Piazza Fontana
Piazza Fontana
Sta piovendo piano e mi sto bagnando la giacca, è meglio che prenda un mezzo pubblico invece che andare a piedi. Questo tram va in direzione Duomo: le fiancate riportano la pubblicità di non so quale posto esotico, come mi piacerebbe essere su quella spiaggia invece che in questo clima uggioso di fine gennaio. Ci sono diversi posti vuoti, poche persone a spasso per saldi. Il sedile di plastica giallo è freddo e il finestrino appannato, non riesco neanche a capire dove sono, meno male che è un tram moderno, una voce registrata annuncia le fermate.
“Prossima fermata Piazza Fontana”. Piazza Fontana? Quella Piazza Fontana? Mi alzo e scendo in fretta, facendomi spazio tra le persone in attesa di salire. Alzo lo sguardo e vedo il Duomo con alcune guglie coperte da impalcature, in alto la Madonnina dorata. Mi trovo in uno spazio ibrido tra una piazza e un incrocio, dove si affollano in modo caotico auto, persone, taxi, biciclette, tutti in movimento, niente a che vedere con gli spazi raffigurati da De Chirico. Ecco la fontana che dà il nome alla piazza, seminascosta dagli alberi: è decisamente sobria, diversa dalle fontane sfarzose di Roma. Mi avvicino e vedo due sirene in parte annerite dalle alghe e un pesce di pietra dalla faccia mostruosa che mi fissa. Sulla piazza si affacciano l’arcivescovado, un hotel moderno, un cantiere per il restauro di una casa diroccata e un edificio sgraziato, con finestre di diverse forme: su questo palazzo spicca la scritta Banca Nazionale dell’Agricoltura, è questo il luogo della strage. Nel 1969 la mia famiglia abitava in un condominio alla periferia di Milano, io frequentavo le elementari. Era dicembre, mancavano pochi giorni a Natale e alla televisione strillavano che i morti erano numerosi e i feriti erano gravi.
Che pena quelle foto sui giornali, quelle lenzuola bianche che risaltavano tra le macerie annerite dall’esplosione. Quegli scatti in bianco e nero mi avevano provocato degli incubi, avevo faticato a prender sonno per molto tempo, pensavo alle vittime, ai feriti, ai parenti, se ci penso ancora adesso sto male.
Mamma e papà mi avevano fornito delle spiegazioni frettolose su quelle vittime innocenti, dicendo che poteva capitare a chiunque, anche a loro, anche a me. Mi ero sentita in pericolo, davvero nessuno mi poteva proteggere? Sì, quella bomba mi aveva segnato la vita, mi aveva insegnato che gli uomini possono essere crudeli. Avevo sentito per la prima volta quella parola, terrorismo, che avrebbe insanguinato la cronaca per molti anni a seguire.
Sul prato ci sono due lapidi affiancate, sono entrambe dedicate a Giuseppe Pinelli. Dalla data scopro che la morte di Pinelli è avvenuta solo pochi giorni dopo la strage, nel palazzo della questura non lontano da qui. Francamente non mi ricordo cosa sia successo, ma dalla morte di Pinelli so che era poi dipesa in qualche modo quella del commissario Calabresi.
Ero alle medie quando venne ucciso il giovane commissario che vedevo al telegiornale. Di quell’omicidio mi sono rimasti impressi la cinquecento parcheggiata sotto casa, la moglie incinta e il bambino che non avrebbe mai conosciuto suo padre. Dopo quarant’anni le vedove di Calabresi e di Pinelli si erano incontrate e abbracciate, quello che le accumunava era il dolore patito, non il rancore.
Vado verso il palazzo della polizia municipale e scorgo in basso uno strano oggetto rotondo, forse una lampada per illuminare la facciata. Scopro invece che è una targa dell’1989 per ricordare Chico Mendes. Il nome mi è noto, ma non mi ricordo chi è, meno male che ho lo smartphone. Leggo “sindacalista, politico e ambientalista brasiliano”, assassinato nel dicembre dell’88.
Questa piazza è piena di dolore, troppi morti innocenti.
“Mi scusi, mi sa dire dov’è via della Signora? “. Sobbalzo per lo spavento, chi mi ha parlato è una donna in bicicletta che mi chiede indicazioni. “Mi spiace, non sono pratica della zona”, le rispondo con fare impacciato.
Qui di fianco c’è la piazzetta con una statua, da ragazzi si andava in un’osteria a mangiare i wurstel con i crauti, i panini erano caldi, abbondanti e costavano poco. La statua raffigura un uomo vestito con abiti del ‘700, Cesare Beccaria.
Giro intorno al monumento e alla base vedo una scritta in caratteri maiuscoli in memoria del voto parlamentare per l’abolizione della pena di morte.
Il basamento riporta anche una citazione tratta da Dei delitti e delle pene: “……Se dimostrerò non essere la pena di morte né utile né necessaria avrò vinto la causa dell'umanità”. La morte non è mai giusta, neanche per punire i colpevoli di atti efferati.
Mi giro a guardare il palazzo della strage, le lapidi, la targa commemorativa. Ci sono uomini che uccidono ma anche uomini che combattono per la giustizia.
Mi avvio verso la metropolitana, devo riprendere il treno; mentre cammino rifletto che la violenza e il dolore possono portare alla rassegnazione, ma ci sono individui in grado di infondere la speranza, e sono davvero grata per il loro contributo all’umanità.
Re: Piazza Fontana
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Il racconto si lascia leggere, scritto abbastanza bene, ha un suo svolgimento coerente e racconta l'emozioni suscitate sulla protagonista (sei forse te stessa?) da un nome: Piazza Fontana.
La protagonista, all'epoca dei fatti narrati, era una bambina, adesso donna adulta vuole affrontare il luogo che le trasmise tanta paura anni addietro.
Sulla storia del Pinelli "anarchico", dell'omicidio Calabresi e del sindacalista brasialiano potremmo stare a parlare per ore e ore, ma ciò che voglio sottolineare e che ho apprezzato molto è stata la frase del Beccaria e la conseguente riflessione: l'omicidio, legale o meno che sia, non è mai giusto.
Non mi sono emozionato, però ho letto il racconto tre volte e ho cercato di capirne il senso, il motivo della sua stesura e quello che volevi trasmettere.
Re: Piazza Fontana
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Re: Piazza Fontana
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Trovo che il tuo racconto sia scritto bene, usi un linguaggio chiaro e lineare e a livello formale ti segnalo solo un paio di piccole sviste: "la cinquecento parcheggiata sotto casa. La moglie incinta", virgola al posto del punto; "è avvenuta solo pochi giorni dopo la strage", immagino che tu intenda " (La sua morte) è avvenuta…"
Però ho trovato il tono un po' didascalico e distaccato, in certi tratti quasi da resoconto, anche quando cerchi di esprimere le emozioni della protagonista, l'empatia non scatta, almeno per me.
Ma l'aspetto che mi convince meno è una sorta di contraddizione logica che attraversa tutta la narrazione. Più volte tu affermi di non ricordare, di non sapere (Dalla data scopro che la morte di Pinelli… non mi ricordo cosa sia successo… ecc.), fra l'altro indichi erroneamente la sede della questura nella stessa piazza invece che in Via Fatebenefratelli, come se da quei giorni tu non ne avessi più sentito parlare. Visto che, come dici, "quella bomba mi aveva segnato la vita" è strano che tu non ti sia in seguito interessata e informata su quegli avvenimenti e tutto ciò che ne è conseguito, il materiale e le possibilità non mancano di certo. Naturalmente mi riferisco al tuo alter-ego letterario.
Stesso discorso per Chico Mendes (Il nome mi è noto, ma non mi ricordo chi è…), singolare lacuna per chi partecipa a un seminario sui cambiamenti climatici.
Scusa ma per questi motivi il tuo brano non mi ha colpito particolarmente.
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Ciao Eliana, per quanto ne so puoi correggere il tuo testo quando vuoi. Naturalmente non prendere tutto quello che ho segnalato come oro colato, è solo la mia opinione
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Questa confusione continua in tutto il racconto penalizzandolo.
Quanto al testo, l'intento didattico e moraleggiante è evidente, a scapito della storia, che praticamente non esiste. Tanto inesistente che la protagonista sembra trasformarsi in una sorta di turista del dolore, seppure dotata di purissimi e buonissimi e nobilissimi sentimenti.
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lasciamo perdere la storia di Pinelli e Calabresi, non finirebbe mai, e andiamo invece al racconto.
personalmente rivedrei un poco la punteggiatura, mentre le descrizioni sono buone. soprattutto a livello emotivo.
quella che era una bimba all'epoca dei fatti, si trova a riviverli da adulta per puro caso, passando nel luogo del misfatto. e da lì prosegue il suo ripercorrere gli anni, scoprendo anche Chico Mendes.
bella la chiusa con la frase di Beccaria.
un buon lavoro, anche se migliorabile.
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Un dettaglio di poco conto: " niente a che vedere con gli spazi raffigurati da De Chirico. Ecco la fontana che dà il nome alla piazza, seminascosta dagli alberi: è decisamente sobria, niente a che vedere con le fontane di Roma". - Due volte "niente a che vedere" ravvicinato. Ci può anche stare, non è un errore, ma io userei un'espressione diversa. Ciao
Re: Piazza Fontana
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"tutti in movimento, niente a che vedere con gli spazi raffigurati da De Chirico. Ecco la fontana che dà il nome alla piazza, seminascosta dagli alberi: è decisamente sobria, niente a che vedere con le fontane ". Un "niente a che vedere" lo eliminerei.
"Vado verso il palazzo della polizia municipale e vedo ": vado e vedo non è il massimo.
Per il resto sembra proprio un tema scolastico e non ha nulla del racconto. Ma la scelta del soggetto, credo, già non lasciava altra strada che quella che hai seguito, magari mettendo un po' troppo l'accento su quello che vedi, piuttosto su quello che hai sentito in passato e senti oggi. Va bene, vedi una signora che ti chiede dov'è via della Signora, ma perché me lo racconti?
Citazioni, statue e quant'altro, nonché il finale moraleggiante non migliorano la situazione.
Fossi in te, insomma, la prossima volta mi inventerei una storia o prenderei ispirazione da tutto quello che ci succede intorno, ce n'è abbastanza e anche troppo. Una volta fatto ciò, è chiaro che, per te, scrivere bene non è certo un problema: ti viene naturale.
Re: Piazza Fontana
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La vita è un dono da proteggere ed è fonte di tutti gli altri doni e di tutti gli altri diritti.
La convinzione di offrire anche al colpevole la possibilità di pentimento non può essere mai abbandonata.
Detto questo è lecito che precise regole di ingaggio prevedano l'impiego della forza letale quando ogni altro mezzo appaia assolutamente inefficace ed inevitabile per proteggere altre vite umane.
Parrebbe un controsenso ma non lo è affatto.
Il tutto deve sempre rispettare la dignità della vita umana e proteggere la stessa vita umana.
Atti terroristici, quali quello in oggetto, violano entrambe le regole di ingaggio sopra indicate.
Sono atti da fermare senza esitazione, offrendo possibilità di pentirsi agli esecutori dopo averli prontamente bloccati e resi inoffensivi.
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Il "cubo sognatore" su Titano aveva rivelato una verità sconvolgente sull'Umanità, sulla Galassia e, in definitiva, sull'intero Universo, una verità capace di suscitare interrogativi sufficienti per una vita intera. Come poteva essere bonariamente digerito il concetto che la nostra civiltà, la nostra tecnologia e tutto ciò che riguardava l'Umanità… non esisteva?
"Siamo solo… i sogni di Titano", aveva riportato il comandante Sylvia Harrison dopo il primo contatto col cubo, ma in che modo avrebbe potuto l'orgoglio dell'Uomo accettarlo? Ovviamente, l'insaziabile sete di conoscenza dell'Essere umano anelava delle risposte, e la sua naturale curiosità non poteva che spingerlo alla ricerca dell'origine del cubo e delle ragioni della sua peculiare funzione.
Gli autori GLAUCO De BONA (vincitore del Premio Urania 2013) e MASSIMO BAGLIONE (amministratore di BraviAutori.it) vi presentano una versione alternativa del "Tutto" che vi lascerà senza parole. Di Glauco De Bona e Massimo Baglione.
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