando e riportò la pressione sonora a un livello accettabile.
- Mi faccio una doccia.
La madre, colpita da una grave malattia della psiche, da quando era rimasta sola trascorreva il suo tempo davanti al televisore a guardare i programmi che si occupavano degli omicidi famosi. Il suo preferito, che andava in onda proprio in quel momento, era specializzato nel far intervenire in studio i vari parenti e amici o anche semplici conoscenti delle vittime e dei presunti assassini. Chiara aveva provato a convincere la mamma dallo smettere di guardare quegli spettacoli indegni, ma poi la lasciò fare. Aveva capito che quella visione quotidiana in qualche maniera per la madre costituiva uno scopo per continuare a vivere. Era come se la vita reale fosse quella trasmessa dal televisore.
Sotto il getto di acqua Chiara, mentre stava pensando alla madre e alla sua mente malata e al padre che aveva preferito scappare senza più farsi vedere, d’un tratto visualizzò i propri gesti appena entrata in casa. La porta che si chiude, le chiavi appoggiate sopra la mensola… l’immagine seguente le provocò un sussulto. Lasciando una lunga scia d’acqua dietro di sé raggiunse la mensola. Di fianco alle chiavi, nel piatto di ceramica dove di solito era appoggiata la posta, c’era un biglietto di carta giallastra ripiegato in quattro.
Quel biglietto.
Lo aveva riposto in un cassetto della sua camera cinque anni prima, dimenticandolo subito dopo.
- Mamma perché era sulla mensola?
La donna si voltò verso la figlia, che era corsa in cucina urlando agitando con la mano quel foglio.
- Non andare in giro nuda. Poi ti ammali.
- Il biglietto, mamma, il biglietto!
Senza rispondere l’anziana donna tornò a rivolgere l’attenzione verso il televisore, che continuava a trasmettere lo stesso programma.
Esasperata Chiara si avvicinò all’apparecchio per spegnerlo, ma un nome pronunciato dallo speaker la fermò.
Conosceva quel nome.
Era quello di un uomo che le aveva lasciato un biglietto con sopra scritto un numero telefonico cinque anni prima.
Era quello di suo padre.
La Tv diceva che era stato ritrovato morto seduto al volante di un’auto.
- Mamma!!
La donna prese il telecomando e attenuò il volume. Poi si voltò a guardare la figlia, lo sguardo sempre assente, la voce atona, debole.
- Sì, Chiara?
- Mamma… ma quello è… è papà!?
Per un attimo, solo per un attimo, una luce vivida rianimò quegli occhi, fino a farli brillare. Una luce di un’intensità tale che quel breve istante bastò per riempire cinque anni di vuoto. Una luce alimentata dalla solitudine e dall’odio. Con voce decisa rispose alla figlia.
- Sì, Chiara.

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Laura Chi

In sogno
Che palle questi autori! Ma a chi è venuto in mente di elaborare una tortura così perfida? Come se non avessimo di meglio da fare che studiare la vita e l’opera di Dante, Petrarca, Manzoni, Leopardi… ma chissenefrega? Insomma, pace all’anima loro. Morti sono.
Così pensava Alex, berretto con il frontino spostato sulla nuca, il filo dell’auricolare che pendeva da un orecchio, lo zaino sulle spalle. Calciò un ciottolo piazzato in mezzo al marciapiede. Poi una lattina schiacciata. Infine un pacchetto di sigarette appallottolato. Si parcheggiò alla fermata del bus, la musica a palla per vincere la tensione, il nervosismo.
Suo figlio è intelligente ma non si applica. Gli tornò in mente quella frase ripetuta come un mantra da tutti i prof a sua madre, da sua madre a lui. Un po’ di fantasia no? Comunque alla fine ce l’aveva fatta. Il gran giorno era arrivato. Il giorno della prima prova della maturità, quella d’italiano. Nell’ultimo mese aveva studiato e studiato come mai in vita sua. I tototemi si erano lanciati in previsioni più o meno azzardate su questo o quell’autore e lui li aveva rincorsi nella speranza che non toppassero come al solito. Ungaretti, Svevo, Pirandello, Dante... Centenari. Bicentenari. Dalla nascita. Dalla morte. L’ultima previsione era stata snocciolata il giorno prima e Alex all’una di notte era ancora lì, a morire di sonno sulle pagine dell’”Inferno” dantesco.
Qualcuno lo chiamò. Si voltò. Era lui! Con tanto di corona d’alloro in testa, l’autorevole naso aquilino, la tunica rossa lunga fino ai piedi. E pure l’opera immortale in bella vista. Uguale a quello riprodotto sul libro di letteratura italiana. Il grande Dante Alighieri. Lo guardava severo. Muto. Con una piega amara ai lati della bocca. Dall’alto dei secoli e della sua grandezza. Poi parlò: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”. Alex si sentì rimpicciolire, non riusciva ad aprir bocca. “Lasciate ogne speranza voi ch’intrate”. L’autostima si stava squagliando come neve al sole, ma con un filo di voce riuscì a implorare aiuto. La risposta non gli diede scampo: “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”. E scomparve in un lampeggiar di fiamme che produsse un gran fumo. Quando la caligine cominciò a diradarsi, un volto diafano dal pallore lunare prese lentamente forma. Sembrava sospeso nell’oscurità. Severo anche lui, anche lui con un naso importante. Però Alex non aveva mai capito la faccenda dell’upupa. C’era quella foto del poeta con l’upupa, messi di profilo uno di fronte all’altra, a comporre un singolare contrasto tra il nasone tozzo di lui e il becco affilato di lei. Vai a capire.
“Spesso il male di vivere ho incontrato…”
“Signor Montale, mi ha letto nel pensiero. La prego, mi aiuti, devo affrontare la peggior prova della mia vita”.
“Era il rivo strozzato che gorgoglia…”
Continuava a snocciolare versi come fossero preghiere e non gli dava assolutamente corda. Non lo vedeva proprio. Poi, anche Eugenio scomparve nel nulla, ma non di colpo, no. Fu una lenta dissolvenza. E mentre lui sbiadiva insieme all’upupa, altri volti spuntavano. Uno, due, quattro, dieci… un esercito di poeti e scrittori. Due stavano discutendo tra loro. Li riconobbe perché anche questi erano uguali alle figure del libro. Torquato Tasso aveva lo stesso ridicolo collare bianco pieghettato che gli incorniciava il volto. L’altro era Achille Campanile. Torquato gli rimproverava di averlo tirato in ballo senza autorizzazione in un suo racconto, “La quercia del Tasso”. Achille tentava di fargli capire le sue ragioni. Poi lasciò perdere. Si poteva ragionare con uno che si era fatto processare dall’Inquisizione sua sponte diverse volte? Alex cercò disperatamente qualcuno che gli desse ascolto, un aiutino, qualche dritta, un sostegno in quel difficile frangente. Ma all’improvviso tutti quei volti si trasformarono in corvi neri, che presero a roteargli intorno come pazzi gracchiando “Uno, nessuno, centomila… uno nessuno, centomila...”. Alex si mise le mani nei capelli e fuggì via urlando. Corse a perdifiato finchè, svegliatosi di soprassalto, vide il viso di sua moglie Elisa, sentì la sua voce vellutata. “Che ti succede amore, smaniavi, ti lamentavi… un brutto sogno?”
“Oh cara, sapessi… un incubo!”.
“Sempre quello?”
“Sempre quello”.
“Dopo tanti anni…”
“Già, dopo tanti anni. Gli esami non finiscono mai”.

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Alberto Tivoli

Una scommessa
Toccava a me. Eppure non mi alzai dalla sedia.
L’impiegata si affacciò da dietro il monitor e sorrise.
A sinistra, un ragazzo con l’acne mi scrutò allungando il collo.
La fidanzatina gli diede dei colpetti sul fianco.
C’era lei? — L’adolescente mi centrò la punta del naso con uno schizzo di saliva.
Prego, andate voi. — Invitai la coppietta a farsi avanti e mi asciugai il naso.
Non se lo fecero ripetere due volte. Entrambi indossavano mutande firmate.
Sulla destra, sorpresi l’ultimo cliente in attesa che aveva lanciato le palle degli occhi contro il tanga della ragazza. Le recuperò e si eclissò dietro le pagine del quotidiano.
La coppia comprò i biglietti per la corriera e il treno.
C’era un concerto.
Una di quelle cose che ha smesso di fare da quando sta con me.
La testolina dell’operatrice guizzò oltre il bordo dello schermo.
Okay, mi aveva riconosciuto. Ero io il prossimo. Le feci l’occhiolino.
Inarcò un sopracciglio vichingo. Che begli occhi grigi che aveva.
Ma io sono stregato da iridi castane e con il sole dentro, un po’ come il miele di castagno.
Posso? — “Occhi a molla” accartocciò il giornale sulle ginocchia.
Prego, faccia lei. — Guadagnai un grazie.
L’uomo versò una quota per un viaggio di nozze.
Il matrimonio è una cosa che ho smesso di fare da quando sto con lei. Ne ho già due alle spalle. Probabilmente ha ragione. Dice che lo si fa solo per conformarsi alla società piccolo-borghese.
Piccolo-borghese è un aggettivo che non sentivo più dalle ore di lettere al liceo. Immagino tutti questi amministrativi nani che in ghingheri tuonano: sì, lo voglio!
Questo pensiero fa così attrito che mi viene da dormire.
Mi sveglio pensando al polimorfismo amoroso.
Sbarrai gli occhi: ero rimasto solo con la nordica, che si alzò pure in piedi.
Coraggio. In fondo avevo già deciso. Dovevo essere uomo.
Migrai dalla sedia a ridosso della vetrina a quella di fronte la scrivania di... ma quanto era piccolo quel cartellino... Rosangela!
Siamo quasi alla chiusura — spiegò con note campane.
E già, c’eravamo proprio.
Un biglietto per Shanghai, sola andata, "glazie". — Scherzai, però il biglietto lo volevo davvero.
Rosangela denunciò le spese di commissione dell’agenzia pomiciando con la parola "eurooo".
Internet non va bene per questa cosa, non cliccherei mai fino in fondo.
Rosangela scrollò le spalle, acquisì la data di partenza e picchiettò sulla tastiera.
Detto, fatto. Avevo il mio regalo per lei.
La amo veramente. La amo tanto da lasciarla libera.
Anche se fa male a entrambi.
Allora, una volta mi chiese:
Secondo te lo devo fare, anche se soffrirò?
Guarda, te lo dico come se tu per me fossi una persona qualsiasi, per quel poco che ho imparato sulla vita, no, non farlo.
Ma se rimango è peggio.
In parte. Sì. Però è inutile percorrere una strada con le lacrime agli occhi. Pensi che starai meglio ma non è vero.
Perché non vieni con me? —
Perché? Mi domandai mentre seguivo il decollo dell’aereo. Me lo ripetei quando l’apparecchio, divenuto un giocattolo, scomparve dietro lo spigolo della vetrata del terminal. Lo immaginai virare e picchiare dove sorge il sole.
Come raccontai a un amico, nel nostro ristorante preferito:
Lo ha fatto grazie a me.
Le tue ex non sono scappate in un altro continente.
No, non a causa mia. Hai capito male.
Cin, e giù fino all’ultima goccia.
Lo ha fatto proprio perché le do sicurezza.
Ah!
Se non ci fossi stato io, non avrebbe avuto il coraggio di mettersi alla prova. —
Vivere insieme da soli, è questo il paradosso.
Skype, Facetime, a sentire i futurologi avremo a disposizione sistemi virtuali parecchio reali. Intanto io sono solo in salotto, con la pizza al taglio sul tavolinetto a forma di catasta di libri. La bottiglia di birra ha disegnato un arco di cerchio di condensa sulla copertina gigante di “Via col vento”.
Bussano alla porta. Eppure non mi alzo dalla poltrona.
Perché dietro la porta, ogni volta, vado a vedere l’esito della scommessa che ho fatto.
Finora ho sempre perso il piatto.
Che sia la volta giusta?
Apro la porta e gli occhi al miele di castagno piangono.
Com’era il lavoro in Cina?
Fantastico.
Hai dimostrato che sei in grado di ottenere di meglio della vita che facevi qui con me. — A volte è sufficiente per fare pace con sé stessi. Ho scommesso su questo.
Mi sei mancato.
La abbraccio e la tengo stretta. È tornata.

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Annamaria Vernuccio

Pronto? Sono Stefania…
Questa mattina è iniziata nel peggiore dei modi: mia figlia mi ha portato da accudire al mio nipotino Francesco che non si sente bene e che pertanto non può andare a scuola. - Accidenti, proprio oggi che ho programmato di fare le pulizie all’interno dei mobili, ed eliminare mucchi di documenti e foto vecchie. OK! Vediamo come posso intrattenerlo! Mi metto a svuotare l’armadio in sala, e tiro fuori degli scatoloni che appoggio sul tappeto dove c’è Francesco: - Guarda – gli dico – ci sono un sacco di foto, giocaci un po’!
Ho già riempito un bustone di carte e documenti inutili da buttare, quando il piccolo mi dice: - Nonna, chi sono queste persone nella foto? – e mi porge una vecchia foto ingiallita dal tempo con l’immagine di un uomo e una donna con un bambino per mano.
Come un fiume in piena, mi tornano alla mente ricordi di persone che hanno fatto parte della mia vita e che sono andate via. …ma a volte ritornano, ed è come se non ne fossero mai uscite. Quanto amore negli occhi con cui guardano il bambino, com’è potuto succedere che non siano riusciti, per quello stesso amore, a superare gli ostacoli e le contrarietà che la vita gli ha messo davanti?
Ci sono ancora delle altre fotografie con gli stessi soggetti in altri momenti più avanti negli anni: il bambino diventato più grandicello, con l’abito della Comunione e con la mano di un bell’uomo brizzolato sulla spalla e altre simili. Cerco di spiegare a Francesco che quel bambino nella foto è il suo papà da piccolo e quelle persone affianco, sono i suoi nonni paterni che lui non ha mai conosciuto.
- Perché gli altri nonni non vengono mai a trovarci, non ci vogliono bene?
Cerco di spiegargli che sono andati a vivere lontano, ma le mie parole odorano di bugia lontane un miglio, e difatti Francesco mi risponde: - Mica staranno sulla Luna? I nonni del mio amico Juan sono venuti dall’America per andarlo a trovare, perché loro non vengono?
Ricordo come fosse ieri, la cocciutaggine con la quale avevano ostacolato il matrimonio con mia figlia, solo perché avevano fatto programmi diversi per quel figlio, che volevano vedere laureato e in carriera, mentre lui per sposarsi e stare vicino a mia figlia aveva lasciato gli studi e si era trasferito.
Già mentre penso queste cose, si fa largo dentro di me la convinzione che troppo tempo è passato e che non c’è niente che non si possa perdonare per amore… specialmente se c’è un piccolo dai riccioli bruni per cui farlo.
Forse è tempo di fare il primo passo e porre rimedio: - Pronto? Sono Stefania, spero vi ricordiate di me, so per certo che vostro figlio Giorgio sarebbe contento di vedervi, e c’è anche un’altra persona che vorrebbe conoscervi: Francesco.
Dall’altro lato del telefono, un silenzio che mi fa pensare che forse ho sbagliato a prendere questa decisione, ma poi una voce che credevo aver dimenticato, mette fine ai miei dubbi e sento nelle parole di risposta tutta la gioia per questa telefonata.
Tutto il tempo passato si è azzerato, non c’è più spazio per i vecchi rancori, allora chiamo il mio nipotino e: - Vieni Francesco, ci sono i nonni al telefono che vogliono parlarti. Digli pure che li aspettiamo al più presto.
Metto via lo scatolone, so di aver fatto la cosa giusta!

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