Gara 39 - Commenti, pensieri e votazioni

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Filippo19
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Re: Gara 39 - Commenti, pensieri e votazioni

Messaggio da leggere da Filippo19 »

Ecco qui la versione definitiva del mio racconto per la pubblicazione sull'ebook. Ringrazio tutti per i preziosissimi consigli, li ho seguiti e ho tratto tutti i vantaggi del caso. :P

@Nunzio perdonami per gli 11,066 caratteri :cry:

Il destino di un Re
di Filippo Puddu

1. La salita

Nubi di fumo si levavano al cielo dense e nere, il villaggio attorno alla fortezza bruciava, capanne e corpi inerti venivano inceneriti. Vecchi, donne e bambini, nessuno era stato risparmiato dalla furia assassina delle forze del Giglio Bianco. Avevano attaccato all'alba, l'ultimo assalto al potere dei Valerion era stato spietato. Nessun prigioniero, questi erano stati gli ordini, nessun ricordo doveva restare della dinastia deposta, nemmeno i poveri sudditi, la cui unica colpa era stata quella di servire il signore sbagliato, potevano avere salva la vita.
Un ghigno soddisfatto segnava il volto del Re che avanzava, con passo sicuro e sguardo fiero, tra la distruzione dei vicoli della fortezza. In testa portava la raggiante nuova corona, diamanti e pietre preziose erano incastonati nella complessa architettura di corna di cervo, il mantello color porpora raccoglieva, con il lungo strascico, i fiumi di sangue che ancora defluivano dai corpi massacrati. Le guardie reali finivano e mutilavano le vittime agonizzanti sul ciglio della strada.
Ormai tutta la città era caduta ai suoi piedi, il palazzo dei Valerion era stato l'ultimo edificio a cedere alla furia omicida. Due guardie, dai volti imbrattati di sangue e il giglio ricamato sul petto, vigilavano ai lati del grande portone d'ingresso. Sopra la volta capeggiava il motto "Iustitia semper triumphat". Il Re lo lesse massaggiandosi con gusto la folta barba grigia, il sorriso si fece ancora più ampio.
L'interno del palazzo era un pullulare di corpi straziati, il puzzo di morte e i gemiti disperati non smorzavano il buon umore del Giglio Bianco, che traeva invece giovamento da quella musica. Si districò abilmente tra i meandri del palazzo, tra grandi ambienti contornati da colonne marmoree e scalinate decorate da stucchi, giunse infine a destinazione. Nolan Valerion stava seduto sul trono, occhi spalancati e mani sulla grande lancia che, trafiggendogli il ventre, lo costringeva sul proprio seggio. Il Re proruppe in una grassa risata: — Sempre attaccato alla sua sgangherata poltrona, quel bastardo, in vita come in morte!
Irissa Valerion aveva perso la sua corona da regina insieme alla sua testa, ironicamente ruzzolata tra i piedi del defunto marito. "Ne rimane soltanto uno…" pensò tra sé il Giglio Bianco, intuì subito dove avrebbe trovato il bambino, l'ultimo dei Valerion. Mentre i suoi soldati facevano baldoria arraffando quanto potevano dalla ricca sala, notò un capannello di picchieri fermi in un angolo, si divertivano prendendosi gioco di qualcuno. Non appena si resero conto dell'arrivo del proprio signore, si spostarono mostrando al Re una donna disperata, stringeva forte a sé un fagottino.
— Bairon Valerion… il tuo nuovo signore è giunto.
L'uomo prese tra le forti braccia il neonato, inutili furono le urla della balia e i suoi tentativi di difendere il bambino, a un cenno del Re venne infilzata dalle sette lance.
Il bimbo dormiva, ignaro di tutto. Il Giglio Bianco uscì trionfante nel balcone adiacente, là dove i Valerion si mostravano al popolo nei giorni di festa. Questa volta nella piazza antistante non stavano gli artigiani e i contadini del castello, ma l'esercito di tinte porpora. Alla vista del proprio comandante, gli uomini andarono in visibilio lanciando spaventose urla di giubilo. Il Re mostrò loro il neonato, sollevandolo sopra la propria testa, sospendendolo nel vuoto. Tutti ammutolirono. Un raggio di sole filtrò tra le grige nubi e il denso fumo, illuminò il viso del piccolo Bairon, ultimo della sua dinastia, principe di un regno ormai non più suo.

2. La dinastia (Primo epilogo)
I due grossi destrieri neri correvano l'uno contro l'altro sollevando cumuli di polvere alle loro spalle, i cavalieri si fronteggiavano impavidi, solo il colore dell'armatura li distingueva, l'una color porpora e l'altra verde, il giglio campeggiava su entrambi gli scudi. I contendenti si avvicinavano a velocità sostenuta, parvero sollevare all'unisono le lance da giostra, l'impatto tremendo fu accentuato dal fragore della folla.
— Bene padre, il vostro migliore soldato è stato fatto fuori senza troppi complimenti.
Nei posti d'onore delle tribune, il giovane principe accompagnava il suo Re. Il Giglio Bianco non rispose alla provocazione, si limitò a osservare divertito il cavaliere in verde che, trionfante, si guadagnava l'acclamazione della folla. Gli spalti erano gremiti. Quando Bairon si tolse l'elmo integrale, dando respiro ai lunghi capelli color carbone, le donne sospirarono innamorate e gli lanciarono rose rosse, il ragazzo ne prese una al volo e se la portò dritta al cuore.
Il principe era inquieto, non apprezzava lo spettacolo, e fece per alzarsi. Fu bloccato dal padre.
— Melion, sai perché lui è là a mostrare il suo valore in battaglia… mentre tu sei qui al mio fianco? — il Re parlava senza voltare lo sguardo sul figlio, non attese la sua risposta. — Il suo destino è quello di guidare gli uomini in battaglia, conquistare, sterminare, che possa morire in quel macello, a noi non interessa. — Il Giglio Bianco finalmente si girò, scompigliò i riccioli biondi del principe e concluse: — Mentre il tuo destino è quello di regnare, dare ordini, governare e goderti la vita da Re, da Giglio Bianco.
Melion si rassegnò alle parole del padre, tuttavia la profonda invidia gli continuava a scalfire l'orgoglio. Sapeva che gli mentiva, col suo fisico gracile e l'abilità in battaglia di una servetta, sarebbe stato abbattuto dallo stalliere del peggior cavaliere.
Guardando il fratellastro ricevere tutti quegli onori non riuscì a trattenersi: — Avresti dovuto ammazzarlo diciott'anni fa, avresti dovuto farlo sfracellare al suolo.

La grande sala del ricevimento pullulava di invitati, tutti ubriachi. Le immense porte in mogano si spalancarono e la servitù entrò con grandi vassoi.
— Un dolce speciale per l'eccelsa cerimonia annuale! — Annunciò una voce stentorea. Sul fondo della sala, sul piano sopraelevato dove stava la mensa reale, il Giglio Bianco non beveva; il suo volto, solcato da profonde rughe, tradiva un'incipiente tensione.
— Vedrete, sarà qui a momenti. — Celsio, canuto consigliere del Re, cercava di rassicurare il proprio signore che, dal canto suo, non smetteva di grattarsi nervosamente la grigia barba.
— Il mio unico figlio non si presenta alla cena cerimoniale e dovrei stare calmo? Trovatelo!
Intanto la servitù aveva ben disposto tutte le pietanze davanti a lui, i contenuti erano celati da un coperchio argentato. Così come voleva la consuetudine, il capocuoco andò a svelare il piatto principale, sotto il naso del Re.
— Per sua eccellenza, il nostro Giglio Bianco, mi sono permesso di preparare una novità.
— Falla finita e muoviti, cuoco!
Il servo tagliò corto, tolse il coperchio con un esperto e repentino gesto.
— Et voilà!
I ricci biondi di Melion ricadevano sul viso deformato da un'atroce smorfia, gli occhi erano rivolti al cielo, la lunga lingua fuoriusciva dal lato destro della bocca, il collo era mozzato di netto. Il Giglio Bianco proruppe in un eccesso di vomito. Le porte della sala si spalancarono violentemente una seconda volta, Bairon entrò alla testa di un esercito dalle verdi armature, i soldati iniziarono a trucidare tutti gli invitati. L'ultimo dei Valerion avanzava con passo sicuro, arrivò a poca distanza dal Giglio Bianco. Sollevò in aria la bastarda insanguinata e sorrise verso il proprio padre adottivo.
— Iustitia semper triumphat. — Gli ricordò, prima di decapitarlo con un potente colpo.

3. I neonati (Secondo epilogo)
Il Re teneva le braccia tese, le grandi mani reggevano il neonato quasi fosse un'offerta al cielo. Al di sotto, le truppe trattenevano il fiato.
— Con questo… — urlò il Giglio Bianco. — La dinastia Valerion è morta e maledetta per l'eternità! — Lasciò cadere il bambino nel vuoto, l'esile corpo si fracassò nel piazzale con un tonfo sordo. Infante tra cento infanti trucidati, i soldati assettati di sangue esultavano e continuavano a massacrare con le loro lame i piccoli corpi inermi, era una montagna di bambini morti, tutti scaraventati al suolo dal balcone.
— Sono morti!
— Sono morti, tutti morti… morti!
— Sono morti, tutti!
— Morti!
Il Giglio Bianco si svegliò di soprassalto mettendosi seduto, la candida camicia da notte madida di sudore. Al suo fianco, Celsio vegliava su di lui: — Beva questo mio signore, ancora quei maledetti incubi.
— Già… — rispose il vecchio Re, prendendo la fumante tisana dalle mani del servo. — Finiranno mai? — con sguardo febbricitante fissò l'uomo seduto di fianco a letto. — Sono morti tutti?
— Tutti mio signore, esattamente diciott'anni fa, nessun infante si salvò, la volontà del Giglio Bianco fu compiuta.
— Bene Celsio… molto bene… — sorseggiò il caldo liquido. — Preparatemi per la festa.

Fu un'intensa giornata di festeggiamenti, giostre e tenzoni divertirono i feudatari e il Re. Giunta la sera, venne preparato il grande banchetto.
La sala del ricevimento pullulava di invitati, tutti ubriachi. Le immense porte in mogano si spalancarono e la servitù entrò con grandi vassoi.
— Un dolce speciale per l'eccelsa cerimonia annuale! — Annunciò una voce stentorea. Sul fondo della sala, sul piano sopraelevato dove stava la mensa reale, il Giglio Bianco non beveva; il suo volto, solcato da profonde rughe, tradiva un'incipiente tensione.
— Vedrete, il principe sarà qui a momenti. — Celsio cercava di rassicurare il proprio signore che, dal canto suo, non smetteva di grattarsi nervosamente la grigia barba.
— Il mio unico figlio non si presenta alla cena cerimoniale e dovrei stare calmo? Trovatelo!
Intanto la servitù aveva ben disposto tutte le pietanze davanti a lui, i contenuti erano celati da un coperchio argentato. Così come voleva la consuetudine, il capocuoco andò a svelare il piatto principale, proprio sotto il naso del Re.
— Per sua eccellenza, il nostro Giglio Bianco, mi sono permesso di preparare una novità.
— Falla finita e muoviti, cuoco!
Il servo tagliò corto, tolse il coperchio con un esperto e repentino gesto.
— Et voilà!
Venne presentato un dolce gelatinoso di forma piramidale, contornato da grappoli d'uva. In quello stesso momento, il portone in mogano della sala si spalancò nuovamente, con violenza. Melion entrò barcollante, i ricci capelli biondi erano scarmigliati e lo sguardo tradiva l'eccesso d'alcol.
— Tu! — urlò, avanzando traballante in direzione del padre. — Tu… — ripeté rivolgendogli contro un grosso pugnale. — Assassino di bambini… che tu sia maledetto per sempre! Non smetteranno mai di di perseguitarmi… non ci lasceranno mai vivere! Siamo tutti maledetti…
Gli astanti erano troppo ubriachi per porre rimedio a quella follia, il Re assistette impietrito: il principe si trapassò il cuore, suicidandosi.

Quando il sole sorse all'orizzonte, i suoi raggi baciarono il viso violaceo del Giglio Bianco, il suo grasso e vecchio corpo penzolava esanime, impiccato sotto il balcone reale. Prima di togliersi la vita, il Re aveva indossato una grossa targa lignea: "Iustitia semper triumphat."
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Anto Pigy
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Re: Gara 39 - Commenti, pensieri e votazioni

Messaggio da leggere da Anto Pigy »

Ecco la stesura definitiva del racconto, corretto e rivisto con il vostro aiuto. :wink:

DNA

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Amelie sedeva con le mani in mano, senza proferire parola.
Sapeva che il marito Richard e il dott. Rogers stavano attendendo la sua decisione. Per un tacito accordo, la scelta finale sarebbe stata sua. Non ne sapeva il motivo, né lo voleva conoscere, sentiva che era giusto così. Lei era la madre dopotutto.
Dopo le due ore di analisi che avevano fatto assieme, ora se ne stava in silenzio, quasi come stesse meditando, come stesse definitivamente ponderando, mettendo ancora a confronto per una volta, l’ultima, i pro e i contro.
In realtà Amelie non stava pensando a nulla. Il suo cervello aveva bisogno di un vuoto assoluto, di prender le distanze dalle mille schede tecniche e dalle proiezioni che avevano visionato. Dopo tanta tecnologia, voleva che la sua anima si mettesse in contatto con il suo io ancestrale, con quel residuo di intuito capace di fornirle la giusta scelta, al di là dei calcoli matematici.
Richard, dal canto suo, era rimasto attratto dalle prospettive che si potevano dischiudere con l’utilizzo del materiale genetico misto. Si trovava in quel momento della vita dove le speranze più ingenue della gioventù erano ormai svanite e le pressioni pratiche della realtà cominciavano ad affacciarsi perentorie. Era a capo di un’azienda importante nel settore delle telecomunicazioni, aveva una moglie che amava e una vita comoda e, si poteva dire, felice. Solo la mancanza di un figlio cominciava a logorare la serenità del loro rapporto.
I depliant erano giunti casualmente nella sua posta elettronica. Aveva letto dapprima con superficialità, poi con interesse, l’invito della Genetics Enterprise a valutare le nuove tecniche di fecondazione con rimpasto genetico attuate dal dott. Rogers. Si era informato tramite le giuste amicizie e i propri contatti, aveva incontrato il dottore, si era fatto spiegare in cosa consisteva la nuova fecondazione assistita e, solo allora, ne aveva parlato alla moglie.
- Lasciatemi dire che questa è una nuova frontiera – aveva detto loro il dott. Rogers – ma sicura. Le sperimentazioni sono già state fatte e i risultati già controllati.
- Ma cosa comporta la modifica genetica del feto? – aveva chiesto sua moglie.
Il dottore aveva sorriso come se non stesse aspettando che quella domanda.
- In poche parole significa gravidanze certe e bambini sani. – Poi aveva cominciato a entrare nei dettagli.
Richard ne era rimasto affascinato. Già si vedeva con il suo bambino – maschio ovviamente – leggermente potenziato nell’intelletto e nel fisico. Non voleva manipolazioni del colore dei capelli o degli occhi, quello no, voleva solo che fosse forte e che fosse in grado di sostituirlo nel suo lavoro. Che male c’era nel dare a suo figlio delle opportunità in più?
Ora però lasciava a sua moglie la decisione finale. Lei aveva avuto più dubbi; si era chiesta spesso se fosse giusto e se non stessero giocando a fare gli dei. La prospettiva di avere un figlio, tuttavia, non poteva non allettarla.
- Amelie, - disse il dottore, sentendosi autorizzato ad usare il nome proprio - se vuole possiamo rivedere ancora tutto il procedimento.
- No, non serve. – rispose la donna senza alzare lo sguardo. Poi tacque ancora.
Dopo qualche attimo, alzò il volto e guardò il marito.
C’era una luce nei suoi occhi che aveva il peso del destino.

Hp 1

Richard guardava la città che si stendeva davanti a lui, fuori dalla vetrata del suo ufficio. Si sentì improvvisamente vecchio, vedendo il riflesso del suo volto sul vetro.
Aveva in mano la foto che ritraeva suo figlio Nigel a tre anni, con il suo peluche preferito stretto in braccio. Si sedette riposizionandola sopra il tavolo.
Sul mobile a lato c’erano le altre: Nigel a dieci anni nella squadra juniores di rugby, Nigel con Amelie, Nigel a sedici anni portato in trionfo dai suoi compagni dopo la vittoria nel campionato, Nigel alla sua laurea.
Sentì con sofferenza il suo amore per lui.
- Papà, ho concluso l’affare! – Nigel entrò senza bussare, molto contento di sé. Era diventato un giovane uomo, pieno di energia. I muscoli disegnavano forme apprezzabili sotto la giacca, l’abbronzatura faceva risaltare gli occhi verde smeraldo.
Si diresse al mobile sulla destra e versò un generoso sorso di brandy per sé e per il padre.
- Come hai fatto? – chiese Richard prendendo il bicchiere dalle mani del figlio.
- Non ti annoierò con i dettagli. – disse sedendosi, con una smorfia di fastidio. – Ti basti sapere che abbiamo tutti i fondi di cui avevamo bisogno.
Il padre non insisté. Non lo faceva più da molto. Aveva perso via via tutto il suo potere, mantenendo solo una parvenza di comando.
La prima volta aveva preteso delle spiegazioni. Alcuni suoi rivali in affari avevano subito degli incidenti sospetti proprio pochi giorni prima di concludere un contratto al posto loro e il figlio del suo concorrente era morto. Il dubbio che il figlio avesse agito alle sue spalle non lo aveva più abbandonato.
- Papà, non ti devi preoccupare di quello che faccio. – Gli aveva risposto secco quel giorno. – E poi, in affari a volte ci sono degli effetti imprevedibili. – E aveva sorriso in maniera enigmatica e perversa.
Quella era stata la prima volta che Richard aveva cominciato ad aver paura di suo figlio. Solo in quel momento aveva capito di aver vissuto sempre in bilico, con il presentimento che qualcosa di preoccupante stesse per succedere. Qualcosa che aveva a che fare con suo figlio, con il suo Nigel.
Non aveva mai avuto il coraggio di fermarlo, di intervenire. In qualche modo si sentiva responsabile per quello che era diventato. Non era stato proprio lui a definire nel dettaglio quali caratteristiche implementare al momento di gestire la sua nascita? Quali geni rendere predominanti e quali no, quali peculiarità mettere in evidenza? Amelie non aveva voluto saperne, a lei bastava avere un figlio da amare.
E lo amavano così tanto. Anche Amelie aveva dei dubbi su di lui, ma non ne parlavano mai. Quello che non veniva detto, in un qualche modo era come se non esistesse, o quasi…
Quando Claire, la ragazza di Nigel, aveva accusato il figlio di averla picchiata, loro avevano fatto finta di non crederci. Ma sapeva che Amelie ancora oggi si sognava le ferite sul volto e sul corpo che Claire, piangendo, le aveva mostrato.
- Forza papà, devi venire con me in banca. C’è bisogno che tu faccia una transazione per me. – Ordinò Nigel.
Si avviarono insieme, Richard sempre un po’ più curvo, Nigel vigoroso e scattante, quasi dovesse sempre frenarsi per conformarsi al ritmo degli altri. Mentre raccontava alcuni dettagli delle sue prodezze al padre, Richard non lo ascoltava nemmeno.
Entrarono insieme attraverso le porte della banca e non si accorsero in tempo di quello che stava succedendo.
Troppo tardi videro le persone a terra, riunite in un angolo dell’ampio atrio. Alcuni criminali impugnavano armi e minacciavano i cassieri.
Dei dilettanti. Non si avvidero in tempo del sopraggiungere dei due e la sorpresa li fece reagire con impulsività.
Forse fu la vista leggermente potenziata o forse solo l’istinto, ma Nigel comprese subito che l’uomo di fronte a loro stava sparando. Con mossa fulminea, grazie all’incremento dei suoi riflessi, riuscì a spostare il corpo del padre proprio davanti a sé.
Richard percepì la pallottola che attraversava il suo corpo. Nei suoi ultimi attimi di vita provò una felicità intensa perché aveva salvato suo figlio, il figlio che aveva sempre messo davanti a ogni cosa. Nello stesso istante si sentì così infelice e sperò, con l’ultimo alito di vita, che Amelie non venisse mai a conoscenza di quello che Nigel aveva fatto.

Hp 2

Amelie stava attendendo suo figlio. Nigel doveva venire a prenderla per accompagnarla a fare alcune spese.
Era pronta già da un po’ e attendeva seduta sulla veranda, con la borsa in mano. Poi lo vide arrivare.
Come al solito provò un acuto senso di possesso e di amore. Nigel guidava con prudenza e la salutò con la testa mezza fuori dal finestrino ancor prima di arrivare sotto casa.
- Ciao mamma!
Lei sorrise e girò attorno all’auto per andare a sedersi al suo posto.
- Allora, come va oggi? – chiese dando un bacio al figlio.
- Mmm – rispose Nigel facendo retromarcia. Amelie sentì, più che vedere, la smorfia che si era disegnata sul volto del figlio – come al solito.
- Nessuna novità per il lavoro?
- No, ancora niente mamma.
Lei non disse niente. Sapeva che era un tasto dolente e non voleva essere assillante.
Nigel era stato la sua luce e la sua benedizione. Non aveva importanza se aveva faticato a finire la scuola e se aveva scelto di non andare al college.
Richard invece non si rassegnava. Le cose tra loro si erano incrinate e, anche se Amelie non voleva pensarci, sapeva che le dava la colpa di tutti gli insuccessi del figlio. Non avevano mai affrontato la cosa, ma anche così, il miraggio di ciò che avrebbe potuto essere rimaneva sospeso nell’aria.
Lei non aveva rimpianti, avrebbe rifatto tutto nella stessa maniera, avrebbe ripreso le stesse identiche decisioni. Ogni volta che posava gli occhi su Nigel non aveva nessun dubbio. La sua vita era stata felice, aveva avuto un figlio senza l’aiuto della scienza, senza ricorrere a modificazioni genetiche pericolose.
Parcheggiarono. Amelie prese a braccetto il figlio e cominciò a raccontargli delle piccole vicende di casa.
Troppo tardi videro le persone che uscivano dalla banca, mascherate, impugnando le armi. Si ritrovarono proprio nel mezzo.
Si dice che nel momento del pericolo, quando si vedono le persone che amiamo minacciate, il corpo reagisca tirando fuori delle potenzialità nascoste. Nigel comprese subito che l’uomo di fronte a loro stava sparando. Spinto dalla disperazione si buttò avanti, facendo scudo con il suo corpo alla madre.
Nigel percepì la pallottola che attraversava il suo corpo. Nei suoi ultimi attimi di vita provò una felicità immensa perché aveva salvato sua madre e, nello stesso istante, sentì una pena infinita per il dolore che avrebbe lasciato dietro di sé.
…Alla fine di questa giornata rimane ciò che è
rimasto di ieri e ciò che rimarrà di domani;
l’ansia insaziabile e molteplice dell’essere
sempre la stessa persona e un’altra…

Fernando Pessoa, "Il libro dell’inquietudine"
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Re: Gara 39 - Commenti, pensieri e votazioni

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Chi non ha mai pensato (o realmente vissuto) un'istantanea della propria vita, gli stessi gesti e le stesse parole senza rimanerne perplesso e affascinato? Chi non lo ha mai rievocato come un sogno o, perché no, come un incubo a occhi aperti?
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