Nόστοι, Ritorni
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Nόστοι, Ritorni
Dalla finestra di fianco alla porta mi fermai a osservarlo mentre sorseggiava del whisky seduto alla scrivania, immerso nell’alcool quanto nella soluzione della congettura di Goldbach supposi, alla ricerca di un risultato per quel problema su cui da mesi si frangeva la sua caparbietà.
«Dovrebbe esserci un esperimento mio lì» riuscii a decifrare dal movimento delle labbra.
E il mio pensiero scivolò sull’LHC di Ginevra, l’anello sotterraneo dal diametro di ventisette chilometri, terminato di costruire nel 2008.
Mi decisi a bussare.
La donna di mezza età, esile elegante, tamburellò con l'indice sul microfono per reclamare il silenzio.
Le voci in sala si sopirono, in breve si spensero del tutto.
Col sorriso più largo che il suo minuscolo e proporzionato viso potesse offrire, annunciò: «Today is the day» alla marea di scienziati, di giornalisti, di semplici curiosi assiepati in platea.
«Oggi, ventuno maggio 2015, a Ginevra, il Large Hadron Collider ha raggiunto per la prima volta l'energia di tredici tera electronvolt» continuò, nel suo inglese dall'accento bretone.
«E un rivoluzionario esperimento alle alte energie ci ha permesso una scoperta straordinaria.»
«Chi diavolo sarà a quest’ora?» Lo udii lamentarsi mentre mi apriva.
«Signor Velez» rispose in italiano, chinò il capo e nell’indietreggiare incespicò. «Io… Non l’aspettavo» balbettò in evidente imbarazzo.
«Ich bin gekommen um sie an ihre Pflichten der Treue zu erinnern» Sono venuto a ricordarle i suoi doveri di fedeltà, mi limitai a dire, e gli porsi la mano destra.
Ego Wenger chinò il capo in avanti e con le labbra sfiorò il minerale opalescente perfettamente sferico inanellato all’anulare sinistro.
Entrai, e mi offrì la migliore seduta a disposizione.
Non feci in tempo ad accomodarmi che ebbe fretta di farmi sapere: «Voglio che lei si renda conto, signor Velez, di quanto le sono grato per il denaro con cui ha finanziato i miei studi, per la cattedra in questa prestigiosa università, per la casa, voglio dire… per ogni singola cosa» si sentì in dovere di ringraziarmi. «Ich schulde ihr alles» io le devo tutto, ammise, ed esibì una sorta di reverenza.
Lasciai che un vago sorriso mi increspasse le labbra insieme a una scrollata del capo, che significava: Verrà il momento per rendere il debito.
«Si segga, Herr Wenger, voglio metterla al corrente di una storia mai scritta» proposi, e picchiettai col palmo il cuscino di fianco al mio.
«Lei sa qualcosa della campagna di Russia, Herr Wenger?»
Incredulo posò il suo sguardo sui miei occhi verdastri e incerto rispose: «Quel che tutti sanno, ritengo: l’invasione nazista partì nel migliore dei modi, ma si arenò in Ucraina perché Hitler venne ucciso in un attentato, se ben ricordo mentre era in visita a Kiev nel 1941; e con lui furono eliminati anche Mussolini e Himmler. Göring si ritrovò solo al potere...»
«Già, per quanto fosse stato uno dei primi a credere in Hitler, quel morfinomane si era persuaso che quella guerra non potesse esser vinta e giunse a un armistizio con le potenze alleate: la Repubblica venne restaurata.»
Ego Wenger chinò il capo, indeciso se replicare.
Gli porsi una vecchia fotografia, di un uomo in divisa da SS.
«Lo conosce?»
«Dovrei?» Replicò risentito, e le labbra si contrassero in una smorfia colla quale si manifestò la sua insofferenza.
«Non usi il sarcasmo con me, Herr Wenger, non si confà alla sua posizione.»
«Mi perdoni, signor Velez, non era certo mia intenzione» si difese «tuttavia no, non sono in grado di conoscere l’identità di quell’uomo. Seppure, a ben vedere i lineamenti… mi dia un istante per controllare» si scusò, e si mosse per raggiungere il portatile.
Dopo qualche momento si presentò, con l’aria frastornata, e mi mostrò una pagina HTLM. «Quel volto mi diceva qualcosa… e infatti: si tratta di Felix Bloch, svizzero, primo direttore del CERN di Ginevra, dal 1954 al cinquantasei; o almeno, Bloch somiglia maledettamente all’uomo della sua foto. Però com’è possibile che sia proprio lui?» Si domandò. «Bloch nel 1952 aveva già vinto il Nobel, era amico di Heisenberg e Schrödinger, mentre il suo uomo pare un generale nazista.»
«Non proprio, era uno Standartenführer delle SS, l’equivalente di un colonnello» precisai. «Tuttavia si trattava ugualmente di un uomo influente; eravamo amici, sa?» Gli rivelai «E cresciuti insieme fin da piccoli io e Manfredi… o forse dovrei dire Felix Bloch.»
«Si vuol burlare di me, signor Velez? Lei non può essere tanto vecchio.»
Mi scappò un sorriso e con un cenno lo invitai a pazientare. «Il vero obiettivo dell’attentato del 1941 non era il Führer, o il Duce, o Himmler, ma colui che lo aveva ideato.»
Lasciai che mi fissasse titubante. «Vuole dire che... il reale bersaglio era l’organizzatore dell’attacco? Ma perché poi?» Osservò, carico di scetticismo. «Mi pare comunque di ricordare che la mente fosse quella di un nobile bavarese, un alto ufficiale della Wehrmacht: Michael von Poshinger, se non erro.»
Non riuscii a trattenere un fremito. «L’ideatore dell’attacco si chiamava come me» gli svelai: «Ludovico Velez.»
«Mi perdoni, ma... io proprio non la seguo.»
«Non è necessario che adesso lei capisca, ma che rammenti. Come tutti lei pensa il tempo in modo lineare, Herr Wenger, nello svolgersi di una successione immodificabile: passato presente futuro sono un concetto, frutto di migliaia di anni di metafisica teologia fisica, che accompagna ogni pensare il mondo. La Natura ama nascondersi, Herr Wenger. Se io le dicessi che ciò che è esiste all’interno di un orizzonte estatico non le direi nulla. Non mi aspetto che adesso comprenda, ma solo che mi ascolti.»
Πάντα δε πόλεμοϛ iniziai, e continuai a raccontare finché non sentii il ticchettio dell’orologio da tasca. E mi trovai di nuovo dentro il tempo.
«Ecco il mausoleo di ogni speranza, lo prenda» dissi per congedarmi, e glielo porsi.
«Le sono molto grato, ma...»
«La guerra tra Einai e Ananke è senza tempo, Herr Wenger, anzi si svolge al di fuori del tempo; non le regalo questo orologio perché possa ricordarsi del tempo, ma perché possa dimenticarlo e non commettere l’errore di assecondarlo. Mi metterò io in contatto con lei, quando arriverà il momento. Nel frattempo, dia un’occhiata a questo volume.»
Ego Wenger aprì il piccolo tomo dalla spessa copertina di marocchino: la carta sembrava antichissima, ma i caratteri di stampa erano senza dubbio moderni.
Il tempo ci trascina in un’unica direzione, pensò, non si torna indietro, è impossibile.
E fu invaso da un misto di sconforto e di rabbia.
«Sento la necessità d’abbandonarmi a ciò che è» lesse ad alta voce. «Da tempo gli esseri umani hanno dimenticato di non essere altro che un ente che riflette sul proprio esser-Ci; portare alla luce la latente potenza di questa dimenticanza, attraverso un ricordo di essa in quanto dimenticanza, è in ciò la risonanza di ciò che è.»
Cosa diavolo volevi dirmi?
Ed esasperato si affacciò dalla finestra cercando conforto nel cielo stellato.
«È così assurdo chiedersi perché quando si pronuncia la parola necessità si pensi a qualcosa di negativo, come se fosse una sventura? E, al contrario, l’assenza di necessità è vista come un bene, specie dove si attribuisce importanza alla fortuna e al benessere? Che invece si mantengono solo grazie all’ininterrotto rifornimento di quanto è godibile e utilizzabile, che si incrementano per il tramite unico del progresso: che di conseguenza si fa esso necessità, diviene esso stesso il nostro unico destino: Ananke, la Necessità che ci costringe a procedere per quell’unica via dimenticando Einai.
Viviamo in un’epoca in cui l’incanto non ce lo regala più ciò che è, ma il solo progresso e la tecnica: che si superano di continuo puntando tutto sul calcolo, sulla funzionalità, sulla manegevolezza, sull’utilizzazione. Nel progresso è insita l’idea di miglioramento, e attraverso il miglioramento la tecnica si assicura il dominio più incontrastato e inappariscente che sia mai esistito sulla faccia della Terra; si innalza il livello medio, ma allo stesso tempo, inquietantemente, scompare lo spazio per le domande e per la decisione, segno dell’abbandono di ciò che è. La tecnica è il mezzo che si fa fine, l’assenza di necessità che diventa necessità, e lascia svanire tutte le mete, le uniche che trasformano l’uomo e gli conferiscono un senso; senza un senso la vita si trasforma in angoscia e, preclusa qualsiasi decisione, sboccia e si propaga il nichilismo, il trionfo più grande di Ananke.
La tecnica moderna non ci è stata donata da Prometeo, ma da suo fratello Epimeteo.
E questa umana assenza di mete trasforma in schizofrenia il nostro affannarci sulla superficie di questa palla di fango che chiamiamo Terra, il cui unico scopo si riduce al ruotare intorno a un grande nulla infuocato che si muove non si sa per quale motivo insieme a miliardi di incandescenti altri nulla, in un distillato di pura angoscia esistenziale.
Credo che succeda per via di questo stato di cose, di questa indeterminatezza, di questa impossibilità di scegliere, di prendere una decisione per imboccare una strada che abbia un senso, che la scrittura moderna si mostri tanto ambigua, priva di direzione, di respiro, anche sintattico e lessicale, di orizzonti, e non sappia far altro che concentrarsi sull'individuo, uno qualunque non importa: che sia un povero fruttivendolo o un oscuro agente di commercio, un arrapato avvocato o un poliziotto fascista, una mignotta o un anatomopatologo allergico alla formalina, un ricco finanziere o un ottuso specialista nell'asportazione di gliomi e astrocitomi.
E l’in-dividuo, ciò che non può esser diviso, viene invece fatto a pezzi, smembrato e analizzato, e i suoi organi, persino i suoi pensieri, trattati come un qualcosa di non umano.
Anche lo scrittore scrive scambiando i mezzi per i fini: non per comunicare, mostrare, pensare o criticare, ma per il denaro, per sostenere una traballante autostima, per l'avidità di elogi: alle volte per un compulsivo istinto, che lo costringe ad apparire attraverso la scrittura e non invece mediante un'arrampicata sulla parete nord del Cervino...»
E nauseato l’abbandonò sulla scrivania.
Che magnifico sentimento il disprezzo, pensò. Come in quel romanzo italiano che una volta aveva letto.
E la considerazione gli illuminò il volto. Sottile, spigoloso, tutto naso, e con piccoli occhi scuri accesi da una luce torbida e profondi come le tenebre.
Ego Wenger di professione faceva il fisico, con una specializzazione in particelle elementari. Cose tipo neutroni e protoni, ma anche quark e bosoni, misteriose presenze a cui la stampa internazionale tributava onori occasionali ogni qual volta capitavano fantasmagoriche, eccezionali, sensazionali, incomprensibili, nuove scoperte.
Ed era ateo. Pensava che dio, o Dio, fosse solo un'emanazione della mente umana e la religione nient’altro che un comodo strumento per offrire struttura a ciò che ne era privo; ma ciò solo nel migliore dei mondi possibili. Anzi, disprezzava chi credeva in Dio, anche se era un dio qualunque, a conti fatti un dio buono e inoffensivo che aveva a cuore soltanto il benessere del genere umano e dell’universo intero; lo riteneva insensato, e da anni lavorava alla teoria delle stringhe come teoria del Tutto, per poter dimostrare che un dio, o quel Dio, proprio non esisteva.
Infiniti universi in infinito tempo, questo cercava.
Che motivo d'un dio può mai esistere là dentro?
Per Ego Wenger nessun essere soprannaturale si nascondeva nelle sue equazioni: nessun ente divino governava gli infiniti universi in infinito tempo: nessuna chiave della creazione, a meno di un mistero buffo. L’ultimo atto della metafisica è la morte di Dio, scriveva Nietsche.
Quella sera gli venne in mente così, forse a causa di Ludovico Velez, del suo orologio o del suo libro, o per merito di quel whisky invecchiato dodici anni in qualche barrique bordolese da duecento litri più la parte degli angeli. E se ne andò a dormire beato, dimenticò tutto: l’università di Marburg, il Sogno d’amore di Liszt, le riflessioni su Dio e sulla metafisica di Nietsche, sull’idealismo di Hegel, l’esistenzialismo di Heidegger, la fenomenologia di Husserl. E quel libro tanto imbrogliato lasciatogli dal suo misterioso anfitrione: forse un capolavoro, tanto da meritare il Nobel per la letteratura, o forse per la fisica. Un testo profondo, un po' com’era l'ateo Ivan Karamazov, e anche genuino, come il suo santo e devoto fratello Aleša, preciso e razionale, quanto il saggio di Hoffstaeder che accomunava le opere di Escher a Bach e a Gődel: denso di spirito critico, come i testi del Montano che esaminavano le diatribe tra Sartre, Camus e Merlau-Ponty sulla validità o meno dell'uomo in rivolta e sul liberismo e il marxismo, il post-strutturalismo o la rilevanza dell’Essere: dall’approccio inusuale, come le Dialettiche dell’Illuminismo e Negative: poetico, come le liriche di Antoine Madrid su Parigi: realista, come il Contesto di Sciascia: originale, come quella rivista letteraria dal nome altisonante: Il guardiano del faro.
Ma quale faro? Si svegliò di colpo con quel tarlo in testa e non gli rimase altro, per passare la nottata, se non di sorseggiare una tazza di camomilla aromatizzata con del Cointreau.
Qualche giorno dopo (o forse prima) a un congresso di fisici teorici e delle particelle, a cui s'era aggiunto un nutrito manipolo di cosmologi e di matematici sperimentali (che il cielo li abbia sempre in gloria per quanto sono astratti e fluttuanti, come particelle di Planck), lo arrapò un desiderio nitido e nettissimo di rum. Non di uno qualunque, ma di quello secco e scuro che distillano a Port au Prince e che sa di tabacco più che di canna da zucchero. Le Diable si chiamava quella bottiglia dall'etichetta nera con su stampato un cornuto rosso con la coda a punta e, nel bar dell'hotel dove si teneva la conferenza, gliene servirono quattro bicchieri di fila, da buttare giù uno appresso all'altro.
Quando tornò nella sala, con un sorriso ebete ben visibile, si decise a seguire il relatore numero otto. Diversamente dai congressi medici, foraggiati da miliardarie case farmaceutiche prodighe nell'elargire gadgets inutili o utilissimi regali insieme a pranzi meravigliosi in luoghi esotici o in città d'arte con hostess prorompenti ad assecondare ogni più piccolo desiderio, i congressi dei fisici consistevano in tristi adunanze per stempiati iniziati quasi sempre autofinanziate dal club degli iniziati stessi. Si pagava quel che si consumava insomma. Hotel squallidi in apatiche città di provincia nella speranza di risparmiare qualche centesimo. Di euro, di dollari o di yen faceva poco la differenza.
Ma perché il denaro è tanto scarso? Si distrasse ancora Ego Wenger.
Che aveva letto Smith e Ricardo, Malthus e il Kuznets dell'ingannevole curva della crescita, Il Capitale di Marx, con la sua terribile profezia della caduta tendenziale del saggio di profitto, e quello posteriore di quel professore della Sorbona di cui non ricordava mai il nome: solo per provare a entrare dentro la Mente dell'Imperatore. E sperava di non aver capito. Perché gli pareva assurdo che si trattasse solo di un fattore legato all'avidità umana. Che il sistema economico che governava il mondo degli uomini fosse del tutto identico a quello degli scimpanzé: io mangio tu no. Orgogliosamente mosso e motivato da un paio di irrazionali sentimenti, di quelli che hanno origine nel cerebro primitivo, detto rettiliano per l’appunto, e neanche dei più pregiati: l'avidità e l'invidia. Roba da sette peccati capitali, da sette piaghe d'Egitto e altre atrocità essenziali del Vecchio Testamento, della Torah nonché del Corano e di quel magnifico poema indiano dal nome impronunciabile. Però, a quanto ricordava d'aver udito dai numerosi esegeti, il detto sistema funzionava assai bene ed esistevano un mucchio delle sue care equazioni, adoperate con perizia e diligenza dal fior fior di questi sacerdoti in giacca e cravatta, a giustificare (con la razionalità), più che garantire, il funzionamento di un motore tanto meraviglioso e il propagarsi dell'ordine precostituito: pochissimi ricchi, tantissimi poveri.
Nel sistema delle sfere perfette di Tolomeo niente era più puro e meritevole di attenzione e venerazione di un cerchio, di una sfera: il simbolo della perfezione dell’Essere, di Einai, ora ricordava, lo aveva visto all’anulare di Ludovico Velez.
Ma chi era quell’uomo? Da dove veniva?
«Se ho tempo le verifico queste equazioni» decise al quinto rum, un Tio Pepe filippino questa volta, mentre un altro barman barbuto lo squadrava di sottecchi, forse perché non aveva usato il sottobicchiere e macchiato il finto marmo del banco con una sfera perfetta. O forse perché gli stava antipatico e basta.
I fisici sono quasi tutti uomini, come i matematici. Nessuna bella dottoressa in medicina e chirurgia a leggere relazioni: nessuna figlia di Venere a illustrare alla platea le ultime tecniche di laparoscopia ginecologica, pensò. Nessuna sottomissione.
Si rannicchiò sulla sedia di plastica rossa col banchettino snodabile e si sforzò di ascoltare delle vicissitudini di un esperimento eseguito con l'LHC di Ginevra, che per amor di serendipità aveva aperto le porte a un'altra incredibile scoperta e svelato l’ennesima effimera, ipotetica, verità scientifica, pronta a essere confutata al successivo esperimento.
Odio le donne, gli venne da pensare, soprattutto quando sono a capo del CERN. Odio le donne, perché non riesco a farmi finanziare un esperimento decente da portare al cospetto di sua Maestà l'LHC, nonostante gli appoggi di Ludovico Velez. Odio le donne, perché mi trovano noioso e antipatico e non mi guardano neanche in faccia. Odio le donne, perché non riesco a scoparmene una senza dover pagare.
E si rassegnò a far ricorso all'ultima risorsa possibile: una fiaschetta di gin gallese che teneva di riserva nella tasca interna della giacca.
«Ego Wenger?» Si fece avanti un tizio dall'accento farsi o forse pashtun, dall’aspetto persiano o potrebbe darsi khorasanita come quell’Assad ibn al Furàt.
Fece segno di sì, e con disprezzo scrutò quegli occhi verdastri incorniciati dal kajal.
Ripeté dentro di sé di non nutrire esigenza alcuna di vedere una faccia barbuta e musulmana, adoratrice di un libro nevrotico, a meno di un metro dalla sua e poi si perse ancora in fantasie con congressi pieni di medichesse che lo applaudivano con l'intento di portarselo a letto.
Il tizio parlò, lo sentì ma non lo ascoltò, abbassò la testa e mormorò qualche davvero nella stessa lingua con cui il tizio gli parlava. Poi lo sconosciuto affondò la mano in una tasca e ci frugò dentro.
Dio santo, pensò, Ego Wenger. È un maledetto terrorista, e adesso mi sgozza.
Ma al posto del coltello gli sembrò di vedere una pen drive.
Perché diavolo me la sventola davanti al naso? Come fosse una scimitarra affilata, pensò irritato.
E si sentì come il Salman Rushdie dei Versetti Satanici: pronto a sacrificarsi per la libertà d'espressione.
Lo sconosciuto gliela offrì.
Afferrò l’oggetto e con un sorriso gli garantì la sua futura attenzione.
Si meravigliò d'esser lasciato in pace tanto facilmente senza neanche la fatica di dover mentire un indirizzo email, e tranquillizzato si alzò per un altro salto al bar.
Aveva voglia di qualcosa di dolce adesso, e al barista antipatico ordinò uno Slivovitz, che non aveva, e poi si accanì chiedendo una Rakija, che gli mancava pure. Adocchiò una bottiglia di Boroviçka mezza piena e non fu contento finché non l'ebbe svuotata, quindi tirò fuori il libro di Ludovico Velez dalla borsa.
Odio quando l'autore si rivolge al lettore e magari gli strizza l'occhio, pensò. Ma questo è un racconto poi? O una storia vera? Si dice così per dare credibilità alle più incredibili stronzate, gli venne da ridere.
E per poco non eruttò le bacche di ginepro e il rum ben schakerati insieme nel calduccio dello stomaco.
Eppure sembra un saggio, o un manuale, a volte una monografia o un paper review.
«Mi è successo prima che diagnosticassero un astrocitoma diffuso nell'emisfero destro. Mi guardo allo specchio e somiglio a Nicanor Parra con la barba, la prima poesia latinoamericana che ho letto è Viaje a Nueva York di Ernesto Cardenal. Ma in lingua spagnola preferisco Tigre y Paloma di Garcia Lorca, soprattutto se dopo leggo Fontamara di Ignazio Silone. Georg Simmel scriveva che chi possiede un segreto, un segreto qualsiasi, possiede un'arma. Un'arma formidabile.»
Mica scemo quel Simmel, pensò.
Quando inserì la chiavetta nel computer apparirono delle equazioni in un campo pluridimensionale.
Chissà che mi aspettavo, fu la sua unica riflessione.
Rimase immerso per ore, giorni, settimane, mesi in quell'universo simbolico e probabilistico. Non era un'ipotesi. Non era uno studio.
Era matematica che non poteva esistere sulla Terra, in questo Universo, o almeno in questo Tempo.
Un passero tagliò il sole di sbieco, si posò sul davanzale e alzò la testa verso di lui.
«Tu sei il diavolo, oppure Dio» ruggì.
Corse alla ricerca della sua riserva segreta: un cognac invecchiato venti anni, d'un deciso colore ambrato, dall'aroma legnoso di ciliegio, dal sapore delicato, persistente, duraturo, dal magnifico aroma di vaniglia e rovere, di ribes e pesca, ‒ anche se è perfettamente inutile spiegare cos'è il cognac a degli astemi che ignorano la meccanica quantistica.
È lui il mio bianconiglio? Quel barbuto dall'aspetto mediorientale e dall'accento di Tabriz o di Shiraz o di Mazar i Sharif?
Sistemò sul piatto il primo coro della Passione secondo Matteo e ascoltò quella perfetta architettura armonica e impareggiabile consistenza melodica mentre invadeva la stanza.
«Neanche Bach è riuscito a farmi credere in Dio» mormorò. «Ma nelle equazioni di quell'angelo barbuto l’ho trovato, quella processione armoniosa di simboli dimostra che Dio esiste e ha creato il Tutto.»
Da lontano vide Scriabin comporre il finale della sua seconda sinfonia e Jacob Gershowitz con Antonìn Dvořàk sulla Quinta Strada, incontrò Rachmaninov a San Pietroburgo e ascoltò Einaudi suonare Oltremare per la prima volta.
Dio ha creato la Terra per far nascere Bach, è lapalissiano in fondo. Ludovico Velez aveva ragione.
«Noi esistiamo in un orizzonte estatico.»
Ma ogni edificio teorico ha bisogno di esser dimostrato.
Dopo aver tirato il tappo a uno Chateau Lafitte del '92 iniziò a scrivere la relazione per un esperimento all'LHC di Ginevra, nella speranza che quella maledetta donna gli dicesse di sì.
Mentre lo faceva gli sembrò di essere uno di quei magnifici bari che si possono ammirare a Forth Worth, e quella donna assunse la consistenza della Madonna del Magnificat di Botticelli.
Anzi, tutte le figure femminili adesso gli apparivano tonde e materne, dai toni forti ma non aggressivi, come quelle del Bronzino, e gli uomini avevano gli sguardi alti e severi immaginati da un Velazquez o da un Rubens.
Esiste un fil rouge nella pittura europea, da Buffalmacco Buffalmacchi a Picasso? E perché non poteva far a meno di pensare al Trionfo della Morte?
Non ricordava più quanta Moskovskaja avesse buttato giù nel tentativo di dimenticare quel volto angelico tanto simile alla Virgo Legens di Antonello da Messina.
E quel libro non era più riuscito a finirlo, dopo che il protagonista si era ammalato di gliomatosis cerebri.
«Sconvolgerò il mondo» proclamò ad alta voce.
Prima di giungere alla villetta sulla Universitätstraße di Marburg, la strada saliva verso una scena senza prospettiva che pareva un fondale dipinto contro il sole morente di novembre.
Dalla finestra di fianco alla porta mi fermai ad osservarlo mentre sorseggiava dello Stroh dal colore verdastro seduto alla scrivania, immerso nell’alcool quanto nella dimostrazione della Teoria M-Bosonica su cui da mesi aveva focalizzato la sua ostinazione.
«Ci sarà un esperimento mio lì» riuscii a decifrare dal movimento delle labbra.
E il mio pensiero scivolò sullo ZHK di Ginevra, l’anello sotterraneo dal diametro di duecentoventisette chilometri, terminato di costruire nel 2008.
La donna di mezza età, esile, elegante, tamburellò con l'indice sul microfono per reclamare il silenzio.
Le voci in sala si sopirono e poi si spensero del tutto.
Col sorriso più largo che il suo minuscolo e proporzionato viso potesse offrire annunciò: «Heut ist der Tag» alla marea di scienziati, di giornalisti, di semplici curiosi assiepati in platea.
«Oggi ventuno maggio 2015, a Ginevra, il Zukunft Hadron Kollider ha raggiunto per la prima volta l'Energia di Planck a 100 exa electronvolt» continuò, nel suo tedesco dall'accento bretone.
«E un rivoluzionario esperimento alle alte energie ci ha permesso una scoperta sconvolgente.»
Dalla finestra accanto alla porta lo spiai mentre sorseggiava dell’ambrosia dai riflessi mielati.
«Ego Wenger non sarà mai pronto per iniziare a decrittare il piano di Dio» mormorai
E decisi di non bussare.
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commento
- Alberto Marcolli
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Commento a Nόστοι, Ritorni
Mi auguro che i nostri “Bravi autori” ne possiedano in abbondanza, altrimenti non potranno “godere” proficuamente di questo, si fa per dire, racconto.
Un “Bravo Autore (ElianaF)”, criticando il mio racconto in gara, ha scritto: “Devo confessare che mi sono persa leggendo il racconto che inizia a London Victoria Station,”. Mi sia concessa una curiosità: cosa scriverà ElianaF commentando quest’opera? Sarei molto curioso di saperlo. Prego Sig.a ElianaF, non mi deluda.
Qualcuno dei “Bravi Autori” vorrà sapere, a questo punto:
- Ma chi si crede mai di essere questo Alberto, allora, se non indietreggia? Non penserà di essere un tuttologo, tipo l’illustre Professor Cacciari, che ultimamente è diventato anche uno scienziato a tutto campo?
- Assolutamente no! Semplicemente mi piacciono le sfide impossibili: accidenti a me!
Non essendo purtroppo all’altezza di un Professor Cacciari, ma un dilettante qualunque, mi sono limitato a lanciare, almeno un dozzina di volte (esagero!), la lettura automatica. Poi in “copia incolla” mi sono trasferito in word il testo, l’ho stampato, letto e riletto.
Questo è il risultato. Faccio un elenco delle mie osservazioni, così come, di volta in volta, mi sono sorte.
- di Goldbach supposi – virgola prima di supposi.
- esperimento mio lì» riuscii – virgola prima di riuscii
- electronvolt» continuò, - virgola prima di continuò
- e dall'accento bretone. - e dall'accento bretone».
- scoperta straordinaria.» - preferibile -- scoperta straordinaria».
- «Signor Velez» rispose – virgola prima di rispose
- erinnern» Sono – punto prima di Sono
- singola cosa» si sentì in – virgola prima di si sentì
. significava: Verrà il – verrà minuscolo
Mi fermo qui. Non voglio sembrare l’opposto di ciò che sono.
Veniamo al commento come lettore.
Come minimo servirebbero delle note a fondo pagina, che aiutino a tradurre le infinite citazioni di nomi, eventi, sistemi economici, termini filosofici, bottiglie di rum, ecc. ecc. a meno di essere come il citato tuttologo Professor Cacciari.
Ne scaturisce una lettura faticosa, lenta e imprevedibile, insomma una autentica sofferenza, o forse godimento? Mah!
Ci sono due “occhi verdastri” o forse si riferiscono alla stessa persona? Per favore, qualcuno mi illumini. Grazie
Commento
Forse la ZHK di Zurigo svolge una funzione analoga? Sono ansioso di scoprirlo, nella terza puntata.
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Re: Nόστοι, Ritorni
Ha una forma curvilinea, perché l'incipit si riallaccia al finale, ma non proprio sferica. E quel riferimento doppio, ma non identico, all'LHC ZHK dovrebbe suggerire qualcosa a proposito.
In natura non esiste la sfera perfetta, checché ne dicesse Tolomeo, ma solo forme imperfette. Anche le ellissi delle orbite planetarie non sono sempre identiche anno dopo anno e perfette come l'iconografia fa credere e comunque sono sempre aperte e quindi non sono ellissi ma tutt'al più spirali. Va beh.
È peraltro questo un racconto che narra di Ritorni, di un νόστοϛ come quello dell'Odisseo, o era Ὀύδεῖν?, di Omero. Il mio νόστοϛ, o meglio quello di Ludovico Velez, il protagonista che pare non invecchiare e capace di ri-tornare sui propri passi, sembra ucronico con quella singolare concezione del tempo che Velez rivela al suo involontario discepolo, Ego Wenger.
Un tempo non per forza lineare dunque, non diacronico, ma forse curvilineo.
All'interno ho inserito degli spunti filosofici nel riferimento all’eterna lotta tra Ananke e Einai. Tra Essere e Necessità dunque: Necessità che poi dis-vela la Metafisica.
La grande lotta che si consuma da millenni in realtà avviene tra l'Essere e la Metafisica, ossia tra ciò che è e colui che è.
La metafisica ha indirizzato e plasmato l’intero pensiero dell’Occidente da Socrate ad Nietsche (l’ultimo metafisico che infatti ha ucciso Dio), ma oggi sopravvive belluinamente nella Scienza moderna con la sua concatenazione infinita di Causa ed Effetto e il Big Bang come impersonale Divinità.
Siamo così zuppi di metafisica da non riuscire neanche a immagine il Mondo in modo diverso da come lo immaginiamo. La Scienza moderna è solo l’ultima grande costruzione metafisica.
Non cerco spiegazioni, cerco la Verità, scriveva Heidegger.
E io che vi scrivo sono solo uno spettatore, cioè uno che osserva da lontano (una realtà che è sempre rap-presentata).
Già Aristotele, nella Fisica, parla di topos e kronos, sono duemilacinquecento anni che l’Occidente si raffigura Tempo e Spazio. Forse perché Spazio e Tempo sono uno dei modi in cui la Verità si presenta.
Da dove deriva il primato del vuoto di spazio e di tempo, la loro estensione immediatamente rappresentata, la loro quantificazione e calcolabilità?
Tutto risale alla fondamentale esperienza greca dell’ousìa.
Con spazio di tempo si intende un periodo, un lasso di tempo, da qui a là, da allora a oggi: cento anni, mille. Il tempo è rappresentato come spazioso, nel senso che abbraccia un certo spazio, un qualcosa di misurato e misurabile, quantificabile.
Gli orologi misurano il tempo, lo quantificano. Ma mi chiedo: è corretto quantificare il tempo? O il tempo che passa è solo una convenzione e gli orologi misurano soltanto se stessi?
Rappresentazioni, e al di là delle rappresentazioni vi è l’originaria unità di spazio e tempo, l’essenza originaria, l’essenza della Verità.
La Verità è il velamento diradante dell’Essere, scriveva Heidegger. Ma è proprio perché c’è la Verità che si possono fare le domande.
Spazio e tempo e spazio-tempo si equivalgono? Fanno parte della Verità dell’Essere.
E cos’è l’Eternità?
Forse non è ciò che per-dura, ma ciò che nell’attimo può sottrarsi per poter ritornare. Non come uguale, ma come ciò che di nuovo si trasforma, a differenza dell’Ultimo Metafisico Nietsche.
L’Essere (è un’affermazione la cui negazione implica l’affermazione di sé), e il Nulla.
L’Ontologia greca, cristiana, occidentale, scientifica è profondamente permeata del concetto di Nulla. E quindi di Finitudine.
Cos’è dunque il Nulla se non il chiudere i conti con la Vita?
Anche nel cristianesimo la Salvezza, la Soterìa, cos’è se non Salvezza dal Nulla?
A partire dal mondo greco la Morte è sinonimo di Nulla. Anche nel cristianesimo si deve diventar nulla per poi risorgere. Quindi ogni cosa è un provvisorio sorgere dal Nulla per poi tornare nel Nulla.
Agostino dice che l’Uomo preferisce l’Inferno piuttosto che il Nulla, quanto è vero.
Curioso questo aspetto del pensiero greco, cristiano, occidentale: le cose di per sé non meritano di Essere, se non per merito di Dio, di un dio, oggi di una causa scientifica.
Ci salviamo dalla Morte, quindi dal Nulla, perché ci sono gli ospedali, perché lo vogliono i medici, perché possiamo esser curati. Tutta la follia degli ultimi mesi sta un po’ lì a dimostrarlo come fosse un esperimento scientifico. L’importante, il Bene Assoluto a cui tutte le libertà vanno assoggettate, è il salvarsi dalla Morte, perché la Morte è il Nulla. Questo sostiene la metafisica occidentale.
Ma ciò che muore comunque continua a Essere (pure se questo l’occidente non vuol capirlo e utilizza Dio e la Tecnica per sfuggire non al Nulla, ma all’Essere).
Questa è l’Eternità dell’Essente in quanto Essente.
Che cos’è dunque rendere Eterno? Capire che la Finitudine non Esiste.
Allora è proprio vero che la filosofia non serve a niente. Direbbero avendo ragione i tanti, i molti, i più: l'errore è solo credere che, con questo, ogni giudizio sulla filosofia sia concluso.
Mi chiedo, come si rivelerebbe la notte ai suoi abitanti in un pianeta con tre soli che mai ha conosciuto l’oscurità?
Quale valore avrebbe il Bene se non ci fosse il Male?
La Luce ha bisogno della sua Assenza per spiegare la sua Esistenza.
Geshick (Destino) dunque, ma diverso dalla Necessità della mia Ananke, dell’Ananke del racconto, un Destino che non allude alla possibilità di prodursi di qualcosa come nel caso del principio di causalità che, anticipando l’ente, esclude la possibilità del suo non-essere in quel rapporto cogente di causa ed effetto.
Sein und Zeit (Essere e Tempo) sono profondamente connessi, senza uno non c’è l’altro da Agostino a Hawking, ma del tempo la scienza offre solo una spiegazione quantitativa, come la religione; però adesso, nel momento in cui scrivo ciò che sto scrivendo, e quindi nell’istante in cui lo faccio, ciò che scrivo esiste già nella mia mente: fluisce nel presente da dove? Dal futuro come potenzialità e dal passato come ricordo.
Il fiume notturno delle ore scorre dalla sua sorgente, che è l’eterno domani.
È grazie alla potenzialità che si può mandar Cassini a visitar Titano nel futuro, che è già trascorso.
E infine, invito chi legge a godersi la lettura, se può, senza pensare alla meta, al fine.
Il viaggio vale di per sé e non conta l’approdo.
Gli occhi verdastri non sono un caso della sorte ma indicano una via, alcoolica o meno non ha importanza.
Spero che Andr abbia apprezzato il riferimento agli scimpanzé. Anch'io ci provo, pure se non pare e non c'entra nulla col resto.
commento: Nόστοι, Ritorni
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Re: commento: Nόστοι, Ritorni
NB Non so se hai letto il mio commento a questa stessa opera, in cui facevo un riferimento al tuo giudizio per "E la chiamavano musica.."ElianaF ha scritto: ↑05/01/2022, 19:42 Ammetto di essermi persa e di aver trovato il racconto lungo e non proprio scorrevole. I molti riferimenti ad episodi, opere e persone da una parte mi distraggono (che faccio? Mi mettono a cercare sulla Treccani per sapere chi sono?) dall'altra mi irritano proprio perchè non li conosco.
Questo tuo commento mi consola. Grazie.
Re: commento: Nόστοι, Ritorni
No Alberto, non l'avevo letto, per non farmi influenzare non leggo i commenti degli altri prima di scrivere il mio.Alberto Marcolli ha scritto: ↑05/01/2022, 20:41 NB Non so se hai letto il mio commento a questa stessa opera, in cui facevo un riferimento al tuo giudizio per "E la chiamavano musica.."
Questo tuo commento mi consola. Grazie.
Re: Nόστοι, Ritorni
In effetti il libro "Far la pace tra le scimmie" di Frans De Waal mi ha chiarito molte cose. Gli scimpanzé bonobo risolvono qualunque conflitto col sesso: la psicanalisi avrebbe scarso successo, nella loro società. Una crisi tra due gruppi per una carenza di risorse finirebbe probabilmente con una generale ammucchiata, il che mi porta a pensare che i bonobo, più che gli umani, abbiano capito tutto della vita.
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Re: commento: Nόστοι, Ritorni
Io sono felice quando leggendo trovo qualcosa che non conosco e sono costretto a cercare, capire, comprendere, provare a farmi un'idea. Se ciò non fosse la lettura si trasformerebbe in mero intrattenimento, in un blockbuster di carta.ElianaF ha scritto: ↑05/01/2022, 19:42 Ammetto di essermi persa e di aver trovato il racconto lungo e non proprio scorrevole. I molti riferimenti ad episodi, opere e persone da una parte mi distraggono (che faccio? Mi mettono a cercare sulla Treccani per sapere chi sono?) dall'altra mi irritano proprio perchè non li conosco.
Dietro alcuni passaggi faticosi si nasconde della ricerca e cura per chi legge, te lo assicuro. Mi spiace quindi non essere riuscito nell'intento che mi ero prefisso e di averti irritata.
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però ho trovato il pezzo molto pesante, troppo carico di riferimenti filosofici e non, dei quali non ho conoscenza o quasi.
diviene pesante proprio per questo, secondo me, ferme restando le tue capacità descrittive ed espositive.
non posso dire mi sia piaciuto molto, mi spiace.
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Re: commento: Nόστοι, Ritorni
Anch'io sono contenta quando una storia mi fa conoscere qualcosa che prima non sapevo, un racconto cha appassiona proprio perchè non solo cita, ma spiega, descrive, approfondisce, coinvolge. Hai presente "Il nome della rosa" ?Namio Intile ha scritto: ↑06/01/2022, 10:38 Io sono felice quando leggendo trovo qualcosa che non conosco e sono costretto a cercare, capire, comprendere, provare a farmi un'idea. Se ciò non fosse la lettura si trasformerebbe in mero intrattenimento, in un blockbuster di carta.
Dietro alcuni passaggi faticosi si nasconde della ricerca e cura per chi legge, te lo assicuro. Mi spiace quindi non essere riuscito nell'intento che mi ero prefisso e di averti irritata.
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Re: commento: Nόστοι, Ritorni
No, non ho presente Il nome della rosa. Ma dove io avrei "citato"? Ho inserito delle riflessioni filosofiche, mi pare, in cui ho cercato di approfondire un tema a me caro nell'angusto spazio disponibile. Comunque grazie di aver accostato il mio raccontino alle cinquecento e passa pagine del romanzo di Eco. Ne sono lusingato.
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Questo è troppo per i miei neuroni sottoproletari.
E non è una critica, ma ho colto l'1% dei riferimenti che sono stati citati dai commenti precedenti. E forse neanche quell'1%.
Il racconto, la storia, comunque l'ho gradita, scritta (come sempre) bene. Ma più in la non vado.
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Re: Nόστοι, Ritorni
Interessante la citazione dell'autore de I Versi Satanici, libro che amo alla follia, ma per tutto il resto ti consiglio, da amante del leggere, di rivedere il tutto, e magari snellirlo un pochino. Per tutto il resto, ripeto, non è affatto male...
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Re: commento
Ciao, Laura. Il tuo intervento mi era un po' sfuggito, in modo colpevole. Ti ringrazio innanzitutto per aver almeno tentato la lettura, disertata dai più mi pare, pure se ciò che citi sopra è contenuto nelle mie riflessioni esterne al racconto.Laura Traverso ha scritto: ↑10/01/2022, 18:42 Ci sono alcuni passaggi molto belli e significativi, ad es: "Ci salviamo dalla Morte, quindi dal Nulla, perché ci sono gli ospedali, perché lo vogliono i medici, perché possiamo esser curati. Tutta la follia degli ultimi mesi sta un po’ lì a dimostrarlo come fosse un esperimento scientifico. L’importante, il Bene Assoluto a cui tutte le libertà vanno assoggettate, è il salvarsi dalla Morte, perché la Morte è il Nulla. Questo sostiene la metafisica occidentale". Anche altre descrizioni sono assai rilevanti. Il tema del racconto è per me di non facile interpretazione. Le citazioni non le ho comprese molto - mio limite - forse sono tante e mi hanno un poco confuso. Comunque, la stesura del testo è, come sempre, perfetta. Ti distingui sempre, anche con storie di non facile lettura.
Peraltro, se volessi tornare alla lettura del racconto in sé troverai, oltre a delle descrizioni oltremodo riuscite, delle riflessioni filosofiche che ritengo valide, insieme all'appassionante metastoria di Ego Wenger e alla continuazione della storia di Ludovico Velez e Manfredi Chiaramonte.
Un caro saluto
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Re: Nόστοι, Ritorni
La prima parte l'avevo intitolata Babi Yar e la trovi nel mio profilo, o nell'ebook omonimo edito dal buon Massimo.
Ci sono parecchi bravi autori qui, vedrai.
A rileggerti
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Ma c'è la parte saggistica; e quella è nutrimento per la mente. Heidegger in salsa marxista? Non lo so! Forse mi puoi aiutare tu a capire meglio. Ci sono molti spunti intorno al problema dell'Essere e della sua nemesi, il Tempo (ritorna Eraclito, ma in veste di saggista?); c'è la scienza come nuova metafisica: la sua narrativa che ci svela un altro Dio e la nostra alienazione profonda a questo sistema; e probabilmente molto altro che mi è sfuggito ad una prima lettura. Questo è straordinario e denota una multiforme cultura, padroneggiata con una certa maestria. Voto: 5.
Tocca, però, dare un solo voto, perché il verso in cui scorrono le cose non ci consente di rimanere sospesi come il gatto di Schrödinger tra la morte e la vita. Facciamo una media matematica? Voto: 4. E i miei più sentiti complimenti per il divertimento (intellettuale) che mi hai procurato.
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Re: Nόστοι, Ritorni
La vita è caotica, molteplice, chimerica, eppure proviamo di continuo a imprigionarla, a intravedere regole inesistenti, a descrivere modi per regalarle un senso, alla ricerca di una direzione: il senso della vita. E in quest'ansia, infine divenuta angoscia, di irregimentare e assoggettare all'(D)Io noi scordiamo di s-velare l'Essere e l'Esser-ci: non rammentiamo che l'Essere è, per citare il filosofo di Marburg.
E dunque perché limitarsi, nello scrivere, al rettilineo, alla direzione prefissata, alle strade maestre, alla consequenzialità, al nesso di causa ed effetto? Anche la narrazione possiede la multiforme possibilità di rimandare a qualcos'altro, di riempirsi e di svuotarsi, proprio come accade nella vita.
Hai ragione, Heidegger è ovunque nel racconto, sin dalla Universitatstrasse. E dunque anche Eraclito, in cui ho scorto tanta profondità e semplicità nei suoi pochi frammenti quanta in ogni altro dove io abbia mai posato lo sguardo. La scienza è l'ultima e la più sconvolgente delle metafisiche, scrivi bene: la Scienza, ma soprattutto il suo metodo, è il dio più terribile e inclusivo e sfuggente e alienante che l'umanità abbia mai costruito. Un metodo (un dio) il quale trova la sua perenne conferma attraverso un processo di falsificazione continua, un indossare e levare maschere, ognuna valida e vera: dove oggi è il Multiverso, tra qualche anno sarà qualche altro tipo di Universo. Per come la vedo io, questo dio sarà la tomba dell'Uomo.
Il verso verso cui scorrono le cose vogliamo noi scorra verso una direzione.
Un caro saluto
Chissà se Ego Wenger l'abbia mai letto il Libro Blu
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Re: commento
Ciao Namio, è passato un po' di tempo da quando lessi il tuo racconto. Rivedendolo adesso, forse un poco frettolosamente, non ho più trovato le riflessioni citate. Ho evidentemente fatto parecchia confusione, mi spiace. A mia minima discolpa, forse, il fatto di non avere compreso abbastanza bene il tuo testo. Un caro saluto anche a te, ciaoNamio Intile ha scritto: ↑18/01/2022, 11:48 Ciao, Laura. Il tuo intervento mi era un po' sfuggito, in modo colpevole. Ti ringrazio innanzitutto per aver almeno tentato la lettura, disertata dai più mi pare, pure se ciò che citi sopra è contenuto nelle mie riflessioni esterne al racconto.
Peraltro, se volessi tornare alla lettura del racconto in sé troverai, oltre a delle descrizioni oltremodo riuscite, delle riflessioni filosofiche che ritengo valide, insieme all'appassionante metastoria di Ego Wenger e alla continuazione della storia di Ludovico Velez e Manfredi Chiaramonte.
Un caro saluto
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Re: Commento
Sul tema mi sono dilungato già molto in passato, vedi L'ultimo Orizzonte cercando nel mio profilo. Il metodo scientifico procede per dimostrazioni e falsificazioni, non consegnandoci una verità assoluta ma una verità di volta in volta falsificabile e dimostrabile. La verità che oggi viene consegnata domani potrà essere confutata da una nuova e "migliore" teoria. Ciò su cui il metodo scientifico non dice nulla è però il metodo stesso: tanto che pur cambiando i risultati prodotti attraverso il metodo, esso rimane identico a se stesso. Mutano le verità ma non l'Ente che le produce.Mithril ha scritto: ↑21/02/2022, 18:44 I mi limito a dire che non condivido l'associazione tra scienza e religioni. è in parte vero il discorso sul mito del progresso che fai nel paragrafo (un po' troppo declamatorio a mio avviso) che inizia con "Viviamo in un’epoca in cui l’incanto", ma la scienza mette in discussione anche le proprie certezze per trovare nuove risposte, proprio l'opposto del dogmatismo immutabile della religione
Quanto al racconto, beh una storia c'è se la si vuole leggere.
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Per dirla con lo stesso Morin mi sembra che il tuo scienziato, Wenger, sia "devastato dall'iperspecializzazione" (nonché da generosi dosi di alcolici, ma questo è un altro discorso), miope nel tentativo di razionalizzare l'idea di un tempo circolare e non lineare, nel quale possono coesistere un Führer morto nell'attentato e un esperimento capace di piegarlo, quel tempo.
Di più i miei limiti, già confessati, non mi consentono di dire, contesta il mio fraintendimento se c'è, sappi però che apprezzo una scrittura che non vuole essere solo intrattenimento ma anche stimolo alla crescita, materia nella quale ti dimostri ancora una volta molto abile.
Ti segnalo solo una "g" mancante in maneggevolezza.
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Re: Nόστοι, Ritorni
Come te sono molto curioso e cerco di approfondire come posso ciò che più mi sta a cuore: per la filosofia sono un autodidatta, nel senso che non ho avuto maestri se non gli stessi autori dei testi: come per la scrittura d'altra parte.
Viviamo da sempre in un mondo plasmato da una serie di narrazioni che dominano il nostro immaginario; esse lo costruiscono e lo indirizzano. Oh, non solo oggi è chiaro: da millenni l'umanità vive in un mondo costruito. Narrazioni facili da individuare e di cui delineare gli ampi margini se solo ciascuno fosse abituato ad adoperare quel poco di senso critico che possediamo per natura.
Non tanto circolare, Roberto, quanto non lineare e mi riferisco al tempo del racconto, tornando al racconto. Pensare al tempo non come un fattore dato, la freccia del tempo da A a B, ma come altro. Non penso all'Eterno ritorno dell'Uguale di nietschiana memoria. Siamo sempre nel racconto. Ecco, questo Wenger non riesce a pensare perché vittima, come tutti, di una costruzione intellettuale che trascende dalla sua stessa specializzazione (e l'iperspecializzazione provoca uno spiccato astigmatismo). Le maschera dell'universo, mi viene in mente il titolo di un saggio letto anni fa. Il modo di pensare e di guardare il mondo è in fondo solo una maschera che l'uomo di volta in volta costruisce per spiegare se stesso e ciò che lo circonda e che col tempo cambia. Mi vengono in mente, ad esempio le orbite planetarie: ci viene insegnato sin dalla scuola che sono perfettamente ellittiche. Naturalmente non è vero, non esistono forme perfette in natura. Hanno natura ellittica, ma non sono ellissi. Come prima erano circolari, perché nella costruzione tolemaica e aristotelica il cerchio è perfetto.
Viviamo in un mondo caotico e non in un mondo perfetto. Forse sarebbe ora che anche la letteratura, chi costruisce letteratura, narrativa, se ne accorgesse. MI stanno ormai stretti i testi perfetti dove tutto combacia, tutto è previsto. Nulla combacia nel mondo reale, nulla può essere previsto.
Concludo qui la mia trasognante risposta.
Spero che in famiglia vada tutto bene, e a presto.
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Commento a Nόστοι, Ritorni
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Re: Nόστοι, Ritorni
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Namio, hai letteralmente vomitato tutto lo scibile umano sul lettore, e i fisici (o forse solo io, non so) non siamo così.
Sì frustrati, sì squattrinati, sì "colti" (delle nostre cose), ma esseri umani!
C'è un po' troppa roba, e alla fine il lettore ci soffoca dentro, persino un altro fisico che al CERN c'è stato...
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Re: Nόστοι, Ritorni
La Gara 70 - Troppo tardi
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La Gara 54 - Sotto il cielo d'agosto
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Biblioteca labirinto
Cinque scaffali di opere concatenate per raccontare libri, biblioteche e personaggi letterari
Riportare la lettura e la biblioteca al centro dell'attenzione dovrebbe essere un dovere di ciascuno di noi. Se in qualche misura ci riesce una raccolta di racconti non si può che gioirne, nella speranza che possa essere contagioso, come deve esserlo tutto ciò che ci spinge a riflettere e a interrogarci sull'essenza del nostro esistere.
A cura di Lorenzo Pompeo e Massimo Baglione.
introduzione del Prof. Gabriele Mazzitelli.
Contiene opere di: Alberto De Paulis, Monica Porta, Lorenzo Pompeo, Claudio Lei, Nunzio Campanelli, Vittoria Tomasi, Cristina Cornelio, Marco Vecchi, Antonella Pighin, Nadia Tibaudo, Sonia Piras, Umberto Pasqui, Desirée Ferrarese.
Vedi ANTEPRIMA (211,75 KB scaricato 219 volte).
Un passo indietro
Il titolo di questo libro vuole sintetizzare ciò che spesso la Natura è costretta a fare quando utilizza il suo strumento primario: la Selezione naturale. Non sempre, infatti, "evoluzione" è sinonimo di "passo avanti", talvolta occorre rendersi conto che fare un passettino indietro consentirà in futuro di ottenere migliori risultati. Un passo indietro, in sostanza, per compierne uno più grande in avanti.
Di Massimo Baglione.
Vedi ANTEPRIMA (1,82 MB scaricato 493 volte).
Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
Masquerade
antologia AA.VV. di opere ispirate alla maschera nella sua valenza storica, simbolica e psicologica
A cura di Roberto Virdo' e Annamaria Ricco.
Contiene opere di: Silvia Saullo, Sandro Ferraro, Luca Cenni, Gabriele Pagani, Paolo Durando, Eliana Farotto, Marina Lolli, Nicolandrea Riccio, Francesca Paolucci, Marcello Rizza, Laura Traverso, Nuovoautore, Ida Daneri, Mario Malgieri, Paola Tassinari, Remo Badoer, Maria Cristina Tacchini, Alex Montrasio, Monica Galli, Namio Intile, Franco Giori.
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