Descrizione: Prendendo spunto dal modello di sviluppo del software open source, lo scopo del saggio è quello di aprire i brevetti al principio della collaborazione, dando modo agli autori di trovare altre forme di remunerazione.
Incipit: Il confronto con un'altra cultura è sempre molto utile per iniziare ad assumere una certa distanza dalle nostre istituzioni e osservare con altri occhi quelle che sono le idee a cui siamo ormai troppo avvezzi: in questo caso riguardo alla proprietà intellettuale.
Hai scelto un argomento molto complesso. L'articolo consta di tre parti, a mio avviso, una introduttiva ed espositiva sulla proprietà intellettuale tout court, una in cui esponi e spieghi il significato di open source, e la finale con le tue considerazioni in merito.
Condivido le tue considerazioni finali sulla necessità dello scambio e della partecipazione collettiva e dell'open source come filosofia di vita, come modo di porsi nei confronti di se stessi e della società in generale. Un processo di condivisione, di reciprocità che va però contro migliaia di anni di logica disgiuntiva e di accumulazione di valore.
Nelle società primitive, sciamaniche, ciò che contava era appunto il fattore dello scambio, della reciprocità. Il donare, come il ricevere, erano gesti non solo fattuali ma soprattutto simbolici. Quando gli avidi spagnoli arrivarono nelle isole dei Caraibi e presero a regalare cianfrusaglie chiedendo in cambio oro pensavano di prendere per i fondelli i poveri indigeni. In realtà nelle culture sciamanica lo scambio è un elemento fondamentale. I figli non nascono quando escono dal ventre della madre, ma quando vengono donati dalla madre alla comunità affinché vengano allevati da essa nella sua interezza. E lo stesso funzionava con i prodotti della caccia e della raccolta che servivano non a chi materialmente li procacciava, ma a tutti. E in ogni altro aspetto della vita, della morte e della malattia. Non esisteva proprietà e ogni cosa fluiva nella comunità perennemente partecipata. Il dono scambiato con gli estranei aveva dunque un valore simbolico di accoglimento di un estraneo nel proprio corpo di cui gli europei si facevano naturalmente beffe. Da questo modo di fare delle società indigene, riportato poi nel XVIII secolo in Europa dai viaggi nei mari del Sud, nascerà in epoca illuminista il mito del buon selvaggio. Il quale non era affatto buono, ma solo diverso.
Il nemico delle società primitive era dunque non l'estraneo, ma l'accumulo di valore, di ogni tipo. E quando gli europei si impossessavano di ogni cosa venivano combattuti non perché toglievano, ma perché non davano, violando il principio di reciprocità.
Anche il patricidio o il regicidio di società più evolute infine può essere considerato come un gesto che spezza l'accumulo di valore e restituisce la reciprocità al mondo.
A ogni modo, provo a non divagare, il punto è che oggi ciò che vige è la logica disgiuntiva dell'accumulo di valore. E le open source si muovono in un mondo siffatto, c'è poco da fare. E infatti la maggior parte delle persone ha nei confronti delle open source il medesimo atteggiamento degli spagnoli nei confronti dei Carìbi. Prendo, arraffo, mi ingozzo finché è possibile. Prendere senza dare. Perché l'universo in cui ci muoviamo è disgiuntivo.
Dunque non credo che allargare la diffusione delle open source sia possibile se prima ( o comunque almeno contemporaneamente) non si affronta la questione del mio e del tuo ontologicamente.
Va beh, per ritornare alla proprietà intellettuale… Innanzitutto in Italia abbiamo una legge sul diritto d'autore, la L. 633/41, e un più recente codice sulla proprietà industriale (D.Lgsl. 30/2005). Non disciplinano evidentemente le medesime opere. La prima la proprietà intellettuale su opere d'arte et similia, la seconda per lo più i prodotti tecnologici. In particolare, L'articolo 45 del codice della proprietà industriale afferma che "Possono costituire oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni, di ogni settore della tecnica, che sono nuove e che implicano un'attività inventiva e sono atte ad avere un'applicazione industriale".
In questo parzialmente in disaccordo con il vecchio art. 2585 del codice civile.
Ora, in Italia la violazione dei diritti sul software è perseguita dalla vecchia legge sul diritto d'autore con la pena della reclusione congiuntamente a una multa, facendo rientrare il software tra le opere d'arte. Mentre nel diritto americano la materia prende generalmente il nome di diritto di proprietà intellettuale ed è disciplinata in maniera forse più organica e accurata che in italia pure se con norme diverse. La violazione del software, ad esempio, corrisponde a una violazione del Copyright Act (che insieme a patents e trademarks (brevetti e marchi) costituiscono la colonna portante della tutela della proprietà intellettuale americana). Non è un caso se nei due maggiori paesi di Common Law la tutela della proprietà intellettuale sia iniziata già nel 1709 con gli Statuti della Regina Anna (che introducono il concetto di Copyright), e che persino negli Stati Uniti appena nati una delle prime leggi federali, del 1790, riguardava proprio marchi e brevetti. Perché quando vogliono gli anglosassoni mettono da parte la loro tanto amata common law e diventano degli codificatori all'europea. L'ultima credo norma americana sui brevetti è recentissima e risale al 2013-14.
Continua
Detto ciò, data la complessità degli organismi e delle normative in campo, è ovvio che solo i grandi gruppi che fanno R&S, e che sono quasi tutti americani ed europei, potranno ottenere una salvaguardia continentale o mondiale delle loro produzioni. Che tra l'altro nella normativa del WTO abbracciano campi molto più vasti e variegati del nostro codice. Vi rientrano anche i vegetali e i loro modi di coltivazione, ad esempio.
Il risultato, a mio avviso ben visibile, è che l'attuale struttura di tutela di marchi e brevetti e prodotti tecnologici e industriali e via discorrendo, riduce a zero la possibilità di singole persone fisiche o di piccole aziende di brevettare o vedersi tutelato un prodotto frutto della propria inventiva. Con la conseguente fine delle PMI schiacciate e divorate da conglomerati sempre più grandi fino a formare dei veri e propri oligopoli o monopoli su scala continentale e mondiale in ogni campo dello scibile umano. Monopolio, tra parentesi, che è ciò a cui naturalmente tende lo sviluppo capitalista secondo il tanto bistrattato Marx. Mentre per il demone Lenin lo stadio finale del capitalismo monopolistico era costituito dall'imperialismo.
E non viviamo forse oggi in un mondo in cui i diversi capitalismi monopolistici continentali, o imperialismi, stanno cominciando a scontrarsi lungo le linee di faglia, proprio come accadde all'inizio del Novecento con le innumerevoli guerre che condussero poi alla Grande Catastrofe?
C'è via d'uscita? Ritengo di no. Lo scontro tra opposti identici imperialismi sarà inevitabile.
Quanto all'open source riporto un paio di articoli fondamentali del Trattato di Maastricht e fondativi dell'Unione Europea.
«Articolo 3 A
1. Ai fini enunciati all'articolo 2, l'azione degli Stati membri e della Comunità comprende, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato, l'adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
2. Parallelamente, alle condizioni e secondo il ritmo e le procedure previsti dal presente trattato, questa azione comprende la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio che comporterà l'introduzione di una moneta unica, l'ECU, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nella Comunità conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
Da essi si evidenzia non solo che l'Unione Europea è l'unica organizzazione al mondo ad aver inserito un modello economico nei propri trattati fondativi, ma anche ad aver riconosciuto l'economia aperta di mercato e la libera concorrenza, con tutto ciò che ne consegue, come il proprio esclusivo modello economico di riferimento e a cui doversi inginocchiare.
Di conseguenza, l'economia della condivisione potrà sopravvivere in Europa solo all'interno del più vasto quadro dell'economia di mercato e della libera concorrenza (di cui a mio avviso le forme di freemium di cui scrivi sono la logica conseguenza).
Va beh.
Ottimo lavoro, bibliografia significativa e di livello, confortevole lettura foriera di molteplici spunti.
Volevo solo approfittare per aggiungere una nota sull'importanza della creatività cooperativa in questo gruppo di BraviAutori.it.
Forse non tutti si sono resi conto - o vi hanno prestato poca attenzione - al fatto che ciò che pubblichiamo su questo sito viene rilasciato sotto licenza Creative Commons. È un aspetto molto importante, perché da una parte ci tutela come autori ed obbliga gli altri al rispetto delle nostre opere, dall'altra contribuiamo in maniera gratuita allo sviluppo dell'arte e della creatività. Un'opportunità preziosa per chi - come la maggior parte di noi - ha poco spazio per far leggere le proprie opere tra amici e parenti e per confrontarsi con gli altri.
E questo lo stiamo facendo sicuramente per vanità personale, ma non solo. Uno spirito altruista ci muove a commentare le opere degli altri: un sincero rispetto che ci fa sentire parte di una comunità a cui dobbiamo qualcosa, perché ci dà tanto.
Non sono capitato per caso su questa community. Stavo cercando un posto dove poter pubblicare i racconti che avevo scritto intorno ai miei vent'anni. Ho visto tanti altri portali, ma questo è quello che mi ha convinto di più. Sono venuto per prendere attenzione e mi sono ritrovato a darne tanta. Ho scoperto un gruppo di amici, che già da molto tempo si scambiano scritti e opinioni.
Il mio saggio voleva essere anche un omaggio a tutto questo. Vi ringrazio tutti per il lavoro prezioso che fate.
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