Inesistente
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Inesistente
Amintore si svegliò con la sensazione di essere svuotato.
Testa confusa, membra intorpidite, voglia di fare: zero.
Non era la prima volta che gli capitava una cosa del genere, ma questa mattina la sensazione era più acuta che in passato.
Si produsse in due flessioni di numero, giusto per saggiare la consistenza dei muscoli delle braccia. Quando si rimise in piedi aveva il fiatone. Sbuffò, perplesso, e raggiunse la cucina strascicando i piedi. Aprì il frigorifero e sollevò la bottiglia dell’acqua con sforzo superiore al previsto. Bevve, ma non provò alcun ristoro. In genere l’acqua gelata e gassata gli dava una sferzata d’energia. Poggiatosi al frigorifero, vide un biglietto sistemato al centro del tavolo, in posizione strategica. Per un attimo, a dire il vero, gli era sembrato che il biglietto fluttuasse in aria, ma poi constatò che era solo un’impressione causatagli dalla sua vista ancora annebbiata dal sonno. Lo prese in mano e cercò di leggere quello che vi aveva scritto. Doveva per forza averci scritto qualcosa – altrimenti che senso avrebbe avuto lasciarlo in bella vista sul tavolo? Lasciare un biglietto bianco sul tavolo per la mattina seguente non rientrava tra le sue abitudini di vita. Inoltre ricordava, vagamente, di avere preso una penna, la sera prima, e di avere scritto un messaggio per se stesso su quel biglietto. Eppure ciò che aveva sotto gli occhi era proprio un biglietto bianco. Sì, insomma, sopra non c’era scritto un bel niente. Niente di niente.
Strano, considerò mentalmente Amintore. Era troppo fiacco per riuscire a formulare un pensiero più lungo e articolato. In certi casi, d’altronde, bisogna sapersi accontentare. Tuttavia la spossatezza non gli impedì di ricordare, infine, il messaggio che il biglietto avrebbe dovuto riportare.
Telefonare Davide. Questo doveva fare. Ad essere sincero, non ne aveva alcuna voglia. Il solo pensiero di sollevare la cornetta e comporre il numero lo accasciava. E che dire del fatto che, poi, avrebbe dovuto parlare? Tra l’altro non capiva per quale motivo era necessario che telefonasse a Davide alle ore tot della mattina. Eppure un motivo – e di una certa importanza, anche – doveva pur esserci. Altrimenti ( ribadì mentalmente Amintore) perché il biglietto?
Con l’andatura stracca che lo contraddistingueva (e che oggi, però, era più accentuata del solito) avanzò verso il telefono, ansimando. Siccome non riusciva a ricordare il numero di Davide, decise di cercarlo sull’agenda. Imprecando e sudando, la trovò infine sotto una pila di libri tra i quali anche tre pesantissime guide telefoniche. Sfogliandola, sbalordì, rimanendo a bocca aperta dinanzi alla successione di pagine desolatamente vuote. D’accordo, pensò Amintore, non sono mai stato tipo da agende fitte, stracolme di numeri e indirizzi, ma così mi pare un’esagerazione.
Era sicuro di averne avuti di più; pochi, ma di più.
Ne erano rimasti tre. Tra questi, per fortuna, anche quello di Davide, che però stava scomparendo poco a poco. Amintore non diede troppa importanza a quello strano fenomeno, reputando che fosse dovuto – forse - ad un inchiostro scadente, e si concentrò invece sull’impresa, quanto mai impegnativa, di sollevare la cornetta del telefono. Dovette impegnare entrambe le mani per riuscirci, poi un ulteriore sforzo si rese necessario per comporre il numero. Non aveva ancora finito che una voce femminile registrata lo redarguì.
“Telecom Italia, informazione gratuita: attenzione, il numero selezionato è inesistente.”
Amintore scrollò la testa, convinto di aver sbagliato nel premere i tasti. Non era la prima volta che gli capitava di formare un numero inesistente, certo, però solo ora si soffermò a chiedersi quanti (diavolo) di numeri che non esistono potevano esserci, e quanti con cifre simili a quelle che compongono il 5756863.
Probabilmente molti più di quanto credeva. Ripeté l’operazione con più calma.
“Telecom Italia,” ripeté la voce registrata. “Informazione grat… “
Riattaccò senza darle il tempo di concludere. Per un istante cercò di immaginarsi come poteva essere la donna alla quale apparteneva la voce, ma non riuscì nel suo intento. Davvero non si era mai sentito così privo di forze. Imprecò, però solo con il pensiero per non sprecare fiato. Possibile che avesse sbagliato di nuovo a comporre il numero? Considerato il suo stato, ammise che era molto probabile.
Premendo un tasto ogni due lunghi respiri, ritentò di mettersi in contatto con Davide. Questa volta non attese neanche che la voce pronunciasse la sigla Telecom. Se avesse dovuto dire Sip, non ci sarebbe riuscita comunque. Delle due l’una, pensò Amintore: o Davide aveva cambiato numero da un giorno all’altro, oppure lui continuava imperterrito come un imbecille a sbagliare nel premere i tasti. Siccome la prima ipotesi era poco probabile – per non dire impossibile- restava la seconda. Poiché però Amintore non aveva alcuna intenzione di riprovare – oggi non è proprio giornata, rifletté – decise che era meglio lasciar perdere. Ragionò che, d’altronde, le dita per fare il numero ce le aveva anche Davide. Fu solo a questo punto che fece un allucinante scoperta: il dito mignolo della sua mano destra era sparito. Non restava nemmeno un moncherino, come era successo a suo nonno quando si era tagliato il pollice con la sega elettrica. Il mignolo, semplicemente, non esisteva più. Come potesse essere accaduto, non riusciva a capirlo. Ora, provate a mettervi nei panni di Amintore. Se vi trovaste con un dito di meno così, improvvisamente, vi chiedereste forse: “Com’è possibile”? Sì? Bé, Amintore invece non se lo chiese o, perlomeno, non stette lì a chiederselo più
di tanto. Per lui la realtà era ciò che vedeva nel preciso momento in cui guardava; se la realtà, fino a pochi istanti prima, contemplava un Amintore con dieci dita – tra queste due mignoli, adesso era leggermente mutata, e prevedeva un Amintore con nove dita e un solo mignolo.
Certo, Amintore sudava freddo mentre, gettatosi carponi, scrutava tutt’intorno nella speranza di scoprire che il mignolo era caduto a terra, finendo magari sotto la libreria o, chissà, addirittura nel portaombrelli.
Speranza vana. Non lo trovò ma, rialzandosi, si accorse che nel frattempo era sparito anche l’anulare della stessa mano. Dissolto nell’aria.
“Cazzus,” esclamò Amintore, non proprio sbalordito ma quasi.
In quel momento squillò il telefono.
Amintore sbadigliò e tirò su col naso. La testa gli doleva mentre sollevava la cornetta, ed ebbe anche un capogiro. Gli parve di perdere l’equilibrio, ma si trattò solo di una sensazione passeggera. Però si rese conto che un altro dito era scomparso: il pollice della mano sinistra. Appoggiatosi la cornetta all’orecchio, disse:
“ Pronto.”
Si aspettò di sentire la voce di Davide che gracchiava “ Ué, come va?”, o qualcosa del genere, invece fu una donna a parlare.
“C’è Rita?” chiese.
“No,” rispose Amintore, registrando un nuovo dito sparito. “ Qui non c’è nessuna Rita.”
“Ah,” commentò la donna, poi aggiunse delle scuse frettolose e riattaccò.
Lo stesso fece Amintore, che intanto teneva d’occhio le dita rimaste – solo tre, ormai – nella speranza, alquanto morbosa, di assistere alla sparizione dell’ottava. In effetti sembrava proprio che le dita, dispettose, facessero apposta a volatilizzarsi ogni qualvolta lui si distraeva. Va detto che Amintore non si preoccupava più di tanto del fatto che tra poco non avrebbe posseduto un solo dito. Le cinture di sicurezza della sua mente erano già state allacciate e dunque se doveva succedere che succedesse pure: lui era troppo debilitato per opporsi.
Il telefono squillò nuovamente. Amintore riuscì miracolosamente a sollevare la cornetta con l’unico dito rimastogli. “ C’è Rita?”
“No.”
“Ma che numero ho fatto?”
Amintore credette di non riuscire a ricordarselo, invece snocciolò i numeri tutti d’un fiato, quasi con rabbia- quasi con disperazione. “ Il 5758754,” rispose.
“Eppure…” azzardò la donna, ma Amintore non sentì il seguito perché il dito che reggeva la cornetta sparì, e la cornetta precipitò a terra. A poca distanza dal piede sinistro di Amintore – o meglio, dal punto in cui avrebbe dovuto esserci il piede sinistro di Amintore. Adesso sotto la caviglia c’era solo il nulla, e anche il sopra scompariva piano piano. Amintore si chiese come riuscisse a restare in piedi e una vocina dentro di lui, beffarda, rispose: “Come un dannato equilibrista.”
Deciso a non cedere alla disperazione, Amintore pensò che dopotutto gli rimanevano un piede, due
gambe, due braccia e… e tutto il resto. “ Già, ma per quanto?” lo torturò la vocina. Forse, proseguì l’Amintore pensiero (sempre più debole e insicuro, sia chiaro), faccio ancora in tempo a fermare ‘sta cacchio di emorragia di membra.
Più facile a dirsi (anzi, a pensarsi) che a farsi.
Anche perché adesso stava per perdere pure l’altro piede, ragione per cui sarebbe stato praticamente impossibile mantenere la postura eretta. Solo ora gli venne in mente che, in casi come questi, un dottore poteva risultare utile. Già, ma come fare a chiamarlo? Usare il telefono era ormai fuori questione, e di urlare a perdifiato per attirare l’attenzione non se la sentiva.
Cedendo alla forza maggiore Amintore cadde sulle ginocchia. Ripensandoci, un dottore non sarebbe riuscito a risolvere il suo problema, soprattutto perché tra poco non ci sarebbe stato alcun problema da risolvere.
Stava per diventare una vera e propria nullità, e quel pensiero gli provocò una risata irrefrenabile – anzi, si sbellicò dalle risate, e fu lui stesso il primo a stupirsene, perché ridere non era esattamente la reazione che ci si potrebbe aspettare da un uomo a cui il nulla sta per divorare i coglioni.
Quando anche il collo fu sparito, e il mento sbatté a terra, Amintore fu costretto a smettere di ridere. In quel momento sentì la porta d’entrata che veniva aperta e, sollevando lo sguardo per quanto poteva, vide stagliarsi sulla soglia la figura di una donna.
Mentre la donna si avvicinava, Amintore commentò tra sé che l’intrusa era giovane e sì, insomma, piuttosto carina.
Chissà perché, pensò: che sia Rita?
Un attimo dopo anche la sua testa era scomparsa, e di lui non restò più alcuna traccia.
Lo sguardo di Rita si soffermò, perplesso, sulla cornetta ai suoi piedi. Strano, pensò, poi l’afferrò e la rimise a posto.
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Invece il racconto scivola con stile leggero e implacabile fino alla fine, come a dire "è successo così e basta", lasciando a bocca aperta per la meraviglia che di un uomo intero sia rimasta solo la cornetta che gli è caduta, e non perché sia diventato invisibile ma perché non è mai esistito.
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Sei coinvolto con l'abulia di Amintore al punto che continui a leggere senza aspettarti una spiegazione.
Spiegazione che infatti non arriva, trattandosi di un fatto inspiegabile.
Ho riso, poi, quando è saltata fuori proprio Rita.
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Anche noi non ci preoccupiamo di questo, l'autore del racconto usa toni leggeri e ci accompagna fino alla fine senza svelare i perché e i percome.
Bello e divertente mi è piaciuto.
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la fine di una persona che forse non ha mai avuto inizio. chissà cosa è accaduto perché questo si trasformasse in realtà, sia pure temporanea.
piacevole lettura, scorre molto bene.
ci sono alcune imprecisioni ma nulla di particolare.
piaciuto.
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A me è piaciuto, segnalo solo qualche spazio di troppo nella formattazione del testo.
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