Descrizione: Favola del "ciclo di Rénard". "Una fata muore ogni volta che qualcuno smette di credere nelle fate"
Incipit: A chi avesse saputo vederla, Mìriel sarebbe sembrata la personificazione di quanto di più bello può albergare in un cuore.
Più che di una favola, mi pare che si tratti di una fiaba. Mi ero già imbattuto in Renard o Renart leggendo Greimas o forse era Marchese.
A ogni modo. "Per Mìriel aveva sempre nutrito lo stesso che lei per lui perciò, senza lei, che senso aveva continuare a vivere?" Mi pare che dopo stesso manchi il termine di paragone.
"Io so cos'è accaduto a Mìriel e a te: chi credeva in lei ha perso la sua fiducia in te, ha smesso di credere in lei, e quando si smette di credere in voi…»"
Mi pare un periodo un po' contorto. Sembra che manchi qualcosa, o che qualcosa sia in più. Il legame tra il credere in Miriel e Lokhot a mio giudizio andrebbe esplicitato.
Dicevo, mi pare si tratti di una fiaba, per l'ambientazione e i protagonisti, nonché per l'assenza di una morale esplicita nel finale. In medias res però inserisci un riferimento all'amore che un po' fa a botte con la struttura fiabesca.
L'intento morale è metaforico. Non credere più in loro, negli elfi, equivale a non credere più (nella divinità, nell'amore, nel senso della vita) e ciò alla lunga danneggia l'uomo.
Un consiglio, quando si scrive (fiabe come racconti) si dovrebbe aver ben chiaro l'oggetto, il perché si scrive, ciò di aiuterà anche a rendere chiaro il risultato del tuo pensiero. Il risultato qui lo devi raggiungere, a mio avviso, attraverso l'impianto metaforico. Quel è morta perché qualcuno non crede più in lei deve agganciarsi e riferirsi a una qualche scomparsa o mancanza per assenza della credulità. Dio muore perché nessuno crede più in lui. Da cui si potrebbe trarre che Dio sussiste solo nella mente di coloro i quali credono in lui. Dovrebbero essere meccanismi metaforici di questo tipo a stimolare la riflessioni di chi legge. Naturalmente non si può caricare un racconto fiabesco, e perciò breve, di chissà quali significati. Quindi magari sceglierne solo uno. L'amore, come hai fatto tu. Sostenere però che l'amore esiste solo perché qualcuno ci crede è un'oggettivizzazione dell'amore che ne cancella il valore. L'amore dovrebbe esistere a prescindere, e quindi l'amore tra Miriel e Lokhot resiste anche al ni-ente della loro morte. L'amore ec-siste, sussiste a prescindere, è un orizzonte al di fuori di ciò che è, dell'ente a cui si riferisce o verso cui è indirizzato. È un'apertura originaria che scaturisce dall'uomo ma di cui l'uomo non ne è causa. Dunque se Renard deve crederci per permetter loro di vivere non farai altro che inserire un altro anello alla catena del ni-ente. Forse noi uomini siamo nati per amare e prenderci cura. Esistiamo con questa capacità e ce lo siamo dimenticati. E dunque Renard più che credere in loro dovrebbe preoccuparsi di non dimenticarsi, di non dimenticarli a Miriel e Lokhot, che è cosa ben diversa dal credere. Ogni oblio è in fondo un andare verso il nulla, uno spostarsi verso il nulla, a differenza del rammemorare che preserva la presenza.
stavo dando una scorsa al profilo e ho notato il tuo commento. Non so perché, ma non sono raggiunto dagli avvisi, quindi è stato un caso fortunato (ma mi spiace non averti risposto prima).
Al grano: DIO MIO! Sei andato al di là di ogni mia speranza, al di fuori del racconto, e mi hai finalmente offerto il tipo di risposta che sto cercando da tempo! Hai ragione su tutta la linea!
Dovrò rileggere il racconto alla luce di quello che hai osservato, farne tesoro (soprattutto per me), e magari tornare alla tastiera. Però mi hai davvero dato assai più di quello che speravo.
Grazie infinite, ora tutto quadra!
Mi accompagna da… più di vent'anni, ormai! Ma recentemente l'ho rispolverato volentieri.
Nel racconto, questa perdita del "senso del magico" è data per assodata, e solo alcuni (Rénard) si oppongono ancora alla barbarie. Che scherzo della Storia, che oggi siano "barbari" coloro che rifiutano ogni atteggiamento "superstizioso"…
Ma la superstizione c'entra molto poco, e il nostro benessere mentale e spirituale tutto: la razionalità non sempre sa interpretare ciò che lo spirito sente, e alla lunga ne vengono disastri.
Ma io vorrei che ti esprimessi comunque compiutamente: i commenti si leggono DOPO il racconto, quando un lettore ha già avuto modo di formarsi la propria opinione. È dal confronto positivo e costruttivo che raffiniamo idee sane e compiute.
Non è (non dovrebbe essere) importante che qualunque lettore conosca Rénard e il suo "ciclo": mi trovo a mio agio con lui, calza ad alcuni miei racconti, e questo è quanto, perché ogni racconto dovrebbe avere una coerenza che gli permetta di stare in piedi da solo, altrimenti è bene che divenga parte di altro.
Ti ringrazio per il "preciso" e il "curato". Mi interessa molto quando dici che "impedisco di trovare un'interpretazione". La tua sensazione è che lo "impedisca" attivamente o che semplicemente non sembri fornirne una? Impedisco di trovare o di cercare? Rileggendo meglio il tuo commento, mi sembra la seconda.
Inoltre, quale "soluzione"? Forse è vero che non tengo conto di chi sta dall'altra parte, ma il racconto è frutto delle mie esperienze! Possiamo parlarne (interpretarlo) dopo che ho raccontato ciò che ho vissuto: la realtà di ciò che ho vissuto non cambierà perché il lettore vuole poter dare la propria interpretazione!
Lo so che in questo racconto l'intepretazione di ciò che si racconta è parte della storia, ma l'ho proposto proprio per discutere l'intepretazione del fatto, più del fatto stesso (come ad esempio ha fatto Namio).
Se vuoi, lo spirito è: "Mi è successo questo, e io l'ho visto così. Voi che ne dite?" Se non avessi espresso la mia interpretazione, il discorso si sarebbe al massimo fermato sul fattariello in sé, che in quanto "fatto", non può essere cambiato.
Sull'intepretazione, al contrario, sarei deliziato di osservare altri punti di vista!
Ancora grazie per la tua attenzione
ma io accetto volentieri la tua interpretazione! E sul fatto che sia personale, è quello che spero: ci mancherebbe altro! So come usare un'AI per chiedere un parere asettico, quindi non sono qui per quello!
Capisco che vorresti un'apertura da parte del racconto verso una maggior varietà di interpretazioni per rendere il lettore più libero di scegliere il proprio insegnamento. È una cosa bellissima, hai ragione. Sono d'accordo con te quando dici che non è quello che il mio racconto permette, non è un problema di offendersi: è così, e non mi sembri dura di comprendonio.
Ciò detto, questo è il sasso che ho trovato io, e veniva incrostato con tutta la sua interpretazione, perciò l'ho riportato così. Nondimeno, l'ho portato qui su BA per discuterne: se l'interpretazione con la quale l'ho presentato non è nelle tue corde, sono aperto a discuterla, non ho problemi in tal senso. Per questo ho tanto apprezzato il commento di Namio, che mi ha argomentato preziosamente punti e concetti ai quali non avevo fatto attenzione.
Anche se la sua interpretazione sembra cristallizzata, questo racconto (come mi capita per tutti) non aveva un "progetto": non sono partito a scriverlo con l'idea di "dimostrare" una mia tesi. C'era l'idea che l'uomo ha perso la facoltà di sentire la magia nelle cose, che stiamo facendo così scomparire la magia dal mondo, e che questa magia ha a che vedere col semplice "credere" (e sí, Namio, l'amore non c'è perché ci si crede, ma solo se ci credi lo vedi), ma poi il racconto è andato per conto suo. Al principio, nemmeno sapevo che sarebbe ntervenuto Rénard (e il suo cammuffarsi in lupo, poi… )
Perciò, sì, è vero, hai ragione, io me lo cucino e io me lo spiego, però non lo faccio perché resti così. Al contrario, un racconto credo che inizi proprio quando è stato ascoltato, perché è lì, tirando fuori le emozioni e sentimenti (quelli sentiti e quelli NON sentiti), che comincia a vivere.
Spero di averti risposto (mi sa che ti sei imbattuta in una capa tosta più di quella che credi di avere tu… )
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