La maschera di Hisashi.

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'estate 2024.

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Giovanni p
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La maschera di Hisashi.

Messaggio da leggere da Giovanni p »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

L'aria era umida, l’incendio appiccato tre giorni prima aveva avvelenato il vento trasformandolo in una piaga. Il castello di Kisame non esisteva più, i suoi decori, le sue porcellane e le sete pregiate erano andate in fumo, mangiate dalle fiamme di chi in una notte aveva distrutto un opera costata un centinaio di anni di lavoro e dedizione. I difensori non respiravano più, le cortigiane fuggite insieme ai dignitari avrebbero tentato la via della piaggeria con chi aveva vinto l’unica battaglia che aveva determinato la guerra.
La pioggia leggera che stava cadendo dal cielo avrebbe ridato splendore alla campagna nei giorni avvenire, portando via lutto e foschia.
Hisashi voltò le spalle al vento e Yoko lo imitò a sua volta, davanti a loro la strada si trasformava in un melmaio fatto di terra, rottami e armi abbandonate. Questo spettacolo pietoso si allungava per tutto l’orizzonte, ma per fortuna dietro tanto orrore iniziava la foresta dentro la quale la strada avrebbe continuato il suo percorso serena.

« Yoko muoviamoci.» disse Hisashi fissando gli alberi in lontananza « L’aria diventerà irrespirabile con tutti questi cadaveri.»

Hisashi respirò il profumo della cenere bagnata e sotto le nuvole grigie accarezzò Yoko, i suoi zoccoli presero a battere la terrà già resa polvere dal passaggio dell’esercito del daimyo di Kanagawa, il solito che il giorno precedente avevano decapitato i cadaveri dei difensori del castello. Questa macabra usanza era stata agevolata dal Hisashi che ve aveva già decapitati un trentina, ma da vivi.
Per Hisashi nessuna ferita, battaglia vinta, onore e oro.

«Yoko accelleriamo il passo, ti va?.»

L’asino puntò la foresta oltre il campo di battaglia senza però prendersi il disturbo di accelerare l’andatura.

«Appena arriviamo a Yoshino ci diamo una lavata e ci facciamo una bella dormita.»

Hisashi teneva più a quell’asino che a tutte le sue armi o i suoi titoli. Il peso dell’attrezzatura avrebbe spaccato la schiena a tre cavalli messi insieme, ma a Yoko no. Lui avrebbe potuto caricarsi sulla schiena non solo le armi di Hisashi, ma anche i tre cavalli con la schiena spezzata. Ad un certo punto, come sempre, Yoko si fermò. Hisashi prima si ammutolì, e poi rise carezzandolo.

«Già Yoko, hai ragione. »

Aprì il barile di legno che stava al fianco destro di Yoko, tolse il finto fondo coperto di foraggio e guardò se c’era.

«Grazie Yoko se mi dimentico di questa sono perduto.»

Dal fondo del barile una maschera di ferro lo stava fissando minacciosa. L’oggetto era pesante, ammaccato e graffiato in molti punti, ma di magnifica fattura, più di una volta aveva salvato la faccia di Hisashi nella baraonda della mischia. Quello era il volto del “kensai Hisashi”, leggenda vivente della spada, interprete massimo del no-dachi e del wakizashi.

«Ripartiamo è tutto a posto.»

Yoko aspettò che il suo compagno di avventure rimettesse tutto a posto, poi insieme, ripresero il viaggio. Hisashi, il povero venditore di foraggio, era pronto a godersi il viaggio verso il meritato riposo, mentre il “kensai Hisashi” dormiva sul fondo di una barile di legno.

«Yoshino ci piacerà vedrai, e poi abbiamo sgobbato tanto ci meritiamo un po' di riposo.»

Yoko scosse la testa senza fermarsi, la mano di Hisashi gli accarezzò il muso.

«Abbiamo anche qualche soldi da spendere, ad occhio e croce possiamo bivaccare per qualche mese.»

Yoko puntò il muso verso Hisashi e poi riprese la marcia.

«Lo so lo so... »

Yoko conosceva bene quel parolaio , ormai come la sua pelliccia.
Sulla sua groppa grava il peso di molti koku, tanti al punto di potersi comprare una proprietà con servitori e terre. Altro che bivaccare per qualche mese. Hisashi grazie ai suoi servigi in battaglia, era più ricco di qualche nobile.

«Però lo sai anche te, se smettiamo di viaggiare diventiamo pigri, e ci annoiamo. Se poi si sapesse il lavoro che faccio addio tranquillità. I mitomani di tutto il Giappone vorrebbero sfidarmi, e qualche puttana potrebbe ammazzarmi nel sonno.»

Yoko ragliò

«Si certo taglia pure, la fai semplice. Ma se perdi me perdi un amico, e chi perde un amico perde un tesoro. Anche perché preferisci viaggiare con me, o lavorare per qualche contadino che ti riempie di botte dalla mattina alla sera?»

Yoko marciava imperterrito

«Vedi come sei figlio di un asina! Quando ti fa comodo non ragli! »

Hisashi viveva in maniera umile, seguendo uno stile di vita errabondo, non solo per il piacere di farlo, ma anche per sicurezza.
Il suo nome come kensai era sulla bocca di tutti, e la sua testa valeva tanto oro quanto il peso di Yoko. Tutti volevano il kensai Hisashi, i nemici, i ruffiani, le donne e i poeti. Ma di quel guerriero si conosceva solo il suo volto di ferro, la sua Maschera di morte. Mentre la faccia bonaria di Hisashi, il venditore di foraggio, non attraeva donne né altro, ma regalava sia a lui che a Yoko una vita serena.

«Dai che Yoshino è sulla strada.»


Il campo di battaglia passò con i suoi miasmi e i suoi orrori, la serenità della foresta diventò il nuovo orizzonte.
Il cielo si stava riaprendo, i colori della natura si svegliarono, rendendo prepotente il verde ed esuberanti i fiori.
Hisashi si fermò a guardare il cielo frastagliato dalle foglie degli alberi.

«Un po' di sole in effetti non guasterebbe in effetti. »

Yoko si fermò improvvisamente, aveva sentito qualcosa. I suoi zoccoli si piantarono, le sue orecchie si irrigidirono. Hisashi, senza scomporsi, aprì la botte che conteneva il frumento e finse di controllare che il foraggio non si fosse inumidito. Le sue mani affondarono nel foraggio andando a trovare il manico della piccola spada nascosta nella botte.

«Tranquillo Yoko, ho capito che abbiamo visite.»

Potevano essere briganti, o forse dei ronin attaccabrighe, ma qualcuno c’era. Yoko, come sempre, se n’era accorto prima di lui.

«Te stai calmo, risolvo tutto io.»

Gli occhi piccoli come spilli di Hisashi erano persi nell’enorme occhio di Yoko. La sua mano sinistra impugnava salda la spada.

«Ehi tu col mulo fermati!»

Hisashi sorrise mesto, il solito brigante alle prime armi. Sospirò e si voltò.

«Ti ho detto di stare fermo.»
«Ma io sono fermo, solo che questo non è un mulo.»

Cercò di nascondere la meraviglia che gli brillava in volto, quello che aveva di fronte era qualcosa che non aveva mai visto. Poi lottò per non scompisciarsi dal ridere.

«Non sai chi hai di fronte, pezzente col mulo. Io sono il grande “kensai Hisashi”. Se vuoi la vita salva fai quello che ti dico!»

Un ragazzo dalla voce acerba e la corporatura slanciata si era piantato sul suo percorso. Aveva una spada sgangherata, probabilmente raccolta da qualche campo di battaglia o forse rubata, ed era vestito come i samurai che si potevano vedere nelle opere comiche dei teatri di campagna. Ma quello che faceva veramente ridere era la sua maschera, una caricatura in legno della maschera che Hisashi aveva dentro la botte.

« Certo signor kensai, farò tutto quello che vuole, ma sia buono per piacere. Io sono solo un povero venditore i foraggi per asini.»

Il ragazzo mascherato si avvicinò saltellando per l’emozione.

«Questo lo vedremo pezzente!»

Una volta lì sventolo la sua spada in faccia ad Hisashi, senza che questo si spostasse. La sua calma irrigidì il ragazzo mascherato, capì che doveva fingere di avere paura.

«Signor kensai la sua lama è così veloce che io stento a vederla, non mi faccia del male.»

Il ragazzo rimise la spada nel fodero e disse:
«Vedremo! Fammi vedere che cosa porti nelle botti.»

Hishasi le aprì e con le mani raccolse un po' di formaggio per mostrarglielo.

«Rovesciale.»

«Signor kensai, ma se le rovescio poi le dovrò raccogliere... »

Il ragazzo mascherato sguainò di nuovo la spada, e puntandola verso la faccia di Hisashi tuonò:

«Ho detto rovesciale!»

La spada del ragazzo passò dalle mani del suo padrone ad essere conficcata in terra. Senza che lo potesse seguire nei movimenti Hisashi aveva colpito la spada dal lato senza lama, con il palmo dall’alto verso il basso, così da disarmare il ragazzo.
Questo salvò la faccia solo grazie alla sua maschera di legno. Non ebbe il coraggio di dire nulla, aveva perso la sua spada senza nemmeno capire come.

«Signor kensai, un uomo come lei è troppo buono e nobile per derubare un poveraccio come me. Sono sicuro che il suo sia stato solo uno scherzo, un nobiluomo deve scherzare anche con la povera gente.»

Il ragazzo, che in quel momento brandiva l’aria, rimase in silenzio e poi rise sguaiatamente.

«Certo che è uno scherzo. Bravo non sei un citrullo come sembri. Sei fortunato, oggi il grande Hisashi ti ha fatto uno scherzo. »
Il vero Hisashi rise di gusto.

«La ringrazio per aver allietato il mio pomeriggio, nobile kensai.»
«Figurati pezzente. Addio.»

Il ragazzo trotterellò via, ma Hisashi lo fermò.

«Nobile kensai, dimentica la sua spada.»

Il ragazzo a testa bassa tornò per riprendersela, poi rise di nuovo in modo sguaiato.

«Era per vedere se facevi il furbo! Bravo sei salvo.»

Hisashi si inchino in maniera plateale, nel frattempo il ragazzo se n’era andato.
Che cretinata, pensò Hisashi, cercare di essere il “grande kensai”. Era incredibile che qualcuno volesse essere come lui, mentre lui indossava una maschera per fuggire da quello che in realtà era. Quel babbeo con la maschera di legno non aveva la minima idea di quanto quella maschera fosse pericolosa. Chiunque poteva essere il “kensai Hisashi”, chiunque poteva usurpare i meriti di quello vero. Bastava indossare a propria volta una maschera, ed il gioco era fatto. Questo lo fece sorridere mentre accarezzava dolcemente il suo Yoko.
Chissà quanti pazzi lo imitavano in tutto il Giappone?
Chissà quanti imbecilli, come quello scapestrato, si saranno cacciati nei guai indossando l’identità di un altro uomo?
Un uomo, in questo caso, che non indossa la maschera per intimidire gli avversari, o per costruire un mito, ma per proteggere la propria serenità.

La maschera serviva a proteggere la sua libertà. Un po’ come le ragazze che, coperte di trucco, elargivano piaceri di natura carnale ai propri clienti, ma che una volta struccate, tornavano ad essere delle normali ragazze.
In fondo lui era un po’ come loro, era la puttana del daimyo. Per lui uccideva decine di uomini, da lui riceveva ingenti somme di denaro per questo. Forse non era il massimo come lavoro, ma con una maschera sulla faccia poteva vivere da uomo libero.
Accarezzò Yoko è ripresero il cammino. Scosse la testa e rise di quanto accaduto col ragazzo mascherato, poi non pensò più a lui.
Mentre un passo alla volta camminava verso Yoshino pensava ai peschi in fiore, alle ragazze, alle taverne dove avrebbe bevuto e mangiato e al letto dove avrebbe dormito.
Non pensava neanche all’ultima battaglia combattuta, non aveva senso pensarci. Si era fatto onore, bastava quello. Ma i suoi pensieri gravitavano intorno ad un chiodo fisso che cercava non smuovere, ma intorno al quale i pensieri si incagliavano spesso.
Yoko lo sapeva, capiva che se il passo del suo compagno di viaggio si faceva più lieve anche lui doveva rallentare, aspettarlo e dargli il tempo di pensare.
Hisashi pensava alla maschera che aveva nella botte. Per quanto tempo quella maschera lo avrebbe potuto riparare dai rischi?
Per quanto tempo ancora quella maschera gli avrebbe garantito riservatezza e libertà?
Il Giappone è bellissimo da girare in compagnia di un asino, se si è un venditore di foraggio con un sacco di soldi a disposizione. Ma se si è Hisashi, il kensai Hisashi, no. Per quest’ultimo vuol dire dormire con gli occhi aperti. Accarezzando Yoko si perdeva nella natura bellissima, c’erano i fiori, gli alberi, l’erba e gli animali. Nella serenità poteva ammirare l’architettura della natura nelle diverse stagioni, sentirsi parte di quello che lo circondava. Poteva ridere della bellezza e amarla. Un kensai non può apprezzare tutto ciò, un albero è un insidia dietro la quale si può nascondere un tagliagole. Un cespuglio può essere il rifugio di una arciere. La notte non può essere fatta per ammirare le stelle.
Yoko ragliò dolcemente, svegliando il suo compagno di viaggio
.
«Hai ragione Yoko, penso troppo.»
La luce era cambiata, le ombre si erano allungate.

«Quanto abbiamo camminato Yoko? »

L’asino scosse la testa.

«Capito, ci fermiamo»

Nell’aria il suono dell’acqua che gorgogliava si percepiva a malapena, ma sia Hisashi che Yoko avevano le orecchie buone per sentirlo. Senza dire nulla entrambi si misero in direzione del fiume, che ad ogni passo, fece sentire più forte la sua voce. Ma c’era qualcosa che inquinava il rumore del fiume, sembravano bestie, ma poi avvicinandosi si rivelarono uomini.

«Calmo Yoko lo so.»

Yoko si era fermato assumendo una posizione minacciosa. A lui, come a Hisashi, non piaceva chi urlava.

«Tranquillo non ci hanno visti, ce ne andiamo.»

Ma Yoko non ne voleva sapere di muoversi, Hisashi poi capi il perché. Otto uomini urlavano mentre uno era steso a terra. Accarezzò Yoko, ed insieme si avvicinarono a quel gruppo.
L’uomo a terra era il ragazzo mascherato, era coperto di lividi e aveva le mani legate dietro la schiena. La sua maschera e la sua spada erano distese sull’erba.

«Altruista di un asino.»sussurrò nell’orecchio del suo Yoko.

Gli uomini in piedi erano armati con delle rozze naginata, alcuni avevano armature ammaccate, altri stavano a petto nudo facendo sfoggio delle loro cicatrici.Uomini rozzi, da prendere sul serio se si tratta di essere violenti. Gli uomini come quelli erano il serbatoio di carne da macello che ogni buon daimyo deve avere. Gente che quando non c’è da ammazzare in battaglia, ammazza comunque. Hisashi conosceva bene quel tipo di uomini, ne aveva uccisi talmente tanti da non ricordare più il numero preciso. Solitamente non erano grandi guerrieri, ma solo delinquenti. Né lui né Yoko erano in pericolo, ma il ragazzo a terra era nei guai. Sanguinava dalla bocca e dal naso, tremava e forse aveva anche qualche osso rotto.

«Nobili gentiluomini, avete bisogno di un po' di foraggio per i vostri destrieri?»

Lo sguardo degli uomini passò dal ragazzo all’uomo che si era palesato in compagnia di asino, questo si era portato a qualche metro di distanza senza che se ne fossero accorti.
Uno di loro si staccò da gruppo e dopo aver sputato per terra disse:

«Vedi dei cavalli pezzente? »

Hisashi si trattenne dal fare la faccia schifata, non gli piaceva chi sputava.

«No nobile signore. Ma posso chiederle cosa sta succedendo?»

A quelle parole lo sguardo del ragazzo mascherato incontrò quello di Hisashi, ma non aveva energie, non disse nulla e non fece niente.

«Abbiamo catturato il kensai Hisashi!»

«Mi complimento con voi, eroici signori. Quindi lo lascerete vivo fino a che non arriveranno i gentiluomini che hanno messo una taglia sulla sua testa, malgrado egli non sia un criminale.»

Questi risero tutti.

«Il pezzente col mulo ha voglia di scherzare.»

«Mai mi permetterei illustri signori.»

Uno di loro, il meglio agghindato, si avvicinò ad Hisashi, sputò a terra e ad un palmo dalla sua faccia disse:

«Noi ora taglieremo la gola a questo disgraziato, e porteremo la sua testa dove in cambio ci daranno l’oro che ci spetta. Se vuoi assistere fallo pure, ma fallo in silenzio, altrimenti stasera mangeremo carne di mulo.»

Hisashi allargò un sorriso ebete e rispose:

«Sicuramente lei, egregio signore, sarà troppo preso dalla situazione per essersi accorto che questo è un asino, e non un mulo. Tuttavia devo farle notare un’altra cosa, e questo nel suo interesse.»

«Parla pezzente.»

«Se questo signore non fosse chi dice di essere, voi non riscuotereste il vostro onesto lavoro. Avreste solo un povero diavolo sulla coscienza e nulla di più. Portatelo vivo, così che se fosse solo un mitomane, voi non sareste considerati dei sanguinari, ma uomini di valore, quali immagini sarete sicuramente.»

L’uomo allontanò la sua faccia da quella di Hisashi, sorrise, poi gli sputò in faccia.

«Te sei tutto scemo, va per la tua strada o prendo il mulo e te lo faccio mangiare.»

Hisashi non si mosse, poi il suo sorriso si chiuse mentre l’uomo tornava dai suoi compagni.

«Chi taglia la testa a questo deficiente?»

Tutti si misero a ridere, eccitati dall’idea, ma nessuno di loro in fondo aveva il coraggio di farlo, quindi nessuno si propose.

«Posso farlo io.»

A quelle parole tutti si voltarono verso il pezzente e il suo mulo, ma non c'era più né l’uno né l’altro.
Otto avanzi di galera avevano di fronte il kensai Hisashi, e il suo asino. La maschera di ferro sembrava puntarli tutti, mentre la sua spada sceglieva da chi iniziare.

«Ma allora...»

«Allora si.»

La lama scelse per primo quello che aveva spuntato in faccia ad Hisashi. La testa di questo schizzò in aria senza che l’osso del collo interrompesse minimamente il lavoro della lama. Iniziò a contare.
Gli altri piombarono nel panico, chi fece cadere l’arma a terra, chi urlava e imprecava. La testa che era volata in aria rotolò fino a finire sulla faccia del ragazzo mascherato che iniziò ad urlare come un pazzo dimenandosi.

«Sedici.»

Aveva smesso di contare, gli uomini a terra da lì a poco avrebbero smesso di respirare.
Yoko ragliò, Hisashi tolse la faccia del decapitato dalla faccia del ragazzo mascherato.

«Allora kensai?»

Il ragazzo mascherato non rispose, era messo troppo male. Hisashi lo slegò, aveva un braccio rotto e la bocca impastata di sangue.

«Ringrazia il mio asino piccolo casinista, ora ti curerò e ti porterò con me. Poi vedremo »

Yoko scosse la testa come se volesse ridere.
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