Le altre recensioni o commenti
Di Gabi Celeste Pisani: D'impatto!
Sicuramente non era quello che mi aspettavo. l'esordio è tranquillo, quello di un ricordo, come può essere quello di qualsiasi altro racconto breve. Ma in poche righe di trasforma in tutt'altro, in un un pugno nello stomaco che ti lascia senza fiato, senza parole, l'unica cosa che ti resta da fare è elaborare lo shock che improvvisamente ti è stato causato.
Poche parole, ma che trasmettono emozioni fortissime.
L'ho riletto tre volte, e ogni volta mi ha dato le stesse fortissime sensazioni.
L'intensità non è facile da raggiungere, ma ci sei riuscito magistralmente.
Di Giancarlo Rizzo: Grazie per questo pugno nello stomaco.
Notevole!
Di user deleted: La "flash fiction" è il genere che sembra calzare a pennello per questo autore. Da qualche tempo seguo le sue opere con interesse crescente poiché, come spiegavo nel mio commento al testo da lui proposto nella gara di primavera attualmente in corso, possiede una rara capacità descrittiva unita a una velata poesia.
Cosa chiedo come lettore quale contropartita della estrema sintesi che caratterizza tali brevissimi testi? Per quanto mi riguarda non ci sono dubbi: l'intensità emotiva. Ci dev'essere un contraccolpo, uno strappo, se volete una discontinuità improvvisa o un doppio salto di stato, da solido a gassoso e viceversa. Di questo l'autore deve essere sempre cosciente, pena un fallimento cocente. La lunghezza ha il pregio di consentire una modulazione del flusso emotivo, "lusso" che qui, personalmente, non concedo.
Fotofobia: un titolo che colpisce. Punto assolutamente a favore, rendo merito a Nicolandrea poichè resta un elemento essenziale nell'economia delle pochissime righe.
L'incipit ci porta immediatamente sul primo livello, che è quello mnemonico.
Secondo step, temporale/spaziale: la via di mezzo. Di fronte a noi si apre un orizzonte perfettamente diviso a metà da due binari paralleli, di cui non si scorge la fine. Ed è mezzogiorno, il Sole allo zenith, punto mediano di massima intensità luminosa.
Terzo livello: la paura ancestrale della morte, solo evocata eppure reale, annunciata dallo sferragliare del treno che si avvicina.
Quarto e ultimo piano: sentimentale. Non ci è concesso sapere chi accompagnava la protagonista, lanciandola infine verso il suo destino.
La contrapposizione tra la luce abbagliante e l'approssimarsi del buio della morte è la chiave di volta del piccolo ma intensissimo testo. E nel titolo si nasconde, per la mia personalissima sensazione, il desiderio di abbandonare l'abbagliante chiarore.
Ricapitolando: tre righe, quattro livelli intrecciati, una contrapposizione luce/buio. Cosa chiedere di più? Se questa fosse la scena di un film, la vedrei perfetta per una delle costruzioni magnifiche in cui Sergio Leone era maestro.
Rinnovo i miei complimenti all'autore, è evidente che il suo scrivere mi affascina. Ma attenzione alla trappola "flash". Come detto poco innanzi, l'intensità è d'obbligo e se non si riesce a trovare il giusto equilibrio con la necessaria "compressione" facilmente si sfora nell'ermetismo blindato. Non è il caso di Fotofobia, per la mia modestissima opinione intrigante, inquietante, attraente prova ottimamente portata a compimento.