La gioia di essere tristi

Penso che tu abbia ben reso la descrizione di una persona disperata che si è abituata, quasi affezionata alla propria disperazione. Quest'uomo/ragazzo ha perduto di vista gli estremi e i contrari perché ciò che lo tormenta è anche ciò che lo nutre. Non sembra rifiutare la vita ma rifiuta tutto quello che è collegato alla vita. Si allontana dalla Gente ma è quello che infatti noi, Gente, facciamo con lui. La sua felicità/tristezza non la capiamo e ci fa paura.

Una storia ben congegnata, nel mostrare l'immediatezza di un messaggio, inerente la tristezza del protagonista, il quale, pare non accorgersi neppure della grande solitudine che investe il suo essere. Eppure, c'è da chiedersi quante persone restano incapaci di ascoltare gli autentici bisogni dell'animo, tentando di impegnarsi nel soddisfarli, almeno, per una questione di amor proprio. Nulla da aggiungere a quanto è stato già rivelato al lettore, dal piccolo brano in prosa, se non sottolineare l'importanza, del seguente passaggio: "Mark non aveva la conoscenza, né i soldi, il successo; Mark non aveva una famiglia, un amico. Non aveva di che dilettarsi, non un libro. Mark aveva i fumetti, quello sì. Una falsa copertura per non ammettere a sé stesso di essere veramente solo. Aveva tutto e non aveva niente, la tristezza". Scritto bene e comprensibilmente "credibile". Un cordiale saluto, Greta.