Margò
Margò
Si fermò all'angolo tra via Matteotti e vicolo Carducci, come ogni sera chiuse per un attimo gli occhi, si spogliò di ogni pensiero, preoccupazione, ricordo e rimase in ascolto: il fischio di un treno, il rombo dei motori delle automobili, la voce di un uomo che parlava al cellulare, i tacchi delle scarpe di una donna, probabilmente due...un profumo buono, di pulito, di casa, di pioggia, di sudore, di cibo indiano, di fumo di sigaretta...qualcuno la urtò, aprì gli occhi e vide due ragazzi sui vent'anni che si allontanavano sghignazzando; non si curò di loro e proseguì il suo cammino. Alzò il bavero del cappotto e lo strinse forte intorno al collo, una folata di aria gelida l' aveva schiaffeggiata non appena aveva svoltato verso via Verdi. Le abbaglianti luci delle vetrine sembravano una giostra, a Margò quasi bruciavano gli occhi dopo aver camminato per un chilometro nella semioscurità. Quando la sua vista si adattò si avvicinò alla vetrina del negozio d' abbigliamento vicino al ristorante cinese, quello dove un tempo faceva tutti suoi acquisti: poggiò le mani al vetro gelido, nonostante il disappunto della commessa che all'interno stava applicando un cartellino ad un abito rosso. Margò era incantata davanti a quegli abiti, rapita e avvolta in una bolla isolante in cui fluttuava e dall'alto si vedeva quindici anni prima, le sembrava così reale l' immagine di quella giovane donna che usciva dal negozio colma di borse di carta sotto il braccio e inconsciamente allungo una mano per toccare quell'immagine così autentica, così vera... ma un' altra spinta, da dietro, la fece quasi cadere. Gli occhi bruciavano sempre più, forse una lacrima era scesa, un rigolo caldo su un viso gelido e invecchiato troppo presto, un po' per la stanchezza, un po' per la nostalgia, un po' per la paura del futuro. Si asciugò velocemente il viso con il polsino del cappotto, si guardò intorno e finalmente scorse casa sua. Attraversò velocemente la strada non appena il semaforo si illuminò di verde. Aprì la porta e raggiunse il suo nido, l' angolo che ormai da tanti anni le dava conforto. Si diresse verso la biglietteria automatica, spostò leggermente il cassettone d' acciaio e con sollievo trovò ancora il sacco nero che aveva meticolosamente nascosto nell'incavo della macchina, era ancora tutto lì. Un cartone pesante che faceva da materasso, due coperte, una in lana e l' altra in pile, una saponetta, due bottiglie d' acqua e la statuina di Padre Pio. Posizionò il cartone nell'angolo destro del corridoio, prima delle scale, dove non passava quasi nessuno; tolse il cappotto e appallottolandolo lo trasformò in cuscino; si avvolse le coperte intorno e si coricò. Chiuse gli occhi e pensò a sua sorella, mentre lo stridio del treno che arrivava da Roma raccoglieva gli ultimi passeggeri della sera.
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re: Margò
re: Margò
Grazie Stefano per aver commentato. Raccolgo con piacere le tue osservazioni. Presteró sicuramente maggiore attenzione alla forma nel prossimo racconto.Stefano Giraldi Ceneda ha scritto: 31/01/2019, 13:38 Nostalgia e tenerezza si combinano in un testo fluido, incentrato sulla figura di un personaggio che, da subito, si configura come fuori dell'ordinario. Valide le evocazioni inanellate tra le azioni del racconto: favoriscono spontaneamente immagini e suggestioni. Opererei una rapida revisione formale, anche se non ho notato refusi degni di nota.
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re: Margò
Grazie di cuore. Mi fa un immenso piacere essere riuscita a trasmettere esattamente ciò che volevo. Il mio obiettivo è quello di catapultare il lettore nella realtà del mio protagonista, riuscire a fargli vivere almeno in parte quello che prova lui e io. La strada è ancora lunga ma il tuo commento mi fa capire che stó percorrendo la via giusta.Draper ha scritto: 04/02/2019, 12:46 E' un ottima istantanea di vita, i cui lirismi la rendono degna di stare su pagina. Ho sospettato da subito che Margò fosse una clochard, ma credo sia dipeso dal fatto che mi è capitato non solo di incontrarne tantissimi - mentre ero a Bologna, nel mio caso - ma anche di leggere molte testimonianze, letterarie e non, sul problema. A prescindere da questo, resta comunque la tua abilità di estrapolare uno spaccato di realtà e renderlo fruibile e coinvolgente per chiunque, non è da tutti scrivere come se si fotografasse. Ottime le descrizioni, soprattutto.
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Niente da segnalare, se non gli spazi di troppo dopo l’apostrofo.
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re: Margò
Grazie Roberto, anche per l'apprezzamento al mio precedente racconto.Roberto Bonfanti ha scritto: 06/02/2019, 18:14 Mi aveva già colpito la tua capacità descrittiva nel racconto della gara precedente, anche qui riesci a rendere al meglio la figura di questa donna, le sue difficoltà quotidiane di senzatetto; sembra di vederla, anzi, ci si immedesima in Margò che osserva un mondo che non le appartiene più.
Niente da segnalare, se non gli spazi di troppo dopo l’apostrofo.
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che sia così per scelta o per necessità, poco importa.
buone le descrizioni, soprattutto nella prima parte, comprese quelle a livello emotivo.
il finale è un po' scontato, ma va bene anche così, visto quanto scontata sia la vita della protagonista.

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Tornando al racconto è ben scritto, si percepisce la sensazione di abbandono e solitudine che pervade la vita della protagonista, naufraga di un mondo che pensa di cancellare la povertà semplicemente ignorandola.
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Idea: un racconto permeato di nostalgia ben descritta.
Trama e Argomento: una donna passa il pomeriggio come forse era abituata a fare. La storia, però, qui è diversa.
Personaggi: la non-descrizione della donna è efficace e la rende autentica.
Lettura: delicata e soffusa come la nebbia che si immagina permei la stazione dei treni.
Grammatica e Sintassi: fra l'articolo con apostrofo e la parola seguente non va mai messo uno spazio. Quando cambia il soggetto, meglio usare il punto e virgola, o addirittura il punto.
nessuno l' aspettava,
nessuno l'aspettava,
era gennaio e si gelava, muoversi velocemente la riscaldava
era gennaio e si gelava; muoversi velocemente la riscaldava
Guardò il cielo, l' oscurità oramai
Guardò il cielo; l' oscurità oramai
l' oscurità oramai aveva assorbito quasi tutta la luce
Si usa oramai per indicare un evento che sta per essere completato.
Si usa quasi per indicare un evento non completato.
l' oscurità oramai aveva assorbito tutta la luce
oppure
l' oscurità aveva assorbito quasi tutta la luce
due...un
due... un (dopo i tre puntini ci va uno spazio)
l' aveva
l'aveva
aveva schiaffeggiata non appena aveva svoltato (due "aveva")
aveva schiaffeggiata non appena svoltato verso via Verdi
sembravano una giostra, a Margò quasi bruciavano gli occhi
sembravano una giostra; a Margò quasi bruciavano gli occhi
Quando la sua vista si adattò si avvicinò alla vetrina
Quando la sua vista si adattò, si avvicinò alla vetrina
d' abbigliamento
d'abbigliamento
faceva tutti suoi acquisti: poggiò le mani
faceva tutti suoi acquisti. Poggiò le mani
un cartellino ad un abito rosso.
un cartellino a un abito rosso.
l' immagine
l'immagine
allungo una mano
allungò una mano
un' altra spinta
un'altra spinta
nell'incavo della macchina, era ancora tutto lì.
nell'incavo della macchina. Era ancora tutto lì.
d' acqua
d'acqua
Giudizio: una vicenda triste che però si legge con piacere.
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Devo dire che è molto bello e commovente, bravissima.
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La Gara 1 - I 7 vizi capitali
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Gara di primavera 2021 - A world apart, e gli altri racconti








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