La piccola guerra di Piero
La piccola guerra di Piero
“Di tuo padre non so quasi niente!” mi diceva Marilena, mentre stavamo seduti al tavolino, all’ombra fresca di un platano.
“Hai ragione, ma non è solo per colpa mia”
“Cosa c’è di così misterioso?”
“Non cè niente di misterioso, solo che è una persona schiva, non gli piace parlare, tanto meno di sé. Io da piccolo pendevo dalle sue labbra, quelle poche volte che mi raccontava di quand’era bambino, e poi ragazzo, della sua scuola…dovevo di continuo dire ‘ e poi?...e allora?’ Per fortuna i bambini non si stancano mai di insistere, alla fine ti costringono a parlare.
Lui si vergogna di tutto, non si è mai aperto con nessuno, nemmeno con mia madre, credo.
Quando raccontava, non ti guardava mai negli occhi, sembrava quasi provare pudore, come se si mettesse a nudo. La testa girata da un’altra parte, lo sguardo perso, sembrava non veder l’ora di finire. Parlava lentamente, poi si interrompeva e bisognava continuamente richiamarlo perché continuasse.
Fra le cose che più mi sono rimaste impresse è la storia di quando fu arrestato dai nazisti, aveva forse sedici anni.
Ricordi quella strada che dal paese porta al mare, quella che passa per Peroj e che abbiamo percorso un’infinità di volte quando facevamo campeggio sulla spiaggia, durante la nostra prima vacanza?”
“Sì, la ricordo molto bene!”
“Da quelle parti mio nonno aveva un terreno, quasi tutti ulivi e un po’ d’orto. Mio padre era abbastanza grande per aiutarlo nel lavoro dei campi.
Dissodavano, bagnavano – lì vicino c’era una specie di stagno che chiamavano ‘lago di Biagio’ - raccoglievano le olive.
La terra è povera, rossa, affiorano di continuo dei lastroni bianchi di roccia calcarea, il terreno è carsico, pieno di buche e anfratti, ed enormi ‘foibe’.
La vanga affonda per non più di dieci centimetri in una terra alluminosa, e subito trova la pietra.
Per quella stradina tornava verso casa, un pomeriggio d’estate, Piero, a piedi, tirando per le briglie l’asinello. Era metà pomeriggio e il sole, implacabile, picchiava sulla testa di uomini e animali. La strada per casa era ancora lunga, troppo lunga.
A un certo punto c’è una brusca curva e non si vede oltre. Si sentivano però delle voci, frasi e parole urlate in tedesco. A Piero mancò la presenza di spirito di tornare subito sui propri passi: ormai aveva già svoltato.
Succede spesso di maledirsi per non aver fatto la cosa giusta quand’era ora. Perché quella scelta e non quell’altra? Perché non sei tornato indietro a gambe levate? Perché non ho parlato, quel giorno, a quella ragazza? Dove sarà, ora? Si potesse riavvolgere il nastro della vita, come si fa per una vecchia cassetta di un film!… Ma il mondo è lì, attorno a noi, insensibile e già tutto svolto!
Vide un camion militare e un gruppo di soldati tedeschi che sbarravano il cammino. Urlavano ordini a dei ragazzi e a degli uomini, tutti con gli occhi spaventati e con facce pallide e sudate, ammucchiati sotto il tendone nel cassone del camion; mentre un paio di altri sfortunati venivano fatti salire a spintoni. Indossavano camicie sdrucite, bagnate di sudore puzzolente sotto le ascelle e sul petto. L’odore della paura.
Era un rastrellamento: un tedesco era stato ucciso dai partigiani quel giorno stesso.
Il caldo era soffocante, l’aria tremolava per lievi correnti calde che salivano dalla strada, bianca di polvere. Il cielo era blu, quasi nero, e su ogni pietra si rifletteva la luce accecante del sole, tanto che gli occhi doloranti erano ridotti a due fessure.
E fra tutto questo splendore campeggiava un vecchio camion verde marcio, rumoroso, sebbene il motore girasse al minimo e guastava la pace di quella terra abbandonata da Dio.
I soldati puntarono il fucile contro Piero e, sempre urlando, lo costrinsero a legare l’asino a un alberello e a salire sul camion, senza curarsi delle sue deboli proteste: poteva forse abbandonare lì la bestia!?
Lui fu l’ultimo a essere arrestato quel giorno – se avesse tardato un po’ a passare non l’avrebbero preso!
Poi il camion partì verso Pola, dov’era il quartier generale.
La notizia del rastrellamento si diffuse immediatamente, i genitori e le mogli degli arrestati non sapevano più che fare, a chi rivolgersi.
Al prete, forse? Ma loro amano tutti, sono fratelli di tutti. C’è sempre una buona ragione che invita alla prudenza!
Andarono dal podestà e si misero a supplicare, a piangere, ad abbracciarsi l’un l’altro.
Il padre di Piero era nel gruppo. Bisognava fare qualcosa: ancora pochi giorni e li avrebbero deportati o, peggio ancora, fucilati.
E’ quello che successe, due anni dopo, a Mario, fratello di Ausilia, futura moglie di Piero e mia madre, ben prima che si conoscessero.
Partigiano, anche lui per scelta quasi obbligata, venne catturato durante un’azione di sabotaggio.
Lo portarono a Dacau assieme a molti altri, stipati in un vagone bestiame.
La parola ‘lager’ è ormai diventata sinonimo di luogo di disperazione, mentre significa semplicemente ‘magazzino’. Per i tedeschi era un magazzino di uomini!
La madre di Mario e la sorela, Ausilia, erano disperate. Partirono dal paese per Pola – non so come ci arrivarono, sono dieci chilometri - e andarono direttamente alla stazione, dove i prigionieri erano già sui vagoni, merce avariata e di nessuna importanza.
Poterono avvicinarsi al treno, nascondendosi dietro qualche colonna, finchè non trovarono il suo vagone.
Era una sera d’inverno e faceva molto freddo; lo videro, nella luce spettrale e gialla di una lampada, attraverso un finestrino con delle grate. Indossava una giacchetta, troppo piccola per lui, e le mani tentavano inutilmente di ripararsi dal freddo ritirandosi dentro le maniche, come fossero moncherini e come fa una tartaruga nel guscio. Riuscirono a parlargli per qualche minuto prima che i soldati le allontanassero con urli e spintoni.
Mia madre batteva i denti dal freddo e dalla paura.
Prima di essere allontanate, riuscirono a passargli, attraverso le sbarre, due pani – tutto ciò che avevano e che erano riuscite a trovare in casa.
‘Solo due pani?’
Furono le ultime parole che gli sentirono pronunciare.
Non seppero più nulla di lui, fin dopo la guerra. Dai documenti ufficiali risultò morto di polmonite.
Tornando alla cattura di Piero, stavano tutti, genitori, fratelli, amici, nel palazzo del municipio, col podestà.
Era questo un brav’uomo, li conosceva uno per uno, i suoi compaesani. Ovviamente era fascista, come tutti, o quasi, allora. Difficile non esserlo.
“D’accordo gente, state tranquilli, me ne occupo io. Adesso tornate a casa”
Partì immediatamente per Pola.
Con chi parlò e cosa disse? Nessuno lo saprà mai! Può essere che si appellasse al senso di umanità del comandante? o al fatto che i prigionieri erano solo dei ragazzi, dei contadini?
Appena scesi dal camion, un ufficiale tedesco chiese: ‘Chi vuole andare a lavorare per la Wermacht?’ Significava salvarsi la pelle, rimanere a Pola, in un campo di detenzione, e lavorare per i tedeschi. Mio padre fu il primo ad alzare la mano ‘io… io’ diceva. ‘Bene, tu per primo…in prigione!’
Il podestà parlò con qualcuno (non credo con quel soldato). Quale che sia la ragione, furono liberati tutti, e tornarono a casa.
Piero era traumatizzato. Lo shock di questa esperienza gli rimase per tutta la vita: ogni volta che vedeva una divisa, anche molti anni dopo - si trattasse anche solo di una guardia di frontiera - perdeva la ragione, si bloccava e cercava rifugio, facendosi piccolo piccolo, sul sedile posteriore dell’auto. Ad ogni passaggio di confine, qualcun altro doveva portare l’automobile. Dopo qualche chilometro, cominciava a rasserenarsi, ma mai del tutto.
Forse anche il postino, con la sua bella divisa, l’avrà messo in uno stato di panico, chissà! Per la verità fa paura anche a chi non è stato così traumatizzato: porta sempre multe o bollettini da pagare! La nostra unica possibilità di rivalsa è il cane, che, ligio al suo dovere, gli addenta invariabilmente l’orlo dei pantaloni.
La fine fu triste e tragica per il podestà.
Subito dopo la guerra, durante quell’infernale periodo che molti si ostinano a non voler chiamare col nome di ‘guerra civile’, si verificò il miracolo: nessuno era mai stato fascista! Tutti erano eroi antifascisti e partigiani!
Tutti….tranne il podestà!
Fu condotto in carcere. L’edificio era situato in un angolo della piazza principale del paese. Una mattina, lo fecero uscire e lo obbligarono a camminare fra due ali di folla inferocita.
‘Dagli al fasista, sputagli in faccia, fai schifo, vergognati!’
Il mucchio fa la forza. Se il vicino urla, tu urli ancora più forte, i volti si alterano dalla rabbia, un rumoreggiare di mille voci riempie l’aria, i freni inibitori cessano di funzionare.
Cominciarono a colpirlo, prima con schiaffi e sputi, poi con pugni, poi a bastonate e con sassi e calci.
Il pover’uomo si schermiva, tentava di ripararsi la testa, si lamentava, dapprima piano, quasi si vergognasse, poi con gemiti strazianti, sempre più deboli, mentre il sangue indicava il suo percorso sul selciato.
Infine crollò a terra e, misericordia divina – misericordia? divina? - perse i sensi e morì, così, in modo infame, vergognoso, come neanche gli animali al macello.
Piero assistette inorridito alla scena, da lontano, un altro terribile e tragico tassello nella sua mente.
Con un senso di vergogna diceva, anni dopo, che non aveva fatto nulla, non aveva cercato di aiutarlo; l’uomo che l’aveva soccorso e gli aveva salvato la vita! Il rimorso si aggiungeva alle sue non poche nevrosi.
Non è facile districarsi in questo ginepraio, meglio lasciar perdere!
Non parlava molto, Piero.
Fra le poche cose che mi diceva una frase mi è sempre rimasta in mente: ‘la politica divide’.
Ci credeva così tanto che, una volta che avemmo una discussione - ero già grande - preferì tacere, mentre gli riversavo addosso i suoi difetti, il suo conformismo, la sua inerzia, il suo evitare sempre i problemi e chissà cos’altro.
Fu una discussione accesa, o meglio, fui solo io a parlare, quasi urlando.
Poi la stanza piombò nel silenzio assoluto.
Eravamo in cucina, c’era anche mia madre, ma nessuno più parlava.
Ora mi vergogno per quel che gli dissi, non mi accorsi che il suo silenzio aveva un solo scopo: impedire che si andasse troppo oltre, che le parole sopravvanzassero il pensiero, che…si alzasse un muro fra noi.
Alle volte tacere è ben più difficile che parlare”.
I nostri piccoli figli continuavano a giocare correndo fra gli alberi, mentre tempi e cose e persone lontanissime da noi ci sembravano ora così vicini e così vivi.
Forse la memoria serve a questo, a far sì che non si muoia mai.
“E poi? Dopo che fu liberato?”
“Andò con i partigiani. Non c’erano alternative: o con loro o con i tedeschi.
Per quasi tre anni camminò per boschi e monti trascinandosi dietro il fucile, sempre più pesante.
Non avevano quasi nulla da mangiare. Come nei film di Charlie Chaplin, bollivano la tomaia delle scarpe. Al termine della guerra pesava quaranta chili.
Un giorno, stanchi, sporchi e affamati come sempre, tre o quattro di loro si trovarono a passare vicino a una cascina.
Chiesero ospitalità e da mangiare e, naturalmente, la ottennero – difficile negare qualcosa a chi ha un fucile in mano!
C’era una donna – il marito si era nascosto di certo in qualche altra stanza o, più probabilmente, era fuggito nei campi. La donna indossava un vestito lungo a piegoni, marrone e sporco, con sopra un grembiule macchiato di sugo, legato in vita. I capelli, tenuti assieme da un fazzoletto sporco anch’esso, erano spettinati e cominciavano a ingrigire. Lo stanzone dove entrarono era una stalla, trasformata in una grossa cucina. Al centro un enorme tavolo di quercia, grezzo e unto, con quattro sedie impagliate e sgangherate intorno, a sinistra una cucina economica con il fuoco acceso, e appesi sopra, sulla cappa, un mestolo e una schiumarola ammaccata. Sul fondo, un passaggio dava in un’altra stanza – forse una dispensa - ed era chiuso da una coperta militare che faceva da tenda, sorretta da uno spago sfilacciato.
Si sedettero, e la donna tirò fuori dal cassettone del tavolo un pane rotondo e ne diede loro metà, l’altra metà la rimise nel cassetto. Poi si allontanò e andò nell’altra stanza, oltre la tenda.
‘Dai Piero, apri quel cassetto e ficca il pane nel sacco. Sbrigati!’
Apre il cassetto: ‘C’è anche del formaggio, che faccio?’
‘Come che fai, prendi tutto, no? Dai, che sta tornando!’
Quando la donna rientrò teneva in mano un salame: ‘Avete già finito il pane!? Ora ve ne dò dell’altro’, e aprì quel cassetto, che ormai era già la terza volta che veniva aperto in pochi minuti. Fece per dire qualcosa, presa alla sprovvista e con la faccia stupita, ma stette zitta e richiuse il cassettone; tornò nell’altra stanza e quasi subito rientrò in cucina portando dell’altro pane e un po’ di formaggio.
La guerra finì, ma non per questo scoppiò la pace.
Ormai l’Istria non era più italiana, l’avevamo persa e in modo poco onorevole.
Adesso gli italiani erano appena tollerati in quella che era stata la loro terra.
I titini la facevano da padroni, chi non era del partito era non solo malvisto ma rischiava anche la pelle.
Si aprì la breve e infame parentesi delle foibe.
Ai contadini venivano portate via le cose essenziali: l’olio, il vino, la farina, le uova, le bestie… qualsiasi cosa; tutto in nome del partito.
La gente era costretta a lavorare nei campi, gratuitamente o quasi. Piero, era appena sposato, dovette andare alla mietitura, pur avendo una febbre da cavallo, pena il non rilascio del visto per l’Italia.
Tutti avevano paura! Già più d’uno era sparito e non si sapeva dove (in realtà si sapeva, ma non si poteva dire). Il vicino sospettava il vicino, nessuno più si fermava in piazza a parlare. Mancavano di tutto.
Il padre di Ausila era l’unico che insisteva, giorno dopo giorno: andiamocene!
Reduce della campagna di Russia della guerra del ’15 – ‘18, con una ferita alla gamba, aveva lavorato a Trieste e non vedeva l’ora di tornarci e di allontanarsi da tutta quella miseria e da quelle ingiustizie.
A forza di insistere, si convinsero tutti: le due famiglie decisero che era ora di fare i bagagli.
Per noi è difficile immaginare cosa voglia dire partire, partire per sempre. Lasciare quei campi, dove il sudore colava dalla fronte; dove ti sedevi sotto il mandorlo a bere quel vino, tenuto fresco nell’acqua dello stagno; a mangiare un melone appena raccolto; lasciare quell’asinello che un giorno ti ruppe i denti con un calcio (ma lo sapevi che non bisognava passargli dietro!); lasciare gli olivi contorti, da cui ricavavi quell’olio così buono, ma che diventava subito rancido perché non sapevi come trattarlo; e la casa….la casa dove avevi passato la giovinezza, quella camera dove ti addormentavi stanco e sereno; e la stalla con le sue bestie calde, le galline che correvano per tutta l’aia, appena fatto l’uovo; ma, più ancora, la gente che ti conosceva da quando eri piccolo, quel cielo che, nelle notti d’estate, sembrava la tela nera di un pittore, riempita di luci e… tutta una vita. Ormai senza più niente, erranti come l’ebreo della leggenda.
Il giorno della partenza da Pola mezzo mondo era sul treno, non un posto a sedere, la valigia nel corridoio, tutti stipati all’inverosimile.
Quando scesero alla stazione di Bologna – una tappa intermedia - avevano i pantaloni e le gonne neri come l’inchiostro, la stoffa appiccicata alle cosce, perché la valigia di compensato su cui tutti si erano seduti era stata verniciata di fresco, e la vernice non voleva saperne di asciugare.
Alla stazione, in attesa del cambio per il sud, passarono la notte senza che nessuno si occupasse di loro; anzi, erano visti come dei reietti, avendo abbandonato la patria del socialismo! Le poche cose che ancora possedevano e che erano racchiuse in un cassone di legno, vennero gettate con malagrazia sulla banchina e, quasi tutte si ruppero.
In centinaia di migliaia partirono. Per dove? Nessuno lo sapeva.
Ma volevano continuare a essere italiani.
- Fausto Scatoli
- rank (info):
- Terza pagina
- Messaggi: 792
- Iscritto il: 26/11/2015, 11:04
- Contatta:
-
Author's data
Commento
gli eventi narrati trascinano il lettore, e questa è una forza, però rivedrei un poco la formattazione.
a mio parere qualcosa non quadra, forse mancano delle virgolette.
nel complesso il mio parere è positivo
http://scrittoripersempre.forumfree.it/
Autore presente nei seguenti libri di BraviAutori.it:
-
- rank (info):
- Terza pagina
- Messaggi: 753
- Iscritto il: 07/03/2019, 11:31
-
Author's data
Commento
Tutto grazie al gran pelato, e pensare che ancora qualcuno va in giro col braccio teso.
Bello il racconto, e lo spunto per l'inanellarsi di tanti ricordi partendo da un aperitivo in un bar di Pola.
Il tema ti dà merito, quindi bravo.
Quanto allo svolgimento, a mio modo di vedere ritengo che il testo abbia qualcosa che non funziona.
Per esempio: "Un pomeriggio stavamo seduti all’aperto in un bar-ristorante di Pola, nei cosiddetti ‘giardini’, dove ogni mattina si tiene il mercato della frutta; mentre a lato, in un padiglione coperto, la gente si muove frenetica nel mercato del pesce. Chi è dotato di un olfatto sottile può apprezzare una fragranza caratteristica, da taluni banalizzata superficialmente come ‘puzza’. Sui banconi di cemento e per terra scorrono rivoli d’acqua ed è uno spettacolo per gli occhi ammirare tutti quei pesci ancora rigidi e mucchi brulicanti di granchi."
È un periodo con tre proposizioni, dove a parlare dovrebbe essere la voce narrante o l'io narrante nella specie.
Dunque, inizi con un tempo verbale passato (imperfetto), ma subito viri al presente. Dovevi continuare al passato o attualizzare tutto al presente.
Nella seconda proposizione poi, l'io narrante cede a un'incursione dell'autore: "Chi è... da taluni banalizzata superficialmente come ‘puzza". Perché questa è una tua considerazione, come questa: "ed è uno spettacolo per gli occhi..."
Io, semplicemente avrei scritto: "dove si possono ammirare una quantità di pesci ancora (ma poi perché ancora? Casomai già rigidi) rigidi..."
Questo passaggio dal passato al presente lo effettui anche dopo:"E’ quello che successe, due anni dopo, a Mario, fratello di Ausilia, futura moglie di Piero e mia madre, ben prima che si conoscessero."
Successivamente l'io narrante si perde un po' con il discorso diretto, nel senso che sembra tutto un racconto del protagonista in prima persona, ma mancano delle virgolette. Ma il dialogo è troppo lungo e il racconto perde equilibrio. Questo credo il peccato più grave, segnalato negli altri commenti come un qualcosa che non va generico.
Nulla che non si possa riprendere con una buona rilettura a mente fredda.
Bellissimo il finale.
Un buon lavoro.
- Laura Traverso
- rank (info):
- Editorialista
- Messaggi: 1019
- Iscritto il: 27/05/2016, 16:40
- Località: GENOVA
- Contatta:
-
Author's data
Commento
Re: La piccola guerra di Piero
Re: La piccola guerra di Piero
-
- rank (info):
- Terza pagina
- Messaggi: 737
- Iscritto il: 11/07/2016, 22:53
-
Author's data
Commento
-
- rank (info):
- Necrologista
- Messaggi: 225
- Iscritto il: 08/03/2020, 14:37
-
Author's data
Commento
- Roberto Paradiso
- rank (info):
- Foglio bianco
- Messaggi: 40
- Iscritto il: 25/10/2011, 13:53
-
Author's data
Commento
Le vicende del Popolo Istriano, Giuliano e Dalmata, pur non essendo di quelle parti, mi sono note come se fossi uno di loro. Mio padre da ragazzo ha lavorato nel campo profughi di Cinecittà, subito dopo la guerra, poi ha gestito i fondi per le zone di Confine, quando lavorava al Ministero degli Interni, ed insieme alle associazioni Giuliano-Dalmate ho visitato quei luoghi. Ho conosciuto gente come Padre Rocchi e tanti altri esuli che vivono nel quartiere Giuliano-dalmata di Roma dove ho lavorato per 10 anni. Sono iscritto alla locale associazione e partecipo ogni anno alle commemorazioni del 10 Febbraio. La cosa più bella che ho sentito in tutti questi anni, fu il racconto, in occasione della Giornata del Ricordo, da parte del Presidente della Associazione, del suo recente incontro col Sindaco di Pola. Se prima veniva evitato quasi come fosse un appestato, quella volta, in occasione di una celebrazione pubblica, il Sindaco gli si avvicinò, lo abbracciò e lo chiamò fratello. Questo è l'epilogo che vorrei sentire.
Re: La piccola guerra di Piero
-
- rank (info):
- Apprendista
- Messaggi: 155
- Iscritto il: 16/12/2019, 1:27
-
Author's data
Commento
Re: La piccola guerra di Piero
Roberto
- Ida Daneri
- rank (info):
- Apprendista
- Messaggi: 150
- Iscritto il: 14/01/2020, 15:30
- Località: Vigevano
- Contatta:
-
Author's data
Commento
Percò ci sono alcuni problemi: i puntini di sospensione ricorrono fin troppo spesso e potrebbero essere sostituiti da una adeguata punteggiatura. Inoltre, i puntini di sospensione vanno a gruppi di tre, niente spazio prima e solo lo spazio dopo.
Ci sono un paio di errori i battitura e il passaggio da un ricordo all'altro non sempre scorre in modo fluido e talvolta pare quasi forzato: andrebbe bene in un dialogo, che è quello col quale il racconto si apre. Ma poi il dialogo si perde e il racconto diventa più un flusso di coscienza.
Re: La piccola guerra di Piero
Ciao,
Roberto (senza puntini di …sospensione).
Commento
A Quattro mani
antologia di opere scritte a più mani
Una collaborazione, di qualunque natura essa sia, diventa uno stimolo, la fusione di peculiarità ben definite, la concretizzazione di un'intesa, la meraviglia di scoprire quel qualcosa che individualmente non si sarebbe mai potuta fare. È una prova, una necessità di miglioramento, il superamento dei propri limiti stilistici o di quei blocchi creativi che sovente ci pongono di fronte a un disarmante "foglio bianco". Gli autori di questa antologia ci hanno voluto provare.
A cura di Massimo Baglione.
Copertina di Antonio Abbruzzese.
Contiene opere di: Chiara Masiero, Mauro Cancian, Stefania Fiorin, Anna Rita Foschini, Ida Dainese, Alberto Tivoli, Marina Paolucci, Maria Rosaria Spirito, Marina Den Lille Havfrue, Cristina Giuntini, David Bergamaschi, Giuseppe Gallato, Maria Elena Lorefice.
Vedi ANTEPRIMA (802,46 KB scaricato 182 volte).
Il sole è nudo
Antologia di opere che mettono a nudo la pratica del nudismo.
Questo libro non vuole essere un dibattito pro o contro; non ci riguarda, abbiamo solo avuto il desiderio di spogliarci con voi.
A cura di Angelo Manarola e Massimo Baglione.
Copertina di Roberta Guardascione.
Contiene opere di: Concita Imperatrice, M. C., Gianni Veggi, 1 s3mpl1c3 nud1sta, Paolo De Andreis, Mario Stallone, Leonardo Rosso, Iconat, Sergio Bartolacelli, Donatella Ariotti, Franca Riso, Lodovico Ferrari, Goldchair60, Emanuele Cinelli, Vittoria Tomasi, Simone Pasini, Anna Rita Foschini, Matteone, Galiano Rossi, Franca Mercadante, Massimo Lanari, Francesco Paolo Catanzaro, Francesco Guagliardo, Giacobsi, Bayron, Marina Paolucci, Guglielmo A. Ferrando, Stefano Bozzato, Marco Murara, Francesca Miori, Lorenzo Moimare, Vincenzo Barone, Rupert Mantovani, Domenico Ciccarelli, Siman, Roberto Gianolio, Francesco Marcone, utente anonimo, Jole Gallo, Giovanni Altieri, Daniela Zampolli, Robi Nood, Mauro Sighicelli, Lucica Talianu, Giovanni Minutello, Naturizia, Serena Carnemolla, Carla Bessi.
Vedi ANTEPRIMA (407,33 KB scaricato 687 volte).
L'anno della Luce
antologia ispirata all'Anno della Luce proclamato dall'ONU
Il 2015 è stato proclamato dall'Assemblea generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) Anno internazionale della luce e delle tecnologie basate sulla luce. Obiettivo dell'iniziativa adottata dall'ONU è promuovere la consapevolezza civile e politica del ruolo centrale svolto dalla luce nel mondo moderno. Noi di BraviAutori.it abbiamo pensato di abbracciare questa importante iniziativa proponendo agli autori di scrivere, disegnare o fotografare il loro personale legame con la luce, estendendo però la parola "luce" a tutti i suoi sinonimi, significati e scenari.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Alessandro Carnier, Amelia Baldaro, Andrea Teodorani, Angelo Manarola, Anna Barzaghi, Annamaria Vernuccio, Anna Rita Foschini, Antonella Cavallo, Camilla Pugno, Cinzia Colantoni, Claudia Cuomo, Daniela Rossi, Daniela Zampolli, Domenico Ciccarelli, Dora Addeo, Elena Foddai, Emilia Cinzia Perri, Enrico Arlandini, Enrico Teodorani, Francesca Paolucci, Francesca Santucci, Furio Detti, Gilbert Paraschiva, Giorgio Billone, Greta Fantini, Ianni Liliana, Imma D'Aniello, Lucia Amorosi, Maria Rosaria Spirito, Maria Spanu, Marina Den Lille Havfrue, Marina Paolucci, Massimo Baglione, Mauro Cancian, Raffaella Ferrari, Rosanna Fontana, Salvatore Musmeci, Sandra Ludovici, Simone Pasini, Sonia Tortora, Sonja Radaelli, Stefania Fiorin, Umberto Pasqui.
Calendario BraviAutori.it "Writer Factor" 2013 - (in bianco e nero)
A cura di Tullio Aragona.
Scarica questo testo in formato PDF (7,12 MB) - scaricato 363 volte..
La Gara 23 - Pochi istanti prima del sogno
A cura di Ser Stefano.
Scarica questo testo in formato PDF (1,87 MB) - scaricato 680 volte.
oppure in formato EPUB (655,20 KB) (vedi anteprima) - scaricato 239 volte..
Lascia un commento.
Calendario BraviAutori.it "Year-end writer" 2017 - (a colori)
A cura di Tullio Aragona.
Scarica questo testo in formato PDF (4,25 MB) - scaricato 64 volte..
Lascia un commento.