Descrizione: Un lungo viaggio in Cile, il paese alla fine del Mondo. Ma anche un viaggio interiore, un viaggio di guarigione, un viaggio tra la gente di un popolo solo apparentemente vicino.
Incipit: Il ristorante si chiamava il Rittorno, e voleva essere un ristorante italiano, per quanto potesse essere italiana la cucina popolare in Cile o in qualunque altro luogo del Sud America. La doppia t somigliava a un bizzarro refuso editoriale, e invece si trattava di una sorta di esotico complemento ideato a suo tempo dal proprietario, che di italiano conosceva quelle quattro parole che più o meno tutti conoscono, e di cucina italiana quei quattro rudimenti folkloristici che perseguitano lo stivale…
Ricordo con piacere le canzoni degli Inti Illimani, come testimonianza degli esuli cileni in fuga dalla dittatura.
Ho molto apprezzato anche la descrizione della società cilena, che dopo il periodo di Pinochet ha abbracciato senza problemi (anzi, con entusiasmo) l'ideologia dei suoi carnefici, dimenticando la speranza di un cambiamento che il governo di Allende aveva rappresentato. La contrapposizione tra minoranza bianca (alta e media borghesia) e maggioranza, costituita dalla popolazione india, povera e senza diritti, è uno scenario comune in Centro e Sud America, e può essere la metafora di ciò che il mondo è diventato.
L'accenno finale al red gold è stato quanto mai opportuno, visto che la nazionalizzazione delle miniere voluta dal governo Allende è stato il motivo principale della decisione di Nixon, Kissinger & c. di mostrare ai cileni che, a volte, non bisogna esagerare con la democrazia. Specialmente quando fai una cosa sgradita allo zio Sam.
Sul rame hai ragione, è la benedizione e la dannazione del Cile, un po' come il petrolio in Irak, in Libia o altrove. Li rende ricchi e poveri al tempo stesso; liberi e schiavi al contempo. Ed è un'industria strategica non solo per gli Stati Uniti, ma per tutto il pianeta. Come in passato lo era quella dello zolfo cileno, che aveva sostituito quello siciliano alla fine del XIX secolo. Ma a quel tempo le danze le dirigevano i britannici. E britannici non a caso sono i due padri della patria cileni, O'Higgins e McKenna.
Una piccola precisazione: la popolazione cilena è al 98% di origine europea: i creoli sono i discendenti bianchi degli europei. Ed ha una composizione particolare: spagnoli, per lo più baschi, francesi, per lo più bretoni, scozzesi, irlandesi, moltissimi tedeschi, e italiani.
Gli indios cileni sono stati quasi tutti sterminati, tranne pochissimi mapuche, che vivono e sono trattati come paria. Esiste invece una numerosa comunità india, quechua e aymarà, che viene dal Perù, dalla Bolivia, dall'Ecuador. Emigranti insomma. Loro li chiamano, con enorme disprezzo, negros. Sono quelli i loro negri.
I cileni sono in genere conservatori, di destra o ultradestra, legati a doppio filo con i nordamericani, che in Cile sono ovunque e controllano ogni cosa. I socialisti, i comunisti, sono una minoranza bianca, spesso intellettuali, e sono rimasti in pochi, ma animano ancora gli enormi bassifondi di Santiago, che da sola ha la metà della popolazione cilena, dove vive la stragrande maggioranza dei lavoratori salariati di basso livello, o di sottoproletariato bianco. Tutti gli altri cileni si considerano di classe media anche se in realtà sono dei poveri morti di fame. Ma gli è stato fatto credere il contrario, come nel racconto ho provato a descrivere.
Un caro saluto e grazie.
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