Quello che ci aspetta a casa

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'estate 2024.

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Ombrone
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Quello che ci aspetta a casa

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I tamburi rullano e la folla urla la sua gioia.
Sono i suoni della vittoria e del trionfo, il suono più bello del mondo. No, il secondo, rifletto: il più bello è la voce della mia diletta.
Alzo lo sguardo dalla schiena dei compagni di fronte a me. Il cielo è chiaro e luminoso, il sole caldo, gli edifici della città sono adornati con stoffe colorate, che ondeggiano nella brezza.
Vedo i volti entusiasti affacciati alle finestre, se girassi la testa, cosa che non posso fare, sia perché ingombrato dall'elmo e dall'armatura, sia perché non voglio rompere, anche solo per un attimo, la perfetta simmetria delle nostre gloriose schiere in parata, vedrei anche la folla assiepata lungo i bordi della via trionfale, tra le colonne ricche di trofei antichi e recenti.
Siamo una città gloriosa, un esercito glorioso e io ne sono parte.
Il mio cipiglio guerresco viene per un attimo sostituito da una espressione gioiosa, al pensiero della vittoria, al pensiero di essere a casa, al pensiero che presto la rivedrò, poi, prima che uno dei capi manipolo se ne accorga e magari mi rimproveri, riassumo la doverosa marziale serietà.
Si tratta di pochi minuti di marcia, nulla rispetto ai giorni passati in movimento durante la campagna contro i nostri nemici, ma mi sembrano infinite ore, talmente sono ansioso.
In guerra le memorie amorose, il ricordo del volto amato, sono un sogno lontano che ti stimola e ti spinge a dare il meglio, per meritare il suo amore, per fare in modo che lei e vostri figli vivano nella sicurezza e nella prosperità della più grande e potente città del mondo. Adesso, sulla via di casa, anzi a poche centinaia di passi dal nido dove era sbocciato il nostro amore, il mio pensiero fisso su di lei non mi aiuta. Adesso in un attimo di pazzia abbandonerei armi e corazza, getterei via l'elmo e correrei verso la casa dove mi sta aspettando. Il mio unico desiderio è diventato riavvolgerla nel mio abbraccio, accoccolarmi accanto a lei, vedere i nostri figli in procinto di venire al mondo.
Posso solo pensare a lei, folle di amore, di passione, di nostalgia e di infinita tenerezza. Come cantano i poeti lei è la fonte della mia vita, della mia gioia, della mia forza e del mio tutto.
Non so come riesco a trattenermi e, preso da questi pensieri e desideri, quasi non mi accorgo quando i capi manipolo ordinano la manovra per disporci nella grande piazza sacra, dove gli anziani renderanno omaggio a noi vivi e celebreranno i morti che non sono tornati.
Per fortuna mesi di addestramento non mi tradiscono e mi impediscono di rendermi ridicolo, se la mia mente è altrove il mio corpo sa cosa deve fare senza neppure un pensiero cosciente.
Se resistere al desiderio marciando era difficile, farlo stando fermi e immobili nella grande piazza lo è ancora di più. I discorsi e persino i riti in onore dei caduti mi sembrano vacui e vuoti, persino il ricordo dei compagni morti accanto a me in battaglia riesce a malapena a scalfire la fremente attesa che tutto ciò finisca.
Quando finalmente il momento tanto atteso arriva e le file si sciolgono e non siamo più soldati e guerrieri, ma solo cittadini, mariti, figli, padri e fratelli, sono così teso da rimanere un attimo immobile, prima di scuotermi e iniziare a correre verso casa.
Qualche compagno mi chiama, per salutarmi o forse per invitarmi a un'ultima bevuta in compagnia, ma non gli do retta, a malapena faccio un cenno.
Loro non se la prendono sento, anzi, le grida divertite di un paio di veterani anziani: è giovane, ha cose più importanti da fare, fatelo correre a godersi la sua bella e a scacciare via chi troverà nella sua stanza.
In un altro momento forse mi sarei offeso del loro dileggio, ma non adesso e, senza fermarmi, emetto un suono divertito alle loro battute più o meno oscene.
Lascio la piazza, corro, il più veloce che il peso e l'impaccio dell'armatura mi rendano possibile, abbandono le grandi vie principali, pavimentate in pietra scura e ricche di botteghe e negozi e mi addentro nelle vie e infine nei vicoli del mio rione.
Vicoli stretti e oscuri che sanno di casa, a me familiari, che conosco a memoria. Come il corpo stupendo di lei. La vista quasi mi si offusca a questo pensiero e perdo un passo, sono vicino, sono molto vicino, in mezzo a tutti quegli odori familiari che gridano casa potrei quasi sognare di sentire il suo profumo.
E finalmente, quasi di sorpresa, sono arrivato. Sono sulla porta, sulla porta di casa mia. Entro. A malapena respiro.
Mi sfilo l'elmo, che cade rimbombando cupo sul pavimento, lo seguono le mie armi.
Lei non è qui a ricevermi, ma intuisco dove mi sta aspettando e il fiato mi si mozza di nuovo.
Tentando di non tremare sciolgo i legacci e i fermi dell'armatura e me ne libero.
Nudo mi avvio verso l'interno della casa.
Chiamo sommessamente, un canto di amore.
Mi fermo ad ascoltare ed ecco un ticchettio di risposta.
Scendo verso la fresca penombra dei sotterranei dove la temperatura è costante, dove mi sta aspettando con i figli che devono nascere.
Mi rifermo, la richiamo, e lei mi risponde col mio nome, un sibilo lieve e dolcissimo. Esito, intimidito, chiedendomi quanto sarà forte l'emozione che sentirò rivedendola.
Mi richiama, seducente e ansiosa quanto me.
Entro nella grande stanza dove mi aspetta, la penombra è rotta solo da piccole finestre quasi all'altezza del soffitto a cupola.
È qui: splendida come le stelle, bella come i monti, magnifica come il mare lontano. Dopo tanti mesi, i nostri occhi si incrociano di nuovo e potrei morire talmente mi sento felice, talmente la desidero.
«Mio Amato.»
Il suono più dolce del creato.
Con un fruscio srotola elegantemente le sue spire, rivelandomi i bozzoli dei nostri figli non nati intorno a cui era avvolta protettiva.
Sono traslucidi e posso vedere le loro ombre muoversi all'interno. I nostri figli… già così grandi, ma vengo distratto da lei che avanza su di me. Inarca la parte anteriore del corpo, sostenuta solo dalle zampe posteriori, mi mostra il suo ventre arrossato di infuocata passione.
Mi aspettava, e mi desiderava, come io desideravo lei.
Faccio dei passi in avanti, quasi timoroso, ticchettando con le mascelle.
Lei mi accoglie, le nostre antenne si intrecciano, ci assaporiamo a vicenda, mi perdo nella sua mielata dolcezza, e rabbrividisco mentre accarezza i segmenti del mio dorso.
E sono felice, immerso nel mio unico vero amore.
Yakamoz
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Messaggio da leggere da Yakamoz »

Letto troppo velocemente per poterlo commentare ora, dammi tempo e scusami.

Diciamo che sembra una "lirica" amorosa (uno scritto a metà tra prosa e poesia) di un uomo d'arme al suo ritorno in patria dai campi di guerra. Ambientazione forse antica, o comunque medievale. Ma il termine "capomanipolo" o "capo manipolo" suggerisce anche qualcosa che ha a che fare con le "camice nere", confluite nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e poi accorpate al Regio Esercito. Oppure il termine si riferisce solo a un "principalis" di un'ipotetica antica milizia? Mi sciogli questo dubbio?

Ciao, Ombrone (e benvenuto!)

Antonio

A una prima impressione, vale 5 nel suo genere di "elogio d'amore", anche se alcuni termini "decadenti" e l'ambientazione potrebbero in parte penalizzarlo nel suo complesso.
Ombrone
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Re: Quello che ci aspetta a casa

Messaggio da leggere da Ombrone »

Ciao! Grazie del commento
In verità credo che il colpo di scena nelle10 righe finali, possa risolvere il tuo dubbio sul ambientazione. Non spoilero per eventuali altri lettori
Come molte storie brevi in causa venenum e il gusto sta tutto, solo, lì!
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