Tonino mani di forbice

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'estate 2024.

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Athosg
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Tonino mani di forbice

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Tanti anni fa un pomeriggio di dicembre passai dal paese di C.
Una lunga via lo tagliava in due come una mela, svelando al suo interno un cuore pulsante ricco di bar e di negozi.
Guidavo a passo di lumaca nel traffico e il mio sguardo si soffermò su un negozio di parrucchiere. Fermo in colonna, calamitato da non so quale visione potei tranquillamente osservare questo piccolo cimelio d’antan.
La scritta di ferro sovrastante la porta parecchio scrostata riportava BARBIERE. Parcheggiai la macchina e andai a curiosare.
All’interno il locale era quadrato e spoglio. C’erano tre poltrone per il taglio e la rasatura, un piccolo tavolino, quattro sedie e una stufa all’angolo. A prima vista sembrava tutto misero ma, a un attento esame, il locale era completo; nel silenzio di quelle mura sembrava di udire una lingua eterna. Ciò che attirò la mia attenzione fu un seggiolino per bambini con la testa di cavallo cucita unendo un po’ di stoffa e con due bottoni al posto degli occhi. Una piccola scultura.
Mancava poco a Natale e volevo tagliarmi i capelli. Incuriosito, entrai.
Il locale era accogliente e un bel tepore si propagava dalla stufa a kerosene. Sugli specchi davanti alle poltrone c’erano dei bigliettini grandi come una mano con scritto buone feste. Gialli con le grechine trasmettevano un messaggio semplice, naturale e rassicurante. Il parrucchiere era un uomo di circa sessanta anni non molto alto con i capelli neri neri neri e il viso molto serio. Quando fu il mio turno, mi chiese come volevo che mi tagliasse i capelli. Gli risposi che li volevo corti.
Cominciò a lavorare di pettine e forbice, tic tic tic tic tic tititic titic titic. Era abile e minimalista nei gesti. Anche dietro la testa, all’attaccatura del collo, utilizzò sempre la forbice con il solito ritmo sincopato. Quasi al termine del lavoro prese un rasoio, lo intinse in un contenitore pieno di alcol e mi pulì con mano ferma la peluria dietro il collo e le orecchie. Poi prese una boccia di metallo e mi spruzzò sulla parte glabra una specie di profumo. La boccia era simile a quelle che si vedono nei film d Totò, un vero pezzo d’antiquariato. Per finire, dopo il borotalco, con gesto teatrale mi tolse il grande asciugamano che avevo sul petto. Mi alzai soddisfatto esclamando un “perfetto” che più perfetto non avrei potuto dire. I capelli erano proprio corti, ben segnati sulle tempie e ai lati e io ancora non sapevo che quello sarebbe stato il mio look per tanti anni a venire.

Dopo un mese ci ritornai. L’uomo non parlava molto. Seppi che si chiamava Tonino da un cliente suo amico. Per farla breve dico che per tanti anni i nostri dialoghi tipici si limitavano a “Buongiorno” quando entravo. Lui mi salutava con un cenno del capo e, se era il mio turno, m’invitava “siediti”. Una volta seduto lui sapeva già cosa fare ma io glielo dicevo lo stesso “corti corti”. Grugniva qualcosa e cominciava a tagliare. A volte tentavo un approccio, un qualsiasi tipo di dialogo. A volte mi ripromettevo di aspettare che fosse lui a parlare. Il silenzio era opprimente ma poi mi abituavo. Si sentivano il vociare dei passanti e il sordo rumore delle automobili inframmezzato al ritmo del tic tic tic tititic titic. Ero in un altro mondo. Una volta finito, dopo naturalmente aver esclamato il solito contento “perfetto”, pagavo e lo salutavo. Mentre chiudevo la porta un po’ difettosa, sentivo il suo piccolo grugnito. Uscivo sulla strada con il cuor leggero e una piccola malinconia.

Con il tempo imparai a conoscere la sua famiglia. La moglie, una bella donna calabrese dalla carnagione bianchissima, che gli portava il caffè e la pastiglia. Traspariva una grandissima gentilezza e un grande amore verso il marito. Con lei spesso venivano anche la figlia e il nipotino. Conobbi anche la clientela dalla varia umanità. Artigiani e pensionati abbastanza anziani, qualche ragazzo e alcune persone un po’ strane, di quelle che si vedono nei paesi, che sembrano aggressive e invece sono buone come il pane solo che hanno qualche rotella un po’ cigolante. Lui era sempre in piedi a lavorare, silenzioso, concentrato e spesso un po’ burbero. Non maleducato, diciamo un po’ sulle sue.

Con gli anni quest’uomo diventò più loquace e così scoprii alcuni particolari della sua vita. Arrivato ventenne dalla Calabria dapprima aveva lavorato in una grande azienda del paese, poi fece il corso di parrucchiere e aprì il negozio che era rimasto tale e quale a come lo vedevo io. Un brav’uomo, volontario nella croce rossa e fervente cattolico.

Intanto il tempo passava, lui invecchiava ed io diventavo grande. Parlavamo molto di più, di politica o delle cose in generale. Un giorno gli mandai anche mio padre. Ci andò un paio di volte poi, essendo anziano e il posto un po’ lontano da casa, non ci tornò più. Ma lui si ricordava sempre e tante volte mi chiese come stava il mio vecchio.

Un giorno lo tradii e andai da un altro parrucchiere; però, non fu per colpa mia. Era inizio agosto e lui si era preso due settimane di ferie per andare in Liguria, cosa molto strana per le sue abitudini. Dovendo anch’io partire per le vacanze dovetti ripiegare, senza soddisfazione, da un’altra parte.

A settembre ritornai e lo ritrovai sempre al suo posto e sempre sul pezzo. In quel tempo aveva un problema con il padrone di casa che voleva chiudere il contratto alla scadenza. Poi tutto rientrò, e fu una fortuna, perché se avesse chiuso, non avrebbe più riaperto in nessun altro posto. Una parte della clientela non c’era più perché passata a miglior vita, mentre la concorrenza dei cinesi era diventata troppo forte, applicava prezzi ridotti del 50%.
L’uomo però resisteva ed io resistevo con lui.

Un brutto giorno trovai il negozio chiuso. Non era periodo di vacanza, non c’era affisso nessun biglietto sulla porta d’ingresso. Cominciai a preoccuparmi. Avevo la netta sensazione che fosse successo qualcosa di grave. Andai nel negozio di fotografia vicino e il commesso confermò le mie paure. Il parrucchiere qualche giorno prima era stato male e un’ambulanza a sirene spiegate lo aveva portato all’ospedale. Sapevo che prendeva la pastiglia per tenere coagulato il sangue e speravo che non avesse avuto un problema cardiocircolatorio. Gli chiesi se era morto, l’uomo mi rispose che era intubato quando lo avevano portato via, ma poi non aveva avuto più notizie. Mi venne in mente una canzone di Guccini che canta “quando è stata l’ultima volta che…” e anch’io mi chiedevo se ci sarebbe stata ancora una volta che lo avrei rivisto.

La settimana dopo tornai e rividi il negozio chiuso. Ci tornai anche le settimane successive, era come una processione per ricordarlo, purtroppo senza novità.
Volevo andare dalla moglie, negli anni lo avevo visto sbucare con il suo passo svelto da una viuzza che s’immetteva nella grande via centrale, e più o meno sapevo dove abitava, poi però non feci nulla, e ancora oggi preferisco non saperlo, non sapere se è morto, non sapere se è rimasto offeso, non sapere se magari tutto si è risolto ed è solo andato in pensione.
Preferisco ricordarlo così, con tanto affetto, Tonino mani di forbice.
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