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La prima volta

- Alberto Marcolli
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commento : La prima volta
A parte questo, presumendo che la tua non sia una semplice traduzione, la storia, nella sua semplicità e brevità, mi è piaciuta ed è ben scritta. Nulla da segnalare.
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Se volevi descrivere la forza d'animo di una persona di colore, il racconto-intervista centra l'obiettivo.
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Re: commento : La prima volta
Grazie mille per aver letto il mio racconto e mi fa piacere che lo abbia apprezzato! La nota finale vorrebbe essere un messaggio di speranza: si parte dall'incontro del tutto fortuito con un motociclista per arrivare, una cinquantina di anni dopo, a un grande campione, orgoglio nazionale per gli afroamericani e non. A presto e grazie ancora!Alberto Marcolli ha scritto: 24/12/2024, 10:09 Mi confonde un po' la nota finale. Parli di un'intervista al nonno di James "Bubba" Stewart, e siamo nel '56, ovvero circa quarant'anni prima della nascita del nipote, che non centra niente con la storia narrata.
A parte questo, presumendo che la tua non sia una semplice traduzione, la storia, nella sua semplicità e brevità, mi è piaciuta ed è ben scritta. Nulla da segnalare.
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Re: Commento
Grazie mille per il tempo dedicato il mio racconto! Vuole essere qualcosa di semplice, sia a livello di trama che di linguaggio, giusto uno spaccato di quel periodo, senza particolari sofismi o moraleggi vari. Grazie ancora e a presto!Roberto Di Lauro ha scritto: 24/12/2024, 10:19 Il racconto-intervista è ambientato nel 1956, periodo in cui negli Stati Uniti esistevano frange razziste. Poi il posto, l'Arizona, una terra non proprio facile per viverci.
Se volevi descrivere la forza d'animo di una persona di colore, il racconto-intervista centra l'obiettivo.
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Re: Commento
Grazie mille! Confermo che la storia è del tutto inventata, un pretesto per ambientare la storia per quel periodo. Il finale voleva essere un messaggio di speranza (si parte da un passaggio, si arriva a un campione), ma anche un modo per suscitare interesse circa un grande pilota, purtroppo sfortunato.Vittorio Felugo ha scritto: 24/12/2024, 11:18 È un bel racconto, toccante, che ci riporta a un'epoca lontana (ma non così tanto) in cui la discriminazione razziale era un problema davvero serio. Sa un po' de "La lunga strada verso casa"; non proprio originalissimo, ma è scritto bene e scorrevole, e crea la giusta atmosfera. Concordo sul fatto che la nota finale lasci un po' spiazzati. È la cronaca di un fatto realmente accaduto, o un "potrebbe essere andata così"?
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Il racconto per me è riuscito, ma toglierei le autocommiserazioni del protagonista, per lasciare il giudizio al lettore. Come dire: show, don't tell.
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Però sembra sia finito il tempo in cui noi europei ci sentivamo un pelino più civili dei nostri protettori americani, al contrario ora facciamo a gara a chi si dimostra più str...!
Un solo dettaglio: termini il racconto chiarendo che si tratta di un'intervista. Immagino un'intervista video, quindi il mio dubbio sorge da lì; se è radiofonica, nessun problema. Però io quando leggo, "vedo", perciò ho l'impressione di un'intervista in TV. Orbene, in un'intervista TV l'intervistato non avrebbe bisogno di dire che è negro.
È importante quest'osservazione? Non so, sono curioso dell'effetto che avrebbe fatto se si fosse scoperto durante il racconto questo fatto etnico, invece di buttarlo lì così come a farne IL motivo esplicito del racconto, che al contrario poteva essere la spiegazione di come il nonno di "Bubba" Stewart sia finito a fare motocross.
A rileggerti presto!


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Re: Commento
Ti ringrazio per l'interesse e per l'apprezzamento, Marino! In realtà, pensando all'intervista, mi riferivo più alla trascrizione di una registrazione su nastro, come si usava un tempo, piuttosto che a televisione o radio. Spero inoltre che sia quantomeno servito a suscitare un po' di interesse intorno al motocross e ai suoi campioni, magari meno conosciuti dei piloti di F1 o Motogp, ma altrettanto affascinanti!Marino Maiorino ha scritto: 07/01/2025, 16:02 Piaciuto molto e di più, tantissimo!
Però sembra sia finito il tempo in cui noi europei ci sentivamo un pelino più civili dei nostri protettori americani, al contrario ora facciamo a gara a chi si dimostra più str...!
Un solo dettaglio: termini il racconto chiarendo che si tratta di un'intervista. Immagino un'intervista video, quindi il mio dubbio sorge da lì; se è radiofonica, nessun problema. Però io quando leggo, "vedo", perciò ho l'impressione di un'intervista in TV. Orbene, in un'intervista TV l'intervistato non avrebbe bisogno di dire che è negro.
È importante quest'osservazione? Non so, sono curioso dell'effetto che avrebbe fatto se si fosse scoperto durante il racconto questo fatto etnico, invece di buttarlo lì così come a farne IL motivo esplicito del racconto, che al contrario poteva essere la spiegazione di come il nonno di "Bubba" Stewart sia finito a fare motocross.
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Re: La prima volta
Sembra davvero una di quelle storie di altri tempi americana!
Ben riuscita!


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Forse la finalità (analisi critica della situazione sociale) è un po' troppo evidente.
Comunque la costruzione (la storia sta dentro ad un'altra storia, e lo si scopre solo alla fine) la trovo interessante.
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A questo incipit "A me piace mettere le cose in chiaro fin dal principio, quindi ve lo dico subito. Ecco: sono un negro. Così, se avete qualche problema con i negri, potete smettere di leggere fin da subito e non lamentarvi che non lo sapevate. Non ho molto da raccontarvi della mia vita, ma una cosa ve la voglio dire." segue il racconto vero e proprio.
Prima persona, tempo presente, punto di vista del protagonista, io narrante. Perfetto, funziona molto bene ed è anche avvincente. Nel finale "«Cosa? Ti sei fatto dieci miglia a piedi nel deserto? Ci saranno almeno cento gradi, oggi! Beh, non ci avrei mai scommesso un nichelino di trovare qualcuno disposto a farlo… ma visto che tu ce l'hai fatta, fratello, è come se la scommessa l'hai vinta tu… quindi la birra te la offro io, ci stai?» Ci facciamo una bella risata, partiamo. Quella fu la prima volta che andai in motocicletta. Ah, dimenticavo: anche lui era un negro. E se non vi sta bene, cancellate pure le ultime venti righe della storia." inserisci in questo finale anche un piccolo colpo di teatro, un colpo a effetto che spariglia la scena. Non è efficacissimo ma c'è ed è pure divertente. Quindi il racconto funzionerebbe anche come racconto breve a patto in questo caso di evitare l'incipit che offre troppe spiegazioni fin da principio e rovina il finale.
Ma è l'epilogo (che non a caso dividi dal resto della narrazione) che salterei del tutto. Intervista a Gregory Stewart, nonno di James "Bubba" Stewart, primo motocrossista afroamericano vincitore dei campionati AMA National e AMA Supercross.
L'epilogo dice al lettore che il racconto è un'intervista e per di più tratta fatti riportati. Ma un'intervista non è, perché è un racconto. Il racconto funziona in questo modo, senza sapere chi sia quell'uomo a cui tutti rifiutavano il passaggio.
Altrimenti dovresti cambiare radicalmente il racconto per inserire oltre al fatto (il tema centrale è il rifiuto del passaggio) il chi è il protagonista e perché quel fatto è stato importante per lui.
Non so se mi sono reso intellegibile.
A rileggerti.
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Re: La prima volta
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Saluti,
Antonio
Voto: 4 (se fosse stato un po' più lungo, pure 5)
Aggiungo una cosa, visto che si parla di sport alla fine del tuo racconto:
Alla voce razzismo di molte enciclopedia, pure quelle di carta, c'è quasi sempre una bella foto "emblematica" che sicuramente conosci: Tommie Smith e John Carlos (Olimpiadi del 1968) che alzano il pugno chiuso guantato in nero contro il cielo. Segno di forza e unità, ma anche, o soprattutto, politico. C'è anche Peter Norman, quello "lavato con la candeggina", che ha suggerito l'idea di come doveva essere quell'immagine di umanità che vale più di monumento.
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Re: La prima volta
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