Casa, dolce casa

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'estate 2024.

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Andr60
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Casa, dolce casa

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1.
Roberto aveva due passioni nella vita: i motori e le donne.
I modellini di automobili e motociclette lo estasiavano: da bambino, faceva i capricci e frignava finché il papà o la mamma, esausti, non cedevano e gli compravano l'ennesima macchinina di plastica o di latta, che dopo cinque minuti di gioco era invariabilmente rotta.
Capì presto che distruggere i giocattoli non era la scelta giusta, così cominciò a collezionarli: la sua cameretta si riempì di modellini, che la mamma si ostinava a mettere a posto e lui a seminare ovunque.
Poi, un giorno, smise di giocare con le macchinine e iniziò a guardare le ragazze; siccome non accadeva mai il contrario, attuò la consumata strategia della richiesta ostinata finché ottenne ciò che voleva: una motocicletta con la quale portare in giro le coetanee, che improvvisamente si erano accorte della sua esistenza.
Per tutto il liceo il ménage à troix funzionò una meraviglia: lui, una ragazza e il suo cinquantino; fu dopo il – sudatissimo – diploma che le cose improvvisamente peggiorarono; Roberto scoprì che il suo bolide non era più sufficiente; senza un'automobile, non avrebbe più battuto un chiodo, non avrebbe più intinto il biscotto, insomma era condannato a un'esistenza monacale.
Il padre, comprensivo, venne in suo soccorso: nonostante il ragazzo non avesse la minima voglia di continuare a studiare né di trovare lavoro, il genitore gli regalò un'utilitaria, dopo che Roberto ebbe ottenuto la patente.

2.
Certo, non era una fuoriserie né un suv: non aveva la minima possibilità di “adescare” modelle o ereditiere, né quella era mai stata la sua ambizione. Roberto sapeva bene di non essere né particolarmente bello né eccessivamente brillante, di non avere grandi possibilità economiche e di non appartenere a una famiglia benestante. Era semplicemente un tipo simpatico e abbastanza spigliato, e faceva sentire le donne importanti, desiderate. Come quando caricò Marina, una sua ex compagna di classe del liceo; non si erano mai frequentati all'epoca perché lei era legata ad Alex, il bello della classe.
Poi, come capita spesso, i due si erano persi di vista, a causa di interessi diversi; Alex era andato a studiare all'estero, Marina si era iscritta nella locale università.
Quella sera lei e Roberto si erano incrociati: lui la invitò a bere qualcosa e, forse complice qualche bicchiere di troppo, i due si ritrovarono avvinghiati l'uno all'altra sui sedili dell'auto. Scomodamente, peraltro: - E se ci mettessimo dietro? - propose lui.
Senza una parola, Marina lo trascinò sul sedile posteriore; sì, quell'utilitaria non era l'ideale ma serviva bene allo scopo. Grazie, papà. - disse mentalmente.
Con lei le cose sembrarono andare bene, per qualche mese. Ma erano troppo diversi: un aspirante medico che cosa avrebbe potuto trovare, in un partner “senza nessuna ambizione”, come Marina gli aveva detto, un giorno, quando Roberto gli aveva proposto di andare a vivere insieme?
In effetti il ragazzo un lavoro l'aveva anche trovato, ma senza i soldi di papà non si sarebbe potuto permettere il pagamento dell'affitto, e questo aveva fatto decidere alla studentessa che forse era il caso di troncare, e di cercarsi un altro spasimante.

3.
Roberto aveva incassato la notizia con classe, non aveva nemmeno alzato la voce. Forse, in cuor suo, si era reso conto anche lui che quel rapporto era senza futuro. Rimase seduto al volante della sua utilitaria, in silenzio, ripromettendosi di cambiare atteggiamento verso la vita.
Intanto aveva raggranellato qualcosa, e iniziò cambiando auto: passò a una vettura sportiva, una cabrio.
Una calamita per ragazze facili che non facevano troppe domande: meglio così, e comunque Roberto era diventato piuttosto bravo a raccontare balle.
Un giorno era il figlio di un industriale, un altro era un imprenditore del settore immobiliare o il responsabile dell'ufficio vendite di un centro commerciale, insomma tutto tranne che ammettere di essere solo uno studente venticinquenne di un master in telecomunicazione – iscritto con un diploma di laurea falso, acquistato al mercato nero.
Le ragazze ci cascavano, a queste fandonie, soprattutto quelle piene di piercing e tatuaggi che lui francamente detestava. Sembrava però che quella roba con la quale si deturpavano fosse un segno di
una personalità impulsiva, un'identità debole con un forte bisogno di accettazione, e questa era musica per le sue orecchie.
Finché conobbe Gessica.

4.
Non era un'ingenua né una fancazzista; aveva l'aria di saperla lunga, infatti lo aveva sgamato subito, quando lui come di consueto aveva cercato di fare colpo millantando mirabolanti posizioni lavorative – quello era il turno del direttore dell'ufficio marketing di una catena di supermercati.
In effetti, non era stata una mossa intelligente da parte di Roberto, visto che Gessica faceva la cassiera e conosceva bene – sicuramente meglio di lui – le strategie per invogliare il cliente all'acquisto, soprattutto dei prodotti che non aveva programmato di comprare.
Quando Gessica gli chiese dopo quanto tempo nell'azienda di Roberto avvenisse la rotazione dei prodotti negli scaffali – per evitare l'effetto abitudine, che fa acquistare sempre gli stessi prodotti ai clienti abituali – lui la guardò come un pesce lesso, e lei capì tutto.
Però, anziché mollarlo come sarebbe stato logico, accettò un altro appuntamento, e poi ancora. Sì, perché quella ragazza era davvero insaziabile, e conosceva un sacco di trucchetti che avrebbero fatto la gioia di chi avesse impiegato una lampada di Wood per scovare tracce di liquidi organici non visibili a occhio nudo, anche se Roberto era sempre attento a mantenere un certo decoro a quell'improvvisata alcova.
Tutto sembrava procedere a meraviglia, quando una sera un tizio grosso come un armadio si piantò davanti all'auto in sosta vicino al supermarket nel quale lavorava Gessica, in attesa della sua uscita.
Roberto scese dall'auto e chiese al tizio cosa volesse, e quello per tutta risposta gli sferrò un diretto alla mascella che lo mise k.o.
Prima di allontanarsi, gli mormorò: - Se ti vedo ancora vicino a mia moglie, ti ammazzo.
Forse non erano proprio le esatte parole, Roberto in quel momento era piuttosto intontito, ma il senso era piuttosto chiaro.
Cinque minuti dopo Gessica lo vide, seduto per terra contro una ruota anteriore della sua auto:
- Cosa diamine ti è successo?
- Ho avuto una discussione con tuo marito, - rispose Roberto, - è stata una rivelazione.
- Ah, l'hai conosciuto. - fece lei, – Scusa, avrei dovuto dirtelo; ci stiamo separando.
- Pare che lui non lo sappia, però.
- Lo sa, lo sa, ma non lo accetta. Ed è gelosissimo.
- … E pure manesco.
- Passa il suo tempo libero in palestra e prende delle schifezze, come si chiamano…
- Vuoi dire gli ormoni? Anabolizzanti?
- Sì, credo di sì. Comunque, da quando li prende, noi non…
- Sì, ho letto che hanno degli effetti collaterali spiacevoli. - ammise lui, che cominciava a capire. Se non posso averla io, non ce l'avranno neanche gli altri, ipotizzò Roberto tra sé. Una continua frustrazione per il marito, e anche per Gessica.

5.
Dopo aver troncato quella relazione con un sms, dimenticò in fretta Gessica. Esattamente cinque minuti dopo aver fatto amicizia con una partecipante del master, la figlia di uno dei docenti – un importante dirigente della TV commerciale – seppe quale poteva essere la propria strada.
Amanda era fantastica: bella, intelligente e spigliata, sembrava gradire la sua corte discreta. Roberto aveva sicuramente meno possibilità degli altri mosconi che le ronzavano intorno: non le poteva offrire né la settimana bianca a Cortina né il week end nella villa di papà in Costa Azzurra.
Soltanto un dopocena bollente sul sedile posteriore della sua cabrio – adeguatamente ripulito: la ragazza però, nonostante le apparenze, non aveva la puzza sotto il naso e lo gradì parecchio.
Forse aver sempre avuto a che fare con manichini ricchi e profumati anziché persone vere la indusse ad accelerare i tempi, e d'altra parte era anche ciò che Roberto aveva sempre desiderato. Dopo sei mesi si sposarono, nonostante le perplessità dei genitori di lei.
Dopo un anno di felicità, iniziarono le prime incomprensioni, i litigi per un nonnulla; nemmeno la nascita del piccolo Filippo riuscì a mitigare l'atmosfera, che si era fatta pesante.
Alla fine, scoppiò la bomba: un settimanale scandalistico pubblicò la notizia della laurea falsa del “delfino del direttore” – come ormai veniva definito Roberto, e tutto crollò.
Le sue dimissioni dalla carica furono solo l'anticamera del definitivo licenziamento, poi Amanda chiese il divorzio.

6.
Rovinato economicamente, senza un lavoro, senza casa e senza un'auto – la cabrio l'aveva venduta, il suv da ottantamila euro era rimasto a lei; non rimaneva che tornare, con vergogna e ignominia, dai propri genitori o, meglio, da mammà, visto che il padre era mancato da qualche anno. Meglio così, pensò Roberto, almeno mi sono risparmiato le sue occhiate alla “Te l'avevo detto”.
Ovviamente la madre fu ben contenta di riaverlo a casa, come tutte le mamme italiane d.o.c., e non fu nemmeno particolarmente insistente nel voler sapere i particolari della rottura con Amanda, cosa che fu molto apprezzata dal figlio.
Roberto però, al contrario di quanto si sarebbe aspettato, non si sentiva a proprio agio: non era solo la consapevolezza di essere un fallito su tutti i fronti, c'era anche una sensazione più sottile, un malessere interiore, il sentire un vuoto difficilmente colmabile. Non era la mancanza del figlioletto, che pur amava con tutto il cuore, tantomeno quella di Amanda, poi capì.
Il padre l'aveva ripresa, quando Roberto aveva acquistato la rombante fuoriserie, e non l'aveva più venduta; era lì, nel parcheggio condominiale, tutta impolverata, con l'aria di abbandono, visto che la madre non aveva mai voluto prendere la patente.
- La mia vecchia utilitaria, - le disse Roberto, indicandogliela dalla finestra, - perché non l'hai venduta?
- Che vuoi farci, è un ricordo di tuo padre, non me la sento di separarmi da lei. È come se lo vedessi, tutti i giorni, mentre la guida per fare un giretto veloce, o le cambia l'olio. A volte la spolvero, ma ricordo quanto ne fosse geloso…
Roberto scese in cortile e aprì la portiera. Immediatamente il sedile si adattò al suo fondoschiena; i ricordi si affastellarono nella sua mente, finché prese una decisione.

Sentì bussare al vetro della portiera. Con la manovella, lentamente lo abbassò: - Sì, che c'è?
- C'è una lettera per lei, sua madre mi ha detto che stava qui…
- Ah, sì, grazie. - rispose Roberto, ancora un po' assonnato.
- Mi scusi la domanda, - disse il postino, perplesso, - ma perché dorme qui, e non a casa sua?
- Perché la mia casa è questa. - rispose Roberto, punto sul vivo.
Namio Intile
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Un racconto questa volta lontano dai temi sociali a cui mi hai abituato e privo anche di quelle riflessioni (spesso condivise) sulla politica o sulla situazione internazionale. Qui il respiro si fa più minuto, provi a trattare di sentimenti, di disagio intimo, ma non solo quello a mio avviso. Per certi versi somiglia al racconto di Athos, una storia minima, una vita banale, un racconto qualunque. Il tuo protagonista vive la vita con apparente allegria e noncuranza, la sofferenza arriva nel finale. E si ritira, si rifugia nel luogo da dove è partito. Ma è davvero un ritirarsi? Io non lo avrei descritto come un fallito, sono sincero. In questo modo elimini ogni altra possibilità, costringi il lettore a seguire la tua scelta. Scrivendo fallito sembra quasi che non abbia avuto scelta, che sia stato costretto dalle circostanze a vivere in auto. Hai depresso il tuo protagonista. Ma è davvero così? La sua poteva, invece, essere una libera scelta, e nei fatti per me lo è. Quell'auto è il suo amore, forse lui non ha mai desiderato altro. Le donne, i soldi, il potere, la fortuna, forse valgono meno del senso di libertà che quell'oggetto, che si proietta forse verso l'immensità con le sue ruote e il suo motore, gli ha saputo offrire. Voglio dire, io preferisco pensare che la sua sia stata una scelta libera, non un ripiego dettato dalle circostanze: il divorzio, la perdita di lavoro, il fallimento esistenziale. Sceglie di andare a vivere in macchina non a causa del destino, ma spinto da una necessità intima, da un bisogno esistenziale. Dentro quella macchina lui è libero di sentirsi quel che è. Non è diverso dal mollare ogni cosa e andare a vivere in una barca a vela e fare l'eremita vagabondo.
Ma divago, un ottimo racconto.
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Yakamoz
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Messaggio da leggere da Yakamoz »

Ciao, Andr60 (sarò breve),


il testo è scritto in uno stile tragicomico, con alcuni cliché riguardanti soprattutto le figure femminili che appaiono un po' oche, superficiali e impersonali, ma comunque funzionali al tono ironico e sarcastico della storia. In "Casa, dolce casa" si affronta un tema antico come il mondo: il desiderio di mostrarsi (attraverso ciò che si possiede, è tra parentesi perché è scontato dirlo) "vanitosi/diversi/superiori" e la lotta con la propria "vera identità/inclinazione", vista la prima come esigenza/obbligo: sia da un punto di vista sociale, ma comunque intrinseca nella stessa natura dell'uomo. Il finale, con la reclusione in auto, evoca invece un senso di ritorno alle origini, a quello che si sente più intimo e personale, ma anche di rimpianto/riflessione per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Ottimo lavoro, Andr60.

Sono indeciso tra 4 e 5.

Tante belle cose,

Antonio

P.S. In una scala da 1 a 10 il tuo racconto è da 8,5 (8,5 ÷ 2 = 4,25).

Voto 4, cercando di essere il più obbiettivo possibile.

Una nota: l'aspetto tragicomico/leggero potrebbe non far emergere in modo chiaro il tema (leitmotiv) di fondo del racconto.
Andr60
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Re: Casa, dolce casa

Messaggio da leggere da Andr60 »

Cari Namio e Antonio, mi sono preso una vacanza dai temi soliti, cercando appunto di descrivere un tipico uomo senza qualità, superficiale e poco introspettivo. Dopo aver perso tutto, egli si rende conto che l'unico, vero amore della sua vita è quella piccola utilitaria, che lo aspetta nel cortile di casa. E come un ritorno nel grembo materno, vi si rifugia e non ne esce più.
Grazie dei commenti, tanti saluti e a rileggerVi
Maya Mazzaggio (quella vera)
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Messaggio da leggere da Maya Mazzaggio (quella vera) »

Il racconto mi ha rapita all'istante è stata una bella lettura...però non sono d'accordo su alcune cose.
Tu nel racconto dici che le persone vere non sono quelle ricche...e per questa cosa devo dissentire perchè non tutti i ricchi sono così.
Per me lui non doveva arrendersi perchè non è così che si vince i propri sogni.
Per me non doveva troncare Gessica per me era la persona giusta, va bene non ha detto niente sul divorzio...ma lui aveva fatto un cosa ancora più grave, aveva comprato un documento falso! Per me ci sarebbe stata la possibilità che i due potessero stare insieme.
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