Storia di Pink
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Storia di Pink
Una casa nuova, tutta nostra, costruita da mio padre e mio nonno con l’ausilio, poi ricambiato, di vari amici. Costruita al sabato pomeriggio e la domenica, o nelle ore serali del resto della settimana, quando staccavano il proprio lavoro che, fortunatamente, era nel campo. Mio padre faceva il piastrellista, il nonno era muratore.
Ricordo che, nel mio piccolo, visto che avevo sei anni al momento del trasloco, collaborai. Cosa feci di preciso non lo rammento, ma una mano la diedi, ne sono certo.
Erano anni felici. C’era il boom economico e tanti riuscivano a prendersi un pezzo di terreno per poi fabbricare la propria abitazione.
Erano anche gli anni in cui potevi tranquillamente lasciare le porte di casa completamente spalancate, tanto sapevi che nessuno sarebbe entrato. E se fosse accaduto avresti scoperto che era un amico, un vicino o un parente. Mai un ladro.
Anche la nostra casa era sempre aperta, dal cancello al portoncino d’ingresso, come tutte le altre della via, e così rimase per molti anni.
A fine maggio del ’78, tornando dal lavoro, il cancello lo trovai chiuso. Era la prima volta.
Sbalordito, scesi dalla mia Vespa, lo aprii ed entrai, lasciandolo spalancato. Apparve la figura di mia nonna sulla porta: «Chiudilo subito, muoviti.»
Obbedii, ma ero sempre più sorpreso. Non capivo il motivo di tale comportamento. Diedi uno scorcio alle case vicine e notai che nulla era cambiato; solo il nostro cancello era chiuso.
Salii in casa e chiesi spiegazioni alla nonna che, sbuffando, mi fece un cenno col capo. Guardai nella direzione indicata e vidi, addormentato su di un cuscino, un cane col pelo bianco e riccio.
«L’ha portata a casa papà» mi disse. «Era affamata. Ha mangiato e adesso dorme.»
«Un cane?» Ero esterrefatto. Io lo volevo da tempo, un cane, ma mi avevano sempre detto di no perché casa nostra era quasi un gattile. Arrivammo ad averne sette, di gatti, più quelli dei vicini che passavano a trovare i nostri, e la nonna e mia madre li accudivano tutti.
«Non gridare» disse la nonna, «o si sveglia.»
Infatti si svegliò. Mi guardò con occhi tristi, infelici. Provai ad avvicinarmi ma si ritirò. Aveva paura.
«Non preoccuparti, non ti faccio niente» sussurrai, ma quella volta non riuscii ad andare oltre.
Mi volsi verso la nonna: «E i gatti?»
«Appunto» sbottò, «e i gatti? Prova a parlarne con tuo padre, è meglio.»
«Va bene» risposi, ma dentro di me ero felice. Un cane, finalmente.
Alla fine i gatti se ne fecero una ragione e accettarono Snoopy in casa.
«Snoopy? Ma è una femmina» dicevano mia madre e mio fratello.
«E come vuoi chiamarla, Snoopa? Sarà una Snoopy femmina, tutto qui.» E così fu.
Ma la cara Snoopy non era molto obbediente e spesso scappava. Ogni qualvolta il cancello rimaneva socchiuso, ne approfittava.
E una volta ne approfittò in modo tale che a un certo punto partorì. Erano tre, ma uno nacque già morto e ne rimasero quindi due. Uno nero con alcune macchie bianche, l’altro tutto bianco come la mamma.
«Come li chiamiamo?» diceva mio fratello.
Ci pensai un poco, poi ebbi un’illuminazione: «Pink e Floyd» dissi.
«Ma uno è nero e l’altro bianco.»
«Oh, a me piacciono i Pink Floyd, non la Juventus, quindi…»
«Va bene, e Pink quale sarebbe?»
«Quello nero.»
Floyd trovò casa quasi subito, ma Pink non lo voleva nessuno.
«Lo teniamo noi» sbottai durante una discussione sull’argomento.
«No, due non li voglio. Non volevo neanche uno, ma ormai c’è e va bene, ma due no.»
Ovviamente era la nonna.
«Lo teniamo fino a che non lo prende qualcuno» concluse mio padre.
La nonna non ne fu felice, io sì. Da allora, Pink divenne il “mio” cane.
E poco dopo divenne il solo, visto che Snoopy se ne andò senza più tornare.
Potevo fargli di tutto. Giocarci, rincorrerlo, fare la lotta. Pink era sempre con me, felice di esserci.
A un certo punto alcune cose cambiarono.
Mi fidanzai. In realtà già lo ero da tempo, ma il fatto venne ufficializzato e mi dedicai al lavoro e al pensiero del futuro matrimonio.
Io e Anna ci sposammo nel giugno dell’81 e fu lì che mi resi conto di avere già abbandonato Pink da un po’.
Certo, ero con lui quando tornavo da lavoro, ma non gli dedicavo più lo stesso tempo, non gli davo più lo stesso amore. Chissà perché ci si accorge sempre dopo, di certe cose.
In ogni caso, mio padre era molto affettuoso con lui, e Pink ricambiava.
Dopo il matrimonio, quando andavamo a trovare i miei, mi faceva le feste come se nulla fosse accaduto, felice di vedermi.
Nell’83, non ricordo il periodo esatto, ma era d’estate, rientrando a casa trovammo un biglietto sotto la porta.
“Venite subito. Papà ha fatto un infarto ed è in Rianimazione” firmato: Carlo. Mio fratello.
Andammo a casa dei miei e vedemmo mia madre seduta sulle scale d’entrata.
«Cos’è successo? Abbiamo trovato il biglietto…»
Ci guardò, smarrita. «È successo che papà ha fatto un infarto e quando è arrivata l’ambulanza Pink ha cominciato a correre intorno alla casa. Al terzo giro è crollato a terra, morto. Il dottore era qui e dice che anche il suo è stato un infarto.»
«Dov’è?»
«Il nonno l’ha già sepolto.»
«E papà?»
«Papà è sotto controllo, sono stati bravi.»
Mi sentii male. Mio padre ricoverato, e il cane…
Oh, cazzo… il cane era stato male come il padrone, però lui non ce l’aveva fatta.
Era come se si fosse sacrificato al suo posto.
Mio padre, infatti, si riprese in fretta e, dopo un’adeguata terapia riabilitativa, tornò a fare il proprio lavoro di piastrellista.
Non ne volli più sapere di cani per tanto tanto tempo.
Sapevo che mi ci sarei attaccato troppo, che mi sarei fatto trascinare nel loro mondo, fatto di giochi, corse, coccole e amore.
Ma poi cedetti ai desideri di moglie e figli e ora con noi c’è Dana, meticcia come Pink. Dolce e istintiva come lui.
Ogni tanto lo rivedo correre, Pink, ma spesso lo vedo stramazzare, ucciso da un colpo al cuore.
L’ha tolto al suo padrone, salvandolo. Almeno per un po’.
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Chiunque abbia mai avuto un cane e l’abbia amato si ritroverà nel rivederlo, nei momenti felici e in quelli tristi, anche dopo che è scomparso da anni.
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Re: Commento
in effetti avevo inviato una versione molto ridotta di questo racconto per l'antologia "Brevi Autori".Laura Traverso ha scritto: 05/07/2019, 18:53 Non vorrei sbagliarmi ma mi pare di aver letto, dallo stesso autore, questo racconto, o qualcosa di molto simile, non so su quale antologia di Bravi Autori. Ricordo che mi rimase impresso particolarmente in quanto trattava un tema a me caro: gli animali. Comunque il mio parere è positivo. Il racconto è tenero e triste. Evidenzia, secondo me, quanto abbiamo da imparare da loro, capaci di un amore incondizionato.
grazie per il commento
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Re: Commento
hai compreso alla perfezione il senso del racconto e, del resto, non posso che concordare su quanto dici.Roberto Bonfanti ha scritto: 05/07/2019, 18:27 Bel racconto, parla di quell’affetto che solo gli animali possono dare, disinteressato e totale, senza secondi fini, spingendosi anche a sacrificarsi, apparentemente senza motivo, per i loro “padroni”, che sarebbe più corretto definire “amici”.
Chiunque abbia mai avuto un cane e l’abbia amato si ritroverà nel rivederlo, nei momenti felici e in quelli tristi, anche dopo che è scomparso da anni.
grazie per il commento
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Re: Commento
più che un diario è un ricordo, Selene.Selene Barblan ha scritto: 05/07/2019, 19:09 A mio parere il testo è scorrevole e scritto bene. L’impressione che ho avuto è quella di un diario, senza però un trasporto sufficiente, nonostante il tema così legato alle emozioni e agli affetti. Lo trovo un po’ piatto.
un ricordo di un amico che non c'è più e che io, a un certo punto, ho praticamente abbandonato.
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Re: Commento
grazie, CarolCarol Bi ha scritto: 06/07/2019, 0:10 Che dire! Sarà che sono sensibile, ma non sono riuscita a trattenere le lacrime. Una storia che accomuna gran parte di noi, vite condivise con esseri speciali che si donano completamente a noi e rendono la nostra vita più completa, autentica, serena. Molto bello e scritto molto bene. Complimenti.
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Re: Storia di Pink
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Re: Storia di Pink
eh eh, no, non era abusiva, te lo garantiscoEdmondo ha scritto: 06/07/2019, 12:12 Ahi, ho un cane che si chiama Hachiko; lessi che i Cavalier hanno sangue giapponese e trovai il nome su internet. Solo dopo ricordai il film dove il professore muore di infarto; io sono prof. purtroppo. Risulta che malato di cuore sia il cane in questo caso; fregature ereditarie della razza. Ovvio che sono coinvolto emotivamente nel racconto che trovo semplice e piacevole, della migliore scorrevolezza come deve essere sempre. Quanto alla penna di Sarajevo esiste davvero e la ritrovai sotto la gamba mentre facevo il volontario da quelle parti per una ONg. Ogni metafora può essere più o meno forzata ma è uscita così dalla scatola dei ricordi. Forse agì sulla mia mente anche il fatto che esistessero mine con quella forma per uccidere i bambini. Allora ricordo un cartello descrittivo di un sacco di tipi. Quando si andava nella parte serba ormai svuotata le raccomandazioni per questi giocattoli non finivano mai. Ciao Ps. Sarà mica stata abusiva la casa che costruivate il fine settimana? Scherzo
grande storia quella di Hachiko
grazie per il commento
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Racconto scritto molto bene, se sistemi traferimmo nella prima riga poi sarà perfetto. Personaggi delineati bene, tempi coerenti con la storia. Voto 5
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