La pecorella smarrita
La pecorella smarrita
La speaker catalana ha appena diramato il comunicato relativo al ritardo di un’ora causa un forte temporale che imperversa sull'aeroporto milanese.
La notizia arriva come una randellata sulla testa dei viaggiatori e il mormorio di sconforto raggiunge i decibel che si odono al Camp Nou, quando una punizione di Messi finisce fuori di un palmo di mano. Gran parte di loro sono italiani che hanno passato alcuni giorni di lavoro nella città spagnola. Stanchi e affamati, non vedevano l’ora di imbarcarsi e di atterrare un’ora e mezzo dopo a Milano. Una vana speranza.
Ernesto riprende il giornale dalla valigia e prosegue nella lettura. A ogni paragrafo si guarda attorno infastidito dal ticchettio di polpastrelli ansiosi che ritmano il tempo d’attesa, mentre alcune voci si ergono imponenti nel silenzio. Improvvisamente i soloni di meteorologia e aviazione escono allo scoperto, impazienti di erudire il resto del pubblico.
Dal fondo del corridoio vede avanzare una signora a passo svelto e deciso. Subito pensa che con quella donna sia meglio non litigare, tanto sembra sicura di se stessa. Si siede proprio nella panchina davanti a lui. E’ bionda, abbastanza alta e con un seno prosperoso che attira lo sguardo. Lui rimane perplesso, cominciando a chiedersi dove ha già visto quel volto e quelle tette. Scopre che la memoria non l’ha abbandonato. E’ una nota presentatrice e showgirl italiana. Come una spia internazionale, dopotutto siamo a Barcellona, alza il giornale quel poco che basta a coprirgli lo sguardo. Ogni tanto lo abbassa per lasciare libera la vista e curiosare il personaggio. Il seno è parecchio cadente, e anche il contorno degli occhi ha qualcosa di strano. E’ rifatta, pensa. Il chirurgo plastico non ha badato al consumo di filo, botox e colla perché ha tirato troppo sugli zigomi e sotto le tempie. Ora non c’è più una ruga ma l’espressione del viso sembra di plastica, come una Barbie di seconda mano.
Ha lo sguardo sfuggente di chi non vuole incrociare in maniera continua qualche occhiata e per evitare ogni tipo di rapporto si rifugia nello schermo del cellulare.
Ormai anche Ernesto non ha più interesse a fare la spia internazionale e si butta nella lettura del quotidiano. All'attacco della terza pagina sente, improvviso e acuto, un fortissimo CHICCHIRICCHIII, CHICCHIRICCHIII.
Come prima impressione pensa di essersi appisolato e di aver sognato di esser finito in un pollaio ma le tette della soubrette lo riportano dolcemente alla realtà. Si gira con calma e vede un uomo sulla quarantina con i capelli ricci e gli occhiali. Ha in mano il cellulare.
“Ciao frate, sto di bestia. Hanno appena detto che c’è un ritardo di un’ora. Non ne posso più. Oggi non ho combinato un cazzo, adesso ci mancava il ritardo. Me lo fa salire lui, l’autista dell’aereo, il fatturato?”
Si muove come un esagitato e urla talmente forte che Ernesto pensa potrebbe non usarlo neanche il telefono, forse il suo amico lo sentirebbe direttamente. Tutti lo guardano, sorpresi da quell'esibizione di machismo meneghino. Inizialmente ha almeno il pregio di aver distolto l’attenzione a decine e decine di persone da quell'oziosa attesa.
La telefonata continua, ora parla l’amico; poi riprende la parola il nostro uomo, che per convenienza chiameremo Riccio.
“Ok, ok, ora li chiamo. Ciao frate, salutami i raga. Vadavialcù.” Finisce la telefonata.
Sbuffate, gesticolazioni, circuito ovale in senso orario a velocità incredibile. Il Riccio è agitato quasi come il Milanese Imbruttito della celebre parodia.
Non da spunti su quale possa essere il suo lavoro. A prima vista sembra lo spot di un ex paninaro.
Si siede dietro a Ernesto. Queste panchine schiena contro schiena non sono il massimo della privacy, soprattutto se uno ha l’abitudine di urlare.
Lo sente comporre un numero di telefono.
“Pronto Umberto? Ciao, senti dovevo chiamare l’ufficio reclami ma non trovo più il numero. Ti do il mio e gli dici di chiamarmi domani mattina perché oggi è un casino dimmerda.”
Prevedibile assenso dall'altra parte del telefono.
“Allora, tretrenovedueduetre………Spero di partire, quest’aereo è peggiore del PD.”
Ernesto ascolta indifferente. Prende subito in mano il cellulare e riscrive il numero che ha appena sentito. Fa in fretta, conscio di avere un’ottima memoria. All'ultimo numero indugia. Nel suo schema mnemonico tiene i numeri tre alla volta, cercando di ricordare soprattutto il primo numero della terzina, da ripetere come fosse una filastrocca. L’ultimo, che sembrerebbe il più facile da ricordare, gli da sempre qualche problema. Un sei o un sette?
Non gli rimane che fare una prova. Chiamare.
Corregge le impostazioni in modalità privata e compone il numero dell’esagitato.
Tiene il cellulare tra le mani appoggiate sulle gambe, come se guardasse distrattamente qualche social.
Un paio di secondi e la zona è risvegliata da un CHICCHIRICCHIII potentissimo. Una volta, due volte, tre volte. E poi ricomincia.
“Prooonto.” Risponde il Riccio
Silenzio dall'altro capo.
“Prooonto.” Continua.
“Proooontoooo.” Esplode.
Tanti lo guardano stancamente, alcuni voltano le spalle per il fastidio. Anche la soubrette inarca le sopracciglia non ancora rifatte, e osserva.
“Checcazzo.” Il Riccio chiude la comunicazione con il noto francesismo. Anche Ernesto la interrompe.
Si alza e va a fare un giro. Manca ancora più di mezz'ora, vorrebbe passare al Duty free ma poi desiste. Cerca con lo sguardo il Riccio. Si è seduto. Cerca anche la soubrette. E’ sempre al suo posto, ora sta leggendo una rivista.
Prende il telefono dalla tasca e ricompone il numero.
CHICCHIRICCHIII. Una volta, due volte, tre volte. Il Riccio sobbalza sulla panchina, prende un bel respiro e si alza.
Risponde con lo stesso tono della prima volta, forse più ingrugnito. Comincia a scuotere la testa, cammina pensoso mentre urla il suo ormai celebre Prooonto.
Ernesto chiude la comunicazione e il Riccio al clic si porta lo schermo vicino agli occhi, come se da lì potesse svelare l’arcano.
Ernesto è impietoso.
Attende trenta secondi e lo richiama. Come un pugile sente l’odore del sangue quando l’avversario è alle corde, così lui sente l’odore acre e dolciastro della bile che questo facsimile di milanese imbruttito secreta.
Riccio riprende il cellulare, controlla e vede ancora una volta la dicitura numero privato. Diventa rosso, non si alza più dalla panchina.
La risposta è un Prontooo, questa volta scarica l’energia sulla seconda o.
Chi gli sta vicino leva gli occhi al cielo e si alza infastidito. Tanti lo guardano. Ernesto chiude la comunicazione e il Riccio riporta il cellulare davanti agli occhi. Vuole mangiarselo.
“Ma lo spenga quel telefono o abbassi la suoneria.” Gli urla una signora.
“Perché? Aspetto la telefonata del fatturato di oggi. Uh, che giornata.” Risponde il Riccio guardandosi intorno.
“Che giornata anche per noi, non siamo venuti in passeggiata.” Lo incalza un uomo sulla settantina con una telecamera.
“Mi devono chiamare tre venditrici per darmi l’importo delle vendite.”
“Eh, anche noi abbiamo i nostri interessi ma non facciamo il casino che fa lei.” Ribatte una giovane donna in tailleur.
“Ma lo sa lei che io quando chiamo le mie dipendenti capisco se stanno bene oppure se hanno litigato con il fidanzato? Io senza vederle so se hanno il ciclo oppure no. Lo capisco dal fatturato.” Insiste il Riccio con gli occhi fuori dalle orbite.
“Ma cosa dice?” Ribatte la giovane donna.
“Senta la smetta.” Lo rimbrotta il settantenne.
Il Riccio non risponde, incurante e perso nel suo mondo, ripone nella tasca il cellulare.
Il tempo durante queste attese scorre molto lento. L’aeroporto è un paesaggio impersonale, la freddezza delle sue strutture e l’anonimato dei passeggeri lo rende un luogo quasi virtuale. Avere la fortuna di appisolarsi e di raggiungere un piccolo nirvana è un’ottima cosa, altrimenti il nervosismo può solo che aumentare.
Ernesto ride sotto i baffi che si è tagliato il giorno prima e imperterrito richiama.
Il Riccio ridiventa rosso, si alza, guarda lo schermo e risponde.
“Prontoooooo.”
E’ fuori di sé.
All'improvviso la speaker catalana dice che a breve comunicherà l’ora esatta dell’imbarco. Il Riccio sente questa comunicazione in stereofonia. Al cellulare posto sull'orecchio destro e anche all'altro orecchio libero. E’ stupito, tira leggermente indietro la testa abbassando la fronte come veramente fanno i galli e le galline.
E ragiona.
Ernesto chiude la linea. Il Riccio comincia a girare per le panchine.
“Chi è? Chi cazzo mi chiama?” urla sconvolto.
“Signore, si calmi.” Gli dice una ragazza.
“Si calmi? Qui c’è qualcuno che mi prende per il culo, che continua a chiamarmi.”
“Senta, se non può spegnere il telefono, lo silenzi oppure cambi suoneria.” Gli consiglia un uomo.
Il Riccio non parla e si risiede. Distende le gambe e inarca la schiena. Forse pensa alla telefonata che sta aspettando e che non arriva. Teme per il suo fatturato, il suo agnello d’oro. Con un braccio urta il vicino di poltrona. Si volta e lo degna a malapena di uno sguardo. Normale, per i tipi come lui tutto è dovuto. Armeggia al telefono e poi lo ripone nella tasca della camicia.
Ernesto gli gira intorno, un cerchio largo da dove invia qualche rapida occhiata di controllo. Pensa che il gioco sia bello quando dura poco, come gli diceva sua madre. Si è divertito, si sente sagace e un po’ impertinente. Vede il Riccio sudato. Vestito con un giubbotto arancio-marrone e con i pantaloni sformati, non s’immagina che genere di negozi potrebbe gestire. La tensione e la stanchezza possono provocare varie reazioni. Una di queste è il cattivo odore, quell'acre effluvio invasivo al sapor di cipolla. Pensa che il Riccio stia cominciando a emanare un afrore veramente sgradevole. Ha proprio trovato la persona giusta per questo genere di scherzi.
Passano circa dieci minuti dove il silenzio diventa irreale, i passeggeri sono sempre più stanchi e mancano ancora notizie sull'orario d’imbarco.
L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi, predicava Oscar Wilde.
Ed Ernesto cede.
Prende il telefono e si prepara la schermata delle chiamate effettuate. Basterà un solo click per far ripartire la telefonata, tenendo il cellulare in tasca con un atteggiamento indifferente.
Preme l’icona e cammina. Nel silenzio generale si sente un BEEE BEEE BEEE.
Il Riccio guarda il cellulare con aria stanca. Ha cambiato la suoneria inserendo il belato della pecora. Non sembra stupito da questa novità, forse non ha neanche sbagliato nella scelta dell’animale. O forse è troppo stanco per avere una qualsiasi reazione.
Ernesto lo guarda fisso, ormai sa che il suo uomo da quella poltrona non si muoverà più.
La sorpresa è tanta tra i passeggeri. Si avvicinano alla panchina. Lo guardano e cominciano a ridere, ridere, ridere sempre di più con le fauci sguaiate.
Sembrano tanti zombies pronti ad attaccare la vittima di un sacrificio rituale. Arrivano tutti, in una coda interminabile e uno per volta gli passano davanti. La soubrette attende il suo turno allenandosi a sostenere le tette sudate e cadenti. Gliele sbatte in faccia insozzandogli gli occhiali. Forse anche i capezzoli sono artificiali, pensa Ernesto.
Il Riccio vede offuscato. Risponde alla chiamata con voce flebile.
“Pronto.”
L’ululato gutturale degli zombies risuona nell'aeroporto ormai deserto. Hanno annusato la paura di questa ignara preda, inebriandosi le narici allargate.
La giovane donna in tailleur si umetta le labbra rosso fuoco e il serpente corallo che ne esce sa dove colpire. L’uomo di una settantina d’anni gli presenta il pugno, dove l’indice e il mignolo si allargano a dismisura come le corna di una vacca indiana.
Ernesto è rimasto fuori dal gruppo e osserva silenzioso le donne mature che mimano fellatio sgocciolanti e i giovani manager internettiani esibenti le proprie virilità. Il Riccio accoccolato e rimpicciolito nella sua poltrona ha gli occhi aperti e il cellulare in mano.
Quanto sarà il fatturato?
La speaker dell’aeroporto ha appena comunicato l’orario di partenza ma nessuno ci ha fatto caso. Tutti sono impegnati nell'assurda pantomima.
Il grafico delle vendite deve avere la freccia verso l’alto, sempre, come un mantra tibetano, come un dogma cristiano, come una verità esibita e certificata.
Ernesto con i gomiti in fuori si fa largo tra gli zombies, si avvicina al Riccio e lo prende per mano. Lo fa alzare. Lui lo segue calmo e indifferente.
Lo annusa, puzza di stalla e di pollaio.
“Vieni amico, andiamo a bere un caffè. Abbiamo ancora un po’ di tempo.” Gli sussurra Ernesto, pensando che una pecorella smarrita si deve sempre aiutare.
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Racconto divertente di uno scherzo al limite del sadismo, per il povero galletto meneghino; chissà, forse dopo sarà più saggio? Nooo...
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È scritto in modo scorrevole, ma io avrei tagliato un po' qua e là per renderlo ancor più scorrevole. I dialoghi non mi convincono sempre: "Che giornata anche per noi, non siamo venuti in passeggiata" per esempio la cambierei.
"che per convenienza chiameremo Riccio". Noi chi?
Mi è piaciuto il finale dove Ernesto si avvicina a lui, meno la parte prima, la descrizione della reazione degli altri passeggeri mi sembra un po' sopra le righe.
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Re: La pecorella smarrita
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Re: La pecorella smarrita
Se invece state solo rispondendo, non serve specificare.
Ricordatevi anche che il testo del commento deve essere lungo almeno 200 battute.
Vi rimando alle istruzioni delle Gare letterarie.
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Anche secondo me, però, le descrizioni finali relative ai passeggeri sono un po' esagerate, attirano inutilmente un'attenzione verso lo stile che invece merita il racconto. Se posso fare un appunto, non metterei le maiuscole dopo le battute dei dialoghi.
La storia è ben raccontata, disegna in modo perfetto la scena in cui si muovono il terribile Ernesto e la sua vittima, quest'atmosfera di noia, di attesa simile a una gabbia, dove gesta e parole fanno presto a diventare insopportabili. Anche i sentimenti umani sono evidenti, a così stretto contatto, la curiosità che porta a guardare di nascosto, l'insofferenza verso i vicini, la voglia un po' sadica di divertirsi a spese di un altro, il senso di vendetta, l'astio verso il disturbatore (o forse anche un pochino di invidia, per il suo fregarsene degli altri), la pena che suscita alla fine. Le note ironiche mi hanno strappato un sorriso che si è trasformato in ghigno compiaciuto nel vedere quanto fosse abbattuta infine la vittima. Qui, Ernesto si è rivelato migliore di me.
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Re: Commento
Roberto Ballardini ha scritto: ↑28/03/2020, 11:46 Concordo sulle esagerazioni, che mi hanno fatto venire il dubbio di essermi perso qualcosa. Per il resto, simpatico e scorrevole. Forse qualche anno fa, showgirl rifatte e imprenditori burini mi avrebbero stimolato di più. Oggi che la puerilità ha oltrepassato qualsiasi limite e non si prende nemmeno la briga di spacciarsi per qualcosa di diverso, il sarcasmo al riguardo mi prende di meno. Comunque scritto bene, anche se un po' sopra le righe.
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scritto piuttosto bene, quasi senza refusi, con buone descrizioni, anche a livello emozionale.
il finale riscatta la figura di Ernesto, ma quello che non ho compreso è perché il milanese non abbia mai richiamato il rompiscatole.
probabile che non abbia capito io qualcosa, però lo trovo alquanto strano, ecco.
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Re: La pecorella smarrita
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Re: La pecorella smarrita
in effetti mi era sfuggitoGioriF ha scritto: ↑10/05/2020, 9:51 Ciao Letylety. Avevo già letto il tuo racconto e gli avevo assegnato 4 punti. Meritatissimi, perché è scritto bene, scorrevole e ironico. Commento solo ora per segnalare a Fausto (precedente commento) che il milanese non richiama il molestatore perché questi ha messo modalità privata. Lo hai scritto più volte ma è sfuggito ad alcuni lettori. Ciao
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Direi che sul "da" manca un accento: 3a pers. Sing. Ind. Pres. Del verbo dare è sempre accentataNon da spunti
Credo che il verbo corretto sia "secernere" che alla 3a persona dell'indicativo si declina in "secerne".sente l’odore acre e dolciastro della bile che questo facsimile di milanese imbruttito secreta
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Human Takeaway
(english version)
What if we were cattles grazing for someone who needs a lot of of food? How would we feel if it had been us to be raised for the whole time waiting for the moment to be slaughtered? This is the spark that gives the authors a chance to talk about the human spirit, which can show at the same time great love and indiscriminate, ruthless selfishness. In this original parody of an alien invasion, we follow the short story of a couple bound by deep love, and of the tragic decision taken by the heads of state to face the invasion. Two apparently unconnected stories that will join in the end for the good of the human race. So, this is a story to be read in one gulp, with many ironic and paradoxical facets, a pinch of sadness and an ending that costed dearly to the two authors. (review by Cosimo Vitiello)
Authors: Massimo Baglione and Alessandro Napolitano.
Cover artist: Roberta Guardascione.
Translation from Italian: Carmelo Massimo Tidona.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
I sette vizi capitali
antologia AA.VV. di opere ispirate alle inclinazioni profonde, morali e comportamentali dell'anima umana
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Marco Bertoli, Federico Mauri, Emilia Pietropaolo, Francesca Paolucci, Enrico Teodorani, Umberto Pasqui, Lidia Napoli, Alessandro Mazzi, Monica Galli, Andrea Teodorani, Laura Traverso, Nicolandrea Riccio, F. T. Leo, Francesco Pino, Franco Giori, Valentino Poppi, Stefania Paganelli, Selene Barblan, Caterina Petrini, Fausto Scatoli, Andr60, Eliana Farotto.
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Mai Più
Antologia di opere grafiche e letterarie aventi per tema il concetto del MAI PIÙ in memoria del centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, di AA.VV.
Nel 2018 cade il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, perciò abbiamo voluto celebrare quella follia del Genere umano con un'antologia di opere grafiche e letterarie di genere libero aventi per tema il concetto del "mai più".
Copertina di Pierluigi Sferrella.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Ida Dainese, Alessandro Carnier, Romano Lenzi, Francesca Paolucci, Pasquale Aversano, Luisa Catapano, Massimo Melis, Alessandro Zanacchi, Furio Bomben, Pierluigi Sferrella, Enrico Teodorani, Laura Traverso, F. T. Leo, Cristina Giuntini, Gabriele Laghi e Mara Bomben.