IL TEMPO DEGLI UOMINI MORTI
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Il problema del tempo nella prospettiva del male.
Alessandro Cirillo non è il primo autore che si cimenta nell'interpretazione del problema del tempo attraverso la finzione narrativa. Nel suo libro d'esordio è possibile scorgere un'interessante riflessione esistenziale che può sorprendere anche il lettore meno addentro alle questioni filosofiche: il tempo degli uomini morti è il tempo soggettivo che condiziona la vita di ogni individuo, è il tempo che rivela la caducità della realtà. Le sette storie presenti nel libro sono cronologicamente ordinate (dall'imbalsamatore dell'antico Egitto all'autocrate di un mondo futurista) e ontologicamente teologizzate. L'autore racconta la loro caduta utilizzando i vizi capitali. Nella loro semplicità i peccati capitali riescono a descrivere le situazioni in cui l'uomo può perdersi.
Hisham, un antico imbalsamatore egiziano, cerca disperatamente di salvare suo figlio dalla progeria, l’invecchiamento precoce. Flavio cammina nella notte di una Roma decadente in cerca di giustizia. Una principessa misteriosa è chiusa in una torre, condannata a rivivere sempre lo stesso giorno. Un gruppetto di nobildonne francesi aspetta di consumare un’antica vendetta servendosi della devota contessa de Montmorency. Nella California del diciannovesimo secolo, si consuma il dramma di una giovane vedova inconsolabile. Su un blog, si apprende l’assurda storia di una famiglia postmoderna che ha lasciato morire d’inedia la cara nonnina. In un futuro imprecisato, un oscuro autocrate celebra il trionfo della morte.
Queste storie presentano personaggi maledetti, morti a causa dei loro desideri inconfessabili. L'uomo può essere punito per aver assecondato un suo piacere naturale, una suo sogno, un suo diritto? Eppure la realtà ultima di questi uomini pone un serio interrogativo sulla libertà degli uomini.
Abitiamo questo pianeta da migliaia di anni, abbiamo costruito, inventato, trasformato, abbiamo lasciato eredità incommensurabili ad altri uomini. Eppure non riusciamo a trasmettere ai posteri la profonda consapevolezza dei nostri giorni. L'uomo è un essere quasi morto, un essere che è segnato dalla fine del suo tempo. Ma tutto ciò è inaccettabile. Il nostro tempo è il tempo degli uomini morti: corridori ad ostacoli, organizzatori imperfetti, fissati dei risultati, conservatori edonisti della giovinezza, bambini impegnati come adulti, eterni adolescenti, giovani vecchi imbottiti di prozac. L'ira di Flavio che nella notte più lunga della sua vita cerca di vendicarsi di suo nonno, il grande senatore Caio Agrippa, è a condizione esistenziale di chi si è visto rubare il tempo, di chi non ha avuto la forza di resistere alla violenza del ladro. Come non pensare ai giovani derubati del loro futuro da una classe politica vecchia e corrotta? Come non giustificare l'impeto distruttivo di Flavio di fronte alla perversione di un vecchio tiranno? Come non avere compassione per coloro che pagano la disonesta cupidigia di chi doveva amministrarli?
Il tempo degli uomini morti ha questa caratteristica: se non si spezza il suo dinamismo, avanza inesorabilmente fino alla fine. Se non si ha il coraggio di processare i propri desideri, di discernere il bene dal male, allora il tempo è degli uomini morti. I vizi capitali rivelano l'incapacità dell'uomo a farsi dio, essere senza dipendere dal creatore.