Kamikaze

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'autunno 2024.

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Letylety
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Kamikaze

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

“Evvai con I will follow!”
Kamikaze salì in macchina caricato a molla e la canzone degli U2 gli diede ancor maggior propulsione. Lo salutai dandogli il pugno, sentendo dentro di me un’immediata vibrazione di allerta.
Era un ragazzo che conoscevo a malapena giacché c’eravamo incrociati solo a qualche raduno musicale, parlando un po’ ma avendo sempre come riferimento Sghesch, il nostro amico comune.
Quando era fatto, e di testa e di vena era sempre fatto, Kamikaze parlava a mezza velocità con improvvisi rallentamenti, grattandosi ovunque e con l’abitudine fastidiosa di avvicinarsi all’interlocutore, come se dovesse confidare chissà quale segreto.
Quella sera ci ritrovammo noi due con l’unico obiettivo di sballarci.
Ero passato a prenderlo con la mia Uno grigio topo alle otto di sera. Abitava vicino alla Garbatella e lì intorno eravamo destinati.
“John, che facciamo? Mettiamo settantacinquemila per una grammata?”
“Roba o coca?”
“Roba, è più lenta a scendere.”
“Ok.”
Ci addentrammo nel quartiere e finimmo nella zona delle baracche. Una grande distesa di rifiuti ci accolse all’entrata per aprirsi su decine di case fatiscenti a uno o due piani. Era estate, il caldo umido puzzava di liquami e veleni, sentivo un sapore di ferro scendermi per la gola.
Parcheggiamo in una via con poco traffico e ci inoltrammo tra le case. Kamikaze conosceva qualcuno che ci avrebbe venduto la roba, senza farci un pacco, diceva lui.
Fuori da quelle stamberghe tante persone sedevano davanti a tavolini da campeggio, donne e uomini grassi e sudati.
All’inizio di quei fantastici anni ’80 la moda della dieta non aveva ancora fatto capolino e tutto era ruspante, anche il degrado.
Dopo un giro di perlustrazione trovammo l’aggancio. Era una donna sulla quarantina, corpulenta e piacente. Credo che facesse la vita oltre ad essere una spacciatrice.
Acquistammo la grammata mentre la tv urlava una puntata di Drive In.
Riprendemmo la macchina e ce ne andammo a un paio di chilometri da lì.
Ci fermammo sotto una pianta, tre parcheggi in tutto. Tanto silenzio e nessuna auto di passaggio. Qui la polizia non si vede mai, disse Kamikaze.
Lui tirò fuori una siringa e un cucchiaino dal cruscotto della macchina.
“Kami, è sporca questa siringa” gli feci notare.
“Sì, l’ho usata ieri sera.”
“Amico, io non la userei lo stesso, io preferisco pippare come sempre ma tu sei sicuro? Non ha qualche microbo?”
“Tranquillo.”
Presi la mia dose, molto meno della metà, feci una bella striscia sul libretto delle istruzioni della Uno, arrotolai un deca e feci una fortissima pippata che avrei potuto aspirare mezza spiaggia di Sabaudia. Al primo momento la sentii tutta nel naso poi lentamente scese e la sentii in gola. Era il momento più eccitante, dove la roba cominciava a entrare in circolo ed io mi sentivo calmo e leggero. Di lì a poco avrei cominciato a parlare come se avessi la sindrome di Asperger e a stupirmi per tutte le cose del Creato.
Lui si preparò una mega dose in due fasi, prese la siringa, tastò la vena e iniettò.
Subito il suo corpo ebbe uno spasmo poi si rilassò, tenendo sempre la siringa conficcata nel braccio.
La cosa non mi faceva particolarmente effetto perché ero un donatore di sangue, e l’ago che si utilizza per il prelievo è il quadruplo di una normale siringa da endovenosa. Però non mi piaceva vederlo così, inerte agli eventi e troppo fatto, pertanto la presi e con calma la tolsi dal braccio. Lì vicino c’era un cestino, presi uno straccio, ci misi dentro la siringa e il cucchiaino, e il tutto lo buttai dentro.
Kamikaze nel vedermi all’opera ebbe un primo attacco di nervi.
“Bastardo, cazzo hai fatto?”
Al primo momento rimasi basito, poi capii il soggetto e cercai di tranquillizzarlo.
“Kami, era tutto sporco. Per stasera va bene così.”
“Col cazzo, andiamo a comprarne ancora.”
Cominciai a capire che ero fottuto. A differenza mia che pippavo spesso ma poco, che assaporavo i cambiamenti dentro il mio corpo e li studiavo come un William Burroughs de noantri, lui ci affogava, non capiva nulla, voleva solo essere fatto, come se raggiungere quella specie di nirvana fosse la fine del viaggio. Per me invece il viaggio iniziava lì, volevo girare per Roma, parlare con la gente, magari bere qualche alcolico per gestire lo sballo senza esserne sopraffatto.
Mentre tergiversavo Kamikaze si calmò e cominciò a parlare del suo nuovo padre.
Io avevo sentito qualcosa da Sghesch ma feci finta di nulla.
“Tua madre è separata?” gli chiesi.
“Sì, ora il mio nuovo papà fa l’imprenditore. E’ ricco, ha un villone, e la mia camera è grande il doppio di dove abitavo prima.”
“Bello! E si accorge se vai a casa fatto?”
Kamikaze si stava grattando lentamente il mento.
Si avvicinò.
“No, ciao ciao e tutti a letto. Non ho molti rapporti.”
“Che ne dici se andiamo a bere una birra?”
“Prima andiamo a comprare un’altra grammata.”
“No Kami, io sono a posto e tu di più. Te ne ho anche lasciato un po’ della mia. Dai, andiamo a bere una birra.”
Continuava a grattarsi e a biascicare un po’ le parole. Sapevo che dovevo aspettare ma il rischio era di andare in giro con uno che sembrava uno zombie, con il rischio di non far nessun discorso e magari litigare. L’unico sistema era mollarlo.
“Ho rotto la macchina, adesso andiamo a casa mia, prendo i soldi e torniamo a prendere un’altra grammata.”
“Kami, forse è meglio che te ne vai a letto. Sei stravolto.”
“Cazzo dici.”
“Tienili per domani."
“Stasera” biascicò.
La situazione era critica e noiosa.
Alla fine acconsentii.
Uscimmo da quel parcheggio e riprendemmo la via verso la Garbatella. Lui con gli occhi semichiusi m’indicava il tragitto migliore con la mano malferma.
Finalmente arrivammo davanti a un grande cancello. Da fuori si vedeva un vialetto che serpeggiava tra gli alberi e, poco lontano, una grande casa a un piano. Sembrava bassa perché l’estensione dei locali era notevole. Era proprio un villone.
“Aspettami.”
Scese dalla macchina con passo pesante, figlio moderno di quella borghesia anni ’80. Mi dissi che io in quelle condizioni non sarei mai entrato a casa mia. Io ero più accorto, stavo attento nei rapporti con le persone, in primis i miei genitori, e poi non avrei gradito farmi vedere in giro in quelle condizioni pietose. Sapevo che la gente parlava di tutti e non sapevo cosa potessero dire di me. A Sghesch dicevo sempre che mentre tu cammini la gente ti osserva senza che tu te ne accorgi. Ero sicuramente sospettato, ma non lasciavo adito a nessuno di dire qualcosa perché ero controllato. Era difficile sgamarmi, William Burroughs docet.
Cominciai a pensare di andare via.
Kami per quanto simpatico non era uno dei miei migliori amici, e poi era anche un po’ un bambino dispotico, che voleva fare sempre di testa sua. Era un vinto, dietro la spavalderia, i muscoli, i vestiti alla moda si celava un vero e proprio kamikaze, uno che non ragionava molto, uno che voleva solo sbatter la testa, più forte era e più lui stava bene. Gli mancava una famiglia normale.
La sensazione di noia e di spalle al muro si amplificò nel giro di dieci secondi. Aria, aria, aria, volevo solo respirare il profumo della mia libertà.
Accesi la macchina e pigiai forte sull’acceleratore. Me ne andai via con tanti saluti a Kamikaze. Stavo bene, sarei tornato al bar vicino a casa e avrei trovato qualcuno con cui scambiare quattro palle.
Qualche tempo dopo incontrai Sghesch. Mi disse che se Kamikaze mi avesse trovato mi avrebbe riempito di botte. Lì per lì mi spaventai un pochino, poi a mente fredda mi dissi che il rischio di rincontrarlo non era molto alto e poi conoscevo i tipi come lui, una quadra l’avrei inventata.
Un anno dopo seppi che era morto di AIDS.
Mi dispiacque molto, perché Kamikaze in fondo era un buono, figlio di una società consumistica che inibiva la libertà di pensiero, compresso in una famiglia che non gli aveva insegnato nessun limite e nessun dovere. E lui, per stare al mondo, ci aveva messo poco di suo, ingenuo e inadeguato. Era troppo affezionato a quella scimmia che stazionava sulla sua spalla e grattava quando si sentiva trascurata. Sul filo sottile della vita non riusciva a stare in equilibrio, e non voleva cercare un’altra direzione. Non aveva capacità di soffrire il cambiamento, preferiva anestetizzare la mente invece di cercare nuovi stimoli.
RIP Kamikaze

C'è chi segue una religione
C'è chi insegue il primo milione
C'è chi insegue il suo grande amore
E c'è chi insegue la propria fine
La verità si può cambiare
La verità si può travestire
Mi dai la caccia
Nei miei occhi e quello che fissi
È la profondità degli abissi
(Manuel Agnelli)
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Marino Maiorino
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Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Ciao Letylety,
fai un quadro della Roma anni '80, una generazione che ha preceduto "La grande bellezza" che è poi diventata quella che dicono (o preferiscono tacere) le cronache, attraverso gli occhi di un "prudente" borghesotto, che si fa, ma con attenzione.
Il tuo racconto è ben scritto, ma a me è mancato qualcosa, forse il dramma, la tragedia. È poco sentita la fine di Kamikaze, come potrebbe essere qualcosa di accaduto a un conoscente alla lontana.
Non è necessario fare un dramma di tutto quello che si racconta ma, senza quello straziare di sentimenti, cosa resta del tuo racconto? Un vago avvertimento di fare attenzione a come ci si sballa?
E se non è questo, che volevi denunciare, ma magari l'atteggiamento disincantato, squallidamente passivo di una certa borghesia persino di fronte a tragedie del genere, dov'è allora la molla a rigettare tanta miseria morale? Dov'è una lezione alla Christiana F.? Questo racconto non mi sa nemmeno di necrologio.
Non lo so, probabilmente sono solo io che ho pretese assurde, ma credo che non siamo qui solo per fare esercizi di stile, o meglio, di buon scrivere. O forse, confesso un mio "difetto di fabbrica", è che comincio a temere le prime perdite di amici, e io sono uno che si attacca alle persone in maniera morbosa.
Insomma... https://allpoetry.com/No-man-is-an-island
A presto
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Vittorio Felugo
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Racconto "verista", di un epoca passata (ma ancora attuale). Kamikaze passa e va, si sente inutile e conclude in modo inutile la sua vita. Ci scorgo qualcosa di autobiografico, di vita vissuta che rende il testo molto sentito da parte di chi scrive.
Ho apprezzato la chiusura, con citazione di un testo di canzone (credo, confesso la mia totale ignoranza in materia): ci sta bene, è azzeccata. Opto per il 3.
Saluti
Vittorio
Yakamoz
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Messaggio da leggere da Yakamoz »

Il difetto principale di questo racconto è nella prosa eccessivamente legata a uno stile di scrittura "giornalistico", che allontana i personaggi dal lettore, rendendoli poco coinvolgenti. Frasi come: "Un anno dopo seppi che era morto di AIDS", suonano più come un trafiletto che come parte di una narrazione emotivamente coinvolgente. Si legge il fatto, ci si dispiace, e poi, voltata la pagina, quella tristezza svanisce.
Scrivere racconti con un dramma autentico non è semplice, perché non ci si può limitare "sinteticamente" a descrivere azioni e protagonisti che si autodistruggono; è necessario esplorare chi siano "loro" e quali siano le motivazioni che li spingono a intraprendere tali strade. E alla fine non bastano affermazioni del tipo:

"Mi dispiacque molto, perché Kamikaze era, in fondo, un buono, figlio di una società consumistica che soffocava la libertà di pensiero, cresciuto in una famiglia priva di valori e di responsabilità. Per cercare di adattarsi, aveva messo poco di suo, mostrando una certa ingenuità e inadeguatezza. Era troppo legato a quella scimmia che gli sussurrava all'orecchio, brontolando quando si sentiva trascurata. Sul filo sottile della vita non riusciva a mantenere l'equilibrio e preferiva non cercare nuove direzioni. Non era in grado di affrontare il cambiamento e sceglieva di anestetizzare la propria mente piuttosto che cercare nuovi stimoli."

Affermazione che risulta certamente vera e reale, ma troppo generica e potrebbe applicarsi a tanti come Kamikaze che, per volontà o destino, incontrano la loro "brutta fine". Sarebbe stato più fondamentale, invece, ritrarre Kamikaze per quello che era "LUI" come persona, anche nel suo processo personale di autodistruzione, per renderlo non solo riconoscibile, ma anche "vivo e autentico", evitando che diventasse alla fine solo semplicemente uno dei tanti nomi "quasi anonimi" scritti in un necrologio. Perché il buon cuore di un racconto, soprattutto drammatico, non sta solo nella storia, volendo pure efficace, ma più, ed essenzialmente, nel modo in cui si tracciano i personaggi.

Tante belle cose, Letylety

Antonio

Voto, 3/5: "Essendo un racconto abbastanza ben scritto nella sua costruzione narrativa, cioè per quanto riguarda la trama, ma troppo 'limitato e sintetico' nella sua visione e analisi dei personaggi. Belli i versi finali, insufficienti però a compensare quello che si è scritto prima."
Andr60
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Il racconto mi è piaciuto poiché, oltre alla scrittura ben curata, credo che da esso traspaia il carattere del protagonista. Non sono d'accordo con Marino Maiorino (al quale è mancato il dramma, nella storia raccontata): è proprio il fatto che non ci sia, questo dramma, che denota il modo di vivere di chi sta raccontando, che si droga, ma con moderazione, e che ha degli amici, ma nemmeno poi tanto. Uno che sembra surfare sulla vita.
Yakamoz
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Re: Commento

Messaggio da leggere da Yakamoz »

Andr60 ha scritto: oggi, 9:07 Il racconto mi è piaciuto poiché, oltre alla scrittura ben curata, credo che da esso traspaia il carattere del protagonista. Non sono d'accordo con Marino Maiorino (al quale è mancato il dramma, nella storia raccontata): è proprio il fatto che non ci sia, questo dramma, che denota il modo di vivere di chi sta raccontando, che si droga, ma con moderazione, e che ha degli amici, ma nemmeno poi tanto. Uno che sembra surfare sulla vita.
Andr60 e Maiorino, in realtà avete ragione entrambi. Dipende da come si osserva la storia: in modo personale (più immersivo) o da osservatore esterno (più distaccato).
Io non mi sono fatto condizionare dal giudizio di Maiorino, perché io sono uno "scrittore" – o pretendo di esserlo – di "drammi" e "tragedie", ma per me un dramma, o situazione contrastante, pur essendo condizionata dal contesto, alla fine va considerata sempre come un'esperienza unica e personale e va oltre il contesto. Nel racconto di Lety il dramma c'è, ma è raccontato e giustificato da una frase finale che può avere senso o non può averne affatto, e non è vissuto. Spero di essere stato capito (per questo prima ho scritto "scrittura da cronaca").

Ho scritto questa piccola cosa solo per precisare. Comunque è sempre soggettivo un giudizio, perché io non faccio il critico letterario. Racconta Geltri (togli la G e metti la F), quel giornalista, "simpatico" per certi versi, ma di cui io non condivido neppure una parola, che lui ha iniziato a scrivere sui giornali "come critico cinematografico", pur non essendo quella esattamente la sua "materia". La sua vera vocazione era ed è "addobbare vetrine di negozi".

Ciao, Andr60 :)
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Marino Maiorino
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Re: Kamikaze

Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Non mi dispiace se Andr60 scrive che la sua valutazione è diversa dalla mia, fa parte del "gioco". Al limite, posso essere contento per Letylety!
Voglio solo riprendere un tratto del mio commento che forse è sfuggito:
"E se non è questo, che volevi denunciare, ma magari l'atteggiamento disincantato, squallidamente passivo di una certa borghesia persino di fronte a tragedie del genere, dov'è allora la molla a rigettare tanta miseria morale?"
Cioè, avevo valutato la possibilità che il fulcro del racconto potesse essere proprio nella mancanza del dramma che nel dramma in sé, ma in tal caso mi è mancata la parte dove si sottolinea questa mancanza.
Di nuovo, il mio commento è solo espressione del mio gusto!
A presto!
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