Le ombre del passato
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Le ombre del passato
dimenticanza non è opera del tempo; è opera nostra, che vogliamo dimenticare
e dimentichiamo."
Benedetto Croce
"La memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano
possono ritornare."
Mario Rigoni Stern
“Su, Edoardo, sbrigati, lo spettacolo è già iniziato, santa pazienza!” Mi affretto su per le scale, tanto per cambiare sono in ritardo. Il parroco è invece già lì che mi aspetta sulla soglia del teatro, puntuale come sempre.
”Don Gabriele, mi scusi, sa, il traffico…”
“Non perdere altro tempo, su, andiamo a sederci in prima fila, abbiamo i posti prenotati. Che figure barbine mi fai fare!”
Percorriamo il corridoio centrale a larghe falcate, fatico a stargli dietro. Gran brava persona Don Gabriele, anche se a volte pecca di pedanteria. Che c’è di male a essere in leggero ritardo? E poi, nei confronti di chi mai dovrebbe vergognarsi? La sala è completamente vuota… Ma no, che cosa vado a pensare? Siamo immersi nella penombra, l’immaginazione a volte mi gioca brutti scherzi. Ecco, ci sediamo, ho ancora il fiatone, spero di riuscire finalmente a rilassarmi un po’.
La scena che appare sul palcoscenico è bucolica, dominata da una collina lungo la quale scorre un placido ruscello. Alcuni agnelli si fermano a bere l’acqua a fondovalle. Dal bosco in cima al colle esce un branco di lupi che, a loro volta, si dissetano sulla riva del fiumiciattolo. Gli attori sono ora immobili, come paralizzati. Fisso con attenzione la scenografia. Nonostante tutto sembri essere al posto giusto, ho la sensazione che ci sia un dettaglio mancante. Ma non saprei dire cosa… L’azione riprende. Un lupo dal pelo fulvo, verosimilmente il maschio alfa, si rivolge alle vittime predestinate: “Perché insozzate la nostra acqua?”
“In realtà è l’opposto”, balbetta un agnello con una vistosa chiazza scura sul dorso, “noi siamo a valle, voi a monte, voi state sporcando l’acqua che noi stiamo bevendo.”
Le fiere si guardano disorientate. Devono inventare qualcos’altro. “Sei mesi fa, avete ucciso un nostro compagno!”
“Ma sei mesi fa non eravamo ancora nati.”
“Allora i colpevoli sono i vostri genitori!”
Macchia Nera mormora con un filo di voce, quasi stesse parlando tra sé e sé: “Ma come avrebbero potuto fare del male a degli animali possenti e robusti quali voi siete? Noi non siamo provvisti di zanne e artigli, non abbiamo la forza per compiere simili atti.”
“Ah, maledetti, non solo vi approfittate della nostra benevolenza, ma continuate a farvi beffe di noi. Il vaso è colmo!” E, ululando, si scaglia contro gli agnelli, seguito dal branco. Le disgraziate bestiole scappano in modo disordinato, belando di terrore. Le belve sono scatenate, fanno strage di innocenti. Il sangue schizza ovunque, persino sulla platea. La rappresentazione è davvero realistica, anche troppo. Prima che cali il sipario, faccio in tempo a vedere Macchia Nera che si nasconde dietro un cespuglio, proprio mentre alcuni giovani virgulti vengono macellati senza pietà davanti a lui. Un luccichio sinistro gli balena negli occhi, il suo corpo è scosso da violenti sussulti, non capisco se stia fremendo d’orrore o di rabbia.
Di colpo è tutto buio. Ma ecco che subito gli attori escono fuori per essere omaggiati da un pubblico che non c’è. I primi si tolgono il travestimento da lupi: innanzitutto la pelliccia, poi gli artigli. Ora è il turno degli altri, che si svestono del loro vello e della loro mansuetudine. Rimangono nudi, spogliati delle maschere che indossavano fino a poco prima. Ora non c’è più nessuna differenza tra predatori e prede. Di solito, quando gli interpreti di una rappresentazione teatrale si congedano dal pubblico, sorridono gaudenti. Non è questo il caso. I loro volti esprimono tristezza e disperazione. Ciò che percepisco con più forza è un sentimento di vergogna. Gli uni per il male compiuto, gli altri per non aver avuto il coraggio di reagire fino in fondo alle violenze subite. Come la prassi vuole, si inchinano. Sempre di più, tanto da prostrarsi a terra, quasi stessero invocando il perdono di non si sa chi.
All’improvviso scoppia uno scroscio di applausi. La mia impressione iniziale era completamente sbagliata, il teatro è gremito fino all’inverosimile. Agli applausi si uniscono dei singhiozzi. O per meglio dire, si tratta di risate. Grasse risate. Mi guardo intorno: vedo uomini e donne vestiti con abiti sfarzosi e appariscenti: le taglie, tuttavia, sono smodatamente fuori misura, le fogge a dir poco pacchiane. Orologi d’oro e gioielli sbrilluccicano tutto intorno. Gli spettatori ridono e al contempo si ingozzano di una non ben definita sorta di cibo, che tengono dentro enormi sacchi di carta. Bevono champagne e ruttano, rivoli di bava, su cui galleggiano masse informi di boli masticati alla deriva, tracimano dalle bocche insaziabili, che detergono con le maniche della camicia. Sghignazzano, si guardano scuotendo la testa con un’espressione di disapprovazione, puntano il dito sul palco. Giudicano. Senza soluzione di continuità ridono, mangiano, bevono, sputano cibo e sentenze. Sgraziati, volgari e patetici nei loro abiti griffati.
Nel frattempo, sulla scena compare un figurante dalle sembianze demoniache. Ha un forcone in mano, le orecchie a punta, una lunga coda. Ma sembra più un personaggio da cartone animato che un diavolo. Si schiarisce la voce, fa una riverenza e poi, con una mano sul petto e una rivolta verso l’alto, in quella che probabilmente ritiene una posa da provetto oratore, declama: “Venghino, siore e siori, venghino, si appropinquino!” Non so per quale astrusa ragione, ma la prima cosa che mi viene in mente nell’osservarlo è il celebre manifesto dello zio Sam che, dito indice puntato in avanti, per generazioni ha richiamato i giovani americani ai doveri dell’arruolamento. I want you…
“Ecco a voi la tragicommedia ‘Lupi e agnelli!’. Ora potrete godervi una volta di più codesto meraviglioso spettacolo. Il protagonista è sempre lui, il mio eroe, l’essere che qualcuno che si reputa onnipotente ha battezzato come umano. Ma ritengo molto più corretto, data la realtà delle cose, definirlo essere disumano, ahr ahr ahr!” Abbandona infine il palcoscenico facendo ampie piroette e ridendo a crepapelle. Io mi metto comodo, potrò vedere la parte introduttiva dell’opera che, sulle prime, mi ero perso.
“Quel losco figuro, Lucifer, non solo ha scelto di stare dalla parte sbagliata del cielo, ma si crede pure simpatico. Che cialtrone! A proposito, Edoardo, ora non vedremo una replica dello spettacolo, bensì la continuazione”.
“Ma, don Gabriele, il satanas… ehm… Lucifer, ha detto che assisteremo nuovamente…”
Il sacerdote mi interrompe: “Shhhht, gli attori stanno per entrare in scena.” Sul proscenio appare un cartello: ‘Atto numero centomila.’ Desisto e rivolgo l’attenzione alla recita che sta per cominciare.
Siamo in una stalla. Macchia Nera è sdraiato a terra. Mostra una pancia molto gonfia, è una lei…. Poi buio. Viene illuminata un’altra sezione del palcoscenico, dove il lupo dal pelo fulvo vigila davanti alla sua tana, dentro la quale la compagna, a sua volta gravida, è in attesa di dargli un erede. Le cime delle montagne sono innevate. I riflettori mostrano ora entrambe le scene: è giunta l’ora del travaglio per pecore e lupi. Si odono dei gemiti inequivocabili, stanno venendo alla luce i figli, che però ancora non si mostrano agli spettatori. L’azione si velocizza, con i genitori che vanno e vengono per procurare il cibo ai loro discendenti. In alto si avvicendano più volte il sole e la luna, la neve sparisce dalle montagne. Sembra che sia arrivato il momento in cui i primogeniti faranno finalmente la loro comparsa. Ma come? Nei pressi della stalla appare un giovane lupo con un segno scuro sulla schiena, cosa ci fa lì? Le stranezze non finiscono qui: davanti alla tana fa capolino un agnello. Il quale, per giunta, è contraddistinto da una lanugine color rosso-marroncino. Da quando in qua questi docili animali sono dotati di un siffatto manto? Un angoscioso presentimento s’insinua dentro di me: che mostruosità, le pecore hanno partorito lupi e i lupi agnelli! I due futuri capibranco si uniscono a numerosi compagni di sventura, ciascuno, con le orecchie basse, prende posizione lungo il ruscello: chi in alto e chi in basso, in ossequio alla parte che la vita gli ha assegnato. Tutto si replica con le stesse modalità di prima, applausi e rigurgiti del pubblico compresi. Lucifer si ripresenta sul palco e, rivolgendosi agli attori, strilla: “perseverate gente, perseverate! A buon intenditore poche parole…” Poi saluta gli spettatori con un inchino e ribadisce: “perseverate gente, perseverate!” Improvvisa persino un maldestro balletto, sprizzando gioia da ogni poro gongola: “Uomo, quante soddisfazioni mi dai! Mi sento al settimo cielo, quello sotterraneo però, ahr, ahr, ahr!” Un ghigno beffardo si allarga sul suo volto, infine scompare.
Assisto a numerosi altri atti e, purtroppo, è sempre la stessa storia. Nessun figlio è capace di non ripetere gli errori compiuti dai padri, imprigionato in un ruolo a cui non riesce a sfuggire. Tutto gira secondo copione… Una serie incessante di massacri si compie davanti ai miei occhi. E, ogni volta, ho l’impressione che la scena sia incompleta, che ci sia un dettaglio erroneo, impreciso, fallace. Ma quale? Rimango immerso nei miei pensieri.
“Dimmi, Edoardo, è nato prima l’uovo o la gallina?”
Mi volto verso Don Gabriele: “Io… credo di non aver afferrato il concetto.”
“Scusa, volevo sdrammatizzare un po’, vista la tragicità delle vicende umane. Però la questione è seria. Qual è il significato della rappresentazione a cui abbiamo assistito?”
“Beh, la recita, esplicitamente ispirata alla famosa favola di Esopo, mostra come sia insito nel profondo dell’animo umano un’irresistibile propensione a prevaricare sui più deboli.”
Il parroco mi scruta perplesso. “Tutto qua? E poi, Edoardo, l’uomo ha sempre la possibilità di sottrarsi alle lusinghe del demonio, se lo vuole davvero, il suo destino non è già scritto, esiste il libero arbitrio, ficcatelo in testa. Cerco di aiutarti un po’. Secondo l’autore il bene e il male assoluto non esistono, almeno su questa terra. Non ci sono cioè i buoni e i cattivi, ma in ognuno di noi è presente, naturalmente in forme e proporzioni diverse l’uno dall’altro, sia il bene che il male. C’è chi darà più da mangiare all’agnello che è in lui, e chi più al lupo. Ma fai molta attenzione: ogni uomo sarà sempre e comunque un po’ vittima e un po’ carnefice…” Don Gabriele abbassa lo sguardo e si sfiora la barba con la mano, sembra riflettere su come continuare il discorso. Poi alza di nuovo gli occhi verso di me. “… Sai, pecore e lupi sono animali molto intelligenti e caratterizzati da una grande facilità di apprendimento. Fin qua il parallelo con l’essere umano funziona. Il punto è che, però, a differenza di quest’ultimo, sono entrambi dotati di ottima memoria… In tal senso lo sceneggiatore si è concesso una sorta di licenza poetica. Ora sforzati di dirmi qualcosa di meno banale e retorico. Pensaci bene.”
Scrollo le spalle, annuisco, anche se in maniera poco convinta: “Sì, è vero, nella storia i figli ricadono continuamente negli errori compiuti dai padri, e così i singoli uomini, così come interi popoli, si alternano nel ruolo di oppressi e persecutori. Ho trovato un po’ stomachevole, anche se al contempo interessante, l’espediente per rendere esplicito il concetto, con le pecore che generano lupi e viceversa…”
Una smorfia di stupore appare sul viso di Don Gabriele. “Cosa? Allora non hai capito un dannato accidente! E da dove nasce questa tua erronea, e aggiungerei balzana, interpretazione degli eventi a cui abbiamo assistito?”
Allargo le braccia in un gesto di impotenza, sembra quasi che debba giustificarmi per aver commesso un crimine… “Mi pare ovvio, no? Si è visto che dalla stalla, dove giaceva una pecora gravida, a un certo punto è uscito un lupo che, oltretutto, al pari della madre, aveva una macchia nera sul dorso, chiaro indizio di parentela tra i due, e poi l’agnello dal manto fulvo, guarda caso, proprio come quello del capobranco.”
Il sacerdote mi squadra con un’espressione di sfida: “Sicuro di non essere giunto a una conclusione un po’ affrettata? Te lo ripeto Edoardo: ne sei davvero certo?”
“Ma quel segno sulla schiena, e il colore del pelo…” Ripenso al momento in cui sono stati partoriti i figli dei protagonisti del primo atto a cui ho assistito. Di colpo il ritmo dell’azione è diventato incalzante, con il rapido susseguirsi di entrate e uscite dei personaggi dal palco. Forse mi sono fatto depistare da semplici coincidenze… Mi mordo un labbro. “No, non ne sono più così convinto.”
“Bene, è già un passo in avanti. Allora?”
Il terzo grado continua, mi sento sotto torchio… “Non so che dire. A questo punto, assurdità per assurdità, forse avrebbe avuto più senso se tutti i nascituri fossero stati cuccioli di lupo: in fondo, sono le sofferenze e le ingiustizie patite nel corso della sua esistenza che hanno ormai trasformato l’uomo in una belva assetata di sangue…”
“Sacripante! Quale oscenità è uscita dalla tua bocca!” Don Gabriele agita le braccia, è furibondo, raramente l’ho visto uscire dai gangheri, lui, di solito così equilibrato e misurato nelle sue manifestazioni esteriori. “Edoardo, se i padri si macchiano di un delitto, i figli non ne hanno alcuna colpa, non nascono con un secondo peccato originale, così come l’empietà non è qualcosa che si eredita nel proprio codice genetico, mai e poi mai… È questo riprovevole modo di pensare che ci continuerà a spingere verso interminabili e strazianti guerre nei confronti di coloro che reputiamo essere i portatori del male assoluto! Santa pazienza! Te lo chiedo per l’ultima volta: è nato prima l’uovo o la gallina?”
Rimango in silenzio, turbato da quella domanda apparentemente senza senso.
Don Gabriele tira un profondo sospiro, quasi fosse un insegnante che si arrende di fronte a uno studente dalla testa dura. “Va bene, rispondo io… Nell’intenzione del tragediografo, è nato prima l’agnello. Ma non inteso tanto e solo quale creatura innocente, ma come essere che non ha ancora dentro di sé il seme dell’odio. Sono le violenze subite nel corso della vita che contribuiscono ad accendere in lui un sentimento di rivalsa e di vendetta. E così tanti, troppi, si smarriscono per le vie del mondo e da agnelli si trasformano in lupi. La giovane fiera, che avevi scambiato per il figlio di Macchia Nera, era in realtà Macchia Nera stessa che, divenuta adulta, ha scelto di seguire la strada dell’oscurità. Per quanto concerne l’agnello dal pelo fulvo, avevi invece inteso correttamente, era il primogenito del lupo capobranco. Imprimiti bene il concetto nella testa: nasciamo tutti agnelli! Se poi, raggiunta l’età della ragione, ci allontaneremo da Dio, sarà solo ed esclusivamente una nostra decisione. Te lo ribadisco, Edoardo, esiste il libero arbitrio, benedetta pazienza! Certo, nei secoli tragedie e sofferenze si sono rinnovate senza posa, sembra davvero che il male sia destinato a prevalere, ma, forse, per l’uomo esiste ancora una possibilità di redenzione…”
Lo guardo sconsolato. “Ma di cosa sta parlando, Don Gabriele? Abbiamo assistito a una sfilza di atti e il finale è sempre stato il medesimo, l’uomo sconfitto da sé stesso…”
“Ogni volta che davanti a noi si consumava una barbarie, c’era un tassello mancante. Un particolare in apparenza insignificante, ma che, chissà, potrebbe salvarci dal tragico destino a cui stiamo andando incontro. Prima ti ho dato un esplicito indizio al riguardo.”
Ma guarda un po’, ogni tanto il mio sesto senso ne imbrocca una giusta… “Avevo intuito che ci fosse qualcosa fuori posto, ci ho riflettuto a lungo, ma non sono riuscito a darmi una risposta.”
Don Gabriele sorride malinconicamente. “Sul palco era assente la memoria del passato. È questa patologica amnesia collettiva che ci sta trascinando verso il baratro. Se non conosciamo la storia clinica del paziente, non potremo mai guarirlo dalle malattie che lo attanagliano. L’anamnesi, Edoardo, ci manca l’anamnesi del genere umano…”
Mentre lo osservo sempre più scoraggiato e smarrito, schiocca le dita. A tal gesto, repentinamente, si alza il sipario.
Presso il fiume, nulla di nuovo: gli aguzzini, in alto, affilano gli artigli, pronti a sfogare la loro ferocia, in basso le vittime sacrificali attendono, tremando, che si compia l’ennesimo massacro. Tutto a un tratto mi rendo conto che qualcosa è cambiato. Sì, è apparso quel dettaglio prima mancante. Volto la testa verso il parroco, “Don Gabriele, ma cosa…”.
“I fantasmi del tempo che fu…” Mormora, ma s’interrompe subito, troppo concentrato sullo svolgersi della recita. Alzo lo sguardo sul palco. In tutti gli atti precedenti i corpi degli attori non proiettavano alcuna ombra, malgrado i potenti riflettori accesi su di loro. Ora, invece, lunghissime e oscure figure si protendono sul fondale. La cosa bizzarra è che, nonostante gli interpreti dell’opera siano ancora immobili, le ombre hanno già dato inizio alla mattanza: sullo sfondo sagome tenebrose e sinistre ripropongono le tragedie del passato, sono gli spettri dei padri e delle madri che si palesano ai figli. Molti lupi assistono indifferenti allo spettacolo nello spettacolo, qualcuno ne è addirittura compiaciuto, altri sono confusi e perplessi. Gli agnelli invece si stringono affranti. Di punto in bianco le nere immagini scompaiono, ora tocca alle nuove generazioni tracciare la rotta del proprio destino…
Purtroppo, sorde ai richiami della memoria, le belve si scagliano con l’abituale violenza sugli sventurati. Alcuni di questi, invece di fuggire, restano addirittura impietriti, inermi e sottomessi, è evidente che hanno interpretato le visioni avute poco prima come una semplice profezia di ciò che sarà. Vengo pervaso da un profondo senso di sconforto: “Don Gabriele, davvero non c’è più speranza per l’uomo, la storia continuerà a ripetersi all’infinito…”
“Sicuro, Edoardo? Sembra che qualcosa sia mutato nell’animo di una parte, per quanto sparuta, dei nostri protagonisti…”
“Cosa intende?”
“Fissa la mente su ciò che vedi e dimmelo tu…”
Osservo con attenzione la scena, non noto nulla di diverso allorché, meglio tardi che mai, comprendo le parole della mia guida spirituale: non tutti i lupi si sono lanciati furiosamente all’assalto, alcuni si sono mossi con passo incerto, titubanti, indecisi sul da farsi. E quei pochi agnelli che credevo pietrificati dal terrore? Sono al contrario saldi nella loro posizione, schiena dritta e occhi fieri, puntati sugli avversari, decisi a resistere a qualunque costo. L’esito dello scontro è purtroppo scontato, il sacrificio di pochi, tuttavia, vale la salvezza di molti. Si susseguono altri atti, ogni volta, immancabile, appare sul fondale la macabra danza degli zombie, fino a quando, dopo l’ennesimo olocausto, gruppi ormai sempre più numerosi di pecore e agnelli tengono in scacco, con il loro sguardo pieno di biasimo, i pochi lupi che si aggirano spauriti e confusi, con la coda tra le gambe, per il palco.
All’improvviso Lucifer compare sulla scena, è rabbioso, tutti gli attori, buoni e meno buoni, cattivi e meno cattivi, fuggono terrorizzati: “No, poveri illusi, ciò non accadrà mai! Avete capito? Mai e poi mai!” Mentre urla, il suo corpo, a partire dalla testa, comincia a dilatarsi rapidamente, come se fosse un pallone gonfiabile che si sta riempiendo d’aria. Nel giro di qualche istante è già alto più di due metri. Punta il dito su don Gabriele, con gli occhi fuori dalle orbite e vomitando una bava giallastra e filamentosa, fatta di bile: “E tu, predicatore dei miei stivali, smettila con le tue spregevoli menzogne! Il male è dentro…” Il suo volto s’increspa in un ghigno raccapricciante “… Io sono dentro di voi fin dal vostro primo miserabile vagito! Sì, io, dote innata dell’uomo, la più straordinaria di cui egli possa fregiarsi! Ed è del tutto inutile che cerchiate di resistermi, l’istinto bestiale finisce sempre per prevalere sui vostri ipocriti scrupoli, voi, esseri fatti a mia immagine e somiglianza! Ahr ahr ahr!”
Mi sento scuotere una spalla, “Su, Edoardo, alzati, la commedia è terminata.”
Per un attimo mi sembra di non vedere più nulla, mi stropiccio gli occhi, mi aggrappo con una mano a una manica dell'abito talare, “Don Gabriele, mi dica che Lucifer mente, che c’è ancora almeno un barlume di speranza per l’umanità!”
“Lucifer? Ma che diamine stai farfugliando? Sacripante, non dirmi che ti eri addormentato! E io che ci tenevo tanto a farti assistere a questa rivisitazione della favola di Esopo. Edoardo, sei proprio irrecuperabile. Su, muoviamoci!”
“Ma…” Indico il palco, ma del guitto demoniaco non c’è più traccia. Gli attori stanno salutando il pubblico che, finito di applaudire, ordinatamente si dirige verso l’uscita, io e Don Gabriele ci accodiamo.
Appena giunti all’aperto il riverbero del sole mi abbaglia, alzo una mano per ripararmi gli occhi. Mi guardo intorno. Hanno avuto davvero una brillante idea a costruire il teatro sulla cima di questa collina, da qui si domina l’intera città, con un misto di ammirazione e di orgoglio osservo l’ansa del fiume che ne abbraccia il centro storico. Nell’aria si spande un intenso profumo di fiori di gardenia, respiro a pieni polmoni, mentre ascolto beato il cinguettio degli usignoli e lo scampanio domenicale, che dolci rumori…
All’improvviso odo il rombo di un tuono: ma come? Le previsioni davano per oggi bel tempo stabile… Mi volto indietro, in direzione di quel suono sinistro: sì, mi pare di scorgere delle nubi cariche di pioggia che si avvicinano. In lontananza il cielo si tinge di nero, quando una serie di lampi, come un immenso flash, accende l’atmosfera, rivelando ciò che si profila all’orizzonte: devastazioni, eccidi, atrocità di ogni genere, immense colonne di fumo che s’innalzano alte nel cielo. Si tratta tuttavia di immagini evanescenti, sfocate, dai contorni labili e tremolanti, a tal punto avulse dalla nostra quotidianità, che già non le vedo più. O forse sono io che, nell’aguzzare la vista, ho strizzato troppo gli occhi, fino a chiuderli del tutto. Di certo, c’è poco da stare allegri: proprio perché in apparenza lontane e inconsistenti, le ombre del passato incombono minacciose sui nostri destini.
- Marino Maiorino
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Commento
Il racconto si spiega da sé, e don Gabriele (il don Gabriele sognato) finalmente mette nella zucca di Edoardo ciò che il lettore deve capire.
La trama è felliniana, surrealista, grandguignolesca, ma alle volte è il modo migliore per comunicare qualcosa: disorientare totalmente il lettore per convincerlo a seguire il nostro filo conduttore.
Quello che però mi manca è la tua posizione: tu con chi stai? Al di là dell'ammonimento (le ombre del passato incombono sui nostri destini), tu che hai intenzione di fare? Per chi parteggi? Quanto ti ci vedi coinvolto? Anche perché persino don Gabriele e Edoardo assistono alla rappresentazione (seppure onirica, il che apre un divertente buco di trama: don Gabriele è del tutto innecessario, giacché il solo Edoardo ha sognato le millemila repliche della favola) e lì finisce: il pensiero finale di Edoardo resta una considerazione stimolata da una vaga impressione suscitata dal temporale incipiente, nulla più.
Anche il senso del racconto, di per sé notevole, mi pare estratto forzosamente dalla favola. Di fatto, servono innumerevoli "repliche" perché se ne intenda il senso, e lo stesso Edoardo viene bacchettato ripetutamente da don Gabriele prima che questo gli spieghi il senso della "recita".
Tra parentesi, un "don Gabriele" che è guida nei misteri della natura e del destino dell'uomo come un Virgilio per Dante.
Mi ritrovo così a mediare il voto tra ciò che "si lascia leggere" e "mi piace moltissimo", augurandoti di raggiungere presto quell'armonia che renderebbe racconti del genere degni di un Calvino.
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Re: Commento
Ciao Marino, è sempre un piacere leggere i tuoi commenti, sempre arguti e interessanti. Sarebbe bello potersi confrontare prima della stesura finale di un racconto, per raccogliere impressioni e suggerimenti degli altri Bravi Autori ma, evidentemente, per una serie di motivi, la cosa non è fattibile…Marino Maiorino ha scritto: ↑27/09/2022, 17:17 Mi è sempre difficile commentarti perché lavori su troppi piani contemporaneamente, sempre. Questa volta sono riuscito a individuarne un paio, e ho piacere di commentare.
Il racconto si spiega da sé, e don Gabriele (il don Gabriele sognato) finalmente mette nella zucca di Edoardo ciò che il lettore deve capire.
La trama è felliniana, surrealista, grandguignolesca, ma alle volte è il modo migliore per comunicare qualcosa: disorientare totalmente il lettore per convincerlo a seguire il nostro filo conduttore.
Quello che però mi manca è la tua posizione: tu con chi stai? Al di là dell'ammonimento (le ombre del passato incombono sui nostri destini), tu che hai intenzione di fare? Per chi parteggi? Quanto ti ci vedi coinvolto? Anche perché persino don Gabriele e Edoardo assistono alla rappresentazione (seppure onirica, il che apre un divertente buco di trama: don Gabriele è del tutto innecessario, giacché il solo Edoardo ha sognato le millemila repliche della favola) e lì finisce: il pensiero finale di Edoardo resta una considerazione stimolata da una vaga impressione suscitata dal temporale incipiente, nulla più.
Anche il senso del racconto, di per sé notevole, mi pare estratto forzosamente dalla favola. Di fatto, servono innumerevoli "repliche" perché se ne intenda il senso, e lo stesso Edoardo viene bacchettato ripetutamente da don Gabriele prima che questo gli spieghi il senso della "recita".
Tra parentesi, un "don Gabriele" che è guida nei misteri della natura e del destino dell'uomo come un Virgilio per Dante.
Mi ritrovo così a mediare il voto tra ciò che "si lascia leggere" e "mi piace moltissimo", augurandoti di raggiungere presto quell'armonia che renderebbe racconti del genere degni di un Calvino.
Venendo alla tua domanda, in merito alla mia posizione, io mi sento un po’ come Edoardo, un uomo che, per fortuna, non ha vissuto l’orrore della guerra ma che, per questo, come tanti della mia generazione, non conosce veramente il rischio di ripetere gli errori compiuti dai nostri avi. Nello specifico, in relazione a questo ma anche a tutti i dubbi e incertezze che caratterizzano la mia esistenza, da quanto sono entrato nell’età adulta, ho progressivamente maturato dentro di me il bisogno di avere accanto a me una guida, spirituale e non, che mi indichi la via da seguire, o quanto meno mi offra i suoi consigli quando mi trovo di fronte a un bivio. Non mi fraintendere: per fortuna ho una famiglia meravigliosa, dei buoni amici e dei buoni colleghi, però mi manca la vicinanza di una persona della statura morale di Don Gabriele… Il nome di questo personaggio è ispirato al parroco della Chiesa che frequentavo al tempo delle elementari, di cui, in verità, ricordo ben poco. Le caratteristiche del personaggio sono invece ispirate a Don Rino Breoni, che è stato mio insegnante di religione al liceo nonché figura di un certo rilievo nell’ambito ecclesiastico di Verona, la città dove vivo. Dopo il liceo ho avuto purtroppo poche possibilità di frequentare Don Rino, abitando io in un’area della città diversa da quella dove lui è stato parroco nei due decenni successivi (e anche per colpa della mia superficialità…). Ogni tanto sono andato a trovarlo, e ogni volta mi sentivo pervaso dalla sua saggezza e autorevolezza. Ora Don Rino ha ormai raggiunto i 90 anni, spero di avere l’occasione di rivederlo. E spero con tutto il cuore di conoscere un’altra persona come lui, chissà…
Per quanto riguarda le altre tue domande / obiezioni, le innumerevoli repliche (il primo atto a cui Edoardo assiste è già il numero centomila) non servono tanto per dare la possibilità a Edoardo di capire l’intreccio della storia (gli atti sono brevissimi e ripropongono sempre gli stessi identici eventi, fino a quelli dove cambia il finale), ma più semplicemente per simulare la storia dell’umanità che si ripete all’infinito (cambiano i personaggi, cambiano i contesti, cambiano i nomi delle guerre, per il resto non cambia mai nulla…).
Dimenticavo: sì, è vero, Don Gabriele non è necessario ai fini del racconto, ma è assolutamente necessario per me, in relazione a quello che ho scritto sopra. Fammi almeno sognare di averlo accanto a me… E grazie per aver letto e commentato il mio racconto.
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Re: Commento
Buongiorno Bladerunner,BladeRunner ha scritto: ↑30/09/2022, 17:56 Buon giorno Messedaglia.
Trovo interessante il senso onirico del racconto. Il messaggio svelato solo durante il sogno, o forse l'incubo (nel senso di incubus) visto la ripetizione forzata delle rappresentazioni, ha un approccio metafisico che mi ha ricordato tanto Jung quanto il metodo paranoico-critico di Dalì. La guida, assillante nel suo ruolo di mentore, ha ricordato anche a me il ruolo di Virgilio.
Il racconto, però, non mi risulta eccessivamente avvincente e scorrevole. In particolare, il prete mi crea fastidio, nel suo continuo anticipare domande che il lettore non si è ancora minimamente posto. Mi ricorda la noiosissima scena dell'architetto in Matrix 3, in cui si dà spiegazioni a domande che il fruitore dell'opera non si è minimamente posto, sino a quel momento. Credo ci sia un termine inglese che definisce questo concetto, ma non me lo ricordo assolutamente.
In ultimo devo dire che avrei preferito una punteggiatura più ricca e forse anche qualche descrizione più dettagliata.
Il mio giudizio si ferma ad un 3.
mizzega, non sei uno che le manda a dire, quindi innanzitutto ti ringrazio per l'onestà nell’esprimere la tua opinione. È il modo con cui è stata espressa che ha, secondo me, qualche difetto.
Hai trovato lo sviluppo della storia noiosissima: va bene, è il tuo giudizio, però non mi sembra giusto esprimersi così nei confronti di chi ha speso del tempo per scrivere un racconto e che ha provato (non dico che ci sia riuscito) a intrattenere chi ha avuto la pazienza di leggerlo. Io sono un novizio in questo campo, ho provato, pur partendo da un tema molto serio, ad alleggerire la trama per non renderla troppo pesante. Va bene, non ci sono riuscito ma, che dire, l’aggettivo noioso sarebbe stato magari più appropriato. Anche solo per una forma di rispetto.
Il prete ti ha dato fastidio: mi spiace, il personaggio che ho descritto è un pallido riflesso della figura a cui mi sono ispirato (e che ho descritto brevemente nella risposta al commento di Marino). Questo è un limite mio, cercherò di migliorare nel portare questo personaggio sulla scena. Ma ti assicuro, il vero Don Gabriele non ti avrebbe dato fastidio.
“ il prete mi crea fastidio, nel suo continuo anticipare domande che il lettore non si è ancora minimamente posto. Mi ricorda la noiosissima scena dell'architetto in Matrix 3, in cui si dà spiegazioni a domande che il fruitore dell'opera non si è minimamente posto, sino a quel momento. Credo ci sia un termine inglese che definisce questo concetto, ma non me lo ricordo assolutamente.”
Due minimamente: non mi riferisco all’aspetto stilistico, ci mancherebbe, lungi da me, anzi, con l’utilizzo reiterato di questi avverbi hai espresso in modo efficace il tuo punto di vista: ti invito solamente ad avere meno certezze e più ragionevoli dubbi quando esprimi un giudizio. Scrivi che vengono date “delle spiegazioni a domande che il fruitore dell’opera non si è minimamente posto”. Come fai a esserne così sicuro? E se magari anche solo lo 0,1% dei fruitori dell’opera si fosse posto quella domanda? Non sarebbe comunque degno di essere preso in considerazione?
Ti ringrazio infine per aver letto e commentato il racconto. Un paio di avverbi di modo e di superlativi assoluti di meno, e mi sarei limitato ai ringraziamenti finali.
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Ciao BladeRunner,BladeRunner ha scritto: ↑01/10/2022, 14:08 Ciao.
Perdona la mia franchezza, ma, visto che qui siamo chiamati a dare dei giudizi, non mi sono posto il dubbio di dover edulcorare il mio pensiero.
Ho visto, però, che mi sono espresso male e sono stato frainteso: non è don Gabriele in se a darmi fastidio, è il suo agire. Si vede che il don è descritto con amorevole ricordo e ciò stride ancora di più con il suo agire eccessivamente pedante.
Sono tutte mie opinioni, comunque. L'intervento in sé è una lunga opinione.
Come vedi, anche nel paragrafo qui sopra ho utilizzato "eccessivamente" perché fa parte della mia maniera di esprimere il mio pensiero. Se non credessi in ciò che dico, probabilmente userei termini che tradirebbero la mia incertezza.
Se rileggi il mio intervento, il termine "noiosissima" era riferito alla scena di Matrix, non al tuo racconto. Dire che me la ricorda, non vuol dire che sia altrettanto noioso, difatti sostenevo che "non mi (opinione personale) risulta eccessivamente (come sopra) avvincente e scorrevole".
Riguardo alle domande che il fruitore non si pone: credo che, se le spiegazioni non piovessero dall'alto, ma si portasse il lettore ad avere la necessità di avere delle risposte, funzionerebbe meglio.
Mi spiace non essere stato in grado di far passare il mio pensiero in maniera costruttiva. Lungi da me l'idea di essere un demolitore. A mio avviso il racconto ha un alto potenziale. Appena avrò tempo, dopo aver letto e commentato i racconti dell'autunno, voglio cercare e leggere anche altri tuoi racconti.
mi sono fatto un appunto, per serbarne memoria: Bladerunner a volte può sembrare rude nei suoi commenti, ma è solo il suo modo di esprimersi, con franchezza e sincerità.
Scherzi a parte, grazie per la tua risposta, l'ho molto apprezzata. E mi scuso anch'io, ho risposto istintivamente al tuo commento. E ribadisco, la tua sincerità è sicuramente un pregio. Mi sono segnato alcuni chiarimenti relativi al tuo commento precedente, cercherò di applicarli nei racconti che scriverò in futuro. E naturalmente spero di leggere presto qualcosa di tuo.
Ciao e ancora grazie.
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Un racconto didascalico il tuo col titolo che ritorna nel finale e sta a significare che gli uomini non imparano dai loro sbagli, dal loro passato. La narrazione è centrata sui due protagonisti, Edoardo e don Gabriele, i quali si incontrano per assistere a una rappresentazione teatrale che subito si rivela originale, una variazione sul tema si potrebbe dire, della favola di Fedro o Esopo. Il testo italiano è sempre ripreso da Fedro per inciso. La rappresentazione è originale in quanto potrebbe benissimo essere intitolata Le ombre del passato, ed è all'interno della rappresentazione che l'autore espone benissimo il proprio pensiero.
L'esposizione dei dialoghi, il battibecco tra don Gabriele ed Edoardo mentre si svolge la rappresentazione, invero pare un po' forzata, perché sembra prevalere l'intento dell'autore di esporre e spiegare il proprio punto di vista a discapito della storia in sé del Lupo e dell'Agnello per metafora e per realismo dell'incontro/scontro tra il maestro e il suo discente, tra Gabriele ed Edoardo, sicuro della propria dottrina il sacerdote, incerto e dubbioso l'altro. Forse questa opposizione la dovevi metter più in risalto perché ogni narrazione si nutre della contrapposizione. Manca a mio avviso una cornice narrativa solida in cui incardinare le tue considerazioni la quale possa anche mettere a tacere la mia coscienza, la sospensione del dubbio, l'antitesi tra realtà e rappresentazione. Alla fine credo che te ne sia accorto e tu abbia tentato un rimedio: in realtà nel finale si scopre che Edoardo a teatro si è addormentato e ha sognato ogni cosa nel modo in cui è stata narrata. Con l'ironica e onirica trovata del sogno provi non solo ad alleggerire l'incontro/scontro tra i protagonisti, ma a inserire il tuo pensiero in una cornice narrativa ricordandoti che il tuo è un racconto e non un discorso.
Bene, dunque. Con qualche accortezza il testo potrebbe funzionare molto bene e il mio giudizio è positivo.
Quanto alla sostanza del pensiero dell'autore, le ombre del passato, ne abbiamo già discusso in altra sede.
Io non sono un credente e quindi l'impostazione metafisica di un bene e di un male assoluto, come di un Dio buono e di un Dio cattivo che si oppongono e combattono mi è estraneo. Come mi è estraneo il concetto di male e bene relativo e di libero arbitrio. Di libero nella vita umana v'è ben poco a mio avviso. Non scegliamo se nascere cani o uomini o se non nascere affatto. Non scegliamo né il dove né il come né il quando. Neanche il perché e soprattutto il con chi.
Il libero arbitrio di un uomo del paleolitico superiore in cosa può accostarsi a quello di un uomo moderno? Non voglio entrare qui in diatribe infinite, ma mettendo da parte il concetto deterministico di un Dio che ci ha donato il libero arbitrio privandoci di ogni libertà, rimane il fatto della memoria come tu l'hai esposto. L'uomo non impara o sembra non imparare dal suo passato e quindi sembra costretto a ripetere in eterno i propri errori in uno stato quasi di coazione. È qui vive l'incontro scontro tra il sacerdote ed Edoardo. L'uomo di fede ripone la propria fiducia illimitata nella bontà divina, per cui il passato è peccato (cioè male), il presente è redenzione e il futuro salvezza (cioè bene). Edoardo si comporta da non credente. L'uomo per lui è irredimibile, è costretto a ripetere i propri errori almeno finché non si accorga che la storia, la storiografia, la Storia, può insegnargli la via giusta. Esiste dunque una speranza. Edoardo è un uomo moderno, e come tale solo in apparenza dissimile dal fedele Gabriele. Se l'uomo si comporterà rettamente, se studierà la storia, la storiografia, la Storia, per Edoardo l'umanità si potrà salvare. Capire i nessi di causa ed effetto porterà pian piano l'umanità sulla giusta via. È l'essenza del pensiero scientifico, mutuato da quello cristiano: il passato è errore, il presente è ricerca, il futuro è progresso. Il progresso come capacità di rintracciare i propri errori. Il pensiero scientifico è l'alter ego laico del pensiero cristiano, come la psicanalisi dove il passato è malattia, il presente è terapia e il futuro guarigione. O anche il comunismo, dove il passato è ingiustizia sociale, il presente è rivoluzione, e nel futuro regnerà la giustizia tra gli uomini.
I due protagonisti solo apparentemente sono il contrasto.
Io, ripeto, non credo che la metafisica sia una soluzione. Il futuro non è salvezza, non è speranza, non è guarigione, non è giustizia, non è progresso. Il futuro è solo il tempo che verrà. Non sarà un dio a cambiare la situazione, né la fiducia nella scienza storiografica o in qualsiasi altra scienza.
Quanto alla memoria. L'uomo sbaglia perché non ricorda o sbaglia perché vuole sbagliare? Perché in fondo ritiene che comportarsi in quella maniera ritenuta errore sia in realtà la via migliore per ottenere dei vantaggi? Chissà.
Senza considerare che religione, etica, morale, leggi, spesso creano dei microcosmi non comunicanti. Ogni luogo in ogni tempo fabbrica la propria idea del giusto e dello sbagliato. Vedi Russia e Ucraina ognuna incontrovertibilmente sicure delle proprie ragioni anche a costo dell'annichilimento totale.
E la memoria poi, è tutta uguale?
Una volta mi lamentai con un esponente delle forze dell'ordine del duro trattamento riservato ad alcuni giovincelli che facevano uso di droga quando venivano fermati per la prima volta. Mi rispose tranquillo, da uomo retto e giusto, che ricordavano meglio una buona legnata che mille prediche. La legnata era educativa, serviva a non farli sbagliare in futuro. O almeno era il miglior tentativo.
E forse anche questa è una parte di verità, esiste una memoria del corpo più efficace e immediata di quella formata e appresa per via culturale. Per ricordare bene devi farti del male insomma.
A rileggerti
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Re: Commento
Ciao Andr60,Andr60 ha scritto: ↑01/10/2022, 18:16 La vera caratteristica dell'umanità è la coazione a ripetere gli stessi errori, poiché da una generazione all'altra i ricordi delle tragedie diventano sempre più sfumati, per scomparire del tutto... fino alla tragedia successiva. Solo gli anziani (o meglio, i vecchi, in linguaggio non edulcorato dal politically correct) saggi potrebbero fornire una guida alle giovani generazioni, un modo per interpretare una realtà altrimenti caotica e ai più incomprensibile. Sarà per questo che vengono umiliati o, nella migliore delle ipotesi, ignorati dai media dei gggiovani?
già, bisognerebbe ascoltare di più le persone anziane, portatrici della memoria storica di una nazione…
Grazie per aver letto e commentato il mio brano. E a proposito, grazie per il link che hai inserito nella risposta al mio commento al tuo racconto, ho ritrovato un sarcasmo molto simile a quello che caratterizza le tue opere
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Re: Commento
Ciao Namio, grazie per la tua accurata e approfondita disamina.Namio Intile ha scritto: ↑10/10/2022, 17:34 Ad eundem rivum lupus et agnus venerant siti compulsi Superior stabat lupus longeque inferior agnus. È la versione di Fedro, mio padre me la recitava ogni mattina quando ero piccolo, e ho finito per mandarla giù a memoria.
Un racconto didascalico il tuo col titolo che ritorna nel finale e sta a significare che gli uomini non imparano dai loro sbagli, dal loro passato. La narrazione è centrata sui due protagonisti, Edoardo e don Gabriele, i quali si incontrano per assistere a una rappresentazione teatrale che subito si rivela originale, una variazione sul tema si potrebbe dire, della favola di Fedro o Esopo. Il testo italiano è sempre ripreso da Fedro per inciso. La rappresentazione è originale in quanto potrebbe benissimo essere intitolata Le ombre del passato, ed è all'interno della rappresentazione che l'autore espone benissimo il proprio pensiero.
L'esposizione dei dialoghi, il battibecco tra don Gabriele ed Edoardo mentre si svolge la rappresentazione, invero pare un po' forzata, perché sembra prevalere l'intento dell'autore di esporre e spiegare il proprio punto di vista a discapito della storia in sé del Lupo e dell'Agnello per metafora e per realismo dell'incontro/scontro tra il maestro e il suo discente, tra Gabriele ed Edoardo, sicuro della propria dottrina il sacerdote, incerto e dubbioso l'altro. Forse questa opposizione la dovevi metter più in risalto perché ogni narrazione si nutre della contrapposizione. Manca a mio avviso una cornice narrativa solida in cui incardinare le tue considerazioni la quale possa anche mettere a tacere la mia coscienza, la sospensione del dubbio, l'antitesi tra realtà e rappresentazione. Alla fine credo che te ne sia accorto e tu abbia tentato un rimedio: in realtà nel finale si scopre che Edoardo a teatro si è addormentato e ha sognato ogni cosa nel modo in cui è stata narrata. Con l'ironica e onirica trovata del sogno provi non solo ad alleggerire l'incontro/scontro tra i protagonisti, ma a inserire il tuo pensiero in una cornice narrativa ricordandoti che il tuo è un racconto e non un discorso.
Bene, dunque. Con qualche accortezza il testo potrebbe funzionare molto bene e il mio giudizio è positivo.
Quanto alla sostanza del pensiero dell'autore, le ombre del passato, ne abbiamo già discusso in altra sede.
Io non sono un credente e quindi l'impostazione metafisica di un bene e di un male assoluto, come di un Dio buono e di un Dio cattivo che si oppongono e combattono mi è estraneo. Come mi è estraneo il concetto di male e bene relativo e di libero arbitrio. Di libero nella vita umana v'è ben poco a mio avviso. Non scegliamo se nascere cani o uomini o se non nascere affatto. Non scegliamo né il dove né il come né il quando. Neanche il perché e soprattutto il con chi.
Il libero arbitrio di un uomo del paleolitico superiore in cosa può accostarsi a quello di un uomo moderno? Non voglio entrare qui in diatribe infinite, ma mettendo da parte il concetto deterministico di un Dio che ci ha donato il libero arbitrio privandoci di ogni libertà, rimane il fatto della memoria come tu l'hai esposto. L'uomo non impara o sembra non imparare dal suo passato e quindi sembra costretto a ripetere in eterno i propri errori in uno stato quasi di coazione. È qui vive l'incontro scontro tra il sacerdote ed Edoardo. L'uomo di fede ripone la propria fiducia illimitata nella bontà divina, per cui il passato è peccato (cioè male), il presente è redenzione e il futuro salvezza (cioè bene). Edoardo si comporta da non credente. L'uomo per lui è irredimibile, è costretto a ripetere i propri errori almeno finché non si accorga che la storia, la storiografia, la Storia, può insegnargli la via giusta. Esiste dunque una speranza. Edoardo è un uomo moderno, e come tale solo in apparenza dissimile dal fedele Gabriele. Se l'uomo si comporterà rettamente, se studierà la storia, la storiografia, la Storia, per Edoardo l'umanità si potrà salvare. Capire i nessi di causa ed effetto porterà pian piano l'umanità sulla giusta via. È l'essenza del pensiero scientifico, mutuato da quello cristiano: il passato è errore, il presente è ricerca, il futuro è progresso. Il progresso come capacità di rintracciare i propri errori. Il pensiero scientifico è l'alter ego laico del pensiero cristiano, come la psicanalisi dove il passato è malattia, il presente è terapia e il futuro guarigione. O anche il comunismo, dove il passato è ingiustizia sociale, il presente è rivoluzione, e nel futuro regnerà la giustizia tra gli uomini.
I due protagonisti solo apparentemente sono il contrasto.
Io, ripeto, non credo che la metafisica sia una soluzione. Il futuro non è salvezza, non è speranza, non è guarigione, non è giustizia, non è progresso. Il futuro è solo il tempo che verrà. Non sarà un dio a cambiare la situazione, né la fiducia nella scienza storiografica o in qualsiasi altra scienza.
Quanto alla memoria. L'uomo sbaglia perché non ricorda o sbaglia perché vuole sbagliare? Perché in fondo ritiene che comportarsi in quella maniera ritenuta errore sia in realtà la via migliore per ottenere dei vantaggi? Chissà.
Senza considerare che religione, etica, morale, leggi, spesso creano dei microcosmi non comunicanti. Ogni luogo in ogni tempo fabbrica la propria idea del giusto e dello sbagliato. Vedi Russia e Ucraina ognuna incontrovertibilmente sicure delle proprie ragioni anche a costo dell'annichilimento totale.
E la memoria poi, è tutta uguale?
Una volta mi lamentai con un esponente delle forze dell'ordine del duro trattamento riservato ad alcuni giovincelli che facevano uso di droga quando venivano fermati per la prima volta. Mi rispose tranquillo, da uomo retto e giusto, che ricordavano meglio una buona legnata che mille prediche. La legnata era educativa, serviva a non farli sbagliare in futuro. O almeno era il miglior tentativo.
E forse anche questa è una parte di verità, esiste una memoria del corpo più efficace e immediata di quella formata e appresa per via culturale. Per ricordare bene devi farti del male insomma.
A rileggerti
Tu come altri hai sottolineato la forzatura del dialogo tra il protagonista e il sacerdote. Con il senno di poi potevo concentrarmi nell'esporre la tragi-commedia dell’umanità sul palco, evitando le forzature che mi sono state obiettate. Sicuramente il racconto sarebbe stato più efficace. Ma quel dialogo, per quanto non così funzionale all’evolversi del racconto, serviva a me come percorso personale di crescita. Ho comunque compreso il problema di fondo, questo inquinamento provocato da pensieri e opinioni di chi scrive può rivelarsi disarmonico ai fini della narrazione. Magari in futuro cercherò di tenere (un po’) più a freno la mia parte personale, rimanendo più distaccato di fronte agli eventi raccontati.
Ancora grazie per le tue analisi, sono una fonte di apprendimento inesauribile!
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Re: Commento
Ciao Laura, grazie di aver apprezzato il racconto! Sì, ho affrontato dei temi impegnativi, che in qualche modo riflettono il caos interiore che sto vivendo, ora che mi sto piano piano avvicinando alla soglia dei cinquant'anni, sospeso tra l'ingenuità che ha caratterizzato la prima parte della mia esistenza, e l'acquisizione (almeno spero) di una visione più equilibrata e consapevole di tutto quello che mi circonda. Il problema è che, in questo processo, mi sento anni luce distante dal grado di maturità che avevano alla mia età i miei genitori, i miei professori, e più in generale tutti coloro che generosamente mi hanno offerto degli insegnamenti di vita... Ancora grazie e ciao!Laura Traverso ha scritto: ↑18/10/2022, 18:07 Ciao, sono rimasta sorpresa da questo racconto, scritto benissimo e denso di significati. Nel procedere nella lettura, nell'alternanza continua del bene e del male, nelle metafore comprese attraverso i dialoghi tra il sacerdote e Edoardo; il mio pensiero, a proposito di "non avere memoria" è andato alla nostra tragica e attuale situazione. Infatti come anche tu ben descrivi, l'uomo non impara mai dagli errori del passato e tende a ripetere l'orrore: mi riferisco, soprattutto, alle guerre. Il desiderio di dominio e prevaricazione sui più deboli è la causa del male nel mondo, è insito in una buona parte delle persone, da che mondo è mondo. In questo tuo racconto hai spaziato davvero su tanti temi fondamentali per l'essere umano: sull'esito e l'importanza della rivolta, sulla possibilità di cambiare il destino che sembra essere ineluttabile, sul contenere il male, sul libero arbitrio, sulle tante possibilità che ci vengono concesse, ma che alla fine... non impariamo mai! Bello anche il finale, inondato di sole, ma con all'orizzonte già nubi nere: il "buio" che avanza... Dal mio punto di vista il tuo scritto non è di immediata comprensione, ma dopo averlo inteso lo si apprezza molto. Bravo! Voto alto
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Commento : Le ombre del passato
Eliminarli tutti è impossibile, ma in alcuni casi?
Qualche esempio:
“l’essere che qualcuno che si reputa onnipotente” -- due in 4 parole
“Ma ecco che subito gli attori escono fuori per essere omaggiati da un pubblico che non c’è. I primi si tolgono il travestimento da lupi: innanzitutto la pelliccia, poi gli artigli. Ora è il turno degli altri, che si svestono del loro vello e della loro mansuetudine. Rimangono nudi, spogliati delle maschere che indossavano …
--- quattro in quattro righe
sia il bene e che il male. ---- sia il bene che il male.
depistare da delle semplici --- depistare da semplici
Tutto ad un tratto --- Tutto a un tratto
Noto una certa verbosità nello stile. Forse gli aggettivi sono troppi e tolgono spazio al libero intuito del lettore.
È un po’ il vizio di tutti noi scrittori “amatoriali” quello di voler spiegare tutto, senza immaginare che così facendo si rende il testo noioso.
Anche se doloroso, l’autore deve riuscire, nella rilettura, meglio se dopo una settimana, a mettersi dalla parte del lettore e vivere le sue emozioni.
Un esempio fra i tanti:
Vengo pervaso da un profondo senso di sconforto – perché non cambiare in un semplice: “lo sconforto mi assale”? lasciamo al lettore immaginarsi come sarà questo sconforto: profondo? Angosciante? Triste? Leggero? Deludente?...
Secondo esempio:
“da qui si domina l’intera città, con un misto di ammirazione e di orgoglio osservo l’ansa del fiume…” --- proviamo a scrivere, invece:
“da qui si domina l’intera città, osservo l’ansa del fiume…”
- abbiamo già detto che da qui si domina l’intera città, perché aggiungere dell’altro? Lasciamo sia il lettore a immaginarsi come sarà la vista della città dall’alto di una collina. È capitato più o meno a tutti d’osservare dall’alto una città, una pianura e chissà cos’altro, e ciascuno ne avrà ricavato le sue emozioni personali, lasciamogliele! Se le descriviamo pure come devono essere gli togliamo il piacere magari di un ricordo, di un suo momento particolare di vita vissuta, ecc.
Una mia banale osservazione sulla faccenda dei lupi e degli agnelli. I lupi mangiano carne, gli agnelli mangiano erba, e tutti e due devono mangiare per sopravvivere. I lupi a spese degli agnelli, gli agnelli a spese dell’erba del prato, è il ciclo della vita. Poi c’è l’uomo, e la faccenda peggiora, ma come uscirne?
“Ai posteri l’ardua sentenza” scriveva il Manzoni.
Onestamente non so che voto dare. La tentazione sarebbe quella di un 5 per il tuo coraggio nell'affrontare un tema filosofico di quelli tosti, ma correrei il rischio di inorgoglirti troppo. Mi limito, perciò, a proporti qualche mia idea, vedi tu se ti “ispira” o meno.
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Re: Commento : Le ombre del passato
Ciao Alberto,Alberto Marcolli ha scritto: ↑05/11/2022, 15:22 Ben 77 “che” in 280 righe – uno ogni tre righe.
Eliminarli tutti è impossibile, ma in alcuni casi?
Qualche esempio:...
sì, certo, le tue idee mi ispirano, grazie mille, anzi, a dir la verità speravo in tuo commento al mio racconto, le tue analisi dei testi in gara sono sempre molto interessanti e argute. So inoltre i temi che affronto non sono tra i tuoi preferiti, quindi grazie anche per aver speso del tempo a leggere il mio racconto, in futuro (non prestissimo) cercherò di scrivere dei brani meno fantasiosi e magari più vicini ai tuoi gusti...
77 che... Quando scrivo cerco di stare molto attento a non ripetere troppe volte gli stessi termini, è un mio pallino, ma di questo non mi ero minimamente accorto... 77 che sono troppi, e sono sicuro di averne abusato anche nei miei precedenti racconti, in futuro cercherò di starci più attento.
Quando scrivo spesso temo di non dare abbastanza dettagli e spunti al lettore, ma, effettivamente, c'è poi il rischio di cadere nell'errore opposto. Terrò ben presente i tuoi suggerimenti.
Grazie per aver individuato alcuni errori / refusi, li ho prontamente corretti.
Spero, se e quando, di rileggere ancora qualche tua analisi testuale dei miei brani (ma non solo, leggo con interesse anche i tuoi commenti ai racconti degli altri BA)
La Gara 21 - Lasciate ogni speranza, oh voi ch'entrate.
A cura di Conrad.
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La Gara 46 - Non più in vita
A cura di Ser Stefano.
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La Gara 32 - MOM - Storie di Madri (e figli)
A cura di Mastronxo.
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Déjà vu - il rivissuto mancato
antologia poetica di AA.VV.
Talvolta, a causa di dinamiche non sempre esplicabili, uno strano meccanismo nella nostra mente ci illude di aver già assistito a una scena che, in realtà, la si sta vivendo solo ora. Il dèjà vu diventa così una fotocopia mentale di quell'attimo, un incontro del pensiero con se stesso.
Chi non ha mai pensato (o realmente vissuto) un'istantanea della propria vita, gli stessi gesti e le stesse parole senza rimanerne perplesso e affascinato? Chi non lo ha mai rievocato come un sogno o, perché no, come un incubo a occhi aperti?
Ventitrè autori si sono cimentati nel descrivere le loro idee di déjà vu in chiave poetica.
A cura di Francesco Zanni Bertelli.
Contiene opere di: Alberto Barina, Angela Catalini, Enrico Arlandini, Enrico Teodorani, Fausto Scatoli, Federico Caruso, Francesca Rosaria Riso, Francesca Gabriel, Francesca Paolucci, Gabriella Pison, Gianluigi Redaelli, Giovanni Teresi, Giuseppe Patti, Ida Dainese, Laura Usai, Massimo Baglione, Massimo Tivoli, Pasquale Aversano, Patrizia Benetti, Pietro Antonio Sanzeri, Silvia Ovis, Umberto Pasqui, Francesco Zanni Bertelli.
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Bagliori Cosmici
la Poesia nella Fantascienza
Il sonetto "Aspettativa" di H. P. Lovecraft è stato il faro che ha guidato decine di autori nella composizioni delle loro poesie fantascientifiche pubblicate in questo libro. Scoprirete che quel faro ha condotto i nostri poeti in molteplici luoghi; ognuno degli autori ha infatti accettato e interpretato quel punto fermo tracciando la propria rotta verso confini inimmaginabili.
A cura di Alessandro Napolitano e Massimo Baglione.
Contiene opere di: Sandro Battisti, Meth Sambiase, Antonella Taravella, Tullio Aragona, Serena M. Barbacetto, Francesco Bellia, Gabriele Beltrame, Mara Bomben, Luigi Brasili, Antonio Ciervo, Iunio Marcello Clementi, Diego Cocco, Vittorio Cotronei, Lorenzo Crescentini, Lorenzo Davia, Angela Di Salvo, Bruno Elpis, Carla de Falco, Claudio Fallani, Marco Ferrari, Antonella Jacoli, Maurizio Landini, Andrea Leonelli, Paolo Leoni, Lia Lo Bue, Sandra Ludovici, Matteo Mancini, Domenico Mastrapasqua, Roberto Monti, Daniele Moretti, Tamara Muresu, Alessandro Napolitano, Alex Panigada, Umberto Pasqui, Simone Pelatti, Alessandro Pedretta, Mattia Nicolò Scavo, Ser Stefano, Marco Signorelli, Salvatore Stefanelli, Alex Tonelli, Francesco Omar Zamboni.
Le radici del Terrore
Antologia di opere ispirate agli scritti e all'universo lovecraftiano
Questa antologia nasce dalla sinergia tra le associazioni culturali BraviAutori ed Electric Sheep Comics con lo scopo di rendere omaggio alle opere e all'universo immaginifico di Howard Phillips Lovecraft. Le ventitrì opere selezionate hanno come riferimento la narrativa "lovecraftiana" incentrata sui racconti del ciclo di Cthulhu, già fonte di ispirazione non solo per scrittori affermati come Stephen King, ma anche in produzioni cinematografiche, musicali e fumettistiche. Il motivo di tanto successo è da ricercare in quell'universo incredibile e "indicibile", fatto di personaggi e creature che trascendono il Tempo e sono una rappresentazione dell'Essere umano e delle paure che lo circondano: l'ignoto e l'infinito, entrambi letti come metafore dell'inconscio.
A cura di Massimo Baglione e Roberto Napolitano.
Copertina di Gino Andrea Carosini.
Contiene opere di: Silvano Calligari, Enrico Teodorani, Rona, Lellinux, Marcello Colombo, Sonja Radaelli, Pasquale Aversano, Adrio the boss, Benedetta Melandri, Roberta Lilliu, Umberto Pasqui, Eliseo Palumbo, Carmine Cantile, Andrea Casella, Elena Giannottu, Andrea Teodorani, Sandra Ludovici, Eva Bassa, Angela Catalini, Francesca Di Silvio, Anna Rita Foschini, Antonella Cavallo, Arianna Restelli.
Special guests: gli illustratori americani e spagnolo Harry O. Morris, Joe Vigil and Enrique Badìa Romero.
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