Piccolino mio

Troppo amore può far male? A volte sì, come in questo racconto il cui protagonista vive fin dal ventre materno un rapporto privilegiato, una dipendenza quasi ossessiva nei confronti della madre e del cibo che lei gli prepara, metafora forse di un insaziabile bisogno d'affetto. Una situazione non rara, che a volte prelude a problemi comportamentali e di relazione, che Parolando ha forse portato all'estremo in questa storia che fa riflettere.

Una storia che sotto le spoglie di una favola racconta la difficile realtà di persone innocenti eppure sbagliate, con uno stile sicuro che descrive il deteriorarsi dei rapporti personali. Le diverse sfaccettature dell’amore in questi personaggi sono tutte ingannevoli: soffocanti, sostitutive, apparenti. La madre ha fatto del figlio il centro assoluto di ogni sentimento, ne è schiava per l’accudirlo, nutrirlo, per il sacrificargli ogni sua libertà, eppure sembra fiera di farlo.
Il figlio scambia l’amore per la vita con quello per il cibo, non conosce affetti né amicizie e continua a nutrire il corpo nella speranza di nutrire l’anima. Anima Candida è ingenua e indifesa, scambia per amore un’infatuazione e il bisogno di essere vista, protetta, guidata.
In simili situazioni dove l’educazione ai sentimenti non è mai avvenuta, per l’arrivo della tragedia basta davvero poco, come un piccolo rifiuto. E tutto precipita.
Il testo ben narrato ci lascia un degno finale: in quella madre che grida, come gridava all’inizio, c’è sempre dolore fisico e un vuoto da riempire.