Il cimitero delle vongole
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Re: Il cimitero delle vongole
Il testo "Il cimitero delle vongole", in origine era scritto in napoletano/salernitano molto stretto, da sembrare quasi turco: si tratta quindi di una riscrittura per renderlo comprensibile a chi non parla il mio dialetto, ma che conserva un certo "intercalare" e costruzione tipica (idiomatica) della mia lingua "Madre". Non di prosa sublime ma schietta e verace!
"Ultima modifica di Yakamoz il 23/09/2024, 18:24; modificato 10 volte in totale. Perché le elisioni me li riporta poi come accenti, ma anche perché scrivere, come nell’ultima parte in napoletano, è difficile, non essendoci un modo “standard” per poterlo fare."
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Jo te posso capi' e me fa pure ridere, pero'... 'na cosa è assì rido jo, ca saccio 'e che vva 'o fatto, e 'n ata cosa è assì ride chi 'o fatto nunn'o sape, perché chillo nun ride 'e chello ca nce fa ridere a nnuje!
'A mano s'è truvata a cade' e nun saje comme... Vabbuo', Raffy t'ha chiarito ('azz, e si te ll'ha chiarito: te ll'ha chianetto! )
Tutt'o blocco: tiene arraggione, ma 'e tiempe nuostre so' cchiste e, a ddicere 'a verità, so ssempre state chiste. Ogge se credono tutte "influenzer", ca ce vulesse 'nu vaccino: va... ccino, va(ta)ccino... ca se putesseno accidere tutte quante, ca nun servono!
Una nota su "tommolo": La parola che conoscevo io come unità di misura agraria, in quel di Acerra ('o paese 'e Pullecenella Cetruilo), era "muojo" (moggio). Da altri usi conoscevo il "tombolo", ma lo conoscevo come sinonimo di "uncinetto", sebbene c'è un parallelo OVVIAMENTE preso MOOOLTO per i capelli: mi pare di ricordare che un'ipotesi sui disegni della piana di Nazca (quindi una vastissima estensione di terra in Sudamerica) è che siano serviti come telaio. Per filare cosa, non riesco a immaginarlo.
A presto!
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Re: Commento
È "tomolo" e non "tommolo" la scrittura corretta. Ho sbagliato io a scrivere. Mea culpa! D'altronde è fatto tutto a mano, come i centrini, il racconto, e può capitare di sbagliare. Su Wiki riporta questo:Marino Maiorino ha scritto: ↑23/09/2024, 23:09 Anto', e nun fa' accussi'!
Jo te posso capi' e me fa pure ridere, pero'… 'na cosa è assì rido jo, ca saccio 'e che vva 'o fatto, e 'n ata cosa è assì ride chi 'o fatto nunn'o sape, perché chillo nun ride 'e chello ca nce fa ridere a nnuje!
'A mano s'è truvata a cadè e nun saje comme… Vabbuo', Raffy t'ha chiarito ('azz, e si te ll'ha chiarito: te ll'ha chianetto! )
Tutt'o blocco: tiene arraggione, ma 'e tiempe nuostre so' cchiste e, a ddicere 'a verità, so ssempre state chiste. Ogge se credono tutte "influenzer", ca ce vulesse 'nu vaccino: va… ccino, va(ta)ccino… ca se putesseno accidere tutte quante, ca nun servono!
Una nota su "tommolo": La parola che conoscevo io come unità di misura agraria, in quel di Acerra ('o paese 'e Pullecenella Cetruilo), era "muojo" (moggio). Da altri usi conoscevo il "tombolo", ma lo conoscevo come sinonimo di "uncinetto", sebbene c'è un parallelo OVVIAMENTE preso MOOOLTO per i capelli: mi pare di ricordare che un'ipotesi sui disegni della piana di Nazca (quindi una vastissima estensione di terra in Sudamerica) è che siano serviti come telaio. Per filare cosa, non riesco a immaginarlo.
A presto!
"Il tòmolo (anche tùmmulo, tùmminu o tomolata) è un'antica unità di misura della superficie agraria, utilizzata in alcune province italiane. Dove viene chiamato tomolata, il termine tomolo indica allora una misura di capacità, pari a 50, 5 litri, ossia il volume del grano necessario per seminare una tomolata di terra[1]."
Riporta pure questo:
"Nella provincia di Caserta, l'unità locale di misura della superficie usata in agraria è il moggio, che è utilizzato come sinonimo di tomolo."
In tomolo, l'accento cade sulla prima "o"; la seconda "o" ha un suono velare (muto o quasi muto) e quindi, a orecchio, sembra che ci siano 2 "m": e in effetti, nella pronuncia, ci sono le 2 "m".
Sulla Tregatti, invece, riporta questo:
"tómolo s. m. [dall'arabo thumn, propr. «un ottavo»]. – 1. Antica unità di misura di capacità per aridi in uso nell'Italia meridionale prima dell'adozione del sistema metrico decimale. Valeva a Napoli 55, 54 l e in Sicilia 27, 5 l circa. 2. Unità di misura della superficie agraria in uso, con valore vario, in molti luoghi dell'Italia centro-meridionale. V. anche tumolo2."
Arabo "thumn" 1/8 (di cosa? Non lo dice) e quindi i disegni della piana di Nazca non dovrebbero c'entrare molto. Poi la civiltà araba, come inizio di fusione di popoli semitici, inizia dal VII d.C. e i graffiti sono antecedenti. Arabi/peruviani? Assai improbabile! Dunque, solo coincidenze, perché la parola ci rassomiglia, con il "tombolo", che è una tecnica di ricamo che nasce nel centro/sud Italia per fare frange, centrini e altro. In Campania, ad Amalfi, da monache Benedettine che stavano sempre chiuse, essendo di Clausura, e passavano il tempo con le loro manine sante a fare questi lavoretti manuali. Ma, giocando con la fantasia, si potrebbe pure pensare e credere che gli arabi, stufi del caldo che fa nella loro penisola a scarpone, siano andati in Perù, sulle Ande, a prendere un po' di fresco e a fare disegnini chilometrici sulla superficie terrestre e poi, al ritorno, magari passando per Gibilterra, si siano fermati in qualche convento della costiera amalfitana per ristorarsi e abbiano insegnato alle monache a fare disegni più piccolini coi centrini. Anche se gli arabi e i loro "amati" (insomma!) cugini ebrei sono "Aniconisti", non usano immagini per decorare: ma immagini molto stilizzate di figure umane e animali, nell'arte e nella religione, mi sembra che da qualche parte li ho visti. Di solito sotto forma di scrittura, per quanto riguarda gli arabi. Poi il sistema di scrittura dell'arabo è il più bello che esista in assoluto al mondo: non scrivono, ricamano. I loro cugini, invece, sono attualmente molto bravi a "tirare su macerie". Tipo arte morta coi morti veri dentro, giusto per essere coerenti. Se è arte morta, il morto deve essere vero: altrimenti che arte morta è? Ma tutte le guerre sono così. Basta guardare le foto di Berlino a fine II Guerra Mondiale: rasa al suolo. Divago, su cose molto tristi, scusa.
"Il cimitero delle vongole" è un raccontino leggero, umoristico, di fatti veri, che ha la pretesa di fondere 2 lingue: italiano e napoletano. Perché c'è una regola non scritta che dice: quando sei poco ispirato, prendi un fatto tuo, di vita reale, e trasformalo in qualcosa di scritto, e ne uscirà fuori qualcosa. Mi ha stupito il 5 (vale meno). Però il napoletano è una lingua vera e, se uno riesce, pure in un racconto fessacchiotto, a tracciarla per far vedere che "c'è", che "esiste", alla fine pure ha fatto una cosa, nel suo piccolo, buona/importante.
Ho letto pure il tuo "La simulazione" e quello di Athosg, "La Madonnina verde": diversi ma entrambi belli. Ma voglio aspettare un po' prima di commentarli.
Tante belle cose e un caro saluto, Marino
Antonio
P.S. Ma la mano mia, anche se abbassata, era ferma. È stata lei che si è buttata verso la mano. Trattasi perciò di mano morta passiva e non attiva. Non potevo prevedere che lei in quel momento si sarebbe spostata col posteriori proprio verso la mano. (Ehe!)
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Re: Il cimitero delle vongole
As esempio, il detto "tene 'a povere 'ncoppa 'e rrecchie" discende dall'osservazione che gli alti dignitari Inca, come tradizione, per essere distinti dal loro popolo, portavano polvere d'oro sui lobi delle orecchie. Ma siccome da un alto dignitario ci si aspettava che servisse lo Stato senza "distrazioni" o interessi personali di sorta, ivi inclusi quelli carnali (vedi le nostre cronache recenti...), quella degli Inca era una corte di eunuchi.
Da lì (pare) discenderebbe il modo di dire.
Il problema col napoletano è il problema dell'italiano e della sua costruzione in gran parte a tavolino come strumento propagandistico nazionalista: il napoletano (come tutte le lingue in Italia) ha vita e vitalità; l'italiano è spesso una grammatica slegata dalla realtà. Basti pensare a quale lingua viene usata pe bestemmiare: a ciascuno la sua! Perché la lingua è prima di tutto uno strumento di comunicazione tra anime, e poi tra menti.
D'altronde, la prima edizione dei promessi sposi era in Lumbard, e ci volle il bello e il buono per convincere Manzoni a tradurlo...
Sul tomolo, sono contento che tu abbia trovato il nome corretto, perché ho così potuto approfondire anch'io, e ho trovato... CAVOLO! È antichissimo e diffusissimo! (https://en.wiktionary.org/wiki/%D8%AB%D ... %86#Arabic): greco, aramaico, swahili...
Non ce ne liberiamo: gira e rigira siamo sempre gli stessi da che mondo è mondo (e infatti continuiamo ad azzuffarci in modi primitivi).
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Re: Il cimitero delle vongole
Scusa sai, non per polemizzare, ma se volevi essere chiamato col tuo vero nome, potevi anche iscriverti con quello.
Se vuoi te lo cambio amministrativamente, ma non chiedere a tutti noi di ricordarcelo.
Re: Il cimitero delle vongole
Ciao Max,Massimo Baglione ha scritto: ↑25/09/2024, 9:57 Scusa sai, non per polemizzare, ma se volevi essere chiamato col tuo vero nome, potevi anche iscriverti con quello.
Se vuoi te lo cambio amministrativamente, ma non chiedere a tutti noi di ricordarcelo.
ho l'abitudine, quando necessario, di fare il primo commento al mio racconto. E avendo prima un altro nick, A. Giordano, temevo di non essere riconosciuto. Questo in principio era il motivo: un po' come Jekyll e mister Hipe (Jekyll e Mr. Hyde) nel racconto di Andr60. Ma, in effetti, hai ragione. Perché è un po' illogico continuare a presentarsi con un "nome" e poi dire che si è "altro". Yakamoz significa "il riflesso della luna sull'acqua" e come nome potrebbe sembrare più adatto a un nativo americano, nonostante la sua origine turca. Ora, cambiare di nuovo e ritornare a "Antonio Giordano" sarebbe come un tradimento, un andare contro il "destino". Poi mi sono affezionato a Yakamoz, tanto che a volte dico tra me: "Yakamoz, jamm a' scrive!" E non esserlo più mi dispiacerebbe.
Esiste poi una curiosa coincidenza, non voluta/cercata, con il mio cognome: Giordano, che deriva dall'ebraico Yaraden, in aramaico Yurdenah, e significa "due correnti/rami d'acqua che scorrono", ed evoca anch'esso un movimento, un flusso continuo. L'analogia evidente è che entrambi i nomi evocano l'acqua: in uno scorre, nell'altro è toccata da un riflesso.
Prometto che da ora in avanti eviterò di precisare come mi chiamo, perché se il destino, il caso o la sorte hanno deciso per Yakamoz, lasciamo che sia così.
Tante belle cose, Max
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Re: Il cimitero delle vongole
A dire il vero, è cambiando nome che sei andato contro il tuo originario destino
(Ammesso che si possa/voglia davvero credere, a un destino preconfigurato...)
Re: Il cimitero delle vongole
Posso permettermi un po' di ironia? Un nickname che mi si addice perfettamente sarebbe "Grande capo Palla pesante". Questo perché quando scrivo, anche nei commenti, tendo a divagare. Non lo faccio di proposito, ma solo perché mi piace spiegare le cose, persino su argomenti che non conosco a fondo. Perché credo che con un po' di "intelligenza" (ma non basta solo quella) si possano colmare e compensare, pure apprendendo, molte lacune, e poi voglio sempre cercare di farmi comprendere al meglio. Si usa il termine "logorroico" per chi parla troppo, ma "chiacchierone" suona decisamente meglio. Mi sento un po' come quei piccoli pappagalli australiani che quando sono soli sembrano timidi e non proferiscono neppure un suono, nemmeno se li fai mettere sotto il torchio del Maresciallo dei Carabinieri in persona. Quasi come se temessero di finire rosolati in padella: 4 salti in padella con un filo di olio extravergine, rosmarino, pepe verde, paprika dolce o piccante e un cucchiaio di aceto o vino bianco, giusto per smorzare il sapore selvatico, e sale quanto basta. Tranquillo! Non mangio pappagallini. Non sono ancora al livello del gatto Silvestro. "I thought I saw a little parrot!" Tuttavia, se li metti insieme a coppie, cominciano a fischiare e trillare e schiamazzare con una vivacità che ricorda la Sinfonia n. 4 di Beethoven o La cavalcata delle Valchirie di Wagner. E arrivi al punto di sentirti quasi obbligato: a) lanciare la gabbia con tutti i pappagalletti dentro fuori dalla finestra, b) strozzarli, sempre che loro non ti trancino col loro becco prima un dito, oppure c) optare per la soluzione più umana: regalarli a qualche bambino con la pazienza di sopportarli, a patto che i genitori siano d'accordo, o magari siano un po' sordi. Ho perso il filo del mio discorso. Ma prima di svanire completamente, voglio dirti ciò che penso sulla domanda che mi hai posto: il concetto di "Nomen omen" è affascinante ed è qualcosa che a volte mi piace credere, ma al contempo è anche preoccupante, pretestuoso, classista e pieno di pregiudizi. È come affermare, in un'accezione molto più ampia di cosa è un nome, che tutti i napoletani, solo perché si chiamano napoletani, siano imbroglioni e scansafatiche; che i siciliani siano tutti mafiosi, i genovesi tirchi, gli immigrati delinquenti, i musulmani fanatici, i russi cattivi e gli ucraini buoni; che gli angloamericani siano tutti belli, ricchi, perfetti e democratici, e gli svizzeri precisi, solo perché si definiscono svizzeri… (ho fatto esempi un po' forzati giusto per far capire il concetto, potrei benissimo fornire esempi sicuramente più controversi). Tutto in virtù del fatto che ogni persona va valutata per il suo reale valore e le proprie qualità e azioni, piuttosto che essere etichettata (in positivo o in negativo) a priori in attribuzioni che spesso non riflettono la sua vera essenza – cioè chi è realmente. Non credo quindi che i nomi definiscano il destino. Il destino siamo noi stessi, anche senza un nome, una patria o una lingua, e tutto ciò che crea un senso di appartenenza o identità: queste cose esistono comunque, indipendentemente da noi, e le "possediamo per caso" solo perché sono esistite prima di noi e ci vengono consegnate dalla storia. Esiste, appunto, forse la "casualità" più banale; nascere "per caso" in un contesto socio-economico e culturale favorevole è sicuramente un vantaggio, e vale naturalmente anche il contrario. Ma il destino "nobile", di certo, non esiste! Nulla è predeterminato! Siamo noi che giorno dopo giorno scriviamo la nostra storia sui fogli della vita; ed è per questo che il vero nome di una persona, per dire chi realmente è stato, dovrebbe essere dato solo dopo che ha vissuto, non prima.Massimo Baglione ha scritto: ↑25/09/2024, 15:19 A dire il vero, è cambiando nome che sei andato contro il tuo originario destino
(Ammesso che si possa/voglia davvero credere, a un destino preconfigurato… )
Un caro saluto, Max
Antonio
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Invece il termine mao mao mi ha ricordato mio padre che chiamava mau mau gli emigranti dal sud. Niente di offensivo tant'è che io ho trascorso i miei primi sette anni al sud per il lavoro di mio padre e i suoi ricordi erano bellissimi.
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Re: Il cimitero delle vongole
Forse, ma non ne sono tanto certo.
Credo che il tuo ragionamento mi piaccia di più per un eventuale soprannome, che dopo la dipartita ci ricordi chi è stato Pinco Pallino. Un soprannome da scolpire su una lapide, incidere sulla piastrina di una collana o tattuare sul braccio:
Pinco "er muratore cor baffo" Pallino.
Re: Il cimitero delle vongole
Massimo Baglione ha scritto: ↑26/09/2024, 18:56 Forse, ma non ne sono tanto certo.
Credo che il tuo ragionamento mi piaccia di più per un eventuale soprannome, che dopo la dipartita ci ricordi chi è stato Pinco Pallino. Un soprannome da scolpire su una lapide, incidere sulla piastrina di una collana o tattuare sul braccio:
Pinco "er muratore cor baffo" Pallino.
Anche...
Il messaggio contiene troppe emoticon. Il limite massimo è 5.
Re: Commento
Grazie del tuo commento, AthosgAthosg ha scritto: ↑26/09/2024, 15:39 Complimenti, su un piatto di vongole vuote ci hai costruito una storia filosofica! Al fondo credo che era proprio un cimitero di vongole quel ristorante ma il proprietario, una volta che gliel'hai fatto notare, lo ha stornato dal conto. In Lombardia diciamo: sa la và la g'ha i gamp (se va ha le gambe, se il cliente non dice nulla passa tutto).
Invece il termine mao mao mi ha ricordato mio padre che chiamava mau mau gli emigranti dal sud. Niente di offensivo tant'è che io ho trascorso i miei primi sette anni al sud per il lavoro di mio padre e i suoi ricordi erano bellissimi.
"Mao mao o mau mau", ma anche scritto in altro modo "tipotuttoattaccato" sono equivalenti come termini. Mi sembra che in origine, ma non ne sono sicuro, fosse attribuito, anche come nome proprio, a qualche tribù africana.
A rileggerci…
Antonio
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Re: Il cimitero delle vongole
Bene, vuol dire che funziona ahahah
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Mi è piaciuto, voto 4.
Saluti
Vittorio
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Il racconto della volta scorsa mi era piaciuto molto, ma invece devo proprio confessare che questo non mi prende per niente…
Trovo molto complicato seguirlo e non riesco a immergermi come vorrei.
Il racconto è al passato, ma le descrizioni dei protagonisti al passato… corretto, i fatti sono passati, ma loro sono vivi (famo le corna) e vegeti, ma forse sarebbe comunque stato meglio mantenerle allo stesso tempo verbale per dare fluidità
Le note sono un problema, interrompono terribilmente il flusso (e quella tra (doppia) parentesi è teremendolissima!). Usare termini dialettali è sempre complicato (bellissimo, ma complicat0) più che con le note con un filo di spiegazione affogata nel testo.
Spero che non ti dispiaccia la critica… penso sempre che possa essere più utile un commento simile che il solito "Carino, mi piace"
Re: Commento
Ciao Ombrone,Ombrone ha scritto: ↑30/09/2024, 15:34 Ciao Antonio,
Il racconto della volta scorsa mi era piaciuto molto, ma invece devo proprio confessare che questo non mi prende per niente…
Trovo molto complicato seguirlo e non riesco a immergermi come vorrei.
Il racconto è al passato, ma le descrizioni dei protagonisti al passato… corretto, i fatti sono passati, ma loro sono vivi (famo le corna) e vegeti, ma forse sarebbe comunque stato meglio mantenerle allo stesso tempo verbale per dare fluidità
Le note sono un problema, interrompono terribilmente il flusso (e quella tra (doppia) parentesi è teremendolissima!). Usare termini dialettali è sempre complicato (bellissimo, ma complicat0) più che con le note con un filo di spiegazione affogata nel testo.
Spero che non ti dispiaccia la critica… penso sempre che possa essere più utile un commento simile che il solito "Carino, mi piace"
non devi sentirti in imbarazzo nel condividere la tua opinione: un voto di 2 o 1 è perfettamente accettabile. Questo racconto è stato scritto "in mezz'ora" come un gioco. Inizialmente era scritto nel mio dialetto, il napoletano, e poi tradotto in un italiano "approssimativo", giusto per partecipare al concorso. Quando si scrive in dialetto, è comune riscontrare delle "apparenti discordanze verbali", e la loro resa in italiano può risultare complicata. Purtroppo, alla fine, il risultato è un italiano maccheronico, simile a come alcune persone parlano nella mia zona. Anche se il mio intento era proprio quello di utilizzare una lingua un po' "pacchiana" o "cafona" per dar vita a un breve racconto senza troppe pretese. E, rileggendolo, ne sono consapevole pure io che questo piccolo esperimento "letterario" non ha raggiunto il risultato sperato.
Tante belle cose, Ombrone
Antonio
P.S. Sono impegnato a rivedere il mio romanzo, e ho poco tempo per dedicarmi ai racconti, di cui "Te ne sei accorta, sì?" (il racconto dell'altra volta) era un estratto.
Eccone un altro (estratto), molto breve:
"Prima di addormentarsi"
"Adesso ogni cosa appariva tranquilla e razionale: la pioggia era passata, la luna come un lume rischiarava la sua stanza, il gatto sonnecchiava in fondo al suo letto, e c'era un bel silenzio attorno a lei in quella tiepida notte d'estate.
Trovò così un po' di tregua e pace nell'apparente certezza dell'imperturbabilità di quegli istanti, ma non durò per molto. Perché nell'attimo in cui chiuse gli occhi, capì che per forza doveva esserci stato un errore nella sequenza degli eventi che l'avevano coinvolta, e questo non soltanto la sera di quel giorno; ma da sempre. Perché, in ogni cosa che aveva trascorso, c'era stato sempre stato un qualcosa che costantemente non aveva mai funzionato come avrebbe dovuto, nel modo giusto. E adesso si ritrovava lì, nella sua solita camera, come anni prima quando era piccola, ma ancora più sola, incattivita e disperata che mai. In quello che di sicuro non era né il suo minuto né la sua ora, né il finale ipotetico di un suo giorno idealmente perfetto, semmai ne avesse veramente vissuto almeno uno nei suoi diciannove anni di vita. Ma poco prima aveva visto la luna nel cielo nero, sgombro di nubi, che come un'enorme sfera di cristallo, in cui si potesse leggere il futuro, aveva illuminato la sua faccia macchiata di sangue. E l'istinto le diceva, e di questo era sicura, che già domani sarebbe stato tutto diverso. Tuttavia, per quanto si sforzasse di immaginare a ciò che sarebbe successo o avrebbe fatto, in quella che dopo la notte prometteva di essere una magnifica giornata di sole, non ci riuscì. Ora voleva semplicemente cercare di addormentarsi, o stare soltanto con gli occhi chiusi. A tutto il resto, con la dovuta calma, ci avrebbe pensato domani."
"Preferivi un italiano così?"
Ho postato il passo solo per far capire che sono più portato per una scrittura di "sentimenti", quasi sempre "cupa e drammatica". Ogni tanto, però, ho bisogno di scrivere qualche racconto "leggero, pure scritto male", come "Il cimitero delle vongole", perché mi aiuta molto a uscire da questo cono d'ombra che sono io, poiché rappresenta una vera parte di me.
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P.S. La rivolta dei Mau-Mau in Kenya contro il dominio britannico era famosa negli anni '60, e chiamare così i meridionali avrebbe potuto essere facilmente equivocato
Re: Commento
Grazie del passaggio, Andr60,Andr60 ha scritto: ↑30/09/2024, 18:18 Un racconto leggero come nelle intenzioni dell'autore ma comunque godibile, con i difetti già evidenziati dall'autore stesso. I termini dialettali sono interessanti, ma è davvero complicato con le note a margine seguire il filo della vicenda!
P.S. La rivolta dei Mau-Mau in Kenya contro il dominio britannico era famosa negli anni '60, e chiamare così i meridionali avrebbe potuto essere facilmente equivocato
grazie anche di avermi letto e dalla spiegazione più accurata dei Mau-Mau (ho imparato una cosa nuova, grazie pure di questo).
Ho un problema di dualità quando mi dedico alla scrittura, come dottor Jekyll e mister Hyde; io invece: Nero Cherubino/Clown.
In bocca al lupo per la gara, Andr60
Antonio
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In siciliano è tùmminu o tumulu. Come misura di estensione viene ancora ampiamente adoperata. A un vecchio contadino non gli farai mai dire quanti metri quadri o ettari è esteso un terreno, ma di quanti tummina e sarme. Come misura di capacità non si usa più, ma veniva adoperata solo per i cereali.Yakamoz ha scritto: ↑24/09/2024, 13:29 È "tomolo" e non "tommolo" la scrittura corretta. Ho sbagliato io a scrivere. Mea culpa! D'altronde è fatto tutto a mano, come i centrini, il racconto, e può capitare di sbagliare. Su Wiki riporta questo:
"Il tòmolo (anche tùmmulo, tùmminu o tomolata) è un'antica unità di misura della superficie agraria, utilizzata in alcune province italiane. Dove viene chiamato tomolata, il termine tomolo indica allora una misura di capacità, pari a 50, 5 litri, ossia il volume del grano necessario per seminare una tomolata di terra[1]."
Riporta pure questo:
"Nella provincia di Caserta, l'unità locale di misura della superficie usata in agraria è il moggio, che è utilizzato come sinonimo di tomolo."
In tomolo, l'accento cade sulla prima "o"; la seconda "o" ha un suono velare (muto o quasi muto) e quindi, a orecchio, sembra che ci siano 2 "m": e in effetti, nella pronuncia, ci sono le 2 "m".
Sulla Tregatti, invece, riporta questo:
"tómolo s. m. [dall'arabo thumn, propr. «un ottavo»]. – 1. Antica unità di misura di capacità per aridi in uso nell'Italia meridionale prima dell'adozione del sistema metrico decimale. Valeva a Napoli 55, 54 l e in Sicilia 27, 5 l circa. 2. Unità di misura della superficie agraria in uso, con valore vario, in molti luoghi dell'Italia centro-meridionale. V. anche tumolo2."
Arabo "thumn" 1/8 (di cosa? Non lo dice) e quindi i disegni della piana di Nazca non dovrebbero c'entrare molto. Poi la civiltà araba, come inizio di fusione di popoli semitici, inizia dal VII d.C. e i graffiti sono antecedenti. Arabi/peruviani? Assai improbabile! Dunque, solo coincidenze, perché la parola ci rassomiglia, con il "tombolo", che è una tecnica di ricamo che nasce nel centro/sud Italia per fare frange, centrini e altro. In Campania, ad Amalfi, da monache Benedettine che stavano sempre chiuse, essendo di Clausura, e passavano il tempo con le loro manine sante a fare questi lavoretti manuali. Ma, giocando con la fantasia, si potrebbe pure pensare e credere che gli arabi, stufi del caldo che fa nella loro penisola a scarpone, siano andati in Perù, sulle Ande, a prendere un po' di fresco e a fare disegnini chilometrici sulla superficie terrestre e poi, al ritorno, magari passando per Gibilterra, si siano fermati in qualche convento della costiera amalfitana per ristorarsi e abbiano insegnato alle monache a fare disegni più piccolini coi centrini. Anche se gli arabi e i loro "amati" (insomma!) cugini ebrei sono "Aniconisti", non usano immagini per decorare: ma immagini molto stilizzate di figure umane e animali, nell'arte e nella religione, mi sembra che da qualche parte li ho visti. Di solito sotto forma di scrittura, per quanto riguarda gli arabi. Poi il sistema di scrittura dell'arabo è il più bello che esista in assoluto al mondo: non scrivono, ricamano. I loro cugini, invece, sono attualmente molto bravi a "tirare su macerie". Tipo arte morta coi morti veri dentro, giusto per essere coerenti. Se è arte morta, il morto deve essere vero: altrimenti che arte morta è? Ma tutte le guerre sono così. Basta guardare le foto di Berlino a fine II Guerra Mondiale: rasa al suolo. Divago, su cose molto tristi, scusa.
"Il cimitero delle vongole" è un raccontino leggero, umoristico, di fatti veri, che ha la pretesa di fondere 2 lingue: italiano e napoletano. Perché c'è una regola non scritta che dice: quando sei poco ispirato, prendi un fatto tuo, di vita reale, e trasformalo in qualcosa di scritto, e ne uscirà fuori qualcosa. Mi ha stupito il 5 (vale meno). Però il napoletano è una lingua vera e, se uno riesce, pure in un racconto fessacchiotto, a tracciarla per far vedere che "c'è", che "esiste", alla fine pure ha fatto una cosa, nel suo piccolo, buona/importante.
Ho letto pure il tuo "La simulazione" e quello di Athosg, "La Madonnina verde": diversi ma entrambi belli. Ma voglio aspettare un po' prima di commentarli.
Tante belle cose e un caro saluto, Marino
Antonio
P.S. Ma la mano mia, anche se abbassata, era ferma. È stata lei che si è buttata verso la mano. Trattasi perciò di mano morta passiva e non attiva. Non potevo prevedere che lei in quel momento si sarebbe spostata col posteriori proprio verso la mano. (Ehe!)
L'origine credo sia spagnola e cioè tomìn, ossia un ottavo.
Peraltro, dato che l'utilizzo del termine tumminu o tumulu è esteso all'intero meridione rintracciarne l'originario arabo in un termine arabo siciliano soltanto non ha senso. Probabilmente il lemma sarà stato introdotto dagli spagnoli, che regnarono nei territori del vecchio Regnum Siciliae, a Napoli come a Palermo.
Quanto a tomìn, il dizionario spagnolo lo riallaccia a un termine arabo spagnolo: Tùmn addarham, ossia un ottavo di adarme.
L'etimo di tùmn credo sia arabo, ed è abbastanza immediato: thàmin, o giù di lì, che in arabo, nell'arabo moderno, vuol dire proprio un ottavo.
L'adarme spagnolo è il dirham, la moneta andalusa di epoca islamica. Termine che a sua volta deriva dalla dracma greca. Molti vocaboli (veramente tantissimi) arabi hanno una derivazione greco latina, a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, di quanto il mondo arabo sia legato al nostro.
Nell'uso quotidiano questo ottavo rimase come un otto. Tanto che l'ottavo di pe sé proprio divenne una moneta, di solito d'argento, dal valore di otto reales. Tanto diffuso che nelle americhe finì per essere la moneta adoperata in tutti i vicereami ispanici: il Real da Ocho, o Dòlar da Ocho. Ma non solo, il Dòlar (gli anglosassoni mirano al sodo) era ampiamente adoperato anche nelle tredici colonie britanniche al posto della sterlina, anzi la sterlina proprio la detestavano.
E infatti sul modello del Dòlar da Ocho, con peso in argento analogo, nacque il Dollaro Continentale già nel 1785 e con il sistema decimale come base, tanto per fare nu scuorno a quei babbioni di Westminster legati al sistema sessagesimale.
E quindi il tumminu siciliano o l'analogo del regno di Napolli è legato al dollaro americano e alla dracma greca, nonché al dirham arabo. Misteri della linguistica e potenza della Moneta.
Re: Il cimitero delle vongole
Apprezzo molto la tua visita, Namio Intile, e spero di rileggerti presto…
Colgo l'occasione, visto che mi trovo, per salutare anche Vittorio Felugo, Eleonora2, Raffaella e Laura Traverso, a cui non ho potuto rispondere prima per mancanza di tempo. Quindi, non è stata una questione di scortesia, la mia, ma ci tengo comunque a ringraziarli per i loro commenti.
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Ho scritto molto in passato, in siciliano, e alla fine sono arrivato alla risoluzione di fare a meno delle note. Il siciliano è comprensibile, almeno ai siciliani, gli altri se vogliono capire capiscano si informino o domandino ex post.
Il racconto scorre, e molto bene anche, e forse sarà per l'inserto del salernitano o perché comunque l'impronta originale offre alla costruzione una marcia in più. Il racconto è umoristico, ironico e anche un po' sardonico, ma tende un po' a smorzarsi nel finale, con quel Weh, ma non era Ué.
La male assortita comitiva di amici va al ristorante Le Pergole, al singolare, e per farsi bello il protagonista ordina spaghetti allo scoglio, pardòn alle vongole, mentre gli altri virano su di una pizza un po' cafona che può significare due cose: non mi fido di quel che mi porti o non ho soldi da spendere in questo posto malfamato. Ma non era ristorante di pesce? Pesce congelato. E poi le vongole sono molluschi. La serata prosegue più tra bassi che tra alti, visto che Raffaela, che il protagonista trova bella e che si capisce sia il motivo della sua presenza, è super fidanzata anche se il fidanzato non s'è visto mai e il buon protagonista forse pensa che addirittura non ci sia tanto da provarci nel finale. Ma il vero protagonista è lo spaghetto con le vongole che non ci sono. In realtà il proprietario proprio l'ha preso proprio per il naso, pardòn culo, e infatti quei gusci li ricicla ogni volta. Però non glieli ha fatti pagare, quegli spaghetti, e quindi in fondo in fondo era sincero. Antonio, sei stato sfortunato, fattene una ragione. Colle vongole e co' Raffaela. Consiglio da vecchio: levaci mano ai finti ristoranti e alle finte fidanzate. Frequenta solo persone serie. No, lo so che è opera di fantasia. Ma dietro ogni fantasia...
Il finale finale è un po' la morale della favola, che però non so fino a che punto c'entri colla favola, che invece mi pare più una fiaba.
Se proprio devo trovarci un difetto, se volevi creare un racconto alternativo, divertente e irriverente, dovevi rendere la morale finale più divertente e legata al resto del testo. Quindi trasformarlo in una sorta di favola. Non so se mi sono spiegato.
E poi sui tummina ho già scritto, ma non hai gradito.
Re: Commento
È stato apprezzato, invece; solo che non l'ho scritto. Anzi, è molto affascinante scoprire che cose in apparenza scollegate tra loro abbiano un'origine comune.Namio Intile ha scritto: ↑01/10/2024, 15:21
E quindi il tumminu siciliano o l'analogo del regno di Napoli è legato al dollaro americano e alla dracma greca, nonché al dirham arabo. Misteri della linguistica e potenza della Moneta.
Saluti…
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Re: Il cimitero delle vongole
Il racconto è un buon racconto. Hai un'ottima mano, cosa che si nota proprio nelle narrazioni leggere.
A rileggerti
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commento Il cimitero delle vongole
racconto gradevole, direi godereccio.
Non ci sono segnalazioni. Il testo scorre via che è un piacere. Per me finisce a “tanto per essere onesti e precisi.”
Io sono un nordico e certo allusioni le colgo come riesco. Scusa.
Voto 4.
Re: commento Il cimitero delle vongole
Mi sembra strano che questa "ciofeca" di racconto abbia, tra commenti e risposte, raggiunto quota 28. Grazie, Marcolli, per avermi commentato e per il voto fin troppo alto.Alberto Marcolli ha scritto: ↑09/10/2024, 16:04 Ciao Antonio,
racconto gradevole, direi godereccio.
Non ci sono segnalazioni. Il testo scorre via che è un piacere. Per me finisce a "tanto per essere onesti e precisi."
Io sono un nordico e certo allusioni le colgo come riesco. Scusa.
Voto 4.
Un caro saluto, Alberto Marcolli
Antonio
P.S. Un'ultima cosa:
"Sono qui per dire al mondo intero che la modernità deve finire: Jat zappà o juorn, jat a fauicià, jat a ffa 'e grandin; mo' è tiemp r' fav, mttit 'e fasul. Siamo in crisi: è vulit ije a zappà, o no? Teng sett ott tuommn inda vaddt; teng pur o' trattor uttant cavall. Mo 'aggia pur fa o'second taglij r' fien. E nun v' mettit tatuagg e… scicquaglije, ca si jer' v' figlij a Ciggrndd' rov, v' aprjv o' cul a' uov!", (Cit. Ma non so di chi, e non è esattamente napoletano, sembra più un dialetto che si parla tra Cilento e Lucania)
My personal translation:
"Sono qui per dire al mondo intero che la modernità deve finire (perché dobbiamo tornare alla semplicità di una volta): andate a zappare la terra! Andate a falciare! Andate raccogliere spighe di granturco! Adesso è tempo di seminare fave; piantate i fagioli! Siamo in crisi: volete andare a zappare, o no? Ho sette o otto tomoli (misura agraria del sud Italia) di terra nella valle, ho anche un trattore da ottanta cavalli. Adesso devo fare il secondo taglio di fieno. E voi, invece di farvi tatuaggi e mettere orecchini (nel senso di piercing) e altre sciocchezze, dovreste pensare a trovare un lavoro serio, perché se foste stati figli a "Ciggrndd' rov" (un personaggio del posto che metteva i figli in tenera età a lavorare la terra) vi apriva il culo allo stesso modo di come si fa con un uovo!"
C'è la traduzione del napoletano/cilentano: che come passaggio, seppure ironico e strofottente, ha un valore "antilluminista".
- Marino Maiorino
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Re: Il cimitero delle vongole
avevo dimenticato un dettaglio sul personaggio che Citi (Ciggrnedd'rov'): il nome è la corruzione in Cilentano di Cicerenella, personaggio celebrato in molte musiche, poesie e opere teatrali comiche delle nostre parti.
Dovrebbe derivare da un personaggio della atellane: il kikirros, simile a un pulcino, e infatti c'è sempre stato un certo grado di ambivalenza tra Cicerenella e Pulcinella, come se i due personaggi si siano in tempi diversi e ripetutamente, distinti e poi fusi nuovamente.
Un saluto
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Tributo alla Space Opera
L'Animo Spaziale è un tributo alla space opera. Contiene una raccolta di racconti dell'autore Massimo Baglione, ambientati nella fantascienza spaziale. Un libro dove il concetto di fantascienza è quello classico, ispirato al Maestro Isaac Asimov. La trilogia de "L'Animo Spaziale" (Intrepida, Indomita e Impavida) è una storia ben raccontata con i giusti colpi di scena. Notevole la parentesi psicologica, in Indomita, che svela la complessa natura di Susan, elemento chiave dell'intera vicenda. "Intrepida", inoltre, ha vinto il primo premio nel concorso di letteratura fantascientifica "ApuliaCon 2006" (oggi "Giulio Verne"). I racconti brevi "Mr. Sgrultz", "La bottiglia di Sua Maestà" e "Noi, sorelle!" sono stati definiti dalla critica "piccoli capolavori di fantascienza da annoverare negli annali.
Di Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
Antologia visual-letteraria (Volume uno)
Collage di opere grafiche e testuali pubblicate sul portale www.BraviAutori.it
Il libro è un collage di opere grafiche e testuali pubblicate sul portale www.BraviAutori.it e selezionate tenendo conto delle recensioni ricevute, del numero di visualizzazioni e, concedetecelo, il nostro gusto personale. L'antologia non segue un determinato filone letterario e le opere sono state pubblicate volutamente in ordine casuale.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Dino Licci, Annamaria Trevale, Sara Palladino, Filippo C. Battaglia, Gilbert Paraschiva, Luigi Torre, Francesco Vespa, Luciano Somma, Francesco Troccoli, Mitsu, Alda Visconti Tosco, Mauro Cancian, Dalila, Elisabetta Maltese, Daniela Tricarico, Antonella Iacoli, Jean Louis, Alessandro Napolitano, Daniela Cattani Rusich, Simona Livio, Michele Della Vecchia, Giovanni Saul Ferrara, Simone De Foix, Claudia Fanciullacci, Giorgio Burello, Antonia Tisoni, Carlo Trotta, Matteo Lorenzi, Massimo Baglione, Lorenzo Zanierato, Riccardo Simone, Monica Giussani, Annarita Petrino, Luigi Milani, Michele Nigro, Paolo Maccallini, Maria Antonietta Ricotti, Monica Bisin, Gianluca Gendusa, Cristiana, Simone Conti, Synafey, Cicobyo, Massimiliano Avi, Daniele Luciani, Cosimo Vitiello, Mauro Manzo.
A Quattro mani
antologia di opere scritte a più mani
Una collaborazione, di qualunque natura essa sia, diventa uno stimolo, la fusione di peculiarità ben definite, la concretizzazione di un'intesa, la meraviglia di scoprire quel qualcosa che individualmente non si sarebbe mai potuta fare. È una prova, una necessità di miglioramento, il superamento dei propri limiti stilistici o di quei blocchi creativi che sovente ci pongono di fronte a un disarmante "foglio bianco". Gli autori di questa antologia ci hanno voluto provare.
A cura di Massimo Baglione.
Copertina di Antonio Abbruzzese.
Contiene opere di: Chiara Masiero, Mauro Cancian, Stefania Fiorin, Anna Rita Foschini, Ida Dainese, Alberto Tivoli, Marina Paolucci, Maria Rosaria Spirito, Marina Den Lille Havfrue, Cristina Giuntini, David Bergamaschi, Giuseppe Gallato, Maria Elena Lorefice.
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